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Art. 78 - Limiti degli aumenti delle pene principali

1. Nel caso di concorso di reati preveduto dall’articolo 73, la pena da applicare a norma dello stesso articolo non può essere superiore al quintuplo della più grave fra le pene concorrenti, né comunque eccedere:

1) trenta anni per la reclusione;

2) sei anni per l’arresto;

3) euro 15.493 per la multa e euro 3.098 per l’ammenda; ovvero euro 64.557 per la multa e euro 12.911 per l’ammenda, se il giudice si vale della facoltà di aumento indicata nel capoverso dell’articolo 133-bis.

2. Nel caso di concorso di reati preveduto dall’articolo 74, la durata delle pene da applicare a norma dell’articolo stesso non può superare gli anni trenta. La parte della pena eccedente tale limite è detratta in ogni caso dall’arresto (1).

(1) L’ articolo già parzialmente modificato dall’art. 5, DLGS LGT 5 ottobre 1945, n. 679 e poi sostituito dall’art. 1, L. 12 luglio 1961, n. 603, è stato così sostituito dall’art. 101, L. 689/1981.

Rassegna di giurisprudenza

L’applicazione dell’art. 73 comma 2 è da ritenersi meccanismo legale di determinazione della pena (espianda) che, in quanto tale, determina la inflizione dell’ergastolo  ove ne ricorrano i presupposti  già in sede di cognizione, posto che trattasi di effetto legale della pre-quantificazione della pena della reclusione, per ogni singola violazione di legge, nella misura indicata dalla norma (non inferiore a 24 anni), come del resto appare chiaro dai contenuti dello stesso articolo 533 comma 2 CPP.

Tale norma, in caso di condanna riguardante più reati, impone già nel momento della decisione di merito l’attivazione di un duplice passaggio espressivo rappresentato, in sequenza: a) dalla quantificazione della pena per ciascuno di essi; b) dalla determinazione della pena che deve essere applicata in osservanza delle norme sostanziali sul concorso di reati (articoli da 71 a 79) e di pene o sulla continuazione (art. 81). Dunque il tema, lì dove si tratti di più reati oggetto di cognizione unitaria, deve essere affrontato e deciso già in sede cognitiva di merito mentre lì dove si tratti di decisioni emesse in procedimenti separati è lo stesso legislatore a prevedere (all’art. 80) l’applicazione delle medesime regole prescrittive e quindi anche dell’art. 73 comma 2 in via alternativa, nel procedimento di merito posteriormente definito (ove possibile) o in sede esecutiva (con attribuzione del relativo potere al pubblico ministero ai sensi degli artt. 656 e 663 CPP).

Nessun rilievo, pertanto, al fine di ritenere applicabile la previsione di legge di cui all’art. 73 comma 2. può essere attribuito al fatto che le statuizioni «intermedie» di condanna per ciascun singolo delitto (alla pena di anni ventiquattro o superiore) siano state emesse nel medesimo o in separati procedimenti, stante la ricordata previsione di legge di cui all’art. 80 (norma che rende unitario il sistema sanzionatorio ed evita disparità di trattamento derivanti dai tempi e modalità di svolgimento delle singole vicende processuali).

Da ciò, inoltre, deriva che lì dove l’applicazione  di certo obbligatoria e non soggetta ad alcun margine di discrezionalità, trattandosi di criterio legale di quantificazione della pena  dell’art. 73 comma 2 non sia avvenuta in sede di cognizione, pur sussistendone i presupposti in fatto e in diritto, è del tutto evidente che l’obbligo per il PM  in sede di emissione o di aggiornamento del decreto di cumulo ex art. 663 CPP  di indicare come eseguibile la pena dell’ergastolo è frutto della diretta applicazione della norma e precede  logicamente  ogni altra operazione su quant’altro abbia rilievo su altri istituti dell’ordinamento penitenziario (Sez. 1, 50890/2018).

L’ordinamento giuridico penale ha adottato, in tema di concorso di reati che importano pene detentive temporanee o pene pecuniarie della stessa specie, il principio del cumulo materiale, espressamente stabilendo che le pene inflitte per diversi reati si considerano come pena unica per ogni effetto giuridico. Tale principio trova applicazione, per l’espresso disposto dell’art. 80, anche nel caso di pene inflitte con sentenze o decreti diversi, con la sola limitazione prevista dall’art. 78, e a nulla rilevando che non sia stato in precedenza emesso il relativo provvedimento, che ha natura meramente dichiarativa, posto che il principio dell’unità delle pene concorrenti si ispira, da un lato, all’esigenza di assicurare una corretta realizzazione della pretesa punitiva e, dall’altro, a quella di evitare al condannato un possibile pregiudizio derivante dall’autonoma e distinta esecuzione delle pene inflitte per una pluralità di reati.

