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Cognizione appresa al di fuori del servizio - Codice di procedura penale della Repubblica Federale Tedesca

Außerdienstliches Wissen - Codice di procedura penale della Repubblica Federale Tedesca
Cognizione appresa al di fuori del servizio - Codice di procedura penale della Repubblica Federale Tedesca
Cognizione appresa al di fuori del servizio - Codice di procedura penale della Repubblica Federale Tedesca

Indice: 

1. Introduzione 

2. Normativa sopranazionale

a) Carta dei diritti fondamentali dell'UE

b) CEDU

3. L'außerdienstliche Kenntnisnahme non implica sempre l'obbligo di attivarsi

4. Strafverfolgungspflicht und Strafverfolgungsprivileg 

5. La violazione della Strafverfolgungspflicht e le conseguenze della stessa

 

1. Introduzione

Il PM, appena ha notizia - a seguito di denuncia o in altro modo - del sospetto (“vom Verdacht”) che sia stato commesso un reato, deve iniziare accertamenti ai fini della determinazione in ordine all’“Erhebung der öffentlichen Klage” (§ 160, comma 1, StPO).

Il § 152, comma 2, StPO, obbliga il PM, salva diversa disposizione di legge, ad attivarsi sempre, qualora sussistano “zureichende, tatsächliche Anhaltspunkte” (indizi sufficienti basati su fatti) concernenti la commissione di un reato procedibile d’ufficio.

Ai fini di quanto previsto dal § 160. comma 1, StPO, il PM compie tutti gli accertamenti, o personalmente, o affidando incarico ad appartenenti alle Forze di polizia, che sono obbligati a ottemperare alle richieste (e alle direttive) del PM e a compiere le attività a esse affidate (§ 161, comma 1, StPO).

Il principio di legalità, Legalitätsprinzip (§ 152, comma 2, StPO), implica “Verfolgungszwang”, obbligo di procedere contro chiunque è sospettato di aver commesso un reato (cio´ in attuazione del “Willkürverbot” (divieto di agire arbitrariamente)); inoltre, sussiste “Anklagezwang”, vale a dire, obbligo dell’“Erhebung der öffentlichen Klage” (ved. BGH 15, 155), che deve essere visto in correlazione all’“Anklagemonopol” spettante al PM. In tal modo si tende ad assicurare il principio di uguaglianza, sancito dall´art. 3, comma 1, GG (Costituzione federale). Da questo principio consegue che qualsiasi “Ungleichbehandlung” in sede d’interpretazione e di attuazione del diritto, non è lecita, salvo che non sussista un “sachlicher Grund” (BVerfGE – Corte costituzionale federale - 84, 197/199 e 101, 239/269). Ha sentenziato questa Corte: “Es ist den Gerichten verwehrt, bestehendes Recht zu Gunsten oder zu Lasten einzelner Personen nicht anzuwenden” (è vietato alla giurisdizione la non applicazione del diritto in favore a sfavore di singole persone).

 

2. Normativa sopranazionale

a) Carta dei diritti fondamentali dell´UE

I principi di uguaglianza e dello Stato di diritto, sono menzionati altresí nella I^ Parte del Preambolo della Carta dei diritti fondamentale dell´UE e il Capo VI° (artt. 47 e segg.) della Carta, detta norme specifiche in materia di giustizia. L’uguaglianza fa parte dei valori cardine, sui quali è fondata l’UE e rappresenta uno degli obiettivi fondamentali, che essa deve perseguire attraverso tutte le sue politiche. A differenza del sistema CEDU (incentrato su singole disposizioni), la disciplina dell´UE è strutturata in un articolato sistema di norme che sono contenute nella Carta dei diritti fondamentali, nei Trattati e in numerosi atti delle istituzioni, che, in larga parte, codificano principi elaborati dalla giurisprudenza della Corte di giustizia UE. L’ordinamento dell´UE conosce un principio generale di uguaglianza, che impone di non trattare situazioni analoghe in modo differenziato e situazioni diverse in maniera uguale, a meno che un tale trattamento non sia obiettivamente giustitficato (ved. p. es. Corte di giustizia dell´UE - Caballero - 12.12.2002 - C- 442/00). Si tratta di un principio generale, che è proprio del diritto dell´UE e che, inoltre, è un principio comune agli Stati membri. È un principio direttamente efficace, sia nei rapporti “verticali” dei singoli con le autorità statali, sia nelle relazioni “orizzontali” tra privati (ved. Corte UE, C-144/04 Mangold - 22.11.2005). Questo principio è ora espressamente garantito dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Ue, la quale, a seguito dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, ha lo stesso valore giuridico dei trattati. L’art. 20 della Carta statuisce, che tutte le persone sono uguali davanti alla legge e sancisce il carattere fondamentale del principio della parità di trattamento. L’espressa previsione del principio de quo, rappresenta un’evoluzione rispetto alla CEDU, in quanto, dal punto di vista formale, questa prevede soltanto un divieto (negativo) di discriminazione.

