Conversazione sul ruolo della proprietà intellettuale nel dopo-Covid
NOTA:
Il testo qui riportato è la trascrizione, depurata delle parole di circostanza, della conversazione sul ruolo della proprietà intellettuale nel dopo-Covid, organizzata dal Centro Studi Grande Milano, tra la Sua Presidente, Avv. Daniela Mainini, già Presidente del Consiglio Nazionale Anticontraffazione, e l’Avv. Prof. Cesare Galli.
DANIELA MAININI – Parlare di proprietà intellettuale con Cesare Galli è per me un percorso che è iniziato molti anni fa, quando ero Presidente del Consiglio Nazionale Anticontraffazione: lui è stato uno tra i primi esperti giuridici che ho voluto chiamare al mio fianco per camminare insieme in una materia così importante per il sistema e lo sviluppo del Paese.
GALLI CESARE –Anche per me è un onore e un piacere stare qui oggi a conversare con te di un tema che è il cuore dello sviluppo del mondo. E lo è tanto più farlo col Centro Studi Grande Milano, che ha fatto tanto per far crescere la consapevolezza di Milano di essere il motore dello sviluppo del nostro Paese, sotto tutti i profili, l’innovazione, la creatività, il senso di responsabilità, il desiderio di guardare il futuro. Questo dunque è veramente per me qualcosa di più che un onore e una gioia: è un modo per lavorare insieme per un futuro migliore, tanto più in questo momento drammatico del nostro Paese.
DANIELA MAININI – Grazie, Cesare. Voglio iniziare da questo: io cinque anni fa, proprio alla fine della mia presidenza del Consiglio Nazionale Anticontraffazione, ho voluto scrivere quello che per alcuni forse era un libretto ma che per me è stato un libro importante, essendo un libro-progetto per le scuole. Ti ricordi che si chiamava "Virus contraffazione", Cesare?
GALLI CESARE – Un libro bellissimo.
DANIELA MAININI – È un libro che abbiamo portato in tante scuole. Ebbene, sostenevo che la contraffazione è proprio come un virus – e badate bene lo sostenevamo cinque anni fa – che si insinua nell’economia e la infetta, che ne segue il corso e la distrugge.
Ora anch’io non sapevo esattamente cosa potesse diventare un virus, quale forza virulenta e quale fragilità dell’essere umano potesse dimostrare essere un virus. Ebbene, cinque anni dopo, noi siamo qui con un virus che con la sua pervasività ha fermato il mondo, in particolare il nord Italia.
Il virus ha bloccato i nostri figli e ha bloccato noi in casa davanti a un computer, mostrandoci senza dubbio la solidità delle reti di ultima generazione ma aprendo un sacco di interrogativi. Quindi voglio proprio iniziare a parlare di questo, perché internet, questo nostro compagno di viaggio, questo grande contenitore, è anche un fruitore ed è anche un contenitore di gestione di diritti di proprietà intellettuale importante, ma al tempo stesso pericoloso. Vogliamo affrontare insieme questo argomento, il post Coronavirus?
GALLI CESARE – Cominciamo proprio con internet. Hai detto una grande verità e, vogliamo dirlo, quel libro è stato profetico sotto molti profili. Prima di tutto è un libro per i giovani, che sono oggi i principali, anzi i primi fautori e fruitori della rete, parte ormai dominante della loro vita. Forse, quando noi eravamo ragazzini, già si cominciava a vedere giovani che passavano tanto tempo davanti alla televisione. Ma la televisione, in qualche modo, era una fruizione passiva. Con internet, invece, i nostri giovani, oltre che trascorrere molte ore sui social, possono trovare tutto ciò che vogliono. Il tema, però, è che loro hanno le capacità tecniche di navigare in rete, molto migliori delle nostre, ma non hanno una capacità di giudizio sufficiente. E quindi è proprio ai giovani, anzitutto, che ci si deve in questo momento rivolgere.
DANIELA MAININI – Certo.
GALLI CESARE – Per questo quel libro era ed è così importante. E c’era un’altra cosa che emergeva in quel libro, che secondo me poi è esplosa straordinariamente, e quindi ancora una volta è stato un libro, in qualche modo, profetico. E cioè il falso sulla rete, perché il falso non è soltanto il marchio falso, il prodotto che non c’è, o la truffa informatica, ma è proprio la diffusione di informazioni che sembrano vere e che non lo sono.
