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Art. 14-ter

Reclamo

1. Avverso il provvedimento che dispone o proroga il regime di sorveglianza particolare può essere proposto dall’interessato reclamo al tribunale di sorveglianza nel termine di dieci giorni dalla comunicazione del provvedimento definitivo. Il reclamo non sospende l’esecuzione del provvedimento. (1)

2. Il tribunale di sorveglianza provvede con ordinanza in camera di consiglio entro dieci giorni dalla ricezione del reclamo. (1)

3. Il procedimento si svolge con la partecipazione del difensore e del pubblico ministero. L’interessato e l’amministrazione penitenziaria possono presentare memorie. (1)

4. Per quanto non diversamente disposto si applicano le disposizioni del capo II-bis del titolo II.

(1) La Corte costituzionale, con sentenza 53/1993, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente comma, nella parte in cui non consente l’applicazione degli artt. 666 e 678 del codice di procedura penale nel procedimento di reclamo avverso il decreto del magistrato di sorveglianza che esclude dal computo della detenzione il periodo trascorso in permesso premio.

Rassegna di giurisprudenza

Delimitazione dei vizi denunciabili col reclamo e specificità dei motivi

L’art. 14-ter, nel disciplinare il reclamo avverso il provvedimento che dispone o proroga il regime di sorveglianza particolare, rinvia, per quanto non diversamente stabilito, alle disposizioni del capo II-bis del titolo secondo, nell’ambito del quale l’art. 71-ter prevede che il PM, l’interessato e - nei casi di cui agli artt. 14-ter e 69 comma 6 - l’amministrazione penitenziaria, possono proporre ricorso per cassazione, per violazione di legge, avverso le ordinanze del tribunale di sorveglianza e del magistrato di sorveglianza. La limitazione dei motivi di ricorso alla sola violazione di legge è da intendere nel senso che il controllo affidato al giudice dì legittimità è esteso, oltre che all’inosservanza di disposizioni dì legge sostanziale e processuale, alla mancanza di motivazione, dovendo essere ricondotti in tale vizio tutti i casi nei quali la motivazione stessa risulti del tutto priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e di logicità, al punto da risultare meramente apparente o assolutamente inidonea a rendere comprensibile il filo logico seguito dal giudice di merito per ritenere giustificato il provvedimento sottoposto al suo esame, ovvero quando esponga linee argomentative talmente scoordinate e carenti dei necessari passaggi logici da far rimanere oscure le ragioni che hanno giustificato la decisione. È da escludere, invece, che la violazione di legge possa ricomprendere il vizio dì illogicità della motivazione (Sez. 1, 19813/2016).

In tema di provvedimenti di competenza del magistrato di sorveglianza per i quali sia prevista la possibilità di proporre reclamo al tribunale di sorveglianza, si applicano le disposizioni generali in materia di impugnazioni, trattandosi di procedimento giurisdizionalizzato, tra cui quella che impone, a pena di inammissibilità, la presentazione di specifici motivi a norma degli artt. 581 e 591 c.p.p. Ne discende che, anche in tema di limitazioni e controlli della corrispondenza, i provvedimenti emessi dal magistrato di sorveglianza sono reclamabili nel rispetto delle disposizioni generali in materia di impugnazioni che impongono, tra l’altro, la presentazione di specifici motivi, a norma degli artt. 18-ter, comma 6, e 14-ter, in relazione all’art. 581, comma 1, lett. c), c.p.p. (Sez. 1, 48803/2015).

Il reclamo, proposto ai sensi dell’art. 14-ter, è atto di parte assimilabile ad ogni effetto ad una impugnazione; resta dunque soggetto, come ogni altra impugnazione, secondo quanto prescritto dagli artt. 581 lett. c) e 591, comma 1, lett. c) c.p.p., all’onere di specifica formulazione dei motivi, che devono esplicitare le ragioni in fatto o in diritto della contestazione del provvedimento di cui si chiede la modifica o l’eliminazione e del rispetto dei termini perentori prescritti dall’ordinamento. In particolare, stante l’unicità dell’atto di impugnazione, lo stesso può ritenersi ritualmente proposto se la relativa dichiarazione sia accompagnata dalla illustrazione dei motivi, ma tale adempimento può essere compiuto anche con atto separato e successivo, sempre che sia rispettato il termine perentorio imposto dalla legge per quel tipo di gravame (Sez. 1, 6326/2015).

Criteri sulla destinazione dei detenuti e impugnabilità dinanzi il magistrato di sorveglianza dei relativi provvedimenti

