Corte Costituzionale: incostituzionale il limite massimo di tre embrioni della legge sulla procreazione assistita

Presidente Francesco Amirante

Redattore Alfio Finocchiaro

Nei giudizi di legittimità costituzionale dell’articolo 6, comma 3, e dell’articolo 14, commi 1, 2, 3 e 4, della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), promossi dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio con sentenza del 21 gennaio 2008 e dal Tribunale ordinario di Firenze con ordinanze del 12 luglio e del 26 agosto 2008, rispettivamente iscritte ai nn. 159, 323 e 382 del registro ordinanze 2008 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 22, 44 e 50, prima serie speciale, dell’anno 2008.

Visti gli atti di costituzione della Warm (World Association Reproductive Medicine), della Federazione Nazionale dei Centri e dei Movimenti per la vita italiani, del Comitato per la tutela della salute della donna, di C. S. A. ed altro, di C. M. ed altro, nonché gli atti di intervento della Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica ed altre e dell’Associazione Cecos Italia, della S.I.S.Me.R. s.r.l. (Società Italiana Studi di Medicina della Riproduzione s.r.l.), della Associazione Hera Onlus, della Associazione Sos Infertilità Onlus e di C. M. ed altro, della Cittadinanzattiva Toscana Onlus e del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 31 marzo 2009 il Giudice relatore Alfio Finocchiaro;

uditi gli avvocati Gian Carlo Muccio per la Warm e per la S.I.S.Me.R. s.r.l., Isabella Loiodice e Filippo Vari per il Comitato per la tutela della salute della donna, Antonio Baldassarre e Giovanni Giacobbe per la Federazione Nazionale dei Centri e dei Movimenti per la vita italiani, Gian Domenico Caiazza per C. S. A. ed altro, per l’Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica ed altre e per la Associazione Cecos Italia, Ileana Alesso, Massimo Clara, Maria Paola Costantini, Marilisa D’Amico e Sebastiano Papandrea per C. M. ed altro e per l’Associazione Hera Onlus, per la Associazione Sos Infertilità Onlus e per Cittadinanzattiva Toscana Onlus e l’Avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. – Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con sentenza 21 gennaio 2008, n. 398 (reg. ord. n. 159 del 2008) – con la quale, su rinvio dal Consiglio di Stato, in accoglimento del sesto motivo del ricorso proposto dalla Warm (World Association Reproductive Medicine), ha annullato le disposizioni delle linee guida, approvate con d.m. 21 luglio 2004 – ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 32 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, commi 2 e 3, della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), nella parte in cui prevede, ai fini della applicazione della procedura della procreazione medicalmente assistita, la formazione di un numero limitato di embrioni, fino ad un massimo di tre, da impiantare contestualmente, e vieta la crioconservazione di embrioni al di fuori delle limitate ipotesi ivi previste.

Il Collegio rimettente ravvisa la rilevanza della questione di costituzionalità nel giudizio a quo nella circostanza che la ulteriore censura, ad opera della medesima ricorrente, delle predette linee guida – per contrasto con l’art. 32, secondo comma, e con gli artt. 2 e 3 Cost., nella parte in cui non consentono la crioconservazione degli embrioni al fine dell’impianto se non in ipotesi del tutto eccezionali e ne prevedono la formazione in un numero limitato fino ad un massimo di tre, da impiantare contestualmente – pur proposta avverso un atto a contenuto generale di fonte secondaria, tocca, in realtà, l’art. 14, commi 2 e 3, della legge n. 40 del 2004, di cui le citate norme regolamentari costituiscono letterale e pedissequa espressione, con la conseguenza che la contestazione delle disposizioni delle linee guida non potrebbe che passare attraverso una questione di legittimità costituzionale della norma di legge che ne costituisce il fondamento.

