x

x

Art. 476 - Falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici

1. Il pubblico ufficiale, che, nell’esercizio delle sue funzioni, forma, in tutto o in parte, un atto falso o altera un atto vero, è punito con la reclusione da uno a sei anni.

2. Se la falsità concerne un atto o parte di un atto, che faccia fede fino a querela di falso, la reclusione è da tre a dieci anni.

Rassegna di giurisprudenza

Elementi strutturali

I delitti contro la fede pubblica, per la loro natura plurioffensiva, tutelano direttamente non solo l’interesse pubblico alla genuinità materiale e alla veridicità ideologica di determinati atti, ma anche quello dei soggetti privati sulla cui sfera giuridica l’atto sia destinato a incidere concretamente, con la conseguenza che essi, in tal caso, sono legittimati a costituirsi parte civile (Sez. 3, 2511/2015).

 In tema di falsità documentale commessa dal pubblico ufficiale, ai fini dell’individuazione di tale qualifica occorre, avere riguardo non tanto al rapporto di dipendenza tra il soggetto e la P.A., ma ai caratteri propri dell’attività in concreto esercitata dal soggetto ed oggettivamente considerata (Sez. 5, 12785/2019).

Ai reati di falso sono estranee le nozioni di danno e di profitto, bastando al perfezionarsi del reato il mero pericolo che dalla contraffazione o dall’alterazione possa derivare alla fede pubblica, che è l’unico bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice. Pertanto a nulla rileva, ai fini della sussistenza, del reato che la “immutatio veri” sia stata commessa non solo senza animus nocendi vel decipiendi ma anche con la certezza di non produrre alcun danno, essendo sufficiente che la falsificazione sia avvenuta consapevolmente e volontariamente (Sez. 5, 41172/2014).

Ai fini dell’integrazione del delitto di falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici, l’elemento soggettivo richiesto è il dolo generico, che consiste nella consapevolezza della immutatio veri, non essendo richiesto l’animus nocendi vel decipiendi. Non si tratta, tuttavia, di un dolo in re ipsa, in quanto deve essere provato, dovendosi escludere il reato quando il falso derivi da una semplice leggerezza dell’agente (Sez. 5, 29764/2010).

Ai fini della integrazione del reato di falso per la configurabilità dell’elemento soggettivo è sufficiente la sola coscienza e volontà della alterazione del vero (Sez. 2, 9289/2019).

In tema di falsità documentali, ai fini dell'integrazione del delitto di falsità, materiale o ideologica, in atto pubblico, l'elemento soggettivo richiesto è il dolo generico, il quale, tuttavia, non può essere considerato in re ipsa, in quanto deve essere rigorosamente provato, dovendosi escludere il reato quando risulti che il falso deriva da una semplice leggerezza ovvero da una negligenza dell'agente, poiché il sistema vigente non incrimina il falso documentale colposo (Sez. 3, 13266/2021).

 

…Falsa copia di un atto pubblico inesistente

La questione di diritto in esame concerne la configurabilità di una falsità documentale nel caso della formazione di un atto presentato come la riproduzione fotostatica di un documento originale, in realtà (anche solo parzialmente) inesistente. Al riguardo, va rilevata l’esistenza di un contrasto interpretativo nella giurisprudenza di legittimità, la cui soluzione, successivamente alla presente decisione, è stata rimessa alle Sezioni unite da Sez. 5, 54689/2018 la questione “se la formazione della falsa copia di un atto pubblico in realtà inesistente integri o meno il reato di falso materiale”.

Un primo orientamento, invero, afferma che integra il reato di falso la formazione di un documento presentato come la riproduzione fotostatica di un atto pubblico invero inesistente in originale (Sez. 5, 40415/2012), o contraffatto (Sez. 5, 4651/2018, in una fattispecie in tema di fotocopia di carta di identità, in cui l’imputato aveva contraffatto il documento originale, cancellando la scritta “non valida per l’espatrio”), del quale si intenda artificiosamente attestare l’esistenza e i connessi effetti probatori (Sez. 6, 6572/2008, in una fattispecie in tema di copia di atto di affidamento di incarico per lo svolgimento di attività progettuali retribuite da parte di un’università; analogamente, Sez. 5, 5452/2018).

