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Art. 452-quaterdecies - Attività organizzata per il traffico di rifiuti (1)

1. Chiunque, al fine di conseguire un ingiusto profitto, con più operazioni e attraverso l’allestimento di mezzi e attività continuative organizzate, cede, riceve, trasporta, esporta, importa, o comunque gestisce abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti è punito con la reclusione da uno a sei anni.

2. Se si tratta di rifiuti ad alta radioattività si applica la pena della reclusione da tre a otto anni.

3. Alla condanna conseguono le pene accessorie di cui agli articoli 28, 30, 32-bis e 32-ter, con la limitazione di cui all’articolo 33.

4. Il giudice, con la sentenza di condanna o con quella emessa ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, ordina il ripristino dello stato dell’ambiente e può subordinare la concessione della sospensione condizionale della pena all’eliminazione del danno o del pericolo per l’ambiente.

5. È sempre ordinata la confisca delle cose che servirono a commettere il reato o che costituiscono il prodotto o il profitto del reato, salvo che appartengano a persone estranee al reato. Quando essa non sia possibile, il giudice individua beni di valore equivalente di cui il condannato abbia anche indirettamente o per interposta persona la disponibilità e ne ordina la confisca.

(1) Articolo introdotto dal DLGS 21/2018, in sostituzione dell’art. 260, DLGS 152/2006.

Rassegna di giurisprudenza

La fattispecie di cui all’art. 452-quaterdecies richiede, oltre all’individuazione del dolo specifico di ingiusto profitto, la partecipazione ad un’attività continuativa ed organizzata di illecita gestione di rifiuti. Si differenzia pertanto dal delitto di inquinamento ambientale che postula invece una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili della matrice ambientale (Sez. 3, 48847/2018).

L’art. 1, comma 4 della L. 68/2015 ha modificato l’articolo 12-sexies, comma 1, DL 306/199, convertito, con modificazioni, dalla L. 356/1992, inserendovi il riferimento ai delitti di cui agli artt. 452-quater (disastro ambientale), e 452-octies, comma 1 (associazione per delinquere finalizzata alla commissione di delitti ambientali), nonché dell’art. 260 DLGS 152/2006 (attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti), ora confluito nel codice penale, nell’art. 452-quaterdecies).

L’art. 1, comma 3, della L. 68/2015 ha altresì modificato l’art. 260 DLGS 152/2006 mediante l’introduzione del comma 4-bis il quale prevede che sia sempre ordinata la confisca delle cose che servirono a commettere il reato o che costituiscono il prodotto o il profitto del reato, salvo che appartengano a persone estranee al reato. Quando ciò non sia possibile, è stabilito che il giudice individua beni di valore equivalente di cui il condannato abbia anche indirettamente o per interposta persona la disponibilità e ne ordina la confisca. Con la legge che ha introdotto nel codice penale i delitti contro l’ambiente, nella quale è evidente l’intento di perseguire efficacemente tale tipologia di reati, sono state, dunque, considerevolmente ampliate anche le ipotesi di confisca.

La L. 161/2017, con l’art. 31, ha modificato l’art. 12-sexies introducendovi, tra l’altro, un espresso richiamo ai delitti previsti dall’articolo 51, comma 3-bis CPP, tra i quali, come è noto, è compreso, a seguito delle modifiche ad esso apportate dalla L. 136/2010, l’art. 260 DLGS 152/2006 il quale risultava, conseguentemente, richiamato due volte nell’art. 12- sexies.

A tale situazione si è poi ovviato con il DL 148/2017, convertito con modificazioni dalla L. 172/2017, il quale, nel sostituire nuovamente il testo dell’art. 12-sexies, ha mantenuto il richiamo all’art. 51, comma 3- 4-bis CPP eliminando la duplicazione del richiamo con il riferimento espresso all’art. 260 DLGS 152/2006. Le medesime disposizioni sono ora contenute nell’art. 240-bis introdotto dal DLGS 21/2018 il quale ha ulteriormente modificato l’art. 12-sexies.

Che tale fosse l’intenzione del legislatore (e non quella di eliminare la “confisca allargata” con riferimento al delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti) risulta evidente non soltanto dagli atti dei lavori parlamentari relativi alla L. 171/2017, ove il duplice riferimento al medesimo delitto viene segnalato senza però essere preso in considerazione, ma anche dal contenuto stesso del DL 148/2017, che amplia l’elenco dei reati per i quali la confisca è consentita (sono state, ad esempio, inserite, alcune ipotesi di falso nummario ed alcuni reati informatici).

Invero, sarebbe del tutto illogico ritenere che il legislatore, dopo aver introdotto i delitti contro l’ambiente, prevedendo per gli stessi pene severe ed altre rilevanti conseguenze in caso di condanna, abbia voluto definitivamente eliminare la possibilità della confisca di cui all’art. 12-sexies al solo delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, reato connotato da una obiettiva gravità, inserendo nel contempo nel medesimo articolo altri reati prima non presenti e, addirittura, non avvedendosi del fatto che il delitto di cui all’art. 260 DLGS 152/2006, una volta espunto, restava comunque ricompreso nell’ambito di applicazione dell’art. 12-sexies in forza del richiamo contenuto nell’art. 51, comma 3-bis CPP.

