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Art. 99 - Recidiva

1. Chi, dopo essere stato condannato per un delitto non colposo, ne commette un altro, può essere sottoposto ad un aumento di un terzo della pena da infliggere per il nuovo delitto non colposo.

2. La pena può essere aumentata fino alla metà:

1) se il nuovo delitto non colposo è della stessa indole;

2) se il nuovo delitto non colposo è stato commesso nei cinque anni dalla condanna precedente;

3) se il nuovo delitto non colposo è stato commesso durante o dopo l’esecuzione della pena, ovvero durante il tempo in cui il condannato si sottrae volontariamente all’esecuzione della pena.

3. Qualora concorrano più circostanze fra quelle indicate al secondo comma, l’aumento di pena è della metà.

4. Se il recidivo commette un altro delitto non colposo, l’aumento della pena, nel caso di cui al primo comma, è della metà e, nei casi previsti dal secondo comma, è di due terzi.

5. Se si tratta di uno dei delitti indicati all’articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale, l’aumento della pena per la recidiva è obbligatorio e, nei casi indicati al secondo comma, non può essere inferiore ad un terzo della pena da infliggere per il nuovo delitto(1).

6. In nessun caso l’aumento di pena per effetto della recidiva può superare il cumulo delle pene risultante dalle condanne precedenti alla commissione del nuovo delitto non colposo (2).

(1) La Corte costituzionale, con sentenza 185/2015, ha dichiarato: 1) l’illegittimità costituzionale del presente comma, limitatamente alle parole «è obbligatorio e,»; 2) la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale del presente comma, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost.

(2) Articolo così sostituito prima dall’art. 9, DL 99/1974 e poi dall’art. 4, L. 251/2005.

Rassegna di giurisprudenza

Il limite all'aumento di pena di cui alla previsione dell'art. 99, comma 6: non rileva in ordine alla qualificazione della recidiva, come prevista dai commi secondo e quarto del predetto articolo, quale circostanza ad effetto speciale; non influisce sui termini di prescrizione determinati ai sensi degli artt. 157 e 161, come modificati dalla L. 251/2005 (SU, udienza del  23.6.2022, informazione provvisoria).

Il giudizio sulla recidiva deve essere compiuto alla luce non già di un astratto canone di pericolosità sociale, né tanto meno guardando alla recidiva in guisa di un mero «status soggettivo desumibile dal certificato penale ovvero dal contenuto dei provvedimenti di condanna emessi nei confronti di una persona, bensì sulla falsariga del concreto rapporto tra il fatto-reato per cui si procede e le pregresse condotte criminose dell'imputato (Sez. 5, 24637/2022).

Ai fini della rilevazione della recidiva, intesa quale elemento sintomatico di un'accentuata pericolosità sociale del prevenuto, e non come fattore meramente descrittivo dell'esistenza di precedenti penali per delitto a carico dell'imputato, la valutazione del giudice non può fondarsi esclusivamente sulla gravità dei fatti e sull' arco temporale in cui questi risultano consumati, essendo egli tenuto ad esaminare in concreto, in base ai criteri di cui all'art. 133, il rapporto esistente tra il fatto per cui si procede e le precedenti condanne, verificando se ed in quale misura la pregressa condotta criminosa sia indicativa di una perdurante inclinazione al delitto che abbia influito quale fattore criminogeno per la commissione del reato sub iudice (Sez. 4, 15678/2022).

La concessione del perdono giudiziale, pur presupponendo un accertamento della colpevolezza dell'imputato, si sostanzia nella rinuncia da parte dello Stato alla condanna che avrebbe meritato per il reato commesso e ne determina il proscioglimento, cosicché non può valere come sentenza di condanna agli effetti della recidiva (Sez. 4, 13727/2022).