Principio di legalità e di uguaglianza dinanzi alla legge, sono presidi essenziali, affinché non si verifichi, quanto detto da uno dei protagonisti in un racconto a firma di A. Camilleri: “La liggi è sempre di la parte de’ nobili” e “La liggi segue sempre la strata che gli segnano i soldi”. Cosí ebbe a dire don Totò (che era “arrinischiuto” a scappare in America per evitare la fucilazione senza processo), tornato dagli Stati Uniti per sistemare una “facenna” riguardante sua nipote N’tontó e che - poi - egli stesso, ha trovato la morte (assieme a sua nipote).

b) CEDU

L’art. 14 CEDU sancisce il divieto di discriminazione, a meno che non sussista una giustificazione oggettiva e ragionevole. La giustificazione deve essere “sindacata” alla luce dei principi normalmente accolti nelle società liberal-democratiche. Essenziale è verificare, se le poste a confronto siano comparabili oppure meno. Occorre che ci siano sufficienti situazioni analoghe per ritenere che esse debbano essere oggetto di un trattamento omogeneo; se si tratta d’individui, deve essere verificato, se si trovano in situazioni analoghe (ved. Corte EDU G C – 23.11.1983 - Van der Mussele comma Belgio). Oltre all’oggettività e alla ragionevolezza - nella valutazione dell’esistenza di una discriminazione atta a tradursi in una violazione del principio di uguaglianza - deve essere esaminata pure la proporzionalità dei mezzi impiegati e la legittimità del fine perseguito. Il criterio della proporzionalità, quando si tratta di diritti della persona, deve essere valutato con particolare rigore.

Da quanto ora esposto, risulta che i principi di uguaglianza risp. di non discriminazione, pur essendo principi fondamentali, sono soggetti anche a eccezioni o comunque a restrizioni.

 

3. L’außerdienstliche Kenntnisnahme non implica sempre obbligo di attivarsi

Con riferimento alle norme della StPO sopra elencate, è da rilevare che al quesito, se PM e organi di polizia debbano attivarsi tutte le volte in cui abbiano notizia che integri il sospetto della commissione di un reato procedibile d’ufficio, non può essere data una risposta valevole in ogni caso.

Che cosa succede, dunque, se una delle persone di cui sopra, ha notizia di un “Verdacht einer Straftat”, non nell’esercizio delle proprie funzioni, ma “privatamente”?

Si parla in proposito di “außerdienstlicher Kenntnisnahme” o di “außerdienstlichem Wissen”.

La stretta e rigorosa osservanza del principio di legalità, sancito dall’articolo 152, comma 2, StPO, obbligherebbe PM e organi di polizia ad attivarsi, secondo le rispettive competenze e i rispettivi doveri, in tutti i casi, in cui vengono a conoscenza di uno “Straftatverdacht”.

Tuttavia, secondo il BGH (Corte suprema federale), l’ “außerdienstlich erlangte Wissen” obbliga il PM a procedere, se è venuto a conoscenza di una “notitia criminis” in modo diverso da una denuncia o querela di parte (“auf anderem Wege” - § 160, comma 1, StPO), a condizione che, tenuto conto della specie e della gravità del sospettato reato, la “Straftat berührt die Belange der Öffentlichkeit und der Gemeinschaft in besonderer Weise” (BGH 12, 277, 281); inoltre occorre, ai fini dell’ “Erforschungspflicht” del PM, la procedibilita´ d´ufficio o - altrimenti - la “rimozione” della causa d’improcedibilità (per esempio, la querela di parte); devono pure sussistere, almeno dopo i primi, sommari accertamenti, “zureichende, tatsächliche Anhaltspunkte” (§ 152, comma 2, StPO).