Nessuna modifica che induca a diverse conclusioni è stata poi apportata dal menzionato d.lgs. 21/2018 che, anzi, è intervenuto sull’art. 51, comma 3-bis CPP sostituendo il riferimento all’art. DLGS 152/2006 con quello all’art. 452-quaterdecies. Ne consegue che la confisca di cui all’articolo 12-sexies, comma 1, del DL 306/1992, convertito, con modificazioni, dalla L. 356/1992 (ora prevista dall’art. 240-bis), continua ad operare, anche a seguito delle modifiche introdotte con il DL 148/2017, convertito con modificazioni dalla L. 172/2017 in caso di condanna o applicazione pena ai sensi dell’art. 444 CPP per il reato di cui all’art. 260 DLGS 152/2006 (ora art. 452-quaterdecies), il quale figura tra i delitti considerati dall’art. 51, comma 3-bis CPP che l’art. 12-sexies espressamente richiamava e che ora menzionato dall’art. 240-bis (Sez. 3, 28759/2018).

I requisiti della condotta configurante il reato di cui all’art. 260 DLGS 152/2006 (ora art. 452-quaterdecies) vanno individuati nel compimento di più operazioni e nell’allestimento di mezzi e attività continuative organizzate, che con l’attività descritta devono essere strettamente correlate, posto che il legislatore utilizza la congiunzione “e”. 

È richiesto anche il requisito dell’abusività della condotta (Sez. 3, 21030/2015; Sez. 3, 44449/2013; Sez. 3, 18669/2015). Si è anche precisato (Sez. 3, 40827/2005) che tale requisito può sussistere a fronte di una struttura organizzativa di tipo imprenditoriale, idonea ed adeguata a realizzare l’obiettivo criminoso preso di mira, anche quando la struttura non sia destinata, in via esclusiva, alla commissione di attività illecite, cosicché il reato può configurarsi anche quando l’attività criminosa sia marginale o secondaria rispetto all’attività principale lecitamente svolta (Sez. 3, 47870/2011). Si tratta di reato abituale, in quanto integrato necessariamente dalla realizzazione di più comportamenti della stessa specie (Sez. 3, 52838/2016).

L’apprezzamento circa la soglia minima di rilevanza penale della condotta deve essere effettuato non soltanto attraverso il riferimento al mero dato numerico, ma, ovviamente, anche considerando gli ulteriori rimandi, contenuti nella norma, a «più operazioni» ed all’allestimento di mezzi e attività continuative organizzate» finalizzate alla abusiva gestione di ingenti quantità di rifiuti (Sez. 3, 47229/2012).

Ulteriori requisiti sono l’attività di cessione, ricezione, trasporto, esportazione, importazione, o comunque gestione abusiva di rifiuti che già risultano sanzionate penalmente e vengono agevolate dalle azioni propedeutiche di cui si è appena detto, nonché l’ingente quantitativo di rifiuti, che secondo quanto stabilito dalla giurisprudenza di legittimità, non può essere individuato a priori, attraverso riferimenti esclusivi a dati specifici, quali, ad esempio, quello ponderale, dovendosi al contrario basare su un giudizio complessivo che tenga conto delle peculiari finalità perseguite dalla norma, della natura del reato e della pericolosità per la salute e l’ambiente e nell’ambito del quale l’elemento quantitativo rappresenta solo uno dei parametri di riferimento (Sez. 3, 47229/2012).

La verifica deve inoltre essere effettuata considerando il quantitativo complessivo di rifiuti trattati attraverso la pluralità delle operazioni svolte, anche quando queste ultime, singolarmente considerate, possono essere qualificate di modesta entità (Sez. 3, 46950/2016). Quanto alla finalità di ingiusto profitto, pure richiesta dalla norma in esame per la configurabilità del delitto, si è invece precisato (Sez. 3, 40827/2005) che esso non deve necessariamente consistere in un ricavo patrimoniale, potendosi ritenere integrato anche dal mero risparmio di costi o dal perseguimento di vantaggi di altra natura, senza che sia necessario, ai fini della configurazione del reato, l’effettivo conseguimento di tale vantaggio (Sez. 3, 53136/2017) (riassunzione dovuta a Sez. 3, 56101/2018).

Il delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, previsto dall’art. 260 DLGS 152/2006 (oggi art. 452-quaterdecies, giusta il DLGS 21/2018) – è un reato abituale, che si perfeziona soltanto attraverso la realizzazione di più comportamenti non occasionali della stessa specie, finalizzati al conseguimento di un ingiusto profitto, con la necessaria predisposizione di una, pur rudimentale, organizzazione professionale di mezzi e capitali, che sia in grado di gestire ingenti quantitativi di rifiuti in modo continuativo (tra le molte, Sez. 3, 52838/2016) –  si consuma nel luogo in cui avviene la reiterazione delle condotte illecite (Sez. 3, 48350/2017); ossia, laddove si realizzano  con il citato carattere dell’abitualità – le condotte che costituiscono l’in sé del reato, che ne integrano gli elementi tipici, che ne evidenziano i caratteri essenziali per come individuati dal legislatore.

