Conclusioni Avvocato Generale: condizioni per la notorietà del marchio nella Comunità
presentate il 30 aprile 2009 1(1)
Causa C‑301/07
PAGO International GmbH
contro
Tirolmich Genossenschaft mbH
[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall’Oberster Gerichtshof (Austria)]
1. L’art. 9, n. 1, lett. c), del regolamento (CE) del Consiglio n. 40/94 (in prosieguo: il «regolamento») (2) consente al titolare di un marchio comunitario che gode di «notorietà nella Comunità» di vietare l’uso di taluni segni, identici o simili a quel marchio, per prodotti o servizi che non sono simili a quelli per i quali questo è stato registrato. Nella fattispecie, l’Oberster Gerichtshof (Corte suprema austriaca) domanda, in primo luogo, se un marchio comunitario goda di «notorietà nella Comunità» qualora esso sia noto solo in uno Stato membro. In secondo luogo, in caso di risposta negativa al suddetto quesito, il giudice del rinvio si chiede se un marchio comunitario che goda di «notorietà» solo in uno Stato membro sia tutelato nel medesimo Stato membro ai sensi dell’art. 9, n. 1, lett. c), del regolamento, per cui possa essere emesso un provvedimento di divieto di contraffazione limitato a tale Stato membro.
Normativa comunitaria pertinente
2. Il regolamento e la prima direttiva del Consiglio 89/104/CEE (in prosieguo: la «direttiva») (3) sono stati concepiti come misure volte ad eliminare gli ostacoli alla libera circolazione dei prodotti e alla libera prestazione dei servizi, nonché alla concorrenza nel mercato interno (4). Le suddette misure introducono regimi complementari e non concorrenti (5). La Corte ha pertanto voluto interpretare alla stessa maniera le disposizioni parallele del regolamento e della direttiva (6).
Il regolamento
3. L’art. 1 del regolamento introduce il concetto di marchio comunitario. L’art. 1, n. 2, così recita: «Il marchio comunitario ha carattere unitario. Esso produce gli stessi effetti in tutta la Comunità (…) e il suo uso può essere vietato soltanto per la totalità della Comunità».
4. L’art. 9, n. 1, prevede quanto segue:
«Il marchio comunitario conferisce al suo titolare un diritto esclusivo. Il titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare in commercio:
a) un segno identico al marchio comunitario per prodotti o servizi identici a quelli per cui esso è stato registrato;
b) un segno che a motivo della sua identità o somiglianza col marchio comunitario e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi contraddistinti dal marchio comunitario e dal segno, possa dare adito a un rischio di confusione per il pubblico; il rischio di confusione comprende il rischio di associazione tra il segno e il marchio;
c) un segno identico o simile al marchio comunitario per prodotti o servizi che non sono simili a quelli per i quali questo è stato registrato, se il marchio comunitario gode di notorietà nella Comunità e se l’uso del segno senza giusto motivo consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio comunitario o reca pregiudizio agli stessi».
La direttiva
5. La direttiva mira al ravvicinamento delle «disposizioni nazionali che hanno un’incidenza più diretta sul funzionamento del mercato interno» (7).
6. L’art. 5, n. 2, della direttiva, che riprende l’art. 9, n. 1, lett. c), del regolamento, stabilisce che:
«Uno Stato membro può inoltre prevedere che il titolare abbia il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio un segno identico o simile al marchio di impresa per i prodotti o servizi che non sono simili [(8)]a quelli per cui esso è stato registrato, se il marchio di impresa gode di notorietà nello Stato membro e se l’uso immotivato del segno consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio di impresa o reca pregiudizio agli stessi».
Fatti e procedimento principale
7. La PAGO International GmbH (in prosieguo: la «Pago») è titolare di un marchio comunitario avente ad oggetto, fra l’altro, bevande a base di frutta e succhi di frutta. Elementi essenziali del marchio della Pago sono la raffigurazione di una bottiglia di vetro verde (che la Pago utilizza da anni per la distribuzione) con la caratteristica etichetta e coperchio accanto a un bicchiere colmo di succo di frutta identificato a grosse lettere e noto come «PAGO».
8. La Tirolmilch registrierte Genossenschaft mbH (in prosieguo: la «Tirolmilch») vende in Austria una bevanda di siero di latte alla frutta denominata «Lattella», confezionata in bottiglie di vetro la cui raffigurazione somiglia sotto diversi profili (forma, colore, etichetta, coperchio) a quella raffigurata nel marchio comunitario della Pago. Nella pubblicità della propria bevanda, la Tirolmilch utilizza un’immagine che, come il marchio comunitario della Pago, mostra una bottiglia accanto ad un bicchiere colmo.
9. È pacifico che non sussiste rischio di confusione poiché le etichette applicate sulle bottiglie utilizzate dalla Pago e dalla Tirolmilch sono rispettivamente provviste delle denominazioni «Pago» e «Lattella», entrambe ben note in Austria. Dal riepilogo dei fatti di cui alla decisione di rinvio emerge che le parti nella causa principale hanno agito sulla base del fatto che le condizioni previste dall’art. 9, n. 1, lett. c), sono state soddisfatte in quanto, in primo luogo, il segno controverso è simile o identico a quello per cui la Pago è titolare del marchio comunitario e, in secondo luogo, la bevanda venduta dalla Tirolmilch non è considerata simile a quella commercializzata dalla Pago.
10. La Pago ha chiesto all’Handelsgericht Wien (Tribunale commerciale di Vienna) un provvedimento d’urgenza che vietasse alla Tirolmilch di contraffare il proprio marchio (i) pubblicizzando, offrendo, immettendo in commercio o utilizzando in altro modo la propria bevanda nelle bottiglie controverse, nonché (ii) pubblicizzando la stessa mediante un’immagine delle bottiglie unitamente ad un bicchiere colmo di succo di frutta. Il suddetto giudice ha accolto la domanda di provvedimento d’urgenza, ma la sua decisione è stata riformata dal Landesgericht Wien (Tribunale di Vienna). La Pago ha interposto appello all’Oberster Gerichtshof.
11. L’Oberster Gerichtshof è dell’avviso che la questione se vi sia stata contraffazione del marchio comunitario della Pago debba essere analizzata unicamente ai sensi del regolamento. Tuttavia, poiché il marchio della Pago è ampiamente conosciuto in Austria ma non necessariamente in altri Stati membri, l’Oberster Gerichtshof ritiene di dover chiedere chiarimenti sull’interpretazione della frase «[gode] di notorietà nella Comunità» di cui all’art. 9, n. 1, lett. c), del regolamento. Conseguentemente, il giudice del rinvio ha posto le seguenti questioni pregiudiziali:
«1. Se un marchio comunitario è protetto in tutta la Comunità in quanto “marchio notoriamente conosciuto” ai sensi dell’art. 9, n. 1, lett. c), del regolamento qualora esso sia “notoriamente conosciuto” solo in uno Stato membro
2. In caso di risposta negativa al quesito sub 1), se un marchio “notoriamente conosciuto” solo in uno Stato membro sia protetto nel medesimo Stato membro ai sensi dell’art. 9, n. 1, lett. c), del regolamento per cui possa essere emesso un divieto limitato solo a tale Stato membro».
12. Hanno presentato osservazioni scritte la Pago, la Tirolmilch e la Commissione, tutte rappresentate in udienza.
La prima questione
Osservazioni preliminari
13. La prima questione è posta in maniera tale da suggerire che la risposta debba essere «sì» o «no», il che comporta che qualunque soluzione sarà ugualmente applicabile in tutti i casi in cui il marchio controverso goda di notorietà solo in uno Stato membro. A mio avviso, occorre adottare un approccio più flessibile.
14. La Pago sostiene che alla prima questione pregiudiziale debba fornirsi una risposta affermativa. La Tirolmilch afferma, invece, che la risposta debba essere negativa. La Commissione adotta un approccio più sfumato, ma conclude che, in casi eccezionali, un marchio che goda di notorietà in un solo Stato membro potrebbe ricadere nell’ambito di applicazione dell’art. 9, n. 1, lett. c).
15. Le tre parti concordano sul fatto che l’analisi debba partire dalla sentenza General Motors (9).
Sentenza General Motors
16. Nella sentenza General Motors la Corte ha fornito l’interpretazione dell’art. 5, n. 2, della direttiva (la disposizione parallela all’art. 9, n. 1, lett. c), del regolamento). In detta causa si discuteva se un marchio godesse di «notorietà in [uno] Stato membro» ove lo «Stato membro» in questione corrispondeva ai tre paesi del Benelux, che ai fini dei marchi sono considerati un unico territorio.
17. L’art. 5, n. 2, della direttiva e l’art. 9, n. 1, lett. c), del regolamento contemplano due aspetti della «condizione di notorietà» che devono essere entrambi soddisfatti affinché un marchio possa beneficiare di tutela. In primo luogo, il marchio deve godere di notorietà (10). In secondo luogo, siffatta notorietà deve sussistere all’interno di un’area geografica specifica (11). Nella sentenza General Motors la Corte ha analizzato le suddette condizioni come segue. In primo luogo, il pubblico per il quale il marchio d’impresa anteriore deve aver acquisito una notorietà può essere il grande pubblico ovvero un pubblico più specializzato (12). In secondo luogo, la legislazione non consente di richiedere che il marchio d’impresa sia conosciuto da una determinata percentuale del pubblico (13). In terzo luogo, il marchio di cui è richiesta la tutela dev’essere conosciuto da una parte significativa del pubblico interessato ai prodotti o ai servizi contraddistinti da detto marchio (14). Infine, il giudice nazionale deve prendere in considerazione tutti gli elementi rilevanti della causa, cioè, in particolare, la quota di mercato coperta dal marchio, l’intensità, l’ambito geografico e la durata del suo uso, nonché l’entità degli investimenti realizzati dal titolare per promuoverlo (15).
18. La Corte ha stabilito che per beneficiare di una tutela ampliata a prodotti o servizi non simili, un marchio deve essere conosciuto da una parte significativa del pubblico interessato ai prodotti o ai servizi da esso contraddistinti e che, riguardo a un marchio del Benelux, era sufficiente che tale notorietà sussistesse in una parte sostanziale di tale territorio, che poteva corrispondere, eventualmente, ad una parte di uno degli Stati del Benelux (16).