L’attenuazione dell’obbligo di procedere, è basata anche sulla considerazione, che, secondo una concezione moderna del “Berufsbeamtentum”, anche al PM (nonché agli organi di polizia) debba essere riconosciuta una “rechtlich geschützte Privatsphäre”. La tesi ora prospettata, tende a negare - nei casi sopra esposti - l’esistenza di una “generellen Pflicht zum Einschreiten” (un dovere generale di attivarsi). D’altra parte, è innegabile, che si debba pure tenere adeguatamente conto dell’importanza del principio di legalità che postula l’attuazione della pretesa punitiva dello Stato (“Durchsetzung des staatlichen Strafanspruchs”), la tutela della collettività e la garanzia di uguaglianza di tutti dinanzi alla legge.

Per questo motivo, giurisprudenza e dottrina dominanti, richiedono, nei casi di “Erlangung außerdienstlichen Wissens”, eine Abwägung im Einzelfall (ved. BGHSt  5, 225, 229 e 12, 277, 280 f - in dottrina: p. es., Fischer). È stato affermato - con particolare riferimento al PM - che è da valutare l’“Intensität der Verknüpfung mit der Privatsphäre des Staatsanwaltes”, la gravità del sospettato reato e il grado di pericolo che lo stesso rappresenta per la comunità nel caso in cui il PM si astenga dall’attivarsi. Da ciò risulta che l’Elinschreiten des Staatsanwaltes” (e la sua “Anklagepflicht bei privater Kenntniserlangung”), sussiste tutte le volte, in cui è configurabile un reato grave, che è “von besonderem Belang für die Öffentlichkeit” (ved. RGSt 70, 215 f), vale a dire, se si sospetta, per esempio, l’avvenuta commissione di un omicidio, di un’estorsione o di una rapina a mano armata.

Parte della dottrina (p. es. Cramer, Geppert) è orientata nel senso che “l’intervento” obbligatorio del PM (nel caso “außerdienstlicher Kenntniserlangung”), sussisterebbe qualora si sospetti la perpetrazione di uno dei reati previsti dal § 138 StGB (CP), di una c.d. Katalogtat (con obbligo di denuncia a carico di chi ne viene a conoscenza).

Il dovere di attivarsi, in questi casi, sussiste, non soltanto a carico del PM, ma incombe altresí agli organi di polizia, la cui attività è, pure, anzi, anche ovviamente, soggetta al principio di legalita´ (“…haben Straftaten zu erforschen…” - § 163, comma 1, StPO) e che hanno la “Strafverfolgungspflicht”.

 

4. Strafverfolgungspflicht und Strafverfolgungsprivileg

Se vi è un “Anfangsverdacht” (sospetto iniziale), è ravvisabile quindi non soltanto la “Legitimation zur Ermittlung”, ma pure il relativo dovere. Cio´, ai sensi del combinato disposto dei §§ 152, comma 2, e 163, comma 1, StPO. Scopo principale del Legalitätsprinzip è “vor staatlicher Willkür bei der Entscheidung zu schützen”; è un antidoto prezioso contro decisioni arbitrarie e favoreggianti, quando si tratta di indagare (PG) risp. di procedere (PM) o meno. Il “Legalitätsprinzip” deve essere visto in correlazione con un altro principio fondamentale in materia processual-penale, che è lo “Strafverfolgungsprivileg” (chiamato anche “Offizialprinzip”). In linea di massima (un’eccezione è costituita, per esempio, dalla “Privatklage”), è il solo PM a essere “berufen, die öffentliche Klage zu erheben”. D’altra parte, dato che al cittadino non è consentito, “seine Sache selbst in die Hand zu nehmen” (vale a dire, farsi giustizia da sé), deve essere assicurato che ogni reato, da chiunque commesso, “unterliegt der staatliche Verfolgung”. In via indiretta, la “Verfolgungspflicht” esplica pure effetti di prevenzione.