L’interpretazione è fondata su due ordini di argomentazioni: per un verso, l’esibizione di una fotocopia recante il contenuto apparente di un atto pubblico implicherebbe la falsa formazione di tale atto al fine di trarne la copia; per altro, e comunque, ai fini della punibilità della condotta di falso non sarebbe necessario un intervento materiale su un atto pubblico, essendo invece sufficiente, perché il fatto sia lesivo della pubblica fede, che con la falsa rappresentazione offerta dalla fotocopia l’atto appaia, contrariamente al vero, esistente.

Un secondo orientamento afferma che la mera utilizzazione di una fotocopia contraffatta non integri di per sé il reato di falsità materiale, allorquando venga esibita come tale, e salvo che siano presenti, nella fotocopia, requisiti di forma o di sostanza tali da farla apparire come il documento originale o come la copia autentica dello stesso (Sez. 5, 2297/2018: “Non integra il delitto di falsità materiale previsto dagli artt. 476 e 482 la condotta di colui che esibisca la falsa fotocopia di un documento, sia esso esistente o meno in originale, qualora si tratti di fotocopia esibita ed usata come tale e, pertanto, priva dei requisiti, di forma e di sostanza, capaci di farla sembrare un atto originale o la copia conforme di esso ovvero comunque documentati va dell’esistenza di un atto corrispondente (fattispecie in cui la Corte ha ritenuto di escludere il reato di falso nell’invio a mezzo fax ad una banca del certificato di pagamento di una fattura comunale in realtà mai emessa dell’ente locale)”; in tal senso, viene attribuita rilevanza alle attestazioni di autenticità dell’atto al documento originale.

Tanto premesso, si condivide e si intende ribadire il secondo orientamento, prevalente nella giurisprudenza di legittimità. Con riferimento agli argomenti richiamati a fondamento del primo orientamento, invero, va evidenziato che l’esibizione di una fotocopia recante il contenuto apparente di un atto pubblico non implica necessariamente la falsa formazione (o l’alterazione) di tale atto; come emerso proprio nella fattispecie in esame, infatti, l’alterazione contestata ha riguardato la sola copia fotostatica dell’atto di compravendita, non già l’atto originale (custodito nell’archivio notarile) o una copia con attestazione di conformità.

L’interpretazione che afferma la configurabilità del falso materiale nella mera esibizione di una fotocopia alterata, peraltro, non sembra poter prescindere dalla condizione che la riproduzione debba essere “fatta passare come prova di un atto originale che non esiste, del quale intenda artificiosamente attestare l’esistenza e i connessi effetti probatori” (Sez. 5, 5452/2018), pretendendo dunque che la fotocopia sia presentata con l’apparenza di un documento originale, atto a trarre in inganno i terzi di buona fede, e mancando, altrimenti, un’offesa al bene tutelato.

Tuttavia, l’offesa al bene tutelato  la fede pubblica, nella sua dimensione di sintesi categoriale degli interessi sottesi alla certezza ed affidabilità del traffico economico e giuridico  può ricorrere soltanto quando la falsità concerna un documento che abbia un contenuto giuridicamente rilevante, dotato della specifica funzione probatoria assegnatagli dall’ordinamento; il documento rilevante ai fini della falsificazione deve, in altri termini, essere idoneo e verosimilmente destinabile alla prova di rapporti giuridici.

Tale funzione probatoria non può essere riconosciuta, di per sé, alla mera riproduzione di un documento originale; sicché la copia fotostatica, se presentata come tale e priva di qualsiasi attestazione che ne confermi l’autenticità, non può mai integrare il reato di falso, anche nel caso di inesistenza dell’originale, perché  ferma restando la possibilità che sia integrato un diverso reato  è per sua natura priva di valenza probatoria, potendo assumere una tale efficacia solo nei casi espressamente previsti dall’ordinamento giuridico, a meno che non venga presentata con l’apparenza di un documento originale, atto a trarre in inganno i terzi di buona fede (Sez. 5, 3273/2019).

La questione posta da Sez. 5, 54689/2018 “se la formazione della falsa copia di un atto pubblico in realtà inesistente integri o meno il reato di falso materiale” è stata risolta dalle Sezioni unite per le quali “La formazione della copia di un atto inesistente non integra il reato di falsità materiale, salvo che la copia assuma l’apparenza di un atto originale” (SU, 35814/2019).