Applicazione della sentenza General Motors per analogia
19. Come ho rilevato, gli artt. 5, n. 2, della direttiva e 9, n. 1, lett. c), del regolamento sono disposizioni parallele e la Corte fornisce di norma la stessa interpretazione di disposizioni parallele dei suddetti atti normativi (17). Concordo pertanto con tutte le parti in causa sul fatto che la sentenza General Motors possa essere applicata per analogia. Ne consegue che non occorre che il titolare di un marchio dimostri che il proprio marchio gode di notorietà in tutta la Comunità per sancire la tutela concessa dall’art. 9, n. 1, lett. c), del regolamento: è sufficiente una «parte sostanziale» del territorio. Ci si chiede, tuttavia, se uno Stato membro sia una «parte sostanziale» e se questo sia in effetti il giusto modo di affrontare la questione.
Argomenti delle parti
20. La Pago sostiene che si debba applicare la sentenza General Motors e che il proprio marchio non debba essere conosciuto in tutto il territorio comunitario. È stato constatato, di fatto, nella causa principale che il marchio controverso gode di notorietà in tutta l’Austria. Nulla impedisce di considerare l’Austria una parte sostanziale della Comunità. La Pago fa valere che, conseguentemente, il proprio marchio merita la tutela ai sensi dell’art. 9, n. 1, lett. c). La Pago cerca altresì sostegno nel regime instaurato dalla normativa e introduce una tesi basata sull’interpretazione dell’art. 50, n. 1, lett. a), del regolamento, in cui altresì figura l’espressione «nella Comunità». Suggerisco di trattare quest’ultimo argomento dopo aver preso in esame le implicazioni della sentenza General Motors (18).
21. La Tirolmilch concorda sull’applicazione per analogia della sentenza General Motors; tuttavia, essa osserva che la prima questione è strutturata in maniera da non distinguere tra i vari Stati membri quando, invece, essi differiscono enormemente tra loro in termini di dimensioni e popolazione. La soluzione affermativa alla prima questione significherebbe che un marchio comunitario che goda di notorietà solo a Malta, che rappresenta lo 0,08% della popolazione dell’UE e lo 0,04% della relativa economia, sarebbe tutelato nell’intero territorio comunitario in quanto marchio conosciuto. La Tirolmilch fa valere che è necessario stabilire se il territorio controverso costituisca una parte sostanziale, come chiarito dalla Corte nella sentenza General Motors. Ai fini dell’art. 9, n. 1, lett. c), i confini degli Stati membri sono irrilevanti. La questione decisiva è se il territorio in cui il marchio gode di notorietà sia significativo sotto il profilo economico per la Comunità nel suo complesso, il che giustificherebbe la tutela nell’intera Comunità sulla base della notorietà in quel dato territorio. Il territorio di un solo Stato membro potrebbe dunque bastare se (da un punto di vista economico) si trattasse di uno Stato membro di dimensioni sufficientemente grandi, come la Germania, ma non se fosse uno degli Stati membri più piccoli.
22. La Commissione, applicando anch’essa la sentenza General Motors, sostiene che un marchio comunitario gode di «notorietà nella Comunità» ai sensi dell’art. 9, n. 1, lett. c), qualora esso sia conosciuto da una percentuale significativa del pubblico destinatario all’interno del territorio comunitario quale potenziale acquirente dei prodotti e dei servizi da esso contraddistinti. Nell’esaminare se un marchio goda di «notorietà», occorre procedere alla distinzione tra la determinazione del pubblico rilevante e quella del grado di notorietà richiesto.
23. La Commissione ritiene che l’art. 9, n. 1, lett. c), accordi tutela laddove il marchio sia conosciuto da una percentuale significativa del pubblico pertinente, il quale dev’essere identificato all’interno del territorio comunitario a prescindere dai confini nazionali, senza riferirsi al pubblico di un solo Stato membro.
24. Ad avviso della Commissione, la notorietà «nella Comunità» non presuppone che il marchio sia conosciuto in tutti gli Stati membri. In alcuni casi eccezionali, la notorietà in un solo Stato membro sarebbe sufficiente se il pubblico pertinente si trovasse solo in quello Stato.
25. In questa maniera la Commissione collega i concetti di pubblico pertinente e di territorio pertinente.
Analisi
26. Non reputo che gli argomenti delle parti nella causa principale siano di grande aiuto nell’esame della prima questione. L’argomento della Pago secondo cui il suo marchio è notoriamente conosciuto in Austria, sebbene ammesso dal giudice del rinvio, non serve a chiarire la questione. Non spiega, infatti, in che modo si accerti cosa costituisca una parte sostanziale della Comunità in generale, né perché l’Austria, in particolare, dovrebbe essere considerata una parte sostanziale della Comunità. Poiché la Tirolmilch sostiene l’irrilevanza dei confini nazionali, la sua analisi successiva (fondata proprio su detti confini) mi sembra un controsenso. Essa conduce, altresì, alla assai delicata questione di stabilire quali siano gli Stati membri sufficientemente importanti da essere considerati una parte «sostanziale».
27. In linea generale, ritengo che l’analisi della Commissione costituisca un utile punto di partenza.
28. Lo scopo dell’art. 9, n. 1, lett. c), è quello di consentire al titolare del marchio comunitario di tutelare i diritti esclusivi conferiti in virtù di esso contro terzi, a condizione che egli riesca a dimostrare che il proprio marchio comunitario gode di notorietà nella Comunità e che sono rispettati gli altri presupposti contenuti nel medesimo articolo.
29. Il regolamento si basa sulla premessa che il marchio comunitario abbia carattere unitario (19). Invero, il marchio comunitario è stato creato per mettere a disposizione delle imprese «marchi che consentano ad esse di contraddistinguere i rispettivi prodotti o servizi in modo identico in tutta la Comunità, superando le barriere nazionali» (20). Alla luce di tali circostanze, ritengo che sia fondamentalmente errato l’approccio concentrato sui confini di Stato quando si vuole dimostrare la portata della notorietà del marchio comunitario. Al contrario, il punto di partenza dev’essere quello di considerare il territorio della Comunità, superando le barriere nazionali, come un unico insieme indivisibile. Come corollario, è irrilevante che vi sia notorietà in uno Stato membro o in un determinato numero di Stati membri ed è altresì irrilevante che tali Stati membri siano di dimensioni «grandi», «medie» o «piccole» (qualunque sia il fondamento della definizione di detti termini).
Applicazione della sentenza General Motors
30. Occorre dapprima dimostrare la «notorietà» del marchio e, per fare ciò, il giudice nazionale deve identificare il pubblico interessato al marchio nel contesto del territorio comunitario inteso nel suo insieme, a prescindere dai confini degli Stati membri. Dopo aver identificato il pubblico pertinente (21), il giudice nazionale deve accertare se sussiste notorietà tra una percentuale significativa del pubblico interessato ai prodotti o ai servizi contraddistinti dal marchio.
31. Il giudice nazionale deve dunque accertare se il marchio goda di notorietà «nella Comunità». Egli dovrebbe innanzi tutto ammettere che il titolare del marchio non deve dimostrare che quest’ultimo gode di notorietà su tutto il territorio comunitario. È sufficiente, ai fini dell’applicazione dell’art. 9, n. 1, lett. c), che sussista notorietà in una «parte sostanziale» della Comunità. (22) La sentenza General Motors non fornisce altre delucidazioni su come dev’essere interpretata la «parte sostanziale» del territorio pertinente.
32. La giurisprudenza della Corte indica, tuttavia, cosa non è «parte sostanziale». Nella sentenza Nieto Nuño (23) è stato dimostrato, riguardo alla nozione affine di marchio «notoriamente conosciuto» ai sensi dell’art. 4, n. 2, lett. d), della direttiva, che la città di Tarragona e dintorni, in Spagna, non costituisce una parte sostanziale di tale Stato membro. Applicando lo stesso ragionamento, per analogia, al concetto di «parte sostanziale della Comunità», ne consegue che se la «parte», considerata oggettivamente in termini di dimensioni e importanza economica, è assai modesta rispetto alla Comunità intesa nel suo insieme e se il pubblico pertinente risulta essere più diffuso in tutta la Comunità (24), quella non può essere ritenuta una «parte sostanziale» della Comunità. Tale conclusione deriva dal significato comune del termine «sostanziale» e dal buon senso.
33. Gli scenari ipotizzabili sono molteplici e di varia natura. Da un lato, un marchio che contraddistingue un prodotto generico venduto al grande pubblico e che godeva di una notorietà significativa fra detto pubblico dovrebbe essere conosciuto in un’ampia area geografica all’interno della Comunità prima di poter affermare che esso gode di «notorietà nella Comunità». Dall’altro lato estremo, un marchio di un prodotto particolare venduto a un pubblico locale specializzato dovrebbe essere conosciuto in un’area molto più piccola. Un prodotto venduto a un pubblico di professionisti potrebbe, a ragion veduta, riguardare un’ampia area (a seconda del numero di professionisti) ma, in termini assoluti, sarebbe probabilmente conosciuto da un numero inferiore di persone rispetto a un prodotto destinato al grande pubblico.
34. Così come il concetto di pubblico pertinente, l’aspetto territoriale della «notorietà» non può essere definito con riferimento a una cifra astratta o a un numero specifico di Stati membri. Il giudice nazionale dovrà valutare una serie di fattori per determinare se un marchio particolare gode di notorietà in una parte sostanziale della Comunità. Tali fattori saranno, ma non solo, l’importanza economica del territorio all’interno della Comunità, l’ambito geografico dell’area in cui il marchio gode di notorietà e le caratteristiche demografiche del pubblico interessato.
35. Per determinare se un marchio anteriore goda di notorietà in una parte sostanziale della Comunità ai fini dell’art. 9, n. 1, lett. c), del regolamento, il giudice nazionale deve pertanto effettuare un’analisi complessiva del caso unitamente all’identificazione del pubblico presso il quale tale marchio anteriore è conosciuto. Tale verifica dev’essere necessariamente flessibile.
