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Art. 616 - Violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza

1. Chiunque prende cognizione del contenuto di una corrispondenza chiusa, a lui non diretta, ovvero sottrae o distrae, al fine di prenderne o di farne da altri prendere cognizione, una corrispondenza chiusa o aperta, a lui non diretta, ovvero, in tutto o in parte, la distrugge o sopprime, è punito, se il fatto non è preveduto come reato da altra disposizione di legge, con la reclusione fino a un anno o con la multa da euro 30 a euro 516 (1).

2. Se il colpevole, senza giusta causa, rivela, in tutto o in parte, il contenuto della corrispondenza, è punito, se dal fatto deriva nocumento ed il fatto medesimo non costituisce un più grave reato, con la reclusione fino a tre anni.

3. Il delitto è punibile a querela della persona offesa.

4. Agli effetti delle disposizioni di questa sezione, per “corrispondenza” si intende quella epistolare, telegrafica, telefonica, informatica o telematica, ovvero effettuata con ogni altra forma di comunicazione a distanza (2).

(1) Multa così aumentata dall’art. 113 della L. 689/1981.

(2) Comma così sostituito dall’art. 5, L. 547/1993.

Rassegna di giurisprudenza

Premesso che il delitto previsto dall’art. 616, comma 1 è stato configurato dal legislatore come un reato a condotte alternative e che la comunicazione epistolare rappresenta una delle possibili manifestazioni della corrispondenza previste dallo stesso art. 616, comma 4, (le altre sono quella telegrafica, telefonica, informatica o telematica ovvero effettuata con ogni altra forma di comunicazione a distanza), sarebbe riduttivo, oltre che contrario alla stessa lettera della legge, ritenere la disposizione in questione dettata esclusivamente a tutela del segreto epistolare, dovendosi, piuttosto, ritenere che l’oggetto della protezione apprestata dall’ordinamento sia rappresentato dalla corrispondenza in quanto tale, da intendere, con la migliore dottrina, come una particolare forma di comunicazione, della quale rappresenta il profilo statico, vale a dire la materializzazione del pensiero su di un supporto fisico.

L’art. 616, comma 1, infatti, sanziona le condotte di violazione, sottrazione e soppressione non solo quando hanno ad oggetto una corrispondenza “chiusa”, nel qual caso esse vulnerano in maniera evidente anche il segreto epistolare, ma pure quando il loro oggetto è costituito da una corrispondenza “aperta”, come, per l’appunto, nel caso di distruzione o soppressione, condotte, queste ultime, che assumono rilevanza penale per il semplice fatto di avere ad oggetto una corrispondenza, chiusa o aperta che sia, e non soltanto, come pretenderebbe il ricorrente, quando incidono su di una corrispondenza protetta da una busta chiusa.

In questa prospettiva interpretativa la “distruzione” della corrispondenza lede il principale ed immediato oggetto della protezione giuridica, individuabile non nel segreto eventualmente affidato alla corrispondenza, ma, piuttosto, nell’interesse e nell’aspettativa del mittente, come del destinatario, all’effettivo recapito della corrispondenza medesima, indipendentemente dalla natura della comunicazione in essa contenuta, trovando conferma tale valutazione conclusiva alla stregua della disciplina positiva dei reati configurati negli artt. 619 e 620. Ciò posto, occorre a questo punto verificare se le stampe rientrano nella nozione di “corrispondenza” il cui effettivo recapito rappresenta, come già detto, l’oggetto principale ed immediato della tutela apprestata dall’art. 616, comma 1.

La risposta a tale quesito non può che essere positiva. Il dato normativo (art. 18 del Codice postale - Regolamento del 1940), infatti, include nella “denominazione di corrispondenza” anche le stampe, la cui ispezione è ammessa per fini di verifica di corretta applicazione della tariffa agevolata: tale ambito di definizione è ribadito e precisato anche nel regolamento adottato con DPR 655/1982, che, nell’art. 24, considera “corrispondenza epistolare qualsiasi invio chiuso, ad eccezione dei pacchi, e qualsiasi invio aperto che contenga comunicazioni aventi carattere attuale e personale”. Orbene, come è stato puntualmente rilevato, i canoni esplicativi dei requisiti della corrispondenza epistolare richiamati nell’art. 24 del DPR 655/1982 (della attualità e della personalità) sono riscontrabili anche nell’inoltro di stampe.