Noi abbiamo affrontato due anni fa questo tema nel convegno nazionale, che organizzo ogni anno con l’Università di Parma per affrontare le tematiche più attuali della proprietà intellettuale, quando ci siamo occupati anche delle fake news e del loro rilievo anticoncorrenziale, mettendo tra l’altro in rilievo il fatto che, per essere creduta, una fake news ha bisogno di non dare un’informazione completamente falsa. Se uno scrive “gli asini volano”, non ci crede nessuno. Però se comincia a scrivere che per curare il Coronavirus si può fare una certa cosa e mette un po’ di informazioni assolutamente vere, ma inserendo tra di esse anche l’informazione falsa, la capacità di discernimento di tutti, badate bene, anche dei più esperti, è messa a dura prova.
Quindi la moralizzazione della rete con la lotta a tutte le forme di falso che vi si trovano non è solo un dovere giuridico, ma è anche un dovere morale, che proprio il Centro Studi non può che perseguire, proprio nella sua idea etica di capitalismo e di libertà dell’economia. Un’etica in pari tempo liberale, sociale e riformista, che è la sua – diciamolo pure – carta d’identità.
DANIELA MAININI – Esatto.
GALLI CESARE – Ecco perché è così importante muoversi sulla rete rispettando le regole e trovando gli strumenti giuridici per farle rispettare, a tutela di chi fa veramente innovazione, di chi fa comunicazione pulita: e il marchio è soprattutto uno strumento di comunicazione e serve quindi anzitutto proprio a chi fa innovazione vera, ossia quella che, naturalmente, dobbiamo incoraggiare.
DANIELA MAININI – Esatto Cesare. In effetti, in uno dei tuoi ultimi scritti, parlando delle imprese che hanno subito e subiscono il lockdown e che devono riprendere ancora più forti di prima, in particolare con riferimento al know-how e ai segreti commerciali, hai detto che non è un caso che il primo articolo dell’accordo di gennaio tra Stati Uniti e Cina si apra proprio con la tutela dei trade secrets, ovverosia la protezione dei segreti commerciali. Parlaci un po’ di questa fase del “post-lockdown” dal punto di vista delle aziende, che mi sembra molto interessante.
GALLI CESARE – La premessa, secondo me, è la seguente: in questo momento, in cui siamo ancora in una Fase 2, che sta per diventare Fase 3, dobbiamo avere una forte visione del futuro, perché come la crisi del 2008, anche questa crisi, più pesante ancora, a rischio addirittura di trasformarsi da recessione in depressione, deve essere colta come una sfida e un’opportunità. E Milano è sicuramente quella che deve cogliere per prima questa sfida, proprio perché è la guida economica e – non nascondiamocelo – anche morale del Paese. Facciamo un’altra premessa doverosa: chi crede che questa emergenza sia un’emergenza nata da un eccesso di globalizzazione ha torto.
DANIELA MAININI – Non c’è dubbio.
GALLI CESARE – Parliamoci chiaro: le notizie sulla diffusione del virus sono state artificialmente tenute nascoste per un lungo periodo da un regime, quello cinese, che cerca, almeno apparentemente, di essere basato su un’economia libera, ma in realtà è comunque un regime totalitario. La Russia ha fatto lo stesso. Altri Paesi, ad esempio l’Iran e il Brasile, hanno fatto lo stesso, o almeno ci hanno provato.
Abbiamo, quindi, avuto un deficit di globalizzazione, perché non è stata ancora globalizzata la libertà. Ma la globalizzazione, tutta la globalizzazione, è il futuro: non è pensabile isolarci, illudendoci così di difenderci e invece chiudendoci. Ed ecco il secondo passaggio fondamentale: la globalizzazione deve essere governata attraverso la libertà, che dev’essere libertà economica e politica insieme. Quindi l’Europa può giocare una parte decisiva sotto questo profilo.
DANIELA MAININI – Non c’è dubbio.
GALLI CESARE – Ma soprattutto sono decisive le imprese. Ed ecco il punto fondamentale in questo momento. Le imprese, le tante imprese innovative associate al Centro Studi, che cosa devono fare? Devono, io credo, interpretare le nuove domande e i nuovi bisogni. E in questo momento ci sono dei nuovi bisogni. Proprio il Coronavirus ci ha fatto vedere e capire cose che non verranno dimenticate. Certo che saremo tutti contenti quando potremo uscire più liberamente anche dalla nostra regione, spostarci, non avere più queste benedette mascherine, che servono, e che quindi portiamo orgogliosamente, ma che in qualche misura sono proprio il simbolo del limite che oggi ci dobbiamo imporre, proprio perché vogliamo metterci in grado di superarlo nel più breve tempo possibile.