In tema di recidiva, il giudice, onde verificare se la reiterazione dell'illecito sia effettivamente sintomatica di una maggiore riprovevolezza della condotta e di un'accresciuta pericolosità del suo autore, non dovrà limitarsi ad esaminare i fattori significativi della condotta sottoposta in quel momento al suo giudizio, ma dovrà istituire una relazione fra tali fattori e quelli emergenti dal pregresso corredo penale del prevenuto, esaminando dialetticamente gli uni con gli altri, onde accertare se sia possibile esprimere, correlando i fatti del passato con quelli attualmente sottoposti al suo scrutinio, l'esistenza di un legame fra di essi, tale da far ritenere accentuata, proprio in ragione delle inefficaci risposte soggettive del prevenuto alla comminatoria penale, una più intensa pericolosità in capo al soggetto in quel momento giudicando (Sez. 3, 3274/2022).

Ai fini della rilevazione della recidiva, intesa quale elemento sintomatico di un'accentuata pericolosità sociale del prevenuto, e non come fattore meramente descrittivo dell'esistenza di precedenti penali a carico dell'imputato, la valutazione del giudice non può fondarsi esclusivamente sulla gravità dei fatti e sull'arco temporale in cui questi risultano consumati, essendo egli tenuto ad esaminare in concreto, in base ai criteri di cui all'art. 133, il rapporto esistente tra il fatto per cui si procede e le precedenti condanne, verificando se ed in quale misura la pregressa condotta criminosa sia indicativa di una perdurante inclinazione al delitto che abbia influito quale fattore criminogeno per la commissione del reato sub iudice (La Corte, nel dichiarare infondato il motivo di ricorso avente ad oggetto l’applicazione della recidiva, ha convalidato la conformità ai principi della decisione impugnata, giudicata immune anche da vizi logici nella parte in cui ha ricordato che “l'uso di un'arma per fini così crudeli e nei confronti di un animale docile e inoffensivo fa comprendere come l'imputato non abbia mai abbandonato la sua passione, illegalmente coltivata, per questi strumenti di offesa che non ha esitato ad usare per soddisfare un istinto di uccisione primordiale quanto immotivatamente spietato”) (Sez. 1, 23190/2022).

La recidiva va intesa quale elemento sintomatico di un'accentuata pericolosità sociale del prevenuto, e non come fattore meramente descrittivo dell'esistenza di precedenti penali per delitto a carico dell'imputato, cosicché la valutazione del giudice non può fondarsi esclusivamente sulla gravità dei fatti e sull'arco temporale in cui questi risultano consumati, essendo egli tenuto a esaminare in concreto, in base ai criteri di cui all'art. 133, il rapporto esistente tra il fatto per cui si procede e le precedenti condanne, verificando se e in quale misura la pregressa condotta criminosa sia indicativa di una perdurante inclinazione al delitto che abbia influito quale fattore criminogeno per la commissione dell'ultimo reato (Sez. 3, 28908/2021).

In presenza di contestazione della recidiva a norma di uno dei primi quattro commi dell'art. 99 (e, dopo la declaratoria di illegittimità costituzionale di cui alla sentenza n. 185 del 2015, anche del quinto comma dell'articolo citato), è compito del giudice quello di verificare in concreto se la reiterazione dell'illecito sia sintomo effettivo di riprovevolezza della condotta e di pericolosità del suo autore, avuto riguardo alla natura dei reati, al tipo di devianza di cui essi sono il segno, alla qualità e al grado di offensività dei comportamenti, alla distanza temporale tra i fatti e al livello di omogeneità esistente tra loro, all'eventuale occasionalità della ricaduta e a ogni altro parametro individualizzante significativo della personalità del reo e del grado di colpevolezza, al di là del mero e indifferenziato riscontro formale dell'esistenza di precedenti penali (Sez. 5, 23715/2021).

In sede esecutiva, pur riconoscendosi un permanente controllo giudiziario sull’esecuzione della pena e sulla legalità della medesima, non possono riproporsi doglianze riservate al processo di cognizione, mentre il tema della recidiva, a seguito della ripristinata facoltatività dell’aumento di pena per la recidiva ex art. 99 comma 5 operata dalla Corte costituzionale nella sentenza 185/2015, può dare luogo soltanto alla rivisitazione del percorso motivazionale riguardante la recidiva, che alla stregua della giurisprudenza di legittimità può essere anche una motivazione implicita, quando si sia dato atto in sentenza delle ragioni dell’aumento, riferito alla gravità della condotta nonché alla personalità e alla particolare pericolosità dell’imputato (Sez. 1, 17516/2020).

