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Art. 42

Trasferimenti

1. I trasferimenti sono disposti per gravi e comprovati motivi di sicurezza, per esigenze dell’istituto, per motivi di giustizia, di salute, di studio e familiari.

2. Nel disporre i trasferimenti i soggetti sono comunque destinati agli istituti più vicini alla loro dimora o a quella della loro famiglia ovvero al loro centro di riferimento sociale, da individuarsi tenuto conto delle ragioni di studio, di formazione, di lavoro o salute.

3. L’amministrazione penitenziaria dà conto delle ragioni che ne giustificano la deroga. (1)

4. Sulla richiesta di trasferimento da parte dei detenuti e degli internati per ragioni di studio, di formazione, di lavoro, di salute o familiari l’amministrazione penitenziaria provvede, con atto motivato, entro sessanta giorni. (2)

5. I detenuti e gli internati debbono essere trasferiti con il bagaglio personale e con almeno parte del loro peculio.

[Le traduzioni dei detenuti e degli internati adulti vengono eseguite, nel tempo più breve possibile, dall’Arma dei carabinieri e dal Corpo delle guardie di pubblica sicurezza, con le modalità stabilite dalle leggi e dai regolamenti e, se trattasi di donne, con l’assistenza di personale femminile. (3)]

[Nelle traduzioni sono adottate le opportune cautele per proteggere i soggetti dalla curiosità del pubblico e da ogni specie di pubblicità, nonché per ridurne i disagi. È consentito solo l’uso di manette tranne che ragioni di sicurezza impongano l’uso di altri mezzi].

[6. Nei casi indicati dal regolamento è consentito l’uso di abiti civili. (3)]

(1) Comma così sostituito dall’art. 11, comma 1, lett. p), D.Lgs. 123/2018, che ha sostituito l’originario secondo comma con gli attuali commi secondo e terzo.

(2) Comma inserito dall’art. 11, comma 1, lett. p), D.Lgs. 123/2018, che ha sostituito l’originario secondo comma con gli attuali commi secondo e terzo.

(3) Comma abrogato dalla L. 492/1992.

Rassegna di giurisprudenza

Il ricorrente ha prospettato la lesione di un diritto soggettivo, il diritto allo studio, cui lo stesso ordinamento penitenziario assegna rilevanza quale strumento del percorso trattamentale, finalizzato al reinserimento sociale della persona: l’art. 19, comma 4, stabilisce che “ è agevolato il compimento degli studi dei corsi universitari ed equiparati”; l’art. 42 prevede i trasferimenti per motivi di studio; l’art. 44 Reg. prevede particolari agevolazioni per il compimento degli studi universitari dei detenuti e degli internati che risultino iscritti ai corsi di studio o che siano in possesso dei requisiti per l’iscrizione a tali corsi. La prospettazione dell’istante involge, pertanto, un diritto soggettivo e articola doglianze che ne investono la tutela, così incidendo sulla qualificazione della domanda e sul modello procedimentale da adottare. Va, infatti, rammentato che, se la domanda, implicitamente o esplicitamente, afferma di denunciare la violazione di un diritto e sia prima facie configurabile una posizione giuridica inquadrabile nella categoria del diritto soggettivo, il fondamento della domanda è quel diritto e la procedura giurisdizionale va doverosamente adottata (Sez. 1, 414174/2013). Il ricorso da parte del magistrato di sorveglianza alla procedura semplificata prevista dall’art. 666, comma 2, c.p.p. (espressamente richiamato nell’art. 35-bis, comma 1, che disciplina le forme giurisdizionali del reclamo previsto in materia di violazione dei diritti dei detenuti), che consente di evitare la fissazione dell’udienza camerale e il conseguente contraddittorio delle parti, è legittimo nelle sole ipotesi di manifesta infondatezza del reclamo per difetto delle condizioni di legge ovvero perché lo stesso costituisce mera riproposizione di una richiesta già rigettata, basata sui medesimi elementi; proprio perché prevede l’esonero dall’osservanza del principio, di rango costituzionale, del contraddittorio, la norma deve ritenersi di stretta interpretazione, e la sua applicazione deve essere circoscritta ai soli casi in cui la presa d’atto della mancanza delle condizioni di legge non implichi giudizi di merito o valutazioni discrezionali. La decisione assunta de plano in assenza dei presupposti di legge ha determinato, pertanto, una nullità di ordine generale di carattere assoluto, rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento ai sensi degli artt. 178 e 179 c.p.p., sotto il profilo della violazione del principio del contraddittorio processuale e dell’omesso avviso della fissazione dell’udienza all’interessato e al suo difensore, la cui presenza è obbligatoria nel procedimento giurisdizionale di reclamo, giusta il richiamo alle forme procedimentali dell’art. 678 (che rinvia a sua volta all’art. 666 comma 4) c.p.p., operato dall’art. 35-bis, comma 1 (Sez. 1, 55041/2017).

