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Art. 14 - Criteri di scelta delle sanzioni interdittive

1. Le sanzioni interdittive hanno ad oggetto la specifica attività alla quale si riferisce l’illecito dell’ente. Il giudice ne determina il tipo e la durata sulla base dei criteri indicati nell’articolo 11, tenendo conto dell’idoneità delle singole sanzioni a prevenire illeciti del tipo di quello commesso.

2. Il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione può anche essere limitato a determinati tipi di contratto o a determinate amministrazioni. L’interdizione dall’esercizio di un’attività comporta la sospensione ovvero la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali allo svolgimento dell’attività.

3. Se necessario, le sanzioni interdittive possono essere applicate congiuntamente.

4. L’interdizione dall’esercizio dell’attività si applica soltanto quando l’irrogazione di altre sanzioni interdittive risulta inadeguata.

Stralcio della relazione ministeriale di accompagnamento al D. Lgs. 231/2001

Sul piano sistematico e politico-criminale, la disciplina predisposta per le sanzioni interdittive (v. artt.13 - 16) si connota in termini spiccatamente specialpreventivi. Nella piena consapevolezza delle conseguenze (pesantemente) negative che queste sanzioni proiettano sulla vita e l’attività dell’ente, si propone un modello sanzionatorio che ancora la minaccia a presupposti applicativi particolarmente rigorosi funzionali al conseguimento di utili risultati per la tutela dei beni tutelati, visto che si consente all’ente di attivarsi, attraverso condotte riparatorie, per evitare l’applicazione di queste sanzioni.

Da un lato, dunque, la minaccia presuppone il compimento di reati di particolare gravità ovvero la reiterazione degli illeciti; dall’altro lato, si stagliano sanzioni positive che permettono di scongiurare l’applicazione delle sanzioni interdittive in presenza di comportamenti diretti a reintegrare l’offesa.

Si profila, dunque, una linea di politica sanzionatoria che non mira ad una punizione indiscriminata e indefettibile, ma che, per contro, punta dichiaratamente a privilegiare una dimensione che salvaguardi la prevenzione del rischio di commissione di reati in uno con la necessaria, previa eliminazione delle conseguenze prodotte dall’illecito.

In coerenza con i descritti obbiettivi, l’articolo 13 sancisce dapprima che le sanzioni interdittive si applicano solo in relazione ai reati per i quali sono espressamente previste, in omaggio ad una esigenza di legalità e di selezione delle fattispecie (più gravi) meritevoli di un simile invasivo corollario sanzionatorio; quindi condiziona l’applicabilità di queste sanzioni all’esistenza di almeno uno dei seguenti requisiti.

Il primo ricorre quando il l’ente ha tratto dal reato un profitto di rilevante entità e il reato è stato commesso da soggetti in posizione apicale o da soggetti sottoposti all’altrui direzione e, in questo caso, la commissione del reato è stata determinata o agevolata da gravi carenze organizzative.

Si tratta di un requisito fondato sull’accentuato disvalore del reato e dell’illecito amministrativo che vi accede.

Sul versante dei soggetti, spicca l’ipotesi in cui il reato sia stato commesso dai vertici della società, evenienza questa che denota una specifica e preoccupante propensione dell’ente verso il conseguimento di illeciti profitti.

Il reato, nel caso in cui sia stato commesso dai dipendenti, dipende, di regola, dall’esistenza di gravi carenze organizzative: questa circostanza evoca con immediatezza la ricorrenza di una grave colpa organizzativa da parte dell’ente, riconducibile o alla mancata adozione di un programma di prevenzione dei reati, ovvero all’adozione di un programma “di facciata”, inidoneo a minimizzare o annullare il rischio-reato.

In entrambi i casi, per l’applicazione della sanzione interdittiva occorre altresì che dalla commissione del reato l’ente abbia ricavato un profitto rilevante.

L’altro requisito che determina l’applicazione di sanzioni interdittive è la reiterazione degli illeciti, il cui contenuto è disciplinato dall’articolo 20, al cui commento si fa pertanto rinvio.

La ratio della norma è di intuitiva evidenza: la reiterazione degli illeciti costituisce il diapason che segnala la presenza di un ente ormai insensibile alle sole sanzioni pecuniarie e che, anzi, potrebbe giovarsi della monetizzazione degli illeciti per scaricare sul pubblico le conseguenti esternalità negative (i costi).

Ma non basta: la reiterazione è altresì sintomo di un ente che rivela una pericolosa propensione verso la criminalità del profitto o comunque inficiato da gravi carenze organizzative che amplificano il rischio-reato.

Come si vede, i presupposti applicativi delle sanzioni interdittive sono oltremodo rigorosi e non tradiscono alcun intento vessatorio.

Quanto alla durata delle sanzioni, essa è stata compresa in una forbice che va da tre mesi a due anni, da ritenersi adeguata rispetto alla tipologia di illeciti della parte speciale. Il successivo comma 3 stabilisce poi la loro inapplicabilità quando ricorrono i casi di riduzione della sanzione pecuniaria per la particolare tenuità del fatto.

Di particolare importanza è la norma dell’articolo 14, in tema di criteri di scelta delle sanzioni interdittive.

Il comma 1 esordisce con una disposizione fondamentale, richiamata anche dalla norma processuale che regola il contenuto della sentenza di condanna. Vi si stabilisce che le sanzioni interdittive hanno ad oggetto la specifica attività alla quale si riferisce l’illecito dell’ente.