36. Infine, occorre analizzare in breve l’argomento della Pago riguardante la struttura del regolamento. La Pago si riferisce al fatto che l’espressione «nella Comunità» figura altresì all’art. 50, n. 1, lett. a), del regolamento (25). La Pago sostiene che, secondo giurisprudenza costante, detto uso del marchio in un solo Stato membro basti unicamente ai fini dell’art. 50, n. 1, lett. a). La Pago deduce che se l’uso in un solo Stato membro è sufficiente a tutelare i diritti connessi a un marchio comunitario, la notorietà in uno Stato membro dovrebbe, per analogia, bastare a sancire la tutela ai sensi dell’art. 9, n. 1, lett. c).
37. Tale argomento non mi convince.
38. In primo luogo, l’unica «giurisprudenza costante» citata dalla Pago è la decisione della prima commissione di ricorso dell’Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (in prosieguo: l’«UAMI») nel procedimento Reno Schuhcentrum/Payless ShoeSource Worldwide (26), che riguarda le circostanze in cui l’apposizione di un marchio su prodotti destinati all’esportazione costituisce «uso nella Comunità». Il suddetto procedimento, che ha valore di mero punto di riferimento per la Corte, si colloca pertanto su un profilo assai diverso. In esso non si afferma che l’uso in uno Stato membro è sufficiente, bensì, semplicemente, che tale uso non è necessario perché il marchio sia usato «ovunque nella Comunità». La decisione è inoltre stata impugnata dinanzi al Tribunale di primo grado (27).
39. In secondo luogo, l’art. 50 prevede le cause di decadenza di un marchio che ha fino allora goduto di tutela. L’art. 9 stabilisce quali diritti sono conferiti dal marchio comunitario e a quali condizioni. L’oggetto delle due disposizioni è assai diverso e non posso accettare che un (debole) argomento fondato sull’art. 50, n. 1, lett. a), contribuisca a determinare la corretta interpretazione dell’art. 9, n. 1, lett. c).
40. Riepilogando: non è possibile stabilire se un marchio comunitario goda di notorietà nella Comunità basandosi sul fatto che esso goda, o meno, di notorietà in un solo Stato membro. Dal carattere unitario del marchio comunitario discende che il territorio della Comunità dovrebbe essere considerato nel suo complesso. La sentenza General Motors va applicata per analogia per stabilire quale sia una parte sostanziale della Comunità. Ciò va accertato in ogni caso specifico tenendo conto del pubblico interessato ai prodotti o ai servizi contraddistinti dal marchio e dell’importanza dell’area in cui sussiste la notorietà, come identificata da fattori quali l’ambito geografico, la popolazione e l’importanza economica nel territorio comunitario inteso nel suo complesso.
41. Propongo pertanto che la prima questione sollevata debba essere risolta come segue: un marchio comunitario è tutelato nell’intera Comunità per il fatto che gode di «notorietà nella Comunità» ai sensi dell’art. 9, n. 1, lett. c), del regolamento (CE) del Consiglio n. 40/94 sul marchio comunitario se esso gode di notorietà in una parte sostanziale della Comunità. Ciò che, a tal fine, costituisce una parte sostanziale della Comunità non dipende dai confini nazionali, ma dev’essere accertato con una valutazione di tutte le circostanze pertinenti del caso, tenendo conto, in particolare, (i) del pubblico interessato ai prodotti o ai servizi contraddistinti dal marchio e della percentuale di quel dato pubblico che conosce il marchio e (ii) dell’importanza dell’area in cui sussiste la notorietà, come definita in base a fattori quali il suo ambito geografico, la popolazione e l’importanza economica.
La seconda questione
42. Con la seconda questione, il giudice del rinvio chiede, sostanzialmente, se nell’ambito dell’art. 9, n. 1, lett. c), del regolamento un marchio comunitario che gode di notorietà solo in uno Stato membro, qualora non sia tutelato in tutta la Comunità, sia comunque tutelato in quello Stato membro cosicché possa essere emesso un provvedimento di divieto di contraffazione limitato a tale Stato membro.
43. Dalla soluzione che propongo per la prima questione deriva implicitamente che un marchio che gode di notorietà solo in uno Stato membro non è riconosciuto come marchio che gode di «notorietà nella Comunità» ai sensi dell’art. 9, n. 1, lett. c). Poiché la sussistenza del requisito di «notorietà nella Comunità» costituisce il presupposto specifico per sancire l’applicazione dell’art. 9, n. 1, lett. c), del regolamento, si può ritenere che la soluzione della seconda questione sia ovvia. Se non ricorre tale presupposto, non sorge alcun diritto di tutela. La soluzione della seconda questione diventa quindi (automaticamente) che il giudice nazionale non dovrebbe concedere un rimedio per applicare un diritto legale che non esiste.
44. Mi pare che la seconda questione debba quindi intendersi nel senso che si chiede se un marchio comunitario che gode di notorietà in un’area che non è una parte sostanziale della Comunità ai fini dell’art. 9, n. 1, lett. c), sia comunque tutelato in quell’area (che potrebbe coincidere con il territorio di uno o più Stati membri), cosicché possa essere emesso un provvedimento di divieto di contraffazione limitato a tale area.
45. La Pago deduce che, se tale tutela limitata non esistesse, il marchio comunitario non costituirebbe un’alternativa realistica al marchio nazionale – il che sarebbe un risultato non conforme all’obiettivo perseguito dal legislatore comunitario nell’introdurre il marchio comunitario – in quanto il titolare di un marchio comunitario che gode di notorietà solo in uno Stato membro non sarebbe in grado di tutelare il proprio marchio anche all’interno di quello Stato membro senza essere titolare anche di un marchio nazionale. Inoltre, la Pago sostiene che la contraffazione dei marchi nei modi previsti dall’art. 9, n. 1, lett. c), del regolamento – segnatamente traendo indebitamente vantaggio da o arrecando pregiudizio al carattere distintivo del marchio comunitario, che è un tipo di concorrenza sleale – raramente si verifica a livello comunitario. È dunque importante, per il titolare del marchio, riuscire ad ottenere un rimedio circoscritto allo Stato membro in cui la contraffazione è temuta ovvero si è già verificata.
46. Respingo tali argomenti.
47. In primo luogo, è vero che il marchio comunitario e quello nazionale hanno un fine analogo (28), in quanto l’obiettivo degli artt. 9, n. 1, lett. c), del regolamento e 5, n. 2, della direttiva (la disposizione parallela) è quello di fornire tutela contro il pregiudizio arrecato alla notorietà di un marchio. Tuttavia, essi raggiungono l’obiettivo per vie diverse (29) e operano in ambiti differenti.
48. Nel caso in cui un marchio nazionale goda di «notorietà nello Stato membro», il titolare può ottenere la tutela ai sensi dell’art. 5, n. 2, della direttiva, che si estende a tutto il territorio dello Stato membro (v. sentenza General Motors). Qualora un marchio comunitario goda di «notorietà nella Comunità», la natura unitaria di quest’ultimo (30) significa che esso è parimenti tutelato in tutto il territorio comunitario (e non solo nella parte sostanziale del territorio comunitario che ha costituito il fondamento per decidere che il marchio controverso fosse effettivamente un marchio dotato di «notorietà nella Comunità» ai fini dell’art. 9, n. 1, lett. c), del regolamento (31)).
49. Mi sembra che ciò sia proprio in ragione del fatto che la tutela concessa a un marchio comunitario è così estesa che le condizioni stabilite dal regolamento devono essere interamente rispettate prima di sancirla. Esiste un nesso chiaro tra il requisito di dimostrare l’esistenza della notorietà del marchio in una parte sostanziale della Comunità e il motivo per concedere la tutela estesa a tutta la Comunità.
50. In secondo luogo, se un’impresa intende registrare un marchio per l’uso (progressivo) in più di uno Stato membro, pare ragionevole supporre che essa tenderà a presentare domanda per la registrazione di un marchio comunitario invece di presentare più domande di registrazione di marchi in Stati membri differenti, a meno che vi sia un motivo specifico per cui si debba procedere altrimenti. Riconosco che, se tale marchio gode di notorietà in (una parte sostanziale di) uno Stato membro ma non in una parte sostanziale della Comunità, sarà necessaria la registrazione di marchio nazionale in quello Stato membro perché la notorietà del marchio sia tutelata all’interno di detto Stato (32), in quanto la suddetta tutela non sarà ottenibile dal marchio comunitario ai sensi dell’art. 9, n. 1, lett. c), del regolamento (33). Ciò corrisponde al concetto secondo cui il marchio comunitario e i marchi nazionali operano a livelli diversi ma in parallelo.
51. L’ultimo argomento della Pago può essere esaminato molto brevemente. La gravità della contraffazione può influire sul modo in cui il titolare domanda riparazione, ma questa è una questione di natura processuale, e non sostanziale, ed è irrilevante rispetto alla questione se la tutela è concessa, innanzi tutto, ai sensi dell’art. 9, n. 1, lett. c).
52. Conseguentemente, propongo che la seconda questione sollevata debba essere risolta nel senso che un marchio comunitario che goda di notorietà in un’area che non sia una parte sostanziale della Comunità non beneficia della tutela limitata a quell’area ai sensi dell’art. 9, n. 1, lett. c), del regolamento 40/94. Pertanto, non può essere emesso un provvedimento di divieto di contraffazione limitato a quell’area.
Postscriptum: interpretazione alternativa della seconda questione
53. Data l’importanza attribuita nella seconda questione alla possibilità di emettere un provvedimento di divieto di contraffazione limitato a un solo Stato membro, è possibile che il giudice nazionale si chieda in effetti se, qualora si ritenga che un marchio benefici della tutela di cui all’art. 9, n. 1, lett. c), del regolamento, un giudice nazionale possa emettere un provvedimento di divieto di contraffazione di un dato marchio limitatamente a un solo Stato membro. Sebbene, come ho evidenziato nell’analisi della prima questione, un marchio che gode di «notorietà nella Comunità» sia di norma notoriamente conosciuto dal pubblico pertinente in un’area che non coincide con, e generalmente si estende oltre, i confini di un solo Stato membro, il titolare del marchio può rischiare di vedere il proprio marchio contraffatto principalmente – e forse esclusivamente – in un particolare Stato membro. Ciò è quanto sembra verificarsi proprio nel caso di specie.