Allorquando provvedimenti comportano la sottoposizione a un regime penitenziario differenziato o, comunque, il suo mantenimento, possono essere oggetto di reclamo al magistrato di sorveglianza ai sensi degli artt. 35-bis e 69, comma 6, ove siano adottati in violazione dei criteri sulla destinazione dei detenuti, fissati in via generale ed astratta dall’amministrazione, risolvendosi in una lesione del diritto soggettivo al trattamento “comune”. Ciò perché, la scelta dell’Amministrazione penitenziaria in ordine alla classificazione di un detenuto, trova fondamento nell’art. 14, secondo cui il raggruppamento dei detenuti nelle sezioni è stabilito in relazione alla possibilità di procedere ad un “trattamento rieducativo comune” e all’esigenza di evitare “influenze nocive reciproche”. Egualmente, l’art. 32 Reg. prevede l’assegnazione ad appositi istituti o sezioni dove sia “più agevole” adottare le cautele per quei detenuti che, con i loro comportamenti, facciano temere per l’incolumità propria o dei compagni, a tutela “da possibili aggressioni o sopraffazioni”. Attraverso la previsione di un regime differenziato, il sistema penitenziario prevede per esigenze di ordine e di sicurezza, la realizzazione di percorsi trattamentali meno completi. Così si può incidere anche sui principi posti dall’art. 13, secondo cui il trattamento penitenziario deve essere individualizzato e deve “rispondere ai particolari bisogni della personalità di ciascun soggetto”. Gli orientamenti meno recenti della giurisprudenza di legittimità hanno escluso la possibilità di impugnare il provvedimento di assegnazione del detenuto al circuito penitenziario. Esso provvedimento, si affermava, era espressione del potere discrezionale, riservato all’Amministrazione, di organizzare e regolare la vita all’interno degli istituti, in ragione della pericolosità dei detenuti e della necessità di assicurare l’ordinato svolgimento della vita intramuraria e, come tale, non risultava suscettibile di sindacato da parte della magistratura di sorveglianza. In alcuni casi si era richiamato un potere di verifica da parte dell’organo giudiziario sulle “singole disposizioni che lo accompagnano o lo seguono” o sugli “atti esecutivi che siano in concreto lesivi di diritti” Si trattava di orientamenti essenzialmente protesi a privilegiare la salvaguardia di valori di ordine e sicurezza e di osservanza delle regole interne, che non si soffermavano sulla finalità del trattamento stesso e sul sottostante obiettivo di rieducazione. Oggi può ritenersi che l’ordinamento riconosca al detenuto un generale diritto al trattamento penitenziario “non differenziato”, con l’eccezione che l’Amministrazione, in presenza di situazioni di pericolosità del detenuto, che impongano di attuare misure volte ad assicurare la sicurezza interna ed esterna, ha facoltà di sottoporlo ad un regime differenziato. In tali evenienze, dunque, fermo il diritto al trattamento comune (non differenziato) l’Amministrazione penitenziaria può pacificamente adottare, nell’esercizio di potestà organizzative, misure che incidono sulla originaria posizione soggettiva. A fronte dell’esercizio di poteri siffatti, il detenuto può investire, attraverso lo strumento del reclamo giurisdizionale, il magistrato di sorveglianza, impugnando non tanto la previsione, generale e astratta, che, nel prevedere il circuito penitenziario, definisca le condizioni per la sua assegnazione, quanto piuttosto il provvedimento di assegnazione, in ipotesi adottato in assenza dei requisiti, ovvero, per quanto di interesse in questa sede, il provvedimento con il quale, pur venendo meno i presupposti per l’assegnazione a un determinato circuito, l’amministrazione abbia negato la declassificazione. È un sindacato circoscritto al profilo dei vizi di legittimità dell’atto amministrativo. Non si estende, cioè, al merito della scelta, salvo in casi di assoluta contraddittorietà e manifesta irragionevolezza. assolutamente rimesso esclusivamente alla valutazione dell’Amministrazione penitenziaria. Si intende, allora, come esista un diritto alla assegnazione ad una sezione “comune”, quale momento d’attuazione del diritto al trattamento individualizzato, previsto dalla legge penitenziaria dagli articoli 1, comma 6, 13 e 14, comma 2. In difetto sarebbe sottratta al magistrato di sorveglianza la prima forma di controllo sulla conformità del trattamento di recupero del detenuto, trattamento che passa attraverso l’assegnazione ad un regime che assicuri l’obiettivo e la finalità della risocializzazione. Da ciò la legittimazione al ricorso, in ordine al pregiudizio, grave e attuale, che può derivare all’esercizio del diritto del detenuto dal mantenimento dell’assegnazione nel circuito differenziato. L’introduzione del reclamo giurisdizionale di cui all’art. 35-bis non muta il quadro. Il rimedio è stato introdotto per adeguare la normativa alla soluzione giurisprudenziale che, sull’insegnamento della Corte costituzionale (sentenza 26/1999), riconosceva la tutela giurisdizionale nei confronti degli atti dell’Amministrazione penitenziaria lesivi dei diritti dei detenuti (SU, 25079/2003) con lo strumento della procedura prevista dall’art. 14-ter. Quindi, il reclamo ex artt. 35-bis e 69, comma 6, lett. b) è pacificamente ammissibile in presenza di “inosservanza da parte dell’amministrazione di disposizioni della legge penitenziaria e del relativo regolamento dalla quale derivi al detenuto un attuale e grave pregiudizio. Rischia pertanto di essere forviante l’affermazione secondo cui non è possibile proporre reclamo giurisdizionale avverso il provvedimento di assegnazione ad una determinata sezione, mentre è possibile reclamare avverso un provvedimento - eventualmente collegato a tale assegnazione - che determini la violazione effettiva e concreta di uno specifico diritto del detenuto (Sez 1, 52534/2018), in difetto di una precisazione ulteriore che prevede come esso reclamo sia esperibile anche per la violazione del diritto a non subire un trattamento penitenziario non comune, in difetto dei presupposti legittimanti della differenziazione (quali, a titolo esemplificativo, la condizione di pericolosità di esposizione a rischio per l’ordine interno ed esterno) (Sez. 1, 43858/2019).