La sottolineatura di questo aspetto è dettata da ragioni funzionali, legate anche alla moderna fisionomia delle dinamiche d’impresa. Si richiama, infatti, l’attenzione del giudice sulla circostanza che la sanzione interdittiva non deve ispirarsi ad un criterio applicativo generalizzato e indiscriminato.

Al contrario, occorre individuare la fonte, la causa dell’illecito nel contesto delle attività che esso svolge.

Le sanzioni, per quanto possibile, devono colpire il ramo di attività in cui si è sprigionato l’illecito, in omaggio ad un principio di economicità e di proporzione. La necessità di questa selezione  conviene ripeterlo  deriva proprio dalla estrema frammentazione dei comparti produttivi che oggi segna la vita delle imprese ed è inoltre destinata a rivelarsi preziosa in sede di disciplina della sorte delle sanzioni interdittive applicate nei confronti degli enti soggetti a vicende modificative (v. artt. 30 e 31).

Per queste ragioni, si è così previsto, con riguardo al divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, la frazionabilità di questa sanzione, che potrà avere ad oggetto alcuni contratti o riguardare solo alcune amministrazioni.

Solo quando l’illecito costituisce espressione di una generale propensione al conseguimento di illeciti profitti, ricavabile da prassi criminose ormai consolidate che coinvolgono i vertici dell’ente, sarà inevitabile un’applicazione indivisa della sanzione.

Quanto ai criteri commisurativi, da utilizzare per individuare il tipo e la durata della sanzione interdittiva da irrogare, valgono quelli indicati nell’articolo 11, con un’integrazione relativa alla necessità che il giudice tenga conto dell’efficacia delle singole sanzioni a prevenire illeciti del tipo di quello commesso.

Proprio la valutazione sull’efficacia preventiva delle singole sanzioni può determinare il giudice all’applicazione congiunta di più sanzioni interdittive, ove ciò dovesse rendersi necessario per il conseguimento del descritto obbiettivo.

Il comma 2 dell’articolo 14 stabilisce poi che l’applicazione della sanzione dell’interdizione dall’esercizio di un’attività comporta di diritto la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali allo svolgimento dell’attività.

Questa disposizione mira a semplificare la trama dei rapporti che intercorrono tra le sanzioni che inibiscono lo svolgimento di un’attività e quelle che determinano il venir meno dell’atto amministrativo che ne legittima lo svolgimento, sul presupposto che l’irrogazione di una sanzione che paralizza in tutto in parte lo svolgimento di un’attività non possa che trascinare con sé anche quella che provoca la revoca o la sospensione degli atti amministrativi di natura autorizzativa.

L’ultimo comma dell’articolo 14 prescrive che alla sanzione dell’interdizione dall’esercizio dell’attività si debba ricorrere solo quando tutte le altre sanzioni risultino inadeguate. Si tratta dunque di una sanzione che si atteggia come extrema ratio, proprio in ragione della marcata invasività sulla vita dell’ente.

Dal contenuto di questa norma è inoltre ricavabile il corollario che tutte le sanzioni destinate ad incidere sullo svolgimento dell’attività, in modo da interromperla, dovrebbero trovare applicazione solo nei casi più gravi e in presenza di un’acclarata inidoneità preventiva delle restanti meno gravi sanzioni.

In ordine al regime di operatività delle sanzioni interdittive temporanee, va chiarito che, allorché ricorrano i loro presupposti applicativi (illecito che ne consente l’applicazione e la sussistenza di almeno uno dei requisiti indicati nell’articolo 13), il giudice ha l’obbligo di irrogarle.

Questa scelta serve a garantire l’uniformità applicativa delle sanzioni. Del resto, il carattere stringente dei presupposti applicativi non lascia spazio ad eventuali successivi apprezzamenti discrezionali che, ove ammessi, potrebbero fomentare prassi corrive e disomogenee. Per non parlare del rischio che il riconoscimento della discrezionalità giudiziale conduca il sistema delle sanzioni interdittive verso una deprecabile disapplicazione.

 

Rassegna di giurisprudenza

Il giudice, in virtù della previsione dell’art. 14, deve attenersi al principio della cd. frazionabilità delle sanzioni interdittive, secondo cui tali sanzioni devono, ove possibile, adattarsi alla specifica attività dell’ente che è stata causa dell’illecito.

Ciò si giustifica sia per neutralizzare il luogo in cui si è originato l’illecito, sia per applicare la sanzione valorizzandone l’adeguatezza e proporzionalità, in ossequio al criterio dell’extrema ratio (Sez. 6, 43108/2011).

Il giudice di merito, all’atto della nomina del commissario in sede cautelare, deve indicarne i compiti e i poteri, tenendo conto della specifica attività in cui è stato compiuto l’illecito. Pertanto, deve valutare l’incidenza della misura sulla specifica attività alla quale si riferisce l’illecito dell’ente, applicando i criteri di cui all’ art. 14 e quindi limitando, ove possibile, la misura solo ad alcuni settori dell’attività dell’ente.

Né può costituire ostacolo alla frazionabilità della misura la mancanza di una diversificazione dell’attività dell’impresa: invero, anche a un ente che svolge un’unica attività può essere applicata una misura limitata solo ad una parte dell’attività stessa (Sez. 6, 20560/2010).

L’irrogazione di sanzioni interdittive deve essere preceduta da un’appropriata scelta della specifica attività della persona giuridica, nei cui confronti deve aver effetto la sanzione da applicarsi, dovendo tenersi conto dell’idoneità della sanzione a prevenire illeciti del tipo di quello commesso (GIP Tribunale di Milano, 5 maggio 2004).