54. In considerazione dell’interpretazione che ho dato della soluzione alla prima questione posta, la seconda questione (come riformulata) è forse puramente teorica. Tuttavia, nel caso in cui la Corte (o il giudice del rinvio qualora la questione gli venisse rinviata) decidesse che la tutela di cui all’art. 9, n. 1, lett. c), del regolamento è sancita, la questione riformulata potrebbe ragionevolmente essere pertinente. Spiegherò dunque in breve come la risolverei.
55. Il Titolo X del regolamento prevede norme dettagliate sulla competenza e la procedura concernenti le azioni giudiziarie relative ai marchi comunitari. Esse sono state ideate prevedendone chiaramente un’applicazione combinata con altre pertinenti norme comunitarie sulla competenza e l’esecuzione di decisioni (34). Conformemente alla natura unitaria del marchio comunitario, viene disposto che i tribunali dei marchi comunitari in ogni Stato membro (35), se aditi ai sensi delle norme sulla competenza di cui all’art. 93, nn. 1-4, sono competenti per gli atti di contraffazione commessi, o che si minaccia di commettere, nel territorio di qualsiasi Stato membro (36). Ciò si spiega in quanto un tribunale dei marchi comunitari in tal modo adito potrebbe dover agire extraterritorialmente per garantire la tutela effettiva al titolare del marchio (37).
56. Ciò detto, il regolamento prevede con altrettanta chiarezza la possibilità che il titolare del marchio intenda adire il tribunale dello specifico Stato membro in cui l’atto di contraffazione è stato commesso o minaccia di essere commesso (38) e, in questo caso, la competenza di tale tribunale è espressamente limitata agli «atti commessi o minacciati nel territorio dello Stato membro in cui è situato» (39).
57. È infrequente, quand’anche fosse opportuno, che un tribunale emetta un provvedimento in termini più ampi di quanto necessario. Qualora la contraffazione del marchio sia circoscritta a un solo Stato membro (l’Austria, nel caso di specie), basterà, di norma, che il provvedimento che vieta tale contraffazione sia anch’esso limitato a quel solo Stato membro. Non vedo nulla nel regolamento che potrebbe impedire l’emissione da parte di un giudice competente di un provvedimento in tal modo limitato.
58. Ribadisco, tuttavia, che l’analisi che ho appena condotto vale solo se la tutela prevista dal Regolamento è effettivamente sancita.
Conclusione
59. Propongo, pertanto, che le questioni sollevate dall’Oberster Gerichtshof, Austria, siano risolte nei termini seguenti:
1) Un marchio comunitario è tutelato nell’intera Comunità per il fatto che gode di «notorietà nella Comunità» ai sensi dell’art. 9, n. 1, lett. c), del regolamento (CE) del Consiglio 20 dicembre 1993, n. 40/94 sul marchio comunitario se esso gode di notorietà in una parte sostanziale della Comunità. Ciò che, a tal fine, costituisce una parte sostanziale della Comunità non dipende dai confini nazionali, ma dev’essere accertato con una valutazione di tutte le circostanze pertinenti del caso, tenendo conto, in particolare, (i) del pubblico interessato ai prodotti o ai servizi contraddistinti dal marchio e della percentuale di quel dato pubblico che conosce il marchio e (ii) dell’importanza dell’area in cui sussiste la notorietà, come definita in base a fattori quali il suo ambito geografico, la popolazione e l’importanza economica.
2) Un marchio comunitario che goda di notorietà in un’area che non sia una parte sostanziale della Comunità non beneficia della tutela limitata a quell’area ai sensi dell’art. 9, n. 1, lett. c), del regolamento 40/94. Pertanto, non può essere emesso un provvedimento di divieto di contraffazione limitato a quell’area.
2 – Regolamento 20 dicembre 1993 sul marchio comunitario (GU 1994, L 11, pag. 1).
3 – Direttiva 21 dicembre 1988 sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU 1989, L 40, pag. 1), di recente sostituita (sebbene non abbia subito modifiche sostanziali) dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 22 ottobre 2008, 2008/95/CE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (versione codificata) (GU L 299, pag. 25).
4 – V. i primi ‘considerando’ di ciascuna misura.
5 – V. proposta di regolamento del Consiglio sui marchi comunitari, COM (80) 635, pag. 23, primo paragrafo.
6 – V., ad esempio, sentenze della Corte 8 maggio 2008, causa C‑304/06 P, Eurohypo/UAMI (Racc. pag. I‑0000, punto 54) sugli ambiti di applicazione degli impedimenti assoluti alla registrazione di un marchio enunciati all’art. 7, n. 1, lett. b)-d) del regolamento e all’art. 3, n. 1), della direttiva, e 7 settembre 2006, causa C‑108/05, Bovemij Verzekeringen (Racc. pag. I‑7605, punto 22), in cui sono stati presi in esame l’art. 3, n. 3, della direttiva e l’art. 7, n. 3, del regolamento.
7 – V. terzo ‘considerando’.
8 – Nella sentenza 9 gennaio 2003, causa C‑292/00, Davidoff (Racc. pag. I‑389, punto 30), la Corte ha interpretato l’art. 5, n. 2, nel senso che si applica anche laddove i prodotti o i servizi contraddistinti dai due marchi sono simili o identici.
9 – Sentenza 14 settembre 1999, causa C‑375/97 (Racc. pag. I‑5421).
10 – La ratio di tale aspetto della condizione è definito al punto 23 della sentenza, in cui la Corte chiarisce che è necessario dimostrare un certo grado di conoscenza nel pubblico del marchio d’impresa anteriore, di cui il titolare chiede la tutela, al fine di provare che il pubblico potrebbe effettuare un confronto tra il marchio di cui si richiede la tutela e quello successivo, che secondo il titolare violerebbe i suoi diritti.
11 – Uno «Stato membro» nell’art. 5, n. 2, della direttiva; «la Comunità» nell’art. 9, n. 1, lett. c), del regolamento.
12 – Punto 24.
13 – Punto 25.
14 – Punto 26.
15 – Punto 27.
16 – Punti 29 e 31.
17 – V. paragrafo 3 supra e la giurisprudenza citata alla nota n. 5.
18 – V. paragrafo 36 infra.
19 – V. il primo e il secondo ‘considerando’ e l’art. 1, n. 2, del regolamento.
20 – V. il primo ‘considerando’ (il corsivo è mio).
21 – V. sentenza General Motors, citata alla nota n. 9, punti 24 e 25, riguardo al criterio da applicare.
22 – Punto 28.
23 – Sentenza 22 novembre 2007, causa C‑328/06 (Racc. pag. I‑10093).
24 – Non è impossibile concepire una situazione in cui, dopo avere esaminato il pubblico pertinente, un giudice nazionale potrebbe correttamente concludere che la notorietà all’interno di un ambito territoriale ristretto non costituisca tuttavia «notorietà nella Comunità» se il pubblico pertinente era (eccezionalmente) confinato in quell’area. Quindi, presumibilmente, un marchio che contraddistingue i prodotti destinati a chi produce kilt potrebbe godere di notorietà fra il pubblico pertinente nella Comunità che (probabilmente) verrebbe circoscritto a (parte di) un solo Stato membro. Suppongo, tuttavia, che tali ipotesi potrebbero presentarsi di rado.
25 – L’art. 50, n. 1, lett. a), prevede, essenzialmente, la decadenza di un marchio comunitario se esso non ha formato oggetto di un uso effettivo nella Comunità per un periodo ininterrotto di cinque anni.
26 – Procedimento R 1209/2005‑1, decisione 28 febbraio 2007.
27 – Causa T‑173/07, Reno Schuhcentrum/UAMI, in corso.
28 – V. nota n. 4 supra.
29 – V. proposta della prima direttiva del Consiglio sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa, [COM (80) 635], pag. 1, terzo paragrafo: «La proposta di regolamento persegue gli stessi obiettivi della direttiva ma mediante un altro percorso (…)».
30 – V. paragrafi 3 e 29 supra e note nn. 19 e 20.
31 – V. l’analisi della prima questione.
32 – Sembra che la Pago sia in effetti titolare di un marchio nazionale per i propri prodotti. Uno dei misteri insoluti della presente domanda di rinvio pregiudiziale – che, tuttavia, non approfondirò – è il motivo per cui i procedimenti dinanzi ai giudici nazionali hanno avuto come oggetto il marchio comunitario della Pago invece del suo marchio nazionale.
33 – La tutela dei diritti conferiti dall’art. 9, n. 1, lett. a) e b), non dipende dalla capacità di dimostrare che il marchio gode di «notorietà nella Comunità».
34 – V. sezione 1 del Titolo X, la cui unica disposizione (art. 90) fa subito riferimento alla Convenzione concernente la competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, firmata a Bruxelles il 27 settembre 1968 (in prosieguo: la «Convenzione di Bruxelles»). Una versione consolidata della Convenzione di Bruxelles con gli emendamenti apportati dalle quattro successive convenzioni di adesione è pubblicata sulla GU 1998 C 27, pag. 1. La Convenzione di Bruxelles è stata sostituita dal regolamento (CE) del Consiglio 22 dicembre 2000, n. 44/2001, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (in prosieguo: il «regolamento di Bruxelles» (GU 2001 L 12, pag. 1). La Danimarca e alcuni territori specifici sono esclusi dall’ambito di applicazione del regolamento di Bruxelles ai sensi dell’art. 299 CE.
35 – Designati ai sensi dell’art. 91 del regolamento.
36 – V. art. 94, n. 1, e (riguardo alle misure provvisorie e cautelari) l’art. 99, n. 2, del regolamento.
37 – V. quindicesimo ‘considerando’ del regolamento, che afferma che è indispensabile che le decisioni sulla validità e sulle contraffazioni dei marchi comunitari abbiano effetto e si estendano all’insieme della Comunità. V. anche sentenza 14 dicembre 2006, causa C-316/05, Nokia (Racc. Pag. I‑12083, punti 25 e 33), che sottolinea che la tutela del marchio comunitario dev’essere uniforme in tutto il territorio della Comunità.
38 – V. art. 93, n. 5, del regolamento.