In presenza di contestazione della recidiva a norma di uno dei primi quattro commi dell'art. 99 c.p., è compito del giudice quello di verificare in concreto se la reiterazione dell'illecito sia sintomo effettivo di riprovevolezza della condotta e di pericolosità del suo autore, avuto riguardo alla natura dei reati, al tipo di devianza di cui essi sono il segno, alla qualità e al grado di offensività dei comportamenti, alla distanza temporale tra i fatti e al livello di omogeneità esistente tra loro, all'eventuale occasionalità della ricaduta e a ogni altro parametro individualizzante significativo della personalità del reo e del grado di colpevolezza, al di là del mero e indifferenziato riscontro formale dell'esistenza di precedenti penali (Sez. 3, 14185/2020).

Quando il giudice abbia escluso, anche implicitamente, la circostanza aggravante della recidiva, non ritenendola in concreto espressione di una maggiore colpevolezza o pericolosità sociale dell'imputato, la predetta circostanza deve ritenersi ininfluente anche ai fini del computo del tempo necessario a prescrivere il reato: l’eventuale richiamo ai precedenti penali dell'imputato in sede di calcolo della pena e ai fini del diniego delle attenuanti generiche non comporta, neppure implicitamente, il riconoscimento della recidiva e il conseguente aumento del termine di prescrizione, attesa la diversità dei giudizi riguardanti detti istituti, sicché di essa non può tenersi conto ai fini del calcolo dei termini di prescrizione del reato (Sez. 3, 12389/2020).

Lo sbarramento quantitativo previsto dall’art. 99, ultimo comma, è applicabile a tutte le ipotesi di recidiva e non solo a quella reiterata, in quanto una diversa interpretazione della disposizione in argomento condurrebbe a risultati irragionevoli di dubbia legittimità costituzionale, comportando un trattamento più grave proprio per quella ipotesi di recidiva meno grave. Si tratta di una interpretazione coerente con la ratio della disposizione, costituente, in tutta evidenza, una "norma di chiusura" della disciplina della recidiva, in grado di pervenire ad un’equilibrata applicazione degli irrigidimenti sanzionatori introdotti con la L. 251/2005. Da cui consegue che l’inosservanza dell’art. 99 ultimo comma determina una evidente illegalità della pena e come tale è motivo rilevabile d’ufficio, ex art. 609 comma 2 CPP, che non è precluso dalla eventuale inammissibilità del ricorso (Sez. 3, 13605/2019).

Ai fini del giudizio di comparazione tra le circostanze attenuanti e la recidiva reiterata di cui all’art. 99, comma quarto,  la quale anche a seguito delle modifiche apportate dall’art. 3 L. 251/2005 deve ritenersi facoltativa  è sufficiente che il giudice consideri  com’è avvenuto nella specie  gli elementi enunciati nell’art. 133, essendo sottratta al sindacato di legittimità la motivazione, se aderente ai canoni della logica e alla specificità del fatto (Sez. 7, 4757/2019).

Il limite di aumento di pena non inferiore a un terzo della pena stabilita per il reato più grave, di cui all’art. 81, quarto comma, nei confronti dei soggetti ai quali sia stata applicata la recidiva prevista dall’art. 99, quarto comma, opera anche quando il giudice consideri la recidiva stessa equivalente alle riconosciute attenuanti (SU, 31669/2016).

In tema di continuazione, l’aumento minimo di un terzo della pena ex art. 81, comma quarto, nei confronti dei soggetti per i quali sia stata ritenuta la recidiva reiterata, opera anche quando il giudice abbia considerato la stessa equivalente alle riconosciute attenuanti poiché, anche in tal caso, ricorre l’applicazione della recidiva reiterata (Sez. 3, 19496/2016).