 

…Falso valutativo

Per rendere l’atto facente fede «fino a querela di falso» non è sufficiente la circostanza che lo stesso provenga da un pubblico ufficiale investito di potestà certificatrice, ma occorre anche che l’atto abbia un suo particolare contenuto concernente l’opera propria del pubblico ufficiale e quanto da lui attestato come fatto, rilevato od avvenuto in sua presenza o comunque, attestato in relazione a constatazioni o accertamenti che era in sua facoltà e nella sua discrezionalità eseguire.

Non può, invece, essere attribuita natura di fede privilegiata né ai giudizi di tipo valutativo, né alla menzione di quelle circostanze relative ai fatti avvenuti in presenza del pubblico ufficiale che possono risolversi in suoi apprezzamenti personali, potendo l’enunciato valutativo dirsi falso solo nella limitata ipotesi in cui contraddica parametri valutativi normativamente determinati o tecnicamente indiscussi (Sez. 6, 12197/2019).

Se pure è vero che nel caso in cui il pubblico ufficiale sia libero nella scelta dei criteri di valutazione, la sua attività è assolutamente discrezionale e, come tale, il documento che contiene il giudizio non è destinato a provare la verità di alcun fatto, tuttavia, se l’atto da compiere fa riferimento anche implicito a previsioni normative che dettano criteri di valutazione, si è in presenza di un esercizio di discrezionalità tecnica, che vincola la valutazione ad una verifica di conformità della situazione fattuale a parametri predeterminati, con conseguente integrazione della falsità se detto giudizio di conformità non sia rispondente ai parametri cui esso è implicitamente vincolato (Sez. 2, 1417/2013 e, più di recente, Sez. 3, 2281/2018).

 

Aggravante riferita agli atti che fanno prova fino a querela di falso

Non può ritenersi legittimamente contestata, sì che non può essere ritenuta in sentenza dal giudice, la fattispecie aggravata di cui all'art. 476, comma secondo, c.p., qualora nel capo d'imputazione non sia esposta la natura fidefacente dell'atto, o direttamente, o mediante l'impiego di formule equivalenti, ovvero attraverso l'indicazione della relativa norma. Deve escludersi, pertanto, che la mera indicazione dell'atto, in relazione al quale la condotta di falso è contestata, sia sufficiente a tal fine in quanto l'attribuzione ad esso della qualità di documento fidefacente costituisce il risultato di una valutazione (Sez. 6, 23239/2021).

Può essere ritenuta in sentenza dal giudice la fattispecie aggravata del reato di falso in atto pubblico, ex art. 476, comma secondo, qualora la natura fidefacente dell’atto considerato falso, pur non esplicitamente contestata nel capo di imputazione, sia stata indicata chiaramente “in fatto” ed emerga inequivocamente dalla tipologia dell’atto oggetto del falso (Sez. 5, 38931/2015).

Occorre chiedersi se sia possibile  nell’ipotesi in cui la natura fidefacente non sia stata formalmente contestata e neanche indicata in fatto con l’uso di sinonimi ovvero formule verbali equivalenti, integrando pertanto una contestazione oggettivamente criptica  una riqualificazione in pejus della fattispecie contestata, ai sensi del terzo comma dell’art. 597 CPP, che richieda un’intuizione della difesa dell’imputato circa la natura dell’atto oggetto della condotta di falsificazione. Si deve ritenere al riguardo che la “contestazione a sorpresa” dell’aggravante in esame comporta un’irrimediabile lesione del diritto di difesa e un’imprevedibile mutatio degli elementi costitutivi della contestazione dell’illecito penale (non formalmente veicolata con gli strumenti previsti dall’ordinamento processuale), contro cui l’imputato viene disarmato di ogni possibile strumento difensivo.

Sul punto, va ricordato che è diritto dell’imputato essere tempestivamente informato dettagliatamente, tanto dei fatti materiali posti a suo carico, quanto della qualificazione giuridica data a questi ultimi, come è stato chiarito tra l’altro dalla Corte di Strasburgo (Corte EDU, Drassich c. Italia dell’1.12.2007 e, precedentemente, Pelissier e Sassi c. Francia del 25.3.1999) la quale ha ravvisato in casi del genere la violazione del § 3, lett. a) e b) dell’art. 6 CEDU (Sez. 5, 24643/2018).