39 – Art. 94, n. 2, del regolamento.
presentate il 30 aprile 2009 1(1)
Causa C‑301/07
PAGO International GmbH
contro
Tirolmich Genossenschaft mbH
[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall’Oberster Gerichtshof (Austria)]
1. L’art. 9, n. 1, lett. c), del regolamento (CE) del Consiglio n. 40/94 (in prosieguo: il «regolamento») (2) consente al titolare di un marchio comunitario che gode di «notorietà nella Comunità» di vietare l’uso di taluni segni, identici o simili a quel marchio, per prodotti o servizi che non sono simili a quelli per i quali questo è stato registrato. Nella fattispecie, l’Oberster Gerichtshof (Corte suprema austriaca) domanda, in primo luogo, se un marchio comunitario goda di «notorietà nella Comunità» qualora esso sia noto solo in uno Stato membro. In secondo luogo, in caso di risposta negativa al suddetto quesito, il giudice del rinvio si chiede se un marchio comunitario che goda di «notorietà» solo in uno Stato membro sia tutelato nel medesimo Stato membro ai sensi dell’art. 9, n. 1, lett. c), del regolamento, per cui possa essere emesso un provvedimento di divieto di contraffazione limitato a tale Stato membro.
Normativa comunitaria pertinente
2. Il regolamento e la prima direttiva del Consiglio 89/104/CEE (in prosieguo: la «direttiva») (3) sono stati concepiti come misure volte ad eliminare gli ostacoli alla libera circolazione dei prodotti e alla libera prestazione dei servizi, nonché alla concorrenza nel mercato interno (4). Le suddette misure introducono regimi complementari e non concorrenti (5). La Corte ha pertanto voluto interpretare alla stessa maniera le disposizioni parallele del regolamento e della direttiva (6).
Il regolamento
3. L’art. 1 del regolamento introduce il concetto di marchio comunitario. L’art. 1, n. 2, così recita: «Il marchio comunitario ha carattere unitario. Esso produce gli stessi effetti in tutta la Comunità (…) e il suo uso può essere vietato soltanto per la totalità della Comunità».
4. L’art. 9, n. 1, prevede quanto segue:
«Il marchio comunitario conferisce al suo titolare un diritto esclusivo. Il titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare in commercio:
a) un segno identico al marchio comunitario per prodotti o servizi identici a quelli per cui esso è stato registrato;
b) un segno che a motivo della sua identità o somiglianza col marchio comunitario e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi contraddistinti dal marchio comunitario e dal segno, possa dare adito a un rischio di confusione per il pubblico; il rischio di confusione comprende il rischio di associazione tra il segno e il marchio;
c) un segno identico o simile al marchio comunitario per prodotti o servizi che non sono simili a quelli per i quali questo è stato registrato, se il marchio comunitario gode di notorietà nella Comunità e se l’uso del segno senza giusto motivo consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio comunitario o reca pregiudizio agli stessi».
La direttiva
5. La direttiva mira al ravvicinamento delle «disposizioni nazionali che hanno un’incidenza più diretta sul funzionamento del mercato interno» (7).
6. L’art. 5, n. 2, della direttiva, che riprende l’art. 9, n. 1, lett. c), del regolamento, stabilisce che:
«Uno Stato membro può inoltre prevedere che il titolare abbia il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio un segno identico o simile al marchio di impresa per i prodotti o servizi che non sono simili [(8)]a quelli per cui esso è stato registrato, se il marchio di impresa gode di notorietà nello Stato membro e se l’uso immotivato del segno consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio di impresa o reca pregiudizio agli stessi».
Fatti e procedimento principale
7. La PAGO International GmbH (in prosieguo: la «Pago») è titolare di un marchio comunitario avente ad oggetto, fra l’altro, bevande a base di frutta e succhi di frutta. Elementi essenziali del marchio della Pago sono la raffigurazione di una bottiglia di vetro verde (che la Pago utilizza da anni per la distribuzione) con la caratteristica etichetta e coperchio accanto a un bicchiere colmo di succo di frutta identificato a grosse lettere e noto come «PAGO».
8. La Tirolmilch registrierte Genossenschaft mbH (in prosieguo: la «Tirolmilch») vende in Austria una bevanda di siero di latte alla frutta denominata «Lattella», confezionata in bottiglie di vetro la cui raffigurazione somiglia sotto diversi profili (forma, colore, etichetta, coperchio) a quella raffigurata nel marchio comunitario della Pago. Nella pubblicità della propria bevanda, la Tirolmilch utilizza un’immagine che, come il marchio comunitario della Pago, mostra una bottiglia accanto ad un bicchiere colmo.
9. È pacifico che non sussiste rischio di confusione poiché le etichette applicate sulle bottiglie utilizzate dalla Pago e dalla Tirolmilch sono rispettivamente provviste delle denominazioni «Pago» e «Lattella», entrambe ben note in Austria. Dal riepilogo dei fatti di cui alla decisione di rinvio emerge che le parti nella causa principale hanno agito sulla base del fatto che le condizioni previste dall’art. 9, n. 1, lett. c), sono state soddisfatte in quanto, in primo luogo, il segno controverso è simile o identico a quello per cui la Pago è titolare del marchio comunitario e, in secondo luogo, la bevanda venduta dalla Tirolmilch non è considerata simile a quella commercializzata dalla Pago.
10. La Pago ha chiesto all’Handelsgericht Wien (Tribunale commerciale di Vienna) un provvedimento d’urgenza che vietasse alla Tirolmilch di contraffare il proprio marchio (i) pubblicizzando, offrendo, immettendo in commercio o utilizzando in altro modo la propria bevanda nelle bottiglie controverse, nonché (ii) pubblicizzando la stessa mediante un’immagine delle bottiglie unitamente ad un bicchiere colmo di succo di frutta. Il suddetto giudice ha accolto la domanda di provvedimento d’urgenza, ma la sua decisione è stata riformata dal Landesgericht Wien (Tribunale di Vienna). La Pago ha interposto appello all’Oberster Gerichtshof.
11. L’Oberster Gerichtshof è dell’avviso che la questione se vi sia stata contraffazione del marchio comunitario della Pago debba essere analizzata unicamente ai sensi del regolamento. Tuttavia, poiché il marchio della Pago è ampiamente conosciuto in Austria ma non necessariamente in altri Stati membri, l’Oberster Gerichtshof ritiene di dover chiedere chiarimenti sull’interpretazione della frase «[gode] di notorietà nella Comunità» di cui all’art. 9, n. 1, lett. c), del regolamento. Conseguentemente, il giudice del rinvio ha posto le seguenti questioni pregiudiziali:
«1. Se un marchio comunitario è protetto in tutta la Comunità in quanto “marchio notoriamente conosciuto” ai sensi dell’art. 9, n. 1, lett. c), del regolamento qualora esso sia “notoriamente conosciuto” solo in uno Stato membro
2. In caso di risposta negativa al quesito sub 1), se un marchio “notoriamente conosciuto” solo in uno Stato membro sia protetto nel medesimo Stato membro ai sensi dell’art. 9, n. 1, lett. c), del regolamento per cui possa essere emesso un divieto limitato solo a tale Stato membro».
12. Hanno presentato osservazioni scritte la Pago, la Tirolmilch e la Commissione, tutte rappresentate in udienza.
La prima questione
Osservazioni preliminari
13. La prima questione è posta in maniera tale da suggerire che la risposta debba essere «sì» o «no», il che comporta che qualunque soluzione sarà ugualmente applicabile in tutti i casi in cui il marchio controverso goda di notorietà solo in uno Stato membro. A mio avviso, occorre adottare un approccio più flessibile.
14. La Pago sostiene che alla prima questione pregiudiziale debba fornirsi una risposta affermativa. La Tirolmilch afferma, invece, che la risposta debba essere negativa. La Commissione adotta un approccio più sfumato, ma conclude che, in casi eccezionali, un marchio che goda di notorietà in un solo Stato membro potrebbe ricadere nell’ambito di applicazione dell’art. 9, n. 1, lett. c).
15. Le tre parti concordano sul fatto che l’analisi debba partire dalla sentenza General Motors (9).
Sentenza General Motors
16. Nella sentenza General Motors la Corte ha fornito l’interpretazione dell’art. 5, n. 2, della direttiva (la disposizione parallela all’art. 9, n. 1, lett. c), del regolamento). In detta causa si discuteva se un marchio godesse di «notorietà in [uno] Stato membro» ove lo «Stato membro» in questione corrispondeva ai tre paesi del Benelux, che ai fini dei marchi sono considerati un unico territorio.
17. L’art. 5, n. 2, della direttiva e l’art. 9, n. 1, lett. c), del regolamento contemplano due aspetti della «condizione di notorietà» che devono essere entrambi soddisfatti affinché un marchio possa beneficiare di tutela. In primo luogo, il marchio deve godere di notorietà (10). In secondo luogo, siffatta notorietà deve sussistere all’interno di un’area geografica specifica (11). Nella sentenza General Motors la Corte ha analizzato le suddette condizioni come segue. In primo luogo, il pubblico per il quale il marchio d’impresa anteriore deve aver acquisito una notorietà può essere il grande pubblico ovvero un pubblico più specializzato (12). In secondo luogo, la legislazione non consente di richiedere che il marchio d’impresa sia conosciuto da una determinata percentuale del pubblico (13). In terzo luogo, il marchio di cui è richiesta la tutela dev’essere conosciuto da una parte significativa del pubblico interessato ai prodotti o ai servizi contraddistinti da detto marchio (14). Infine, il giudice nazionale deve prendere in considerazione tutti gli elementi rilevanti della causa, cioè, in particolare, la quota di mercato coperta dal marchio, l’intensità, l’ambito geografico e la durata del suo uso, nonché l’entità degli investimenti realizzati dal titolare per promuoverlo (15).
18. La Corte ha stabilito che per beneficiare di una tutela ampliata a prodotti o servizi non simili, un marchio deve essere conosciuto da una parte significativa del pubblico interessato ai prodotti o ai servizi da esso contraddistinti e che, riguardo a un marchio del Benelux, era sufficiente che tale notorietà sussistesse in una parte sostanziale di tale territorio, che poteva corrispondere, eventualmente, ad una parte di uno degli Stati del Benelux (16).