Come sopra già accennato, un “Ermittlungspflicht” (obbligo di indagare) sussiste soltanto qualora PM e PG vengano a conoscenza di “verdachtsbegründenden Tatsachen” (fatti, da cui risulta (almeno) un sospetto (di reato).

Parte della dottrina (Schöch, Meyer-Goßner) deduce l’“Anzeigepflicht”, in caso di “außerdienstlich erlangtem Wissen” (qualora si tratti di reati gravi), dalla cosiddetta beamtenrechtlichen Stellung (qualifica di pubblico dipendente) del PM e della PG, nonchè dalla - connessa - “Treuepflicht” (obbligo di fedeltà) di queste persone nei confronti dello Stato.

Secondo la Corte costituzionale federale, l’obbligo de quo, non è in contrasto con quanto dispone l’articolo 103, comma 1, della Costituzione federale (GG).

5. La violazione della Strafverfolgungspflicht e le conseguenze della stessa

Il legislatore della RFT ha inteso rafforzare gli obblighi/doveri di cui sopra si è parlato, nel senso che la violazione degli stessi non costituisce soltanto (grave) illecito disciplinare, ma è prevista quale reato dal § 258 a StGB (“Strafvereitelung im Amt”, detta anche “Verfolgungsvereitelung”).

Questa norma tende ad assicurare la tutela della “Rechtspflege” in sede di “Durchsetzung der gesetzmäßigen Strafen” (ved. BGHSt 45, 82 (84)) e a rafforzare il principio di legalità. È un “unechtes Amtsdelikt” nonché un reato di evento. Consiste nell’impedire che un’altra persona venga punita per un reato (cosiddetta Vortat) non ancora giudicato con sentenza passata in giudicato. La Vereitelung puo´ essere parziale o totale. Il soggetto attivo del reato p. e p. dal § 258 a StGB - che è un pubblico ufficiale “zur Mitwirkung am Strafverfahren (oder zur Vollstreckung der Strafe oder der Maßnahme) berufen” - è punibile tutte le volte, in cui ha “einen sachlichen Beitrag zur Sanktionsverhinderung geleistet”. La “Strafvereitelung im Amt” è configurabile anche con un comportamento omissivo (ved. BGH St 4, 167).  Ai sensi del comma 2 del citato paragrafo, è punibile pure il tentativo.

Soggetto attivo del reato de quo è, come già detto, il pubblico ufficiale (“Amtsträger”); se non è, “Amtsträger”, trova applicazione il § 258 StGB. Secondo il Bundesgerichtshof, a carico dei pp.uu. di cui sopra, è configurabile un “Offenbarungspflicht über außerdienstlich erlangtes Wissen”, quando si tratta di “schwere Vergehen oder Verbrechen, die die Rechtsgemeinschaft besonders berühren” (ved. BGHSt 38, 388 (391)).

In sostanza, a carico dei pp.uu. menzionati nel § 258 a StGB, è ravvisabile un “Anzeigepflicht, die gegenüber Privatleuten gesteigert ist” (BGHSt 43, 82, (84)).

La pena prevista dal § 258 a StGB, è quella detentiva da 6 mesi a 5 anni; “in minder schweren Fällen”, la reclusione fino a tre anni, oppure, alternativamente, la sola pena pecuniaria (“Geldstrafe”- multa).

Per quanto concerne le sanzioni disciplinari a carico di appartenenti alle Forze di polizia a seguito di condanna per il reato de quo, vi è un orientamento, che non puo´ non definirsi molto severo, posto che “es ist grundsätzlich von der Höchstmaßnahme als Richtschnur für die Bemessung der angemessenen Disziplinarmaßnahme auszugehen” (cosí per esempio VG Wiesbaden, sentenza dd. 24.8.11, 28 K 157/10 e VGH München, sent. dd. 4.5. 12, 16 a D, 10.590), vale a dire, che si reputa adeguata - in linea di massima - “partire” dalla sanzione disciplinare più grave.