L’evidente individuazione di specifici destinatari, infatti, qualifica, come nel caso in esame, il carattere personale delle stampe soppresse dall’imputato; mentre le modalità della riproduzione “a stampa” del contenuto delle comunicazioni inoltrate non escludono la correlativa attualità per i singoli destinatari, ma sono riconducibili ad irrilevanti esigenze rappresentative dello stesso contenuto, ripetuto nei confronti di una pluralità di soggetti interessati alla relativa comunicazione, anche quando siano discrezionalmente individuati o prescelti dal mittente.

Può, dunque, concludersi che, quanto meno con riferimento alle “stampe sottofascia indirizzata da recapitare già ripartita”, la condotta dell’imputato sia riconducibile al paradigma normativo di cui all’art. 616, comma 1, rientrando, per le ragioni già esposte, le stampe, che avrebbero dovuto essere recapitate ad indirizzi e, quindi, a destinatari già individuati, nella nozione di corrispondenza epistolare penalmente rilevante, il cui effettivo recapito rappresenta l’oggetto della tutela giuridica apprestata in via immediata e diretta dall’art. 616, a prescindere dalla circostanza che le stampe fossero o meno contenute in una busta chiusa (Sez. 5, 29832/2015).

Il reato di violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza può essere integrato anche dalla condotta di colui che sottragga la corrispondenza bancaria inviata al coniuge per produrla nel giudizio civile di separazione; e ciò in quanto si è ritenuto che in tal caso non sussista la “giusta causa” di cui all’art. 616, comma secondo (Sez.2, 952/2018).

Integra il reato di rivelazione del contenuto di corrispondenza di cui all’art. 616 la condotta di colui che produca, nel corso di un giudizio di separazione, corrispondenza bancaria inviata alla moglie attestante le condizioni patrimoniali di quest’ultima, senza che possa ravvisarsi una giusta causa scriminante laddove non si accerti che la rivelazione di tale documentazione bancaria fosse l’unico mezzo a disposizione per contestare le richieste del coniuge controparte (Sez. 5, 25164/2015).

La condotta illecita sanzionata dall’art. 616 può riguardare sia documenti aperti che documenti chiusi, essendo l’interesse tutelato quello dell’inviolabilità della corrispondenza (Sez. 5, 25164/2015).

Pur nell’ambito di una non nitida sistematica quale è quella che caratterizza le incriminazioni poste a tutela della inviolabilità delle comunicazioni, deve ritenersi che la possibile interferenza tra le fattispecie punite dagli artt. 616 e 617 (determinata dalla comune previsione della condotta di colui che prende cognizione della corrispondenza o delle comunicazioni altrui) sia solo apparente. In realtà le stesse hanno ambiti operativi ben definiti dalla diversa configurazione dell’oggetto materiale della condotta, anche indipendentemente dalle specifiche connotazioni modali che la caratterizzano nell’art. 617 e che invece non sono previste nell’art. 616.

Orbene, non è dubitabile che sul piano concettuale la “corrispondenza” costituisca null’altro che una species del genus “comunicazione”, ma è altrettanto indubbio che nell’ambito dell’art. 617 quest’ultimo termine non identifichi il genus nella sua astratta onnicomprensività, ma assuma un significato maggiormente specializzato, riferibile al profilo “dinamico” della comunicazione umana e cioè alla trasmissione in atto del pensiero, come suggeriscono anche l’ulteriore termine dispiegato per definire l’oggetto materiale del reato (“conversazione”) e le condotte alternative a quella di fraudolenta cognizione idonee ad integrare il fatto tipico (interrompere ed impedire).

Allo stesso modo, nell’art. 616, l’evocazione del concetto di “corrispondenza” risulta invece funzionale ad individuare la comunicazione umana nel suo profilo “statico” e cioè il pensiero già comunicato o da comunicare fissato su supporto fisico o altrimenti rappresentato in forma materiale ed anche in questo caso il contenuto delle altre condotte tipizzate alternativamente a quella di illecita cognizione (sottrarre, distrarre, sopprimere e distruggere) conforta le conclusioni rassegnate.

In tal senso deve allora concludersi che la condotta consistente nel prendere cognizione del contenuto della corrispondenza telematica altrui deve essere ricondotta all’alveo dell’art. 616 commi 1 e 4 e non già a quello degli artt. 617 comma 1 (anche tenendo conto della sua integrazione ad opera dell’art. 623-bis (Sez. 5, 12603/2017).