Applicazione della sentenza General Motors per analogia
19. Come ho rilevato, gli artt. 5, n. 2, della direttiva e 9, n. 1, lett. c), del regolamento sono disposizioni parallele e la Corte fornisce di norma la stessa interpretazione di disposizioni parallele dei suddetti atti normativi (17). Concordo pertanto con tutte le parti in causa sul fatto che la sentenza General Motors possa essere applicata per analogia. Ne consegue che non occorre che il titolare di un marchio dimostri che il proprio marchio gode di notorietà in tutta la Comunità per sancire la tutela concessa dall’art. 9, n. 1, lett. c), del regolamento: è sufficiente una «parte sostanziale» del territorio. Ci si chiede, tuttavia, se uno Stato membro sia una «parte sostanziale» e se questo sia in effetti il giusto modo di affrontare la questione.
Argomenti delle parti
20. La Pago sostiene che si debba applicare la sentenza General Motors e che il proprio marchio non debba essere conosciuto in tutto il territorio comunitario. È stato constatato, di fatto, nella causa principale che il marchio controverso gode di notorietà in tutta l’Austria. Nulla impedisce di considerare l’Austria una parte sostanziale della Comunità. La Pago fa valere che, conseguentemente, il proprio marchio merita la tutela ai sensi dell’art. 9, n. 1, lett. c). La Pago cerca altresì sostegno nel regime instaurato dalla normativa e introduce una tesi basata sull’interpretazione dell’art. 50, n. 1, lett. a), del regolamento, in cui altresì figura l’espressione «nella Comunità». Suggerisco di trattare quest’ultimo argomento dopo aver preso in esame le implicazioni della sentenza General Motors (18).
21. La Tirolmilch concorda sull’applicazione per analogia della sentenza General Motors; tuttavia, essa osserva che la prima questione è strutturata in maniera da non distinguere tra i vari Stati membri quando, invece, essi differiscono enormemente tra loro in termini di dimensioni e popolazione. La soluzione affermativa alla prima questione significherebbe che un marchio comunitario che goda di notorietà solo a Malta, che rappresenta lo 0,08% della popolazione dell’UE e lo 0,04% della relativa economia, sarebbe tutelato nell’intero territorio comunitario in quanto marchio conosciuto. La Tirolmilch fa valere che è necessario stabilire se il territorio controverso costituisca una parte sostanziale, come chiarito dalla Corte nella sentenza General Motors. Ai fini dell’art. 9, n. 1, lett. c), i confini degli Stati membri sono irrilevanti. La questione decisiva è se il territorio in cui il marchio gode di notorietà sia significativo sotto il profilo economico per la Comunità nel suo complesso, il che giustificherebbe la tutela nell’intera Comunità sulla base della notorietà in quel dato territorio. Il territorio di un solo Stato membro potrebbe dunque bastare se (da un punto di vista economico) si trattasse di uno Stato membro di dimensioni sufficientemente grandi, come la Germania, ma non se fosse uno degli Stati membri più piccoli.
22. La Commissione, applicando anch’essa la sentenza General Motors, sostiene che un marchio comunitario gode di «notorietà nella Comunità» ai sensi dell’art. 9, n. 1, lett. c), qualora esso sia conosciuto da una percentuale significativa del pubblico destinatario all’interno del territorio comunitario quale potenziale acquirente dei prodotti e dei servizi da esso contraddistinti. Nell’esaminare se un marchio goda di «notorietà», occorre procedere alla distinzione tra la determinazione del pubblico rilevante e quella del grado di notorietà richiesto.
23. La Commissione ritiene che l’art. 9, n. 1, lett. c), accordi tutela laddove il marchio sia conosciuto da una percentuale significativa del pubblico pertinente, il quale dev’essere identificato all’interno del territorio comunitario a prescindere dai confini nazionali, senza riferirsi al pubblico di un solo Stato membro.
24. Ad avviso della Commissione, la notorietà «nella Comunità» non presuppone che il marchio sia conosciuto in tutti gli Stati membri. In alcuni casi eccezionali, la notorietà in un solo Stato membro sarebbe sufficiente se il pubblico pertinente si trovasse solo in quello Stato.
25. In questa maniera la Commissione collega i concetti di pubblico pertinente e di territorio pertinente.
Analisi
26. Non reputo che gli argomenti delle parti nella causa principale siano di grande aiuto nell’esame della prima questione. L’argomento della Pago secondo cui il suo marchio è notoriamente conosciuto in Austria, sebbene ammesso dal giudice del rinvio, non serve a chiarire la questione. Non spiega, infatti, in che modo si accerti cosa costituisca una parte sostanziale della Comunità in generale, né perché l’Austria, in particolare, dovrebbe essere considerata una parte sostanziale della Comunità. Poiché la Tirolmilch sostiene l’irrilevanza dei confini nazionali, la sua analisi successiva (fondata proprio su detti confini) mi sembra un controsenso. Essa conduce, altresì, alla assai delicata questione di stabilire quali siano gli Stati membri sufficientemente importanti da essere considerati una parte «sostanziale».
27. In linea generale, ritengo che l’analisi della Commissione costituisca un utile punto di partenza.
28. Lo scopo dell’art. 9, n. 1, lett. c), è quello di consentire al titolare del marchio comunitario di tutelare i diritti esclusivi conferiti in virtù di esso contro terzi, a condizione che egli riesca a dimostrare che il proprio marchio comunitario gode di notorietà nella Comunità e che sono rispettati gli altri presupposti contenuti nel medesimo articolo.
29. Il regolamento si basa sulla premessa che il marchio comunitario abbia carattere unitario (19). Invero, il marchio comunitario è stato creato per mettere a disposizione delle imprese «marchi che consentano ad esse di contraddistinguere i rispettivi prodotti o servizi in modo identico in tutta la Comunità, superando le barriere nazionali» (20). Alla luce di tali circostanze, ritengo che sia fondamentalmente errato l’approccio concentrato sui confini di Stato quando si vuole dimostrare la portata della notorietà del marchio comunitario. Al contrario, il punto di partenza dev’essere quello di considerare il territorio della Comunità, superando le barriere nazionali, come un unico insieme indivisibile. Come corollario, è irrilevante che vi sia notorietà in uno Stato membro o in un determinato numero di Stati membri ed è altresì irrilevante che tali Stati membri siano di dimensioni «grandi», «medie» o «piccole» (qualunque sia il fondamento della definizione di detti termini).
Applicazione della sentenza General Motors
30. Occorre dapprima dimostrare la «notorietà» del marchio e, per fare ciò, il giudice nazionale deve identificare il pubblico interessato al marchio nel contesto del territorio comunitario inteso nel suo insieme, a prescindere dai confini degli Stati membri. Dopo aver identificato il pubblico pertinente (21), il giudice nazionale deve accertare se sussiste notorietà tra una percentuale significativa del pubblico interessato ai prodotti o ai servizi contraddistinti dal marchio.
31. Il giudice nazionale deve dunque accertare se il marchio goda di notorietà «nella Comunità». Egli dovrebbe innanzi tutto ammettere che il titolare del marchio non deve dimostrare che quest’ultimo gode di notorietà su tutto il territorio comunitario. È sufficiente, ai fini dell’applicazione dell’art. 9, n. 1, lett. c), che sussista notorietà in una «parte sostanziale» della Comunità. (22) La sentenza General Motors non fornisce altre delucidazioni su come dev’essere interpretata la «parte sostanziale» del territorio pertinente.
32. La giurisprudenza della Corte indica, tuttavia, cosa non è «parte sostanziale». Nella sentenza Nieto Nuño (23) è stato dimostrato, riguardo alla nozione affine di marchio «notoriamente conosciuto» ai sensi dell’art. 4, n. 2, lett. d), della direttiva, che la città di Tarragona e dintorni, in Spagna, non costituisce una parte sostanziale di tale Stato membro. Applicando lo stesso ragionamento, per analogia, al concetto di «parte sostanziale della Comunità», ne consegue che se la «parte», considerata oggettivamente in termini di dimensioni e importanza economica, è assai modesta rispetto alla Comunità intesa nel suo insieme e se il pubblico pertinente risulta essere più diffuso in tutta la Comunità (24), quella non può essere ritenuta una «parte sostanziale» della Comunità. Tale conclusione deriva dal significato comune del termine «sostanziale» e dal buon senso.
33. Gli scenari ipotizzabili sono molteplici e di varia natura. Da un lato, un marchio che contraddistingue un prodotto generico venduto al grande pubblico e che godeva di una notorietà significativa fra detto pubblico dovrebbe essere conosciuto in un’ampia area geografica all’interno della Comunità prima di poter affermare che esso gode di «notorietà nella Comunità». Dall’altro lato estremo, un marchio di un prodotto particolare venduto a un pubblico locale specializzato dovrebbe essere conosciuto in un’area molto più piccola. Un prodotto venduto a un pubblico di professionisti potrebbe, a ragion veduta, riguardare un’ampia area (a seconda del numero di professionisti) ma, in termini assoluti, sarebbe probabilmente conosciuto da un numero inferiore di persone rispetto a un prodotto destinato al grande pubblico.
34. Così come il concetto di pubblico pertinente, l’aspetto territoriale della «notorietà» non può essere definito con riferimento a una cifra astratta o a un numero specifico di Stati membri. Il giudice nazionale dovrà valutare una serie di fattori per determinare se un marchio particolare gode di notorietà in una parte sostanziale della Comunità. Tali fattori saranno, ma non solo, l’importanza economica del territorio all’interno della Comunità, l’ambito geografico dell’area in cui il marchio gode di notorietà e le caratteristiche demografiche del pubblico interessato.
35. Per determinare se un marchio anteriore goda di notorietà in una parte sostanziale della Comunità ai fini dell’art. 9, n. 1, lett. c), del regolamento, il giudice nazionale deve pertanto effettuare un’analisi complessiva del caso unitamente all’identificazione del pubblico presso il quale tale marchio anteriore è conosciuto. Tale verifica dev’essere necessariamente flessibile.