 

Casistica

Il permesso di soggiorno è atto pubblico che non fa fede fino a querela di falso, dunque la circostanza aggravante della fidefacenza non può che essere riferita ad eventuali documenti funzionali al rilascio del permesso di soggiorno, ma non al permesso stesso. Affinché sia configurabile la circostanza aggravante prevista dall’art. 476, co. 2,  sono documenti dotati di fede privilegiata solo quelli emessi dal pubblico ufficiale investito di una speciale potestà documentatrice, attribuita da una legge o da norme regolamentari, anche interne, ovvero desumibili dal sistema, in forza della quale l’atto assume una presunzione di verità assoluta, ossia di massima certezza eliminabile solo con l’accoglimento della querela di falso o con sentenza penale: connotazioni, queste, estranee ad un documento abilitativo quale il permesso di soggiorno (Sez. 5, 34294/2020).

Può essere affermata la responsabilità, in ordine ai delitti di cui agli artt. 476 e 479, nei confronti di un soggetto incaricato, in forza di una convenzione, di espletare adempimenti amministrativi strettamente connessi all’attività tipica dell’ente pubblico, ma a condizione che risultino chiaramente delineate, sulla base dell’interpretazione delle clausole convenzionali, quali attività in concreto siano attribuite al privato, così da apprezzarne le estrinsecazioni alla stregua di atti attraverso i quali l’ente esprime la propria volontà.

Ciò è tanto più necessario nello specifico ambito delle notificazioni, posto che la giurisprudenza civile di legittimità è incline (quanto, ad esempio, alla notificazione degli avvisi di accertamento) ad escludere che il potere notificatorio possa essere validamente attribuito, in funzione delle finalità di conoscenza legale dell’atto, ad un’agenzia privata di recapito (Sez. 5, 12785/2019).

Integra il delitto di falsità materiale commesso dal pubblico ufficiale in atto pubblico fidefacente, la condotta del medico ospedaliero che rediga un certificato con false attestazioni, in quanto ciò che caratterizza l’atto pubblico fidefacente, anche in virtù del disposto di cui all’art. 2699 CC, è  oltre all’attestazione di fatti appartenenti all’attività del pubblico ufficiale o caduti sotto la sua percezione  la circostanza che esso sia destinato ab initio alla prova, e cioè precostituito a garanzia della pubblica fede e redatto da un pubblico ufficiale autorizzato, nell’esercizio di una speciale funzione certificatrice.

Ne deriva che la diagnosi riportata nel certificato ha natura di fede privilegiata, essendo preordinata alla certificazione di una situazione, caduta nella sfera conoscitiva del pubblico ufficiale, certificazione che assume anche un rilievo giuridico esterno rispetto alla mera indicazione sanitaria o terapeutica (Sez. 5, 24643/2018).

Il cosiddetto Modello 99 Area Sanitaria rappresenta un atto pubblico fidefacente, costituendo lo stesso parte del diario clinico del paziente, finalizzato a documentare le vicende sanitarie del medesimo. Ed invero, non si può sottovalutare che il documento in esame è destinato alla prova dei fatti in esso certificati e che, cioè, è precostituito a garanzia generale della pubblica fede, per come redatto da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato e nell’esercizio di una speciale funzione certificatrice (Sez, 5, 24643/2018).

In tema di reati di falso, il titolare dell’agenzia automobilistica che gestisce il cosiddetto “sportello telematico dell’automobilista” (STA) - il quale, ex art. 4 DPR 358/2000, deve verificare, ai fini del rilascio della carta di circolazione, la idoneità, la completezza e la conformità tanto della domanda, quanto della documentazione presentata dall’interessato nonché l’avvenuto versamento delle imposte e dei diritti dovuti dal richiedente - forma un atto pubblico, con la conseguenza che egli riveste la qualifica di pubblico ufficiale nel compimento dell’intero “iter” che sfocia nella produzione del predetto documento” (Sez. 5, 28086/2011).

 

Rapporto con altre fattispecie

La distinzione tra falsità materiale e falsità ideologica va fatta in riferimento ai significati di non genuinità e di non veridicità che genericamente assume il documento falso, sicché ricorre la falsità materiale quando vi sia divergenza tra autore apparente e autore reale del documento o quando questo sia stato alterato successivamente alla sua formazione mentre sussiste falsità ideologica quando il documento contenga attestazioni o dichiarazioni non veritiere (Sez. 5, 2947/2019).

Deve escludersi il concorso formale tra i delitti di abuso di ufficio e falso ideologico o materiale quando la condotta addebitata si esaurisce nella commissione di un fatto qualificabile come falso in atto pubblico, in ragione della clausola di riserva prevista nell’art. 323 (Sez. 6, 30441/2018).