Tuttavia, il lavoro da remoto, in molte ipotesi diventerà una componente significativa della nostra vita. Non unica, ma sicuramente significativa. Di conseguenza, la sicurezza informatica sarà fondamentale. Cambierà anche il rapporto che noi avremo tra la nostra vita domestica e la vita lavorativa, che devono restare separate, ma nello stesso tempo dovranno potersi integrare a vicenda, perché l’uomo è una persona unitaria sotto tutti i profili. Anche questo creerà nuovi bisogni. Il fatto, per esempio, di migliorare la vita all’interno della propria casa, nel relax e nel lavoro e nel passaggio più agevole dall’uno all’altro.
Il primo snodo nel quale la proprietà intellettuale giocherà un ruolo decisivo sarà però proprio quello della tutela della riservatezza delle informazioni. Pensiamo al fatto che, lavorando da casa molto più spesso che in passato, ci sono più rischi che le informazioni riservate dell’impresa possano venire disperse. E, quindi, avremo bisogno di ri-regolamentare, soprattutto a livello di impresa, non di Legislatore, questa riservatezza. Il legislatore in questo caso non deve fare niente: le norme ci sono, e grazie a Dio sono norme generali, quindi adattabili anche a situazioni nuove, ma le dobbiamo utilizzare bene, anzitutto contrattualizzando correttamente questo lavoro da casa e le licenze che dovessero venire rilasciate per la realizzazione effettuata almeno in parte direttamente nei mercati di sbocco dei prodotti delle nostre imprese e la tutela del relativo know-how.
DANIELA MAININI – Ti interrompo sotto questo aspetto perché è un interesse che chi come me svolge l’attività ex 231 ovvero chi si occupa di responsabilità organizzativa e penale di impresa , deve avere a cuore, e ha a cuore. C’è ancora troppa inconsapevolezza e di ignoranza di quello che è il concetto della responsabilità organizzativa.
E mi succede spesso, Cesare, che andando nelle diverse aziende, anche quelle di grande dimensione, ci sia una sorta di tolleranza dell’applicazione del Dl. 231/01, perché pare una eccessiva procedimentalizzazione di prassi esistenti e consolidate. Ebbene, è esattamente il contrario.
Lo ha dimostrato anche l’esperienza del Covid che giustamente gestito come infortunio, e quindi con una valutazione delle tutele che utilizza e che utilizzerà l’imprenditore nei confronti dei suoi dipendenti, compresa la rivisitazione del DVR , sono di grande rilevanza all’interno dell’azienda, che al solito in caso di reato è valutabile ex post (che è il controllo che fa il Pubblico Ministero). L’imprenditore dovrà dimostrare di aver adottato ogni tutela come ben si addice all’imprenditore corretto che possiede adeguata responsabilità organizzativa.
E quindi io vorrei un attimo tranquillizzare i nostri imprenditori, gli imprenditori di cui è costituito anche il Centro Studi Grande Milano e dire loro: guardate che se le tutele vengono prese, e vengono prese in termini rigorosi, non c’è un’inversione dell’onere della prova con una responsabilità tout-court nei confronti del datore di lavoro, ma il datore di lavoro, per andare esente da responsabilità, dovrà dimostrare di avere adottato cautele organizzative valide, come dovrà dimostrare di avere un modello organizzativo che funzioni, e un DVR (Documento di Valutazione dei Rischi) che abbia preso in seria considerazione il rischio Covid. Scusa, ti ho Interrotto, ma mi sembrava un concetto molto importante da dire ai nostri imprenditori.
GALLI CESARE – Non mi hai affatto interrotto, ma hai integrato il mio pensiero. Daniela Mainini è stata fra i primi in questo Paese, quando è uscita la Legge 231 del 2001, a porre con forza questo tema, perché noi pensiamo sempre alla proprietà intellettuale in chiave di: “ho dei miei diritti e li devo proteggere”. Ed è giusto, ma non basta: perché occorre preoccuparsi anche di evitare di violare i diritti altrui, anche perché vi è una responsabilità dell’impresa, per l’appunto prevista da questa legge, nell’ipotesi in cui essa non abbia adottato un modello organizzativo idoneo a prevenire gli illeciti, di cui sono parte integrante anche i codici etici, che hanno un’importanza estrema sotto questo profilo e tra l’altro possono anche essere “spesi” pubblicamente – ecco di nuovo il nesso tra comunicazione e innovazione – spiegando ai potenziali clienti che si dispone di questo modello e che quindi si è all’avanguardia anche sotto questo profilo.