Con la significativa precisazione per cui, ai fini dell’integrazione del reato, non sono necessari un danno ambientale né la minaccia grave di esso, atteso che la previsione di ripristino ambientale contenuta nel comma quarto del citato articolo si riferisce alla sola eventualità in cui il pregiudizio o il pericolo si siano effettivamente verificati e, pertanto, non è idonea a mutare la natura della fattispecie da reato di pericolo presunto a reato di danno (Sez. 3, 58448/2018).

La definizione di “gestione”, ai fini dell’applicazione delle disposizioni di cui alla parte quarta del DLGS 152/2006, è contenuta nell’art. 183, lett. n), del citato decreto, e abbraccia, per quanto qui interessa, «la raccolta, il trasporto, il recupero e lo smaltimento dei rifiuti, compresi il controllo di tali operazioni e gli interventi successivi alla chiusura dei siti di smaltimento».

La medesima disposizione definisce quindi le attività di “recupero” e “smaltimento”, statuendo che rientra nella prima «qualsiasi operazione il cui principale risultato sia di permettere ai rifiuti di svolgere un ruolo utile, sostituendo altri materiali che sarebbero stati altrimenti utilizzati per assolvere una particolare funzione o di prepararli ad assolvere tale funzione, all’interno dell’impianto e o nell’economia in generale» (art. 183, lett. t, DLGS 152/2006); alla seconda categoria è invece riconducibile «qualsiasi operazione diversa dal recupero anche quando l’operazione ha come conseguenza secondaria il recupero di sostanze o di energia» (art. 183, lett. z, DLGS 152/2006).

Le citate norme definitorie rimandano inoltre agli allegati al decreto per un’elencazione non esaustiva delle operazioni di recupero (allegato C) e di smaltimento (allegato B). Nel primo dei menzionati allegati, sub R5 si menziona il «recupero di altre sostanze inorganiche» e nel secondo, sub D1, il «deposito sul o nel suolo». Ancora, la disposizione più volte citata definisce come “trattamento” le «operazioni di recupero o smaltimento, inclusa la preparazione prima del recupero o dello smaltimento» (art. 183, lett. s), DLGS 152/2006 (Sez. 3, 53648/2018).

La mancanza delle necessarie autorizzazioni conferisce carattere abusivo alla gestione dei rifiuti, così manifestandosi pertanto un elemento indispensabile, unitamente agli altri richiesti, per l’integrazione della fattispecie di cui all’art. 260, comma 1, DLGS 152/2006, ora riprodotto nell’art. 452-quaterdecies dall’art. 3, comma 1, DLGS 21/2018. Ed invero, secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità (Sez. 3, 44449/2013, confermata dalla successiva giurisprudenza, come Sez. 3, 21030/2015) le richiamate norme hanno delineato un reato abituale che punisce chi, al fine di conseguire un ingiusto profitto, allestisce una organizzazione di traffico di rifiuti, volta a gestire continuativamente, in modo illegale, ingenti quantitativi di rifiuti.

Tale gestione dei rifiuti deve concretizzarsi in una pluralità di operazioni con allestimento di mezzi ed attività continuative organizzate, ovvero attività di intermediazione e commercio (Sez. 3, 40827/2005) e tale attività deve essere “abusiva”, ossia effettuata o senza le autorizzazioni necessarie (ovvero con autorizzazioni illegittime o scadute) o violando le prescrizioni e/o i limiti delle autorizzazione stesse (ad esempio, la condotta avente per oggetto una tipologia di rifiuti non rientranti nel titolo abilitativo, ed anche tutte quelle attività che, per le modalità concrete con cui sono esplicate, risultano totalmente difformi da quanto autorizzato, sì da non essere più giuridicamente riconducibili al titolo abilitativo rilasciato dalla competente Autorità amministrativa) (Sez. 3, 40828/2005).

Quindi il delitto in esame sanziona comportamenti non occasionali di soggetti che, al fine di conseguire un ingiusto profitto, fanno della illecita gestione dei rifiuti la loro redditizia, anche se non esclusiva attività, per cui per perfezionare il reato è necessaria una, seppure rudimentale, organizzazione professionale (mezzi e capitali) che sia in grado di gestire ingenti quantitativi di rifiuti in modo continuativo, ossia con pluralità di operazioni condotte in continuità temporale, operazioni che vanno valutate in modo globale: alla pluralità delle azioni, che è elemento costitutivo del fatto, corrisponde una unica violazione di legge, e perciò il reato è abituale dal momento che per il suo perfezionamento è necessaria le realizzazione di più comportamenti della stessa specie (Sez. 3, 29619/2010) (Sez. 3, 53648/2018).