Spetta al giudice amministrativo, e non alla magistratura di sorveglianza, la giurisdizione sul reclamo del detenuto avverso il provvedimento dell’amministrazione penitenziaria che abbia rigettato la sua domanda di essere trasferito in un istituto ubicato nel territorio di residenza dei familiari. Nel caso di specie viene infatti in rilievo un interesse legittimo e non un diritto soggettivo (Tribunale di sorveglianza di Perugia, ordinanza 17-21 dicembre 2015).

In punto di giurisdizione si vedano anche le decisioni che seguono:

È indubitabile che il reclamo al magistrato di sorveglianza, a norma dell’art. 35, costituisce l’unico rimedio apprestato dall’ordinamento in vigore al condannato detenuto, che intenda far valere una violazione del proprio diritto di difesa, sotto specie del diritto ad avere colloqui con il proprio difensore, diritto che si assume illegittimamente negato dall’autorità amministrativa penitenziaria. Ora, poiché nell’ordinamento, secondo il principio di assolutezza, inviolabilità e universalità del diritto alla tutela giurisdizionale (artt. 24 e 113 Cost.), non v’è posizione giuridica tutelata di diritto sostanziale, senza che vi sia un giudice davanti al quale essa possa essere fatta valere, è inevitabile riconoscere carattere giurisdizionale al reclamo al magistrato di sorveglianza, che l’ordinamento appresta a tale scopo. L’unica alternativa sarebbe, in astratto, quella di ritenere la materia rimessa al giudice amministrativo in sede di giurisdizione generale di legittimità. Ma, nella specie, ciò che il reclamante lamenta non è il cattivo esercizio di un potere discrezionale dell’amministrazione penitenziaria, bensì il mancato riconoscimento – in forza della lacuna normativa denunciata – di un diritto fondamentale, com’è il diritto inviolabile alla difesa, sub specie di diritto al colloquio con il proprio difensore (Corte costituzionale, sentenza 212/1997).

Sono tutelabili avanti al magistrato di sorveglianza con lo strumento del reclamo giurisdizionale tutte le posizioni giuridiche soggettive dei detenuti e degli internati. Nella materia in esame, deve ritenersi superata la distinzione tra diritti e interessi legittimi; al magistrato di sorveglianza è attribuita in via esclusiva la giurisdizione su tutto quello che incide sulla sfera soggettiva del detenuto e che sia conseguenza dello svolgimento del trattamento penitenziario in senso lato; per cui il termine diritto usato dal legislatore non avrebbe funzione limitante né sarebbe stato usato in senso tecnico, ma si riferirebbe, invece, alla globalità delle situazioni giuridiche dei detenuti vantate nei confronti dell’Amministrazione preposta all’esercizio del potere punitivo. In questa prospettiva l’alternativa è tra posizioni giuridiche tutelate e tutelabili e le aspettative di mero fatto o tra provvedimenti che incidono su posizioni di diritto e provvedimenti che non attengono a posizioni di diritto (Sez. 1, 21704/2008).