L’etica può essere un plus importante anche sul piano concorrenziale, tanto più in questo momento, in cui, come dicevo prima, ci sono nuove domande, che hanno come denominatore comune la qualità della vita. E l’Italia è simbolo della qualità della vita, non solo perché ha la grande bellezza del nostro Paese, ha una gastronomia straordinaria, ha una storia memorabile, ha dei siti Unesco straordinari, eccetera, ma anche per l’innovazione tecnica nella qualità della vita. Pensiamo al lavoro straordinario che viene fatto al Politecnico e in altre istituzioni universitarie milanesi di eccellenza, ma anche a quello che viene fatto in tante nostre imprese innovative in moltissimi settori.
I primi esempi che mi vengono alla mente sono quello della straordinaria realtà creata da un grande amico del Centro Studi, Giorgio Basile, con Isagro, che sta facendo veramente innovazioni fantastiche, in grado di migliorare la qualità dell’agricoltura del mondo, non solo dell’Italia; e quello delle incredibili applicazioni brevettate del grafene di Directa Plus di Giulio Cesareo. Stiamo parlando di soggetti all’avanguardia assoluta, che giustamente devono comunicare le loro eccellenze, anche su temi come la sostenibilità, la responsabilità sociale (pensiamo a un altro grande amico del Centro Studi come Ernesto Pellegrini), l’amore per il territorio in cui operano.
Ma oltre a comunicare la propria eccellenza e a proteggersi contemporaneamente contro il rischio di incorrere in responsabilità per la violazione di asset altrui e contro lo sfruttamento parassitario dei propri asset, oggi più che mai occorre fare anche una terza cosa, che ruota intorno ai diritti della proprietà intellettuale, ed è quella di sfruttare questi asset come leve per crescere “esternamente”, anche in settori diversi dal proprio core business, attraverso politiche di licensing o cessioni mirate, che però devono essere ovviamente garantite da clausole che garantiscano, in particolare, che le informazioni, nel momento in cui vengono trasferite, magari a partner dall’altra parte del globo, non vengano divulgate e quindi disperse. E gli strumenti giuridici e tecnici per fare questo ci sono: l’importante è esserne consapevoli. Conoscere per deliberare, diceva Einaudi, e aveva perfettamente ragione. Si deve sapere che questi strumenti ci sono, che il modo di proteggerci c’è, e poi adottarli concretamente nella propria azienda, nella propria attività d’impresa.
DANIELA MAININI –Cesare, hai toccato proprio il punto su cui vorrei terminare, perché questo è un percorso che noi continuiamo a tutela della proprietà intellettuale. Hai parlato proprio dell’Italia e del Made in Italy, che è una materia che mi sta molto a cuore, rispetto alla quale ho fatto molte sentenze, ho accompagnato molti imprenditori…
GALLI CESARE – E hai scritto un bellissimo libro: non dimenticare il tuo bellissimo libro su questo tema.
DANIELA MAININI – Sì, “Fatto in Italia? No: Made in Italy” è anche un po’ provocatorio per certi versi.
GALLI CESARE – Esatto.
DANIELA MAININI – Però abbiamo fatto anche un altro bellissimo libro insieme, Cesare, anche con Deborah Zani - che ricordo e che sarà certamente la prossima ospite con noi in questa chiacchierata –, sul tema del brand riconoscibile nel mondo e di come gestirlo, “Competere col brand sul mercato globale”. Ma, soprattutto, mi piace parlare dell’Italia, di Milano e, perché no, anche della Lombardia. In fondo, proprio in questo momento di grande lutto, i tanti lutti privati devono diventare un dolore pubblico. Ebbene, come può modificarsi la reputazione di un territorio? Ricordi certamente che il nostro grande chef Gualtiero Marchesi, indimenticabile, lo cito sempre, diceva: "Beh, insomma sessant’anni fa la cucina a Milano era una cosa tale che Buzzati voleva cacciarla fuori dalla cucina italiana". Perché? Perché a Milano si mangiava male, c’erano solo gli osti toscani, era tutta un’altra cosa. Oggi a Milano si mangia molto bene. “E, quindi, non sono passato invano”, diceva Gualtiero. Noi sappiamo che il concetto del Made in Italy è un concetto cangiante, cioè si può agire su quella che è l’immagine Paese, e l’abbiamo anche dimostrato nel libro che abbiamo fatto in comune. Tu credi – e con questa poi veramente chiudiamo, perché abbiamo anche sforato nei tempi – che l’immagine del nord Italia, così come compromessa in questo momento, potrà essere modificata presto, e in che termini?