Esso è riferibile soltanto alle pene inflitte per reati commessi prima dell’inizio della detenzione. Qualora, invece, durante l’espiazione di una determinata pena o dopo che l’esecuzione di questa sia stata interrotta, il condannato commetta un nuovo reato, deve procedersi ad un nuovo cumulo, comprendente, oltre alla pena inflitta per il nuovo reato, la parte risultante dal cumulo precedente, non ancora espiata alla data del nuovo reato, e la decorrenza del nuovo cumulo va determinata dalla data dell’ultimo reato ovvero da quella del successivo arresto, a seconda che il nuovo reato sia stato commesso durante l’espiazione della pena precedente oppure dopo la sua interruzione.

Il momento al quale occorre riferirsi ai fini del cumulo è, quindi, la data di consumazione dell’ultimo reato commesso prima dell’esecuzione di una qualsiasi delle pene considerate ai fini del concorso. Nel cumulo vanno, inoltre, considerate anche le pene eventualmente espiate in anticipo rispetto alle altre, non potendo la posizione esecutiva del condannato essere influenzata da eventi casuali, quali le diverse date di irrevocabilità o di esecuzione delle varie sentenze o dai ritardi nell’effettuazione del cumulo da parte del pubblico ministero (Sez. 1, 46564/2016).

L’art. 73 secondo comma prevede una norma speciale derogatoria della norma generale contenuta nell’art. 78 (primo comma n. 1), secondo cui nel caso di concorso materiale di reati comportanti pene detentive temporanee la pena (complessiva) da applicare non può eccedere  per i delitti  il limite di anni 30 di reclusione, deroga che trova la sua razionale causa giustificativa nella particolare gravità dei singoli reati commessi ed è legittimamente applicabile, ove ne ricorrano i presupposti, dal giudice della cognizione, trattandosi di un effetto legale della (pre)quantificazione della pena della reclusione (Sez. 1 5784/2016).

Indipendentemente dall’irrilevanza del computo dell’aumento di pena per la continuazione esterna ai fini della determinazione finale della pena  irrilevanza derivante dal limite imposto dall’art. 78 al cumulo delle pene, in forza del quale la pena della reclusione non può essere superiore ad anni trenta , esistono comunque un obbligo per il giudice di rinvio e un interesse dell’imputato alla determinazione di tale aumento, legato alla possibilità di imputare, ove ne sussistano i presupposti, ad altra condanna la pena di fatto espiata oltre la misura determinata per tale aumento, di escludere o limitare gli effetti penali della condanna in tema di recidiva e dichiarazione di abitualità e professionalità nel reato, di eventualmente richiedere e ottenere lo scioglimento del cumulo giuridico per le più svariate ragioni (ad esempio per l’eventuale fruizione dei benefici penitenziari ovvero per l’applicazione dell’indulto) (Sez. 4, 1860/2005).

La riduzione di pena conseguente alla scelta del rito abbreviato si applica dopo che la pena è stata determinata in osservanza delle norme sul concorso di reati e di pene stabilite dagli artt. 71 e ss., fra le quali vi è anche la disposizione limitativa del cumulo materiale, in forza della quale la pena della reclusione non può essere superiore ad anni 30 (SU, 45583/2007).

L’applicazione del criterio moderatore dell’art. 78 segue necessariamente la già disposta riduzione della pena ai sensi dell’art. 442 comma 2 CPP (SU, 45583/2007).

La disposizione dell’art. 78, diretta a temperare il principio del cumulo materiale delle pene con la fissazione di un limite dell’aumento della pena principale, comunque non superabile di anni trenta di reclusione, trova applicazione anche in caso di aumento della pena derivante dalla continuazione, poiché la determinazione della pena deve essere effettuata dal giudice secondo i criteri e nel rispetto delle norme di natura sostanziale previste dal codice penale per giurisprudenza costante.

Il criterio moderatore previsto dalla indicata norma trova, in particolare, applicazione dopo lo scorporo dal cumulo materiale delle pene detentive temporanee della somma delle pene estinte per effetto dell’indulto, in quanto non più concretamente eseguibili in conseguenza della detta causa estintiva, poiché costituisce un temperamento legale unicamente delle pene destinate a essere effettivamente eseguite, mentre non estende la sua operatività alle pene già coperte da indulto, che, diversamente, sarebbero soggette a un duplice abbattimento, correlato, da un lato, all’applicazione del detto criterio moderatore, e, dall’altro, al loro scorporo integrale dal cumulo giuridico, in coerenza con il principio del pari costante nella giurisprudenza, secondo cui è la previsione dell’art. 174, comma 2, circa l’applicabilità del beneficio una sola volta sul cumulo materiale delle pene, a comportare che da detto cumulo deve innanzitutto detrarsi in un’unica soluzione la diminuzione della pena per l’indulto (Sez. 7, 358/2015).