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Art. 26

Religione e pratiche di culto

1. I detenuti e gli internati hanno libertà di professare la propria fede religiosa, di istruirsi in essa e di praticarne il culto.

2. Negli istituti è assicurata la celebrazione dei riti del culto cattolico.

3. A ciascun istituto è addetto almeno un cappellano.

4. Gli appartenenti a religione diversa dalla cattolica hanno diritto di ricevere, su loro richiesta, l’assistenza dei ministri del proprio culto e di celebrarne i riti.

Rassegna di giurisprudenza

È illegittimo il provvedimento del magistrato di sorveglianza che rigetta la richiesta di un detenuto sottoposto al regime detentivo speciale di cui all’art. 41-bis, intesa ad ottenere l’autorizzazione ad incontrare in via permanente un ministro del culto dei testimoni di Geova per lo studio e l’approfondimento dei testi biblici a norma dell’art. 26, comma 4, ferma restando l’esigenza che il colloquio venga autorizzato con modalità tali da assicurare l’ordine e la sicurezza dell’istituto penitenziario. Ne consegue che, in linea di massima, non pare possibile negare ad un credente - ed a maggior ragione ad un testimone di Geova, per il quale è importante lo studio della bibbia - almeno una qualche forma di approccio con il ministro del proprio culto, al fine di poter approfondire lo studio dei testi biblici, ferma restando l’esigenza che il colloquio si svolga con modalità tali da assicurare l’ordine e la sicurezza dell’istituto carcerario (Sez. 1, 20797/2011).

A fronte di un reclamo del detenuto, che in “riferimento al trattamento penitenziario individuale” individuava determinati comportamenti dell’Amministrazione penitenziaria come una “violazione al proprio diritto di libertà di culto religioso, rispetto al quale la dieta vegetariana deve ritenersi un corollario di pratica rituale”, l’essersi il magistrato di sorveglianza limitato a comunicare al ricorrente, all’esito di procedura informale, una relazione dell’amministrazione penitenziaria in merito alla non inclusione di maestri buddisti Zen nel novero dei ministri di culto abilitati all’ingresso nelle strutture penitenziarie ed un provvedimento in materia di vitto, assunto su reclamo di altro detenuto, si configuri effettivamente come “un mancato rispondere con motivazione specifica” al reclamo del detenuto, nel senso che “la comunicazione in questione” non può costituire, in effetti, “valida risposta sia sul piano procedimentale sia sul piano del contenuto” (Sez. 1, 41474/2013).

Sono violati gli artt. 9 e 14 CEDU allorché uno Stato non accolga la richiesta di un detenuto di fede buddista, la cui convinzione religiosa implichi la necessità di una dieta vegetariana, di potersi alimentare con pasti privi di carne (Corte EDU, 18429/06, Jakobski c. Polonia).

Il culto seguito da un detenuto, cui consegua la scelta di una dieta vegetariana, comporta che lo Stato debba assicurargli la possibilità di professare il culto medesimo anche nelle scelte alimentari, risultando altrimenti violato l’art. 9 CEDU (Corte EDU, Vartic c. Romania, 17 dicembre 2013).