GALLI CESARE – Prima di tutto permetti che ti dica che io credo che, invece, in questo momento l’immagine della Lombardia, l’immagine del nord, l’immagine di queste che sono le regioni più produttive e creative dell’Europa, vada difesa con orgoglio, perché, nonostante queste regioni siano state colpite più duramente degli altri, e ciò proprio in ragione del fatto di essere le regioni più produttive, più densamente abitate e più esposte ai contatti internazionali, esse hanno saputo resistere e Milano ha addirittura resistito magnificamente, se si pensa che, benché sia il centro più importante anche sul piano della densità della popolazione, parliamoci chiaro, ha comparativamente – ed è un paradosso – avuto più capacità di resistenza, addirittura direi di resilienza, rispetto ad altre parti del territorio della stessa regione. Dunque io credo che di ciò che è stato fatto in questi mesi terribili dobbiamo essere non mortificati, ma orgogliosi, proprio per chi è caduto in questi mesi, in questa battaglia. Penso non solo ai tanti nostri anziani, alle persone più deboli che purtroppo sono state le più esposte, e quindi le più colpite: penso anche ai medici che sono stati impegnati allo spasimo, alcuni dei quali sono caduti proprio per il loro impegno “in prima linea” e penso agli ospedali di emergenza allestiti a tempo di record a Milano e Bergamo, una “riserva strategica” che avrebbe potuto essere provvidenziale, se il contenimento dell’infezione non fosse riuscito.
Per far ripartire la nostra economia occorre dunque riuscire a mettere insieme l’immagine Paese e l’immagine delle imprese, facendo in modo che le eccellenze si sostengano a vicenda. Penso anche a politiche di co-branding, in cui si utilizzano insieme i marchi della cultura, del territorio, della enogastronomia del nostro Paese con i marchi delle imprese di eccellenza dei vari territori. Andare sui mercati che la globalizzazione ha aperto, promuovendo insieme, ad esempio, l’Orchestra Verdi, che è un vanto di Milano e le imprese che fanno l’eccellenza produttiva di Milano, oppure, spostandoci un poco più a est, il Franciacorta, che è una nostra eccellenza straordinaria a livello internazionale, o la Mille Miglia, per parlare di un altro bellissimo marchio, e le migliori imprese del territorio bresciano, può innescare circoli virtuosi, creando una sorta di spinta reciproca, appunto attraverso operazioni di co-branding, che facciano scoprire o riscoprire le bellezze del nostro Paese, ma anche le nostre eccellenze, facendo capire al resto del mondo che l’Italia, e la Lombardia in primo luogo, e Milano ancora prima, è tutto questo insieme.
E poi l’altra cosa che, secondo me, è fondamentale, è il coraggio di essere glocal, cioè di costruire un business globale, ma in grado da un lato di far valere le peculiarità del nostro territorio, e dall’altro di adattarsi alle domande diverse che possono venire dalle diverse parti del mondo, alle quali si propongono i propri prodotti e servizi. E non c’è niente come Milano e la sua creatività che non possa essere proprio l’esempio e il punto di partenza.
Ancora una volta la proprietà intellettuale è decisiva per riuscire a sostenere questi processi. E credo, quindi, che sia veramente importante che tutti facciamo delle riflessioni per trasformare l’immensa sciagura del Covid-19 in una grande opportunità di nuova crescita, di nuovo sviluppo per tutto il nostro Paese, per tutte le nostre famiglie, le nostre imprese.
DANIELA MAININI – Grazie davvero di cuore di questa bella chiacchierata. Noi abbiamo sempre modo di parlare, però ritengo che questo sarà molto utile per i nostri associati, per tutto il Centro Studi Grande Milano e per tutto il Paese. Un percorso insieme che non finiamo qui, ma iniziamo perché in Milano c’è la storia di una grande resistenza. Milano ha sempre resistito a qualunque distruzione, anche storicamente. Sono passate tantissime popolazioni, noi abbiamo sempre ricostruito: è appena passata una data fondamentale, che è quella del 2 giugno, che – fammelo ricordare – è quella del primo voto alle donne, un anno dopo la Liberazione, col Paese distrutto, che però ha saputo ricominciare e partire con grande slancio verso quello che è stato chiamato il Miracolo Economico. In questi momenti, per le donne, con questo smart working e con i figli piccoli intorno, non è stata una grande liberazione: per questo dobbiamo parlare anche un po’ più al femminile, per costruire insieme un futuro nel quale la proprietà intellettuale giocherà un ruolo decisivo.