Sotto il profilo della non manifesta infondatezza, il Collegio rimettente – premesso che la finalità cui è ispirata l’intera legge n. 40 del 2004, secondo quanto si desume, in particolare, dall’art. 1, è quella di assicurare i diritti di tutti i soggetti coinvolti nella procedura di procreazione assistita, compreso il concepito, e che, ai sensi dell’art. 4, comma 2, lettera a), nel fare ricorso alle relative tecniche, è necessario ispirarsi al principio della gradualità, per evitare interventi aventi un grado di invasività tecnica e psicologica più gravoso (di quanto necessario) per i destinatari – ritiene che, non fornendo la legge n. 40 una definizione del termine «embrione», con esso si intenda fare riferimento ad un significato il più ampio possibile, vale a dire alla situazione che si determina a partire dalla fecondazione dell’ovulo.

Svolte tali considerazioni preliminari, il Collegio rimettente richiama l’art. 14 della legge n. 40 del 2004, intitolato «Limiti all’applicazione delle tecniche sugli embrioni», ove, al comma 2, si stabilisce che le tecniche di produzione degli embrioni «non devono creare un numero di embrioni superiore a quello strettamente necessario ad un unico e contemporaneo impianto, comunque non superiore a tre» e, al comma 3, si afferma che nel caso in cui «il trasferimento nell’utero degli embrioni non risulti possibile per grave e documentata causa di forza maggiore relativa allo stato di salute della donna non prevedibile al momento della fecondazione è consentita la crioconservazione degli embrioni stessi fino alla data del trasferimento, da realizzare non appena possibile».

Rileva il giudice a quo che la preoccupazione manifestata dalle due disposizioni citate sembra essere essenzialmente quella di pervenire ad un unico impianto allo scopo precipuo di evitare la crioconservazione che sarebbe, invece, indispensabile nel caso in cui dovesse essere prodotto un numero di embrioni superiore a quello effettivamente impiantabile, ed in ogni caso superiore a tre: la ragione di tale previsione risiede, probabilmente – avverte il rimettente – nella circostanza che con la tecnica della crioconservazione molti embrioni possono andare perduti.

Detta disciplina sembra al rimettente contrastare con l’art. 3 Cost. per violazione del canone di ragionevolezza, ed ancora con il medesimo art. 3 per quanto attiene alla parità di trattamento, oltre che con l’art. 32 Cost. nella misura in cui consente pratiche che non bilancerebbero adeguatamente la tutela della salute della donna con quella dell’embrione.

Ed invero, osserva il giudice a quo, ammettere – come ha fatto la legge n. 40 del 2004, all’art. 14, comma 2 – la possibilità di un impianto di più embrioni (fino ad un massimo di tre), nella consapevolezza che alcuni di essi potranno disperdersi, significa accettare che per una concreta aspettativa di gravidanza è necessario procedere ad un impianto superiore all’unità e accettare, altresì, che alcuni di tali embrioni, o anche uno solo, oltre a quello che dà luogo ad una gravidanza, possano andare dispersi.

Nelle situazioni appena descritte, la legge consente che la tutela dell’embrione affievolisca per lasciare spazio al fine perseguito, che è quello di consentire il ricorso ad una tecnica di procreazione medicalmente assistita garantita da concrete speranze di successo.

Ora, se finalità della legge è quella di individuare un giusto bilanciamento tra la tutela dell’embrione e quella dell’esigenza di procreazione, sarebbe irragionevole la previsione che impone la produzione di embrioni in numero tale da rendere possibile l’effettuazione di un unico impianto e comunque in numero non superiore a tre, così come il sostanziale divieto di crioconservazione, ammessa nella sola ipotesi di forza maggiore relativa allo stato di salute della donna insorto successivamente alle fecondazione.

La legge n. 40 del 2004 non avrebbe dovuto escludere la possibilità di consentire l’accertamento delle molte variabili che accompagnano la vicenda della procreazione assistita, quali ad esempio la salute e l’età della donna interessata e la possibilità che ella produca embrioni non forti, intendendo con ciò non quelli che sono capaci di produrre una «razza migliore» – idea espressamente e giustamente vietata dalla legge n. 40 del 2004 – ma semplicemente quelli che si possono rivelare più idonei a realizzare il risultato della gravidanza e della procreazione.