36. Infine, occorre analizzare in breve l’argomento della Pago riguardante la struttura del regolamento. La Pago si riferisce al fatto che l’espressione «nella Comunità» figura altresì all’art. 50, n. 1, lett. a), del regolamento (25). La Pago sostiene che, secondo giurisprudenza costante, detto uso del marchio in un solo Stato membro basti unicamente ai fini dell’art. 50, n. 1, lett. a). La Pago deduce che se l’uso in un solo Stato membro è sufficiente a tutelare i diritti connessi a un marchio comunitario, la notorietà in uno Stato membro dovrebbe, per analogia, bastare a sancire la tutela ai sensi dell’art. 9, n. 1, lett. c).
37. Tale argomento non mi convince.
38. In primo luogo, l’unica «giurisprudenza costante» citata dalla Pago è la decisione della prima commissione di ricorso dell’Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (in prosieguo: l’«UAMI») nel procedimento Reno Schuhcentrum/Payless ShoeSource Worldwide (26), che riguarda le circostanze in cui l’apposizione di un marchio su prodotti destinati all’esportazione costituisce «uso nella Comunità». Il suddetto procedimento, che ha valore di mero punto di riferimento per la Corte, si colloca pertanto su un profilo assai diverso. In esso non si afferma che l’uso in uno Stato membro è sufficiente, bensì, semplicemente, che tale uso non è necessario perché il marchio sia usato «ovunque nella Comunità». La decisione è inoltre stata impugnata dinanzi al Tribunale di primo grado (27).
39. In secondo luogo, l’art. 50 prevede le cause di decadenza di un marchio che ha fino allora goduto di tutela. L’art. 9 stabilisce quali diritti sono conferiti dal marchio comunitario e a quali condizioni. L’oggetto delle due disposizioni è assai diverso e non posso accettare che un (debole) argomento fondato sull’art. 50, n. 1, lett. a), contribuisca a determinare la corretta interpretazione dell’art. 9, n. 1, lett. c).
40. Riepilogando: non è possibile stabilire se un marchio comunitario goda di notorietà nella Comunità basandosi sul fatto che esso goda, o meno, di notorietà in un solo Stato membro. Dal carattere unitario del marchio comunitario discende che il territorio della Comunità dovrebbe essere considerato nel suo complesso. La sentenza General Motors va applicata per analogia per stabilire quale sia una parte sostanziale della Comunità. Ciò va accertato in ogni caso specifico tenendo conto del pubblico interessato ai prodotti o ai servizi contraddistinti dal marchio e dell’importanza dell’area in cui sussiste la notorietà, come identificata da fattori quali l’ambito geografico, la popolazione e l’importanza economica nel territorio comunitario inteso nel suo complesso.
41. Propongo pertanto che la prima questione sollevata debba essere risolta come segue: un marchio comunitario è tutelato nell’intera Comunità per il fatto che gode di «notorietà nella Comunità» ai sensi dell’art. 9, n. 1, lett. c), del regolamento (CE) del Consiglio n. 40/94 sul marchio comunitario se esso gode di notorietà in una parte sostanziale della Comunità. Ciò che, a tal fine, costituisce una parte sostanziale della Comunità non dipende dai confini nazionali, ma dev’essere accertato con una valutazione di tutte le circostanze pertinenti del caso, tenendo conto, in particolare, (i) del pubblico interessato ai prodotti o ai servizi contraddistinti dal marchio e della percentuale di quel dato pubblico che conosce il marchio e (ii) dell’importanza dell’area in cui sussiste la notorietà, come definita in base a fattori quali il suo ambito geografico, la popolazione e l’importanza economica.
La seconda questione
42. Con la seconda questione, il giudice del rinvio chiede, sostanzialmente, se nell’ambito dell’art. 9, n. 1, lett. c), del regolamento un marchio comunitario che gode di notorietà solo in uno Stato membro, qualora non sia tutelato in tutta la Comunità, sia comunque tutelato in quello Stato membro cosicché possa essere emesso un provvedimento di divieto di contraffazione limitato a tale Stato membro.
43. Dalla soluzione che propongo per la prima questione deriva implicitamente che un marchio che gode di notorietà solo in uno Stato membro non è riconosciuto come marchio che gode di «notorietà nella Comunità» ai sensi dell’art. 9, n. 1, lett. c). Poiché la sussistenza del requisito di «notorietà nella Comunità» costituisce il presupposto specifico per sancire l’applicazione dell’art. 9, n. 1, lett. c), del regolamento, si può ritenere che la soluzione della seconda questione sia ovvia. Se non ricorre tale presupposto, non sorge alcun diritto di tutela. La soluzione della seconda questione diventa quindi (automaticamente) che il giudice nazionale non dovrebbe concedere un rimedio per applicare un diritto legale che non esiste.
44. Mi pare che la seconda questione debba quindi intendersi nel senso che si chiede se un marchio comunitario che gode di notorietà in un’area che non è una parte sostanziale della Comunità ai fini dell’art. 9, n. 1, lett. c), sia comunque tutelato in quell’area (che potrebbe coincidere con il territorio di uno o più Stati membri), cosicché possa essere emesso un provvedimento di divieto di contraffazione limitato a tale area.
45. La Pago deduce che, se tale tutela limitata non esistesse, il marchio comunitario non costituirebbe un’alternativa realistica al marchio nazionale – il che sarebbe un risultato non conforme all’obiettivo perseguito dal legislatore comunitario nell’introdurre il marchio comunitario – in quanto il titolare di un marchio comunitario che gode di notorietà solo in uno Stato membro non sarebbe in grado di tutelare il proprio marchio anche all’interno di quello Stato membro senza essere titolare anche di un marchio nazionale. Inoltre, la Pago sostiene che la contraffazione dei marchi nei modi previsti dall’art. 9, n. 1, lett. c), del regolamento – segnatamente traendo indebitamente vantaggio da o arrecando pregiudizio al carattere distintivo del marchio comunitario, che è un tipo di concorrenza sleale – raramente si verifica a livello comunitario. È dunque importante, per il titolare del marchio, riuscire ad ottenere un rimedio circoscritto allo Stato membro in cui la contraffazione è temuta ovvero si è già verificata.
46. Respingo tali argomenti.
47. In primo luogo, è vero che il marchio comunitario e quello nazionale hanno un fine analogo (28), in quanto l’obiettivo degli artt. 9, n. 1, lett. c), del regolamento e 5, n. 2, della direttiva (la disposizione parallela) è quello di fornire tutela contro il pregiudizio arrecato alla notorietà di un marchio. Tuttavia, essi raggiungono l’obiettivo per vie diverse (29) e operano in ambiti differenti.
48. Nel caso in cui un marchio nazionale goda di «notorietà nello Stato membro», il titolare può ottenere la tutela ai sensi dell’art. 5, n. 2, della direttiva, che si estende a tutto il territorio dello Stato membro (v. sentenza General Motors). Qualora un marchio comunitario goda di «notorietà nella Comunità», la natura unitaria di quest’ultimo (30) significa che esso è parimenti tutelato in tutto il territorio comunitario (e non solo nella parte sostanziale del territorio comunitario che ha costituito il fondamento per decidere che il marchio controverso fosse effettivamente un marchio dotato di «notorietà nella Comunità» ai fini dell’art. 9, n. 1, lett. c), del regolamento (31)).
49. Mi sembra che ciò sia proprio in ragione del fatto che la tutela concessa a un marchio comunitario è così estesa che le condizioni stabilite dal regolamento devono essere interamente rispettate prima di sancirla. Esiste un nesso chiaro tra il requisito di dimostrare l’esistenza della notorietà del marchio in una parte sostanziale della Comunità e il motivo per concedere la tutela estesa a tutta la Comunità.
50. In secondo luogo, se un’impresa intende registrare un marchio per l’uso (progressivo) in più di uno Stato membro, pare ragionevole supporre che essa tenderà a presentare domanda per la registrazione di un marchio comunitario invece di presentare più domande di registrazione di marchi in Stati membri differenti, a meno che vi sia un motivo specifico per cui si debba procedere altrimenti. Riconosco che, se tale marchio gode di notorietà in (una parte sostanziale di) uno Stato membro ma non in una parte sostanziale della Comunità, sarà necessaria la registrazione di marchio nazionale in quello Stato membro perché la notorietà del marchio sia tutelata all’interno di detto Stato (32), in quanto la suddetta tutela non sarà ottenibile dal marchio comunitario ai sensi dell’art. 9, n. 1, lett. c), del regolamento (33). Ciò corrisponde al concetto secondo cui il marchio comunitario e i marchi nazionali operano a livelli diversi ma in parallelo.
51. L’ultimo argomento della Pago può essere esaminato molto brevemente. La gravità della contraffazione può influire sul modo in cui il titolare domanda riparazione, ma questa è una questione di natura processuale, e non sostanziale, ed è irrilevante rispetto alla questione se la tutela è concessa, innanzi tutto, ai sensi dell’art. 9, n. 1, lett. c).
52. Conseguentemente, propongo che la seconda questione sollevata debba essere risolta nel senso che un marchio comunitario che goda di notorietà in un’area che non sia una parte sostanziale della Comunità non beneficia della tutela limitata a quell’area ai sensi dell’art. 9, n. 1, lett. c), del regolamento 40/94. Pertanto, non può essere emesso un provvedimento di divieto di contraffazione limitato a quell’area.
Postscriptum: interpretazione alternativa della seconda questione
53. Data l’importanza attribuita nella seconda questione alla possibilità di emettere un provvedimento di divieto di contraffazione limitato a un solo Stato membro, è possibile che il giudice nazionale si chieda in effetti se, qualora si ritenga che un marchio benefici della tutela di cui all’art. 9, n. 1, lett. c), del regolamento, un giudice nazionale possa emettere un provvedimento di divieto di contraffazione di un dato marchio limitatamente a un solo Stato membro. Sebbene, come ho evidenziato nell’analisi della prima questione, un marchio che gode di «notorietà nella Comunità» sia di norma notoriamente conosciuto dal pubblico pertinente in un’area che non coincide con, e generalmente si estende oltre, i confini di un solo Stato membro, il titolare del marchio può rischiare di vedere il proprio marchio contraffatto principalmente – e forse esclusivamente – in un particolare Stato membro. Ciò è quanto sembra verificarsi proprio nel caso di specie.