Non esiste incompatibilità fra gli istituti della recidiva e della continuazione, sicché, sussistendone le condizioni, vanno applicati entrambi, praticando sul reato base, se del caso, l’aumento di pena per la recidiva e, quindi, quello per la continuazione, che può essere riconosciuta anche fra un reato già oggetto di condanna irrevocabile ed un altro commesso successivamente alla formazione di detto giudica (Sez. 4, 1775/2019).

Il limite di aumento minimo per la continuazione, pari ad un terzo della pena stabilita per il reato più grave, previsto dall’art. 81, comma quarto, si applica nei soli casi in cui l’imputato sia stato ritenuto recidivo reiterato con una sentenza definitiva emessa precedentemente al momento della commissione dei reati per i quali si procede e non anche quando egli sia ritenuto recidivo reiterato in relazione agli stessi reati uniti dal vincolo della continuazione del cui trattamento sanzionatorio si discute (Sez. 4, 1775/2019).

Una volta contestata la recidiva nel reato, anche reiterata, purché non ai sensi dell’art. 99, comma quinto, qualora essa sia stata esclusa dal giudice, non solo non ha luogo l’aggravamento della pena, ma non operano neanche gli ulteriori effetti commisurativi della sanzione costituiti dal divieto del giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti, di cui all’art. 69, comma quarto, dal limite minimo di aumento della pena per il cumulo formale di cui all’art. 81, comma quarto, dall’inibizione all’accesso al cosiddetto "patteggiamento allargato" e alla relativa riduzione premiale di cui all’art. 444, comma 1-bis, CPP, effetti che si determinano integralmente qualora, invece, la recidiva stessa non sia stata esclusa, per essere stata ritenuta sintomo di maggiore colpevolezza e pericolosità (SU, 35738/2010).

Il limite di aumento di pena non inferiore ad un terzo di quella stabilita per il reato più grave, previsto dall’art. 81, comma quarto, nei confronti dei soggetti ai quali è stata applicata la recidiva di cui all’art. 99, comma quarto, opera anche quando il giudice consideri la recidiva stessa equivalente alle riconosciute attenuanti (SU, 31669/2016).

Il giudice della cognizione può accertare  a differenza di quello dell’esecuzione  i presupposti della recidiva reiterata, prevista dall’art. 99, comma quarto, anche quando in precedenza non sia stata dichiarata giudizialmente la recidiva semplice (Sez. 5, 47072/2014). La formula lessicale contenuta nella disposizione in esame ("coloro che siano stati dichiarati recidivi ai sensi dell’art. 99, quarto comma, del codice penale") non può essere interpretata nel senso che sia richiesta una pregressa "dichiarazione" giudiziale della recidiva, potendo essere "ritenuta" ed "applicata" per i reati in relazione ai quali è contestata, ed in questo modo deve essere intesa detta espressione. Inoltre, va pure precisato, che non esiste incompatibilità fra gli istituti della recidiva e della continuazione, sicché, sussistendone le condizioni, vanno applicati entrambi, praticando sul reato base, se del caso, l’aumento di pena per la recidiva e, quindi, quello per la continuazione, che può essere riconosciuta anche fra un reato già oggetto di condanna irrevocabile ed un altro commesso successivamente alla formazione di detto giudica (Sez. 4, 1775/2019).

Per "reati della stessa indole", a norma dell’art. 101, devono intendersi innanzitutto le violazioni della medesima disposizione di legge ovvero quelle che aggrediscono il medesimo bene oggetto di protezione normativa, non richiedendo, peraltro, le disposizioni di cui all’art. 99 comma 2, n. 1) e comma 4, ai fini della sussistenza della recidiva reiterata specifica in presenza di una pluralità di reati, che quelli oggetto di precedenti condanne ed i reati dell’ultima condanna pronunciata a carico del soggetto siano tutti caratterizzati dalla "stessa indole" (Sez. 5, 42573/2018).

In tema di limite dell’aumento di pena per la recidiva ex art. 99, ultimo comma, nel cumulo delle precedenti condanne si deve tener conto anche di quelle a pena detentiva integralmente condonata a seguito di indulto, in quanto la concessione del suddetto beneficio, pur estinguendo la pena e facendone cessare l’espiazione, non ha, però, efficacia ablativa degli altri effetti penali scaturenti "ope legis" dalla condanna (Sez. 1, 48405/2017).

Ai fini dell’applicazione della recidiva "specifica" ex art. 99, comma 2, n. 1, il falso nummario, che tutela il bene della pubblica fede, non costituisce "reato della stessa indole" rispetto a precedenti penali relativi esclusivamente a delitti contro il patrimonio (Sez. 5, 40281/2017).

In tema di recidiva reiterata, prevista dall’art. 99 comma quinto, l’aumento di pena disposto in data anteriore alla sentenza della Corte costituzionale 185/2015, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del carattere obbligatorio dell’aumento stesso, può essere rivalutato dal giudice dell’esecuzione che ha il compito di verificare se l’applicazione della recidiva fu sorretta, indipendentemente dalla previgente obbligatorietà, dal concorrente apprezzamento di merito della valenza dei precedenti penali (Sez. 1, 18546/2017).

È rilevabile d’ufficio, anche in caso di ricorso inammissibile, l’illegittimità sopravvenuta della sanzione che ha applicato la recidiva obbligatoria di cui all’art. 99, comma quinto, in epoca antecedente alla sentenza della Corte costituzionale 185/2015 - che ha dichiarato l’incostituzionalità del carattere obbligatorio di tale aggravante - qualora dalla motivazione non emerga alcuna valutazione in ordine all’effettiva incidenza della recidiva sul disvalore del fatto, che porti a ritenere comunque legittimo l’aumento di pena disposto (Sez. 2, 37385/2016).

L’applicazione dell'aumento di pena per effetto della recidiva facoltativa attiene all'esercizio di un potere discrezionale del giudice, del quale deve essere fornita adeguata motivazione, con particolare riguardo all'apprezzamento dell'idoneità della nuova condotta criminosa in contestazione a rivelare la maggior capacità a delinquere del reo (La Corte, richiamato il consolidato principio di diritto, ha annullato la sentenza impugnata in quanto la Corte di appello aveva omesso di pronunciarsi, nonostante lo specifico motivo di impugnazione, in ordine alla ricorrenza delle condizioni per l'applicazione della recidiva limitandosi ad affermarne la sussistenza, ma senza dar conto, come le era stato invece richiesto, delle ragioni per le quali la nuova condotta criminosa è tale da rivelare, alla luce dei precedenti, una maggiore capacità a delinquere) (Sez. 1, 23188/2022).

L’applicazione della recidiva facoltativa contestata richiede uno specifico onere motivazionale da parte del giudice, che, tuttavia, può essere adempiuto anche implicitamente, ove si dia conto della ricorrenza dei requisiti di riprovevolezza della condotta e di pericolosità del suo autore (Sez. 6, 20271/2016).

In tema di recidiva, lo sbarramento quantitativo previsto dall’art. 99, ultimo comma,  secondo il quale "l’aumento della pena non può superare il cumulo delle pene risultante dalle condanne precedenti alla commissione del nuovo delitto non colposo"  è applicabile a tutte le ipotesi di recidiva e non solo a quella reiterata (Sez. 2, 43768/2013).

La decisione di escludere la recidiva non è incompatibile con la fissazione di una pena base superiore ai limiti edittali, neanche se questa è giustificata con la gravità del reato e la personalità del reo, stante l’assenza di automatismi valutativi vincolanti per il giudice (Sez. 6, 43288/2013).

La recidiva qualificata, ritenuta in relazione ad un reato per il quale è intervenuta successivamente la dichiarazione di estinzione di "ogni effetto penale", è inidonea ad integrare la causa impeditiva della estinzione della pena per decorso del tempo, prevista dall’art. 172, ostandovi il disposto dell’art. 106, comma secondo, secondo cui, agli effetti della recidiva, si tiene conto delle condanne per le quali è intervenuta una causa di estinzione del reato o della pena, salvo, appunto, che la causa estingua anche gli effetti penali (Sez. 1, 40029/2013).