Né rileverebbe, in contrario, la previsione della variabilità da uno a tre degli embrioni impiantabili, sulla scorta del comma 2 dell’art. 14 della legge n. 40 del 2004, in quanto detta previsione tenderebbe ad assicurare concrete possibilità di gravidanza alle persone di medie condizioni fisiche, mentre non fornirebbe la medesima possibilità nei confronti delle donne non giovani o di quelle che non riescono a produrre contestualmente tre embrioni di buona qualità nei sensi prima precisati. E in ciò si rivelerebbe, inoltre, la disparità di trattamento dovuta alla circostanza che situazioni diverse sarebbero sottoposte allo stesso trattamento predeterminato per legge.

La predeterminazione del numero degli embrioni producibili e successivamente impiantabili, imposta dalla norma in modo aprioristico e a prescindere da ogni concreta valutazione del medico curante sulla persona che intende sottoporsi al procedimento di procreazione medicalmente assistita, non sarebbe in linea con quel bilanciamento di interessi che la legge n. 40 del 2004 sembrerebbe voler perseguire.

Il Collegio rimettente lamenta, altresì, il vulnus al diritto alla salute, sancito dall’art. 32 della Costituzione. Infatti, la limitazione del numero degli embrioni producibili e contestualmente impiantabili e il divieto della crioconservazione degli stessi – se non nella circoscritta ipotesi prima descritta – comporterebbero che nell’ipotesi, tutt’altro che improbabile, di un tentativo non andato a buon fine, sia necessario assoggettare la donna ad un successivo trattamento ovarico, ossia ad una pratica medica che comporta in sé il rischio della sindrome da iperstimolazione ovarica e che trova nella legge, e non in esigenze di carattere medico, il suo fondamento. Pratica che, a prescindere da ogni valutazione delle conseguenze sul piano fisico e psicologico della paziente ad essa sottoposta, sarebbe in contrasto con gli stessi principi ispiratori della legge in esame, ed in particolare con quello della «minore invasività», espressamente enunciato nell’art. 4, comma 2, lettera a).

1.1. – Nel giudizio innanzi alla Corte si è costituita la Warm, parte del giudizio a quo, che ha concluso per la declaratoria di illegittimità costituzionale sollecitata dal Collegio rimettente, sviluppando argomentazioni adesive a quelle di cui all’atto introduttivo del giudizio di costituzionalità.

In particolare, con riferimento al ritenuto contrasto delle norme impugnate con l’art. 32 Cost., si rileva nell’atto di costituzione che il limite, imposto dalla legge n. 40 del 2004, di tre ovociti inseminabili si pone in contrasto con la tutela della salute della donna, riducendo irragionevolmente le possibilità di successo del trattamento di procreazione medicalmente assistita, impedendo al biologo di selezionare, tra quelli formatisi, gli embrioni più idonei a svilupparsi in un feto e di crioconservare quelli in eccesso per un futuro trasferimento, e costringendo la donna a sottoporsi a nuovi interventi di stimolazione ovarica e di prelievo chirurgico degli ovociti. D’altra parte, si evidenzia nella memoria di costituzione il rischio opposto, quello, cioè, di successo del processo di fecondazione, con possibile insorgenza di una gravidanza plurigemellare, che, a sua volta, comporta rischi per la salute della donna e del concepito.

Per altro verso, la Warm sottolinea che la normativa in questione elimina la discrezionalità della valutazione del medico – unico ad essere in grado di individuare il miglior bilanciamento tra rischi e benefici per la donna e per l’embrione, nel momento in cui si trovi ad applicare il trattamento sanitario di fecondazione assistita – in violazione dell’art. 3 Cost., per la discriminazione che si opererebbe tra le donne in buona salute, per le quali maggiore è la facilità di attecchimento degli embrioni, e quelle che non lo sono per età o condizioni fisiche.