54. In considerazione dell’interpretazione che ho dato della soluzione alla prima questione posta, la seconda questione (come riformulata) è forse puramente teorica. Tuttavia, nel caso in cui la Corte (o il giudice del rinvio qualora la questione gli venisse rinviata) decidesse che la tutela di cui all’art. 9, n. 1, lett. c), del regolamento è sancita, la questione riformulata potrebbe ragionevolmente essere pertinente. Spiegherò dunque in breve come la risolverei.
55. Il Titolo X del regolamento prevede norme dettagliate sulla competenza e la procedura concernenti le azioni giudiziarie relative ai marchi comunitari. Esse sono state ideate prevedendone chiaramente un’applicazione combinata con altre pertinenti norme comunitarie sulla competenza e l’esecuzione di decisioni (34). Conformemente alla natura unitaria del marchio comunitario, viene disposto che i tribunali dei marchi comunitari in ogni Stato membro (35), se aditi ai sensi delle norme sulla competenza di cui all’art. 93, nn. 1-4, sono competenti per gli atti di contraffazione commessi, o che si minaccia di commettere, nel territorio di qualsiasi Stato membro (36). Ciò si spiega in quanto un tribunale dei marchi comunitari in tal modo adito potrebbe dover agire extraterritorialmente per garantire la tutela effettiva al titolare del marchio (37).
56. Ciò detto, il regolamento prevede con altrettanta chiarezza la possibilità che il titolare del marchio intenda adire il tribunale dello specifico Stato membro in cui l’atto di contraffazione è stato commesso o minaccia di essere commesso (38) e, in questo caso, la competenza di tale tribunale è espressamente limitata agli «atti commessi o minacciati nel territorio dello Stato membro in cui è situato» (39).
57. È infrequente, quand’anche fosse opportuno, che un tribunale emetta un provvedimento in termini più ampi di quanto necessario. Qualora la contraffazione del marchio sia circoscritta a un solo Stato membro (l’Austria, nel caso di specie), basterà, di norma, che il provvedimento che vieta tale contraffazione sia anch’esso limitato a quel solo Stato membro. Non vedo nulla nel regolamento che potrebbe impedire l’emissione da parte di un giudice competente di un provvedimento in tal modo limitato.
58. Ribadisco, tuttavia, che l’analisi che ho appena condotto vale solo se la tutela prevista dal Regolamento è effettivamente sancita.
Conclusione
59. Propongo, pertanto, che le questioni sollevate dall’Oberster Gerichtshof, Austria, siano risolte nei termini seguenti:
1) Un marchio comunitario è tutelato nell’intera Comunità per il fatto che gode di «notorietà nella Comunità» ai sensi dell’art. 9, n. 1, lett. c), del regolamento (CE) del Consiglio 20 dicembre 1993, n. 40/94 sul marchio comunitario se esso gode di notorietà in una parte sostanziale della Comunità. Ciò che, a tal fine, costituisce una parte sostanziale della Comunità non dipende dai confini nazionali, ma dev’essere accertato con una valutazione di tutte le circostanze pertinenti del caso, tenendo conto, in particolare, (i) del pubblico interessato ai prodotti o ai servizi contraddistinti dal marchio e della percentuale di quel dato pubblico che conosce il marchio e (ii) dell’importanza dell’area in cui sussiste la notorietà, come definita in base a fattori quali il suo ambito geografico, la popolazione e l’importanza economica.
2) Un marchio comunitario che goda di notorietà in un’area che non sia una parte sostanziale della Comunità non beneficia della tutela limitata a quell’area ai sensi dell’art. 9, n. 1, lett. c), del regolamento 40/94. Pertanto, non può essere emesso un provvedimento di divieto di contraffazione limitato a quell’area.
2 – Regolamento 20 dicembre 1993 sul marchio comunitario (GU 1994, L 11, pag. 1).
3 – Direttiva 21 dicembre 1988 sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU 1989, L 40, pag. 1), di recente sostituita (sebbene non abbia subito modifiche sostanziali) dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 22 ottobre 2008, 2008/95/CE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (versione codificata) (GU L 299, pag. 25).
4 – V. i primi ‘considerando’ di ciascuna misura.
5 – V. proposta di regolamento del Consiglio sui marchi comunitari, COM (80) 635, pag. 23, primo paragrafo.
6 – V., ad esempio, sentenze della Corte 8 maggio 2008, causa C‑304/06 P, Eurohypo/UAMI (Racc. pag. I‑0000, punto 54) sugli ambiti di applicazione degli impedimenti assoluti alla registrazione di un marchio enunciati all’art. 7, n. 1, lett. b)-d) del regolamento e all’art. 3, n. 1), della direttiva, e 7 settembre 2006, causa C‑108/05, Bovemij Verzekeringen (Racc. pag. I‑7605, punto 22), in cui sono stati presi in esame l’art. 3, n. 3, della direttiva e l’art. 7, n. 3, del regolamento.
7 – V. terzo ‘considerando’.
8 – Nella sentenza 9 gennaio 2003, causa C‑292/00, Davidoff (Racc. pag. I‑389, punto 30), la Corte ha interpretato l’art. 5, n. 2, nel senso che si applica anche laddove i prodotti o i servizi contraddistinti dai due marchi sono simili o identici.
9 – Sentenza 14 settembre 1999, causa C‑375/97 (Racc. pag. I‑5421).
10 – La ratio di tale aspetto della condizione è definito al punto 23 della sentenza, in cui la Corte chiarisce che è necessario dimostrare un certo grado di conoscenza nel pubblico del marchio d’impresa anteriore, di cui il titolare chiede la tutela, al fine di provare che il pubblico potrebbe effettuare un confronto tra il marchio di cui si richiede la tutela e quello successivo, che secondo il titolare violerebbe i suoi diritti.
11 – Uno «Stato membro» nell’art. 5, n. 2, della direttiva; «la Comunità» nell’art. 9, n. 1, lett. c), del regolamento.
12 – Punto 24.
13 – Punto 25.
14 – Punto 26.
15 – Punto 27.
16 – Punti 29 e 31.
17 – V. paragrafo 3 supra e la giurisprudenza citata alla nota n. 5.
18 – V. paragrafo 36 infra.
19 – V. il primo e il secondo ‘considerando’ e l’art. 1, n. 2, del regolamento.
20 – V. il primo ‘considerando’ (il corsivo è mio).
21 – V. sentenza General Motors, citata alla nota n. 9, punti 24 e 25, riguardo al criterio da applicare.
22 – Punto 28.
23 – Sentenza 22 novembre 2007, causa C‑328/06 (Racc. pag. I‑10093).
24 – Non è impossibile concepire una situazione in cui, dopo avere esaminato il pubblico pertinente, un giudice nazionale potrebbe correttamente concludere che la notorietà all’interno di un ambito territoriale ristretto non costituisca tuttavia «notorietà nella Comunità» se il pubblico pertinente era (eccezionalmente) confinato in quell’area. Quindi, presumibilmente, un marchio che contraddistingue i prodotti destinati a chi produce kilt potrebbe godere di notorietà fra il pubblico pertinente nella Comunità che (probabilmente) verrebbe circoscritto a (parte di) un solo Stato membro. Suppongo, tuttavia, che tali ipotesi potrebbero presentarsi di rado.
25 – L’art. 50, n. 1, lett. a), prevede, essenzialmente, la decadenza di un marchio comunitario se esso non ha formato oggetto di un uso effettivo nella Comunità per un periodo ininterrotto di cinque anni.
26 – Procedimento R 1209/2005‑1, decisione 28 febbraio 2007.
27 – Causa T‑173/07, Reno Schuhcentrum/UAMI, in corso.
28 – V. nota n. 4 supra.
29 – V. proposta della prima direttiva del Consiglio sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa, [COM (80) 635], pag. 1, terzo paragrafo: «La proposta di regolamento persegue gli stessi obiettivi della direttiva ma mediante un altro percorso (…)».
30 – V. paragrafi 3 e 29 supra e note nn. 19 e 20.
31 – V. l’analisi della prima questione.
32 – Sembra che la Pago sia in effetti titolare di un marchio nazionale per i propri prodotti. Uno dei misteri insoluti della presente domanda di rinvio pregiudiziale – che, tuttavia, non approfondirò – è il motivo per cui i procedimenti dinanzi ai giudici nazionali hanno avuto come oggetto il marchio comunitario della Pago invece del suo marchio nazionale.
33 – La tutela dei diritti conferiti dall’art. 9, n. 1, lett. a) e b), non dipende dalla capacità di dimostrare che il marchio gode di «notorietà nella Comunità».
34 – V. sezione 1 del Titolo X, la cui unica disposizione (art. 90) fa subito riferimento alla Convenzione concernente la competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, firmata a Bruxelles il 27 settembre 1968 (in prosieguo: la «Convenzione di Bruxelles»). Una versione consolidata della Convenzione di Bruxelles con gli emendamenti apportati dalle quattro successive convenzioni di adesione è pubblicata sulla GU 1998 C 27, pag. 1. La Convenzione di Bruxelles è stata sostituita dal regolamento (CE) del Consiglio 22 dicembre 2000, n. 44/2001, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (in prosieguo: il «regolamento di Bruxelles» (GU 2001 L 12, pag. 1). La Danimarca e alcuni territori specifici sono esclusi dall’ambito di applicazione del regolamento di Bruxelles ai sensi dell’art. 299 CE.
35 – Designati ai sensi dell’art. 91 del regolamento.
36 – V. art. 94, n. 1, e (riguardo alle misure provvisorie e cautelari) l’art. 99, n. 2, del regolamento.
37 – V. quindicesimo ‘considerando’ del regolamento, che afferma che è indispensabile che le decisioni sulla validità e sulle contraffazioni dei marchi comunitari abbiano effetto e si estendano all’insieme della Comunità. V. anche sentenza 14 dicembre 2006, causa C-316/05, Nokia (Racc. Pag. I‑12083, punti 25 e 33), che sottolinea che la tutela del marchio comunitario dev’essere uniforme in tutto il territorio della Comunità.
38 – V. art. 93, n. 5, del regolamento.
39 – Art. 94, n. 2, del regolamento.