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Art. 617 - Cognizione, interruzione o impedimento illeciti di comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche (1)

1. Chiunque, fraudolentemente, prende cognizione di una comunicazione o di una conversazione, telefoniche o telegrafiche, tra altre persone o comunque a lui non dirette, ovvero le interrompe o le impedisce è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni.

2. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, la stessa pena si applica a chiunque rivela, mediante qualsiasi mezzo di informazione al pubblico, in tutto o in parte, il contenuto delle comunicazioni o delle conversazioni indicate nella prima parte di questo articolo.

3. I delitti sono punibili a querela della persona offesa; tuttavia si procede d’ufficio e la pena è della reclusione da uno a cinque anni se il fatto è commesso in danno di un pubblico ufficiale o di un incaricato di un pubblico servizio nell’esercizio o a causa delle funzioni o del servizio, ovvero da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla funzione o servizio, o da chi esercita anche abusivamente la professione di investigatore privato.

(1) Articolo così sostituito dall’art. 2, L. 98/1974.

Rassegna di giurisprudenza

Anche dopo la modifica dell’art. 623-bis, ad opera dell’art. 8 L. 547/1993, è errato ritenere che rientri nell’ambito di applicabilità della norma incriminatrice la cosiddetta radio diffusione circolare non criptata. La novella legislativa è infatti intervenuta sulle modalità della trasmissione ma non sui concetti di comunicazione e trasmissione, che tuttora presuppongono un passaggio di informazione da un emittente ad uno o più riceventi e non, come avviene nel caso della radiodiffusione, l’emissione di un segnale captabile potenzialmente da chiunque si trovi nel raggio di portata del canale.

In tal caso si parla non di comunicazione bensì di propagazione di segnali mentre la norma fa riferimento a comunicazioni e conversazioni, le quali presuppongono, per loro natura, l’utilizzo di un canale che strutturalmente garantisca la riservatezza. Laddove invece vi sia emanazione di un segnale captabile fisicamente da un numero indeterminato di persone, non vi è, in senso proprio, comunicazione e quindi esula la tutela prevista dall’art. 617 (Sez. 4, 25821/2018).

L’art. 617 tutela la libertà e la riservatezza delle comunicazioni telefoniche o telegrafiche contro la possibilità di indiscrezioni, interruzioni o impedimenti da parte di terzi. In particolare il diritto alla riservatezza della comunicazione o della conversazione implica la possibilità di escludere altri dalla conoscenza del contenuto della medesima e coerentemente la norma incriminatrice menzionata punisce in tal senso anche la condotta di colui che invece ne prenda cognizione senza il consenso dei titolari.

Requisito espresso di tipicità del fatto è che la comunicazione o la conversazione intervenga tra persone diverse dall’agente. Ancorché minori, i figli sono soggetti “altri” rispetto al padre e tanto basta per ritenere integrata la condizione di tipicità del fatto. L’eventuale rilevanza degli obblighi di vigilanza del genitore nei confronti dei figli minori può eventualmente dispiegarsi nel momento in cui debba valutarsi l’effettiva antigiuridicità del fatto, ma certo tali obblighi non comportano una sorta di immedesimazione tra padre e figlio (Sez. 5, 41192/2014).

Nel senso accolto dall’art. 617, il carattere della fraudolenza qualifica il mezzo utilizzato per prendere cognizione della comunicazione (e non l’elemento soggettivo del reato), il quale deve essere pertanto idoneo ad eludere la possibilità di percezione del fatto illecito da parte di coloro tra i quali la stessa intercorre. In altri termini la presa di cognizione punita dalla disposizione citata è quella realizzata con mezzi che ne garantiscano sostanzialmente la clandestinità (Sez. 5, 41192/2014).

Il diritto/dovere di vigilare sulle comunicazioni del minore da parte del genitore non giustifica indiscriminatamente qualsiasi altrimenti illecita intrusione (e tra queste la condotta equivalente al reato di cui all’art.617) nella sfera di riservatezza del primo (espressamente riconosciutagli dall’art. 16 della Convenzione sui diritti del fanciullo approvata a New York il 20 novembre 1989 e ratificata dallo Stato italiano con la L.176/1991), ma solo quelle interferenze che siano determinate da una effettiva necessità, da valutare secondo le concrete circostanze del caso e comunque nell’ottica della tutela dell’interesse preminente del minore e non già di quello del genitore (Sez. 5, 41192/2014).

Non commette il reato di cui all’art. 615-bis, né quello di cui agli articoli 617 e 623 colui che assiste ad una conversazione telefonica svoltasi fra altre persone, in quanto autorizzato da una delle stesse (fattispecie relativa alla ritenuta utilizzabilità della testimonianza resa da colui che ascolti il colloquio in modalità viva voce) Sez. 6, 15003/2013).

Pur nell’ambito di una non nitida sistematica quale è quella che caratterizza le incriminazioni poste a tutela della inviolabilità delle comunicazioni, deve ritenersi che la possibile interferenza tra le fattispecie punite dagli artt. 616 e 617 (determinata dalla comune previsione della condotta di colui che prende cognizione della corrispondenza o delle comunicazioni altrui) sia solo apparente. In realtà le stesse hanno ambiti operativi ben definiti dalla diversa configurazione dell’oggetto materiale della condotta, anche indipendentemente dalle specifiche connotazioni modali che la caratterizzano nell’art. 617 e che invece non sono previste nell’art. 616.

Orbene, non è dubitabile che sul piano concettuale la “corrispondenza” costituisca null’altro che una species del genus “comunicazione”, ma è altrettanto indubbio che nell’ambito dell’art. 617 quest’ultimo termine non identifichi il genus nella sua astratta onnicomprensività, ma assuma un significato maggiormente specializzato, riferibile al profilo “dinamico” della comunicazione umana e cioè alla trasmissione in atto del pensiero, come suggeriscono anche l’ulteriore termine dispiegato per definire l’oggetto materiale del reato (“conversazione”) e le condotte alternative a quella di fraudolenta cognizione idonee ad integrare il fatto tipico (interrompere ed impedire).

Allo stesso modo, nell’art. 616, l’evocazione del concetto di “corrispondenza” risulta invece funzionale ad individuare la comunicazione umana nel suo profilo “statico” e cioè il pensiero già comunicato o da comunicare fissato su supporto fisico o altrimenti rappresentato in forma materiale ed anche in questo caso il contenuto delle altre condotte tipizzate alternativamente a quella di illecita cognizione (sottrarre, distrarre, sopprimere e distruggere) conforta le conclusioni rassegnate.

In tal senso deve allora concludersi che la condotta consistente nel prendere cognizione del contenuto della corrispondenza telematica altrui deve essere ricondotta all’alveo dell’art. 616 commi 1 e 4 e non già a quello degli artt. 617 comma 1 (anche tenendo conto della sua integrazione ad opera dell’art. 623-bis (Sez. 5, 12603/2017).