Infine, la Warm ravvisa nelle disposizioni censurate un vizio di irragionevolezza interna, sotto il profilo della incoerenza teleologica, per essere i mezzi predisposti incongrui rispetto alla ratio legis, per il fatto che dette disposizioni, nel consentire la formazione, ed il contestuale unico impianto, per il divieto di crioconservazione, del numero massimo di tre embrioni, ammettono, ed anzi auspicano, che solo uno di essi attecchisca, con conseguente dispersione degli altri, derogando, in tal modo, all’obbligo di tutela dei diritti di tutti i soggetti coinvolti nella procedura.

La irragionevolezza emergerebbe, altresì, nella comparazione con la disciplina della interruzione volontaria della gravidanza, poiché la tutela dell’embrione, cui si ispira il divieto di crioconservazione e di soppressione di cui all’art. 14 della legge n. 40 del 2004, scomparirebbe una volta effettuata con successo la inseminazione, essendo consentito l’aborto, almeno fino al novantesimo giorno di gravidanza.

Infine, sarebbe irrazionale la previsione del numero massimo di tre embrioni impiantabili, in quanto privo di alcun supporto medico-scientifico.

L’associazione costituita richiede, altresì, la dichiarazione di illegittimità costituzionale del comma 1 dell’art. 14 della legge n. 40 del 2004, che prescrive il divieto di soppressione e crioconservazione degli embrioni, la cui sopravvivenza, in presenza dell’accoglimento della questione di legittimità costituzionale dei commi 2 e 3 dello stesso articolo, determinerebbe una estensione dei divieti, senza ammettere alcuna possibilità di deroga.

1.2. – Nel giudizio innanzi alla Corte si sono altresì costituite la Federazione Nazionale dei Centri e dei Movimenti per la vita italiani ed il Comitato per la tutela della salute della donna – intervenuti ad opponendum nel giudizio principale – concludendo entrambi per la inammissibilità o la infondatezza della questione.

La prima ha eccepito la inammissibilità della questione, sotto il profilo del difetto di rilevanza, per non essersi il TAR rimettente pronunciato sulla carenza di interesse diretto della Warm nel giudizio, avendo erroneamente ritenuto che sulla relativa questione si fosse formato il giudicato, come stabilito dal Consiglio di Stato in sede di appello. Il Collegio rimettente avrebbe, inoltre, preso in considerazione alcuni motivi del ricorso della Warm respinti nella precedente sentenza e non riproposti.

Nel merito, la Federazione costituita ha rilevato che il limite massimo di tre embrioni è stabilito dalla legge n. 40 del 2004 ai fini della tutela della salute della donna e degli stessi embrioni, avuto riguardo alle difficoltà connesse alle gravidanze multiple. In sostanza, la legge n. 40 attuerebbe un ragionevole bilanciamento tra l’interesse della coppia alla genitorialità e il diritto alla vita del concepito, espressamente affermato dall’art. 1 della legge stessa. Del resto, anche la tutela della salute della donna sarebbe meglio garantita da una stimolazione “soffice” che non da una stimolazione forte, effettuata allo scopo di avere a disposizione un numero abbondante di ovociti. Infine, anche la discrezionalità del medico dovrebbe rispettare le regole derivanti dalla esigenza di tutela dei diritti umani fondamentali.

Il Comitato per la tutela della salute della donna ha, a sua volta, eccepito la inammissibilità della questione in quanto sollevata con sentenza anziché con ordinanza, in violazione delle norme sul processo costituzionale. Il TAR rimettente – si rileva nella memoria – da un lato ha sollevato la questione di legittimità costituzionale, dall’altro ha definito in parte il giudizio con decisione impugnabile innanzi al Consiglio di Stato.

Altro profilo di inammissibilità della questione viene adombrato nel mutamento del quadro normativo per effetto dell’intervento delle nuove linee guida in materia di procreazione medicalmente assistita, di cui al d.m. 11 aprile 2008, che avrebbe determinato la estinzione del giudizio amministrativo e, con esso, travolto il giudizio di costituzionalità.