L’imputato ha interesse ad impugnare la sentenza che riconosce l’esistenza della recidiva, anche nel caso in cui non ne sia conseguito alcun aumento di pena in ragione del giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti (Sez. 1, 27826/2013).

La recidiva non è un mero "status" soggettivo desumibile dal certificato penale ovvero dal contenuto dei provvedimenti di condanna emessi nei confronti di una persona, sicché, per produrre effetti penali, deve essere ritenuta dal giudice del processo di cognizione dopo una sua regolare contestazione in tale sede. Ne consegue che, in tema di estinzione della pena per decorso del tempo, non è consentito al giudice dell’esecuzione, ai fini dell’applicazione dell’art. 172, settimo comma, desumere la recidiva dall’esame dei precedenti penali, in mancanza di un accertamento in sede di cognizione (Sez. 1, 13398/2013).

In tema di recidiva facoltativa, è richiesto al giudice uno specifico dovere di motivazione sia ove egli ritenga sia ove egli escluda la rilevanza della stessa (SU, 5859/2012).

La disapplicazione della norma incriminatrice di cui all’art. 14, comma quinto-quater, DLGS 286/1998, conseguente all’efficacia diretta nell’ordinamento interno della Direttiva 2008/115/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2008 (cosiddetta direttiva rimpatri), risolvendosi nell’"abolitio criminis" della fattispecie penale, comporta l’esclusione della recidiva contestata tenendo conto di tale reato, a seguito del venir meno degli effetti penali della condanna in base al disposto dell’art. 2, comma secondo (Sez. 3, 20850/2011).

La recidiva è circostanza aggravante ad effetto speciale quando comporta un aumento di pena superiore a un terzo e pertanto soggiace, in caso di concorso con circostanze aggravanti dello stesso tipo, alla regola dell’applicazione della pena prevista per la circostanza più grave, e ciò pur quando l’aumento che ad essa segua sia obbligatorio, per avere il soggetto, già recidivo per un qualunque reato, commesso uno dei delitti indicati all’art. 407, comma secondo, lett. a), CPP (SU, 17386/2011).

Ai fini della verifica dei limiti edittali stabiliti per l’arresto in flagranza, e, più in generale, della determinazione della pena agli effetti dell’applicazione delle misure cautelari, non si deve tener conto della recidiva reiterata (SU, 17386/2011).

L’applicazione dell’aumento di pena per effetto della recidiva facoltativa attiene all’esercizio di un potere discrezionale del giudice, del quale deve essere fornita adeguata motivazione, con particolare riguardo all’apprezzamento dell’idoneità della nuova condotta criminosa in contestazione a rivelare la maggior capacità a delinquere del reo (Sez. 6, 14550/2011).

In caso di contestazione della recidiva nelle ipotesi previste da uno dei primi quattro commi dell’art. 99 c.p., il giudice è tenuto a verificare in concreto se la reiterazione dell’illecito sia effettivo sintomo di riprovevolezza della condotta e di pericolosità del suo autore, avuto riguardo alla natura dei reati, al tipo di devianza di cui essi sono il segno, alla qualità e al grado di offensività dei comportamenti, alla distanza temporale tra i fatti e al livello di omogeneità esistente tra loro, all’eventuale occasionalità della ricaduta e ad ogni altro parametro individualizzante significativo della personalità del reo e del grado di colpevolezza, al di là del mero e indifferenziato riscontro formale dell’esistenza di precedenti penali (Sez. 6, 43438/2010).

La recidiva non è configurabile nel caso in cui il delitto, per il quale sia già intervenuta sentenza di condanna, rappresenti elemento costitutivo del reato successivamente contestato (Sez. 1, 38625/2010).

La recidiva reiterata, specifica e infraquinquennale è circostanza aggravante a effetto speciale e rileva ai fini della determinazione del tempo necessario alla prescrizione del reato (Sez. 5, 35852/2010).