Nel merito, il predetto Comitato ha insistito per la infondatezza della questione, rilevando che l’affievolimento del diritto alla vita dell’embrione non sarebbe materia disponibile da parte del legislatore ordinario, avuto riguardo al fondamento costituzionale di tale diritto, e che, inoltre, la limitazione a tre del numero massimo di embrioni impiantabili corrisponderebbe al numero massimo di embrioni suscettibili, secondo la scienza medica, di dar luogo alla gravidanza.

1.3. – Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso, a sua volta, per la inammissibilità della questione, in quanto sollevata con sentenza, e, nel merito, per la sua infondatezza. Al riguardo, osserva l’Autorità intervenuta che essa si risolve in una critica alle scelte discrezionali del legislatore, che ha, invece, a suo avviso, effettuato una ragionevole comparazione tra l’interesse della donna al buon esito della procedura di procreazione medicalmente assistita e la tutela dell’embrione.

1.4. – Sono altresì intervenute l’Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica, l’Associazione Cecos Italia e la S.I.S. Me.R. s.r.l., che hanno concluso per la declaratoria di illegittimità costituzionale delle norme censurate dal T.A.R., con argomentazioni adesive ai contenuti del provvedimento di rimessione della questione.

1.5. – Hanno, quindi, depositato memorie le parti costituite, Warm e Federazione Nazionale dei Centri e dei Movimenti per la Vita italiani (che ha anche dubitato della sussistenza del requisito della incidentalità della questione sollevata) ed il Comitato per la tutela della salute della donna, insistendo nelle rispettive conclusioni. Quest’ultimo, in particolare, ha fatto presente che, nonostante la rimessione degli atti alla Corte, il giudizio a quo è proseguito, essendosi svolta una camera di consiglio a seguito della istanza di correzione di errore materiale proposta dalla Warm, nel senso di estendere la censura anche al comma 1 dell’art. 14 della legge n. 40 del 2004, ed essendo stata emessa una pronuncia, la sentenza n. 7956 del 2008, con la quale il TAR Lazio ha fornito una interpretazione autentica della precedente decisione con la quale aveva sollevato la questione di legittimità costituzionale in esame. In subordine, il predetto Comitato ha chiesto alla Corte di restituire gli atti al giudice a quo perché valuti nuovamente la rilevanza della questione alla luce del sopravvenuto decreto del Ministro della salute dell’11 aprile 2008, che ha adottato le nuove linee guida in materia di procreazione assistita; e di valutare la sopravvenuta irrilevanza della questione per effetto dell’abrogazione delle precedenti linee guida.

Hanno depositato memoria, altresì, l’Avvocatura generale dello Stato, che ha insistito per la inammissibilità e l’infondatezza della questione, l’Associazione Cecos Italia e l’Associazione Luca Coscioni, oltre alle Associazioni Amica Cicogna Onlus, Madre Provetta Onlus, Cerco un bimbo, L’altra Cicogna Onlus e l’Associazione www.unbambino.it, che hanno, invece, concluso per la declaratoria di illegittimità costituzionale.

1.6. – Nell’imminenza della odierna udienza pubblica, la difesa della Warm ha depositato memoria, nella quale vengono analizzati i dati del Registro europeo relativi ai trattamenti effettuati nell’anno 2005, recentemente pubblicati a cura del

Presidente Francesco Amirante

Redattore Alfio Finocchiaro

Nei giudizi di legittimità costituzionale dell’articolo 6, comma 3, e dell’articolo 14, commi 1, 2, 3 e 4, della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), promossi dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio con sentenza del 21 gennaio 2008 e dal Tribunale ordinario di Firenze con ordinanze del 12 luglio e del 26 agosto 2008, rispettivamente iscritte ai nn. 159, 323 e 382 del registro ordinanze 2008 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 22, 44 e 50, prima serie speciale, dell’anno 2008.

Visti gli atti di costituzione della Warm (World Association Reproductive Medicine), della Federazione Nazionale dei Centri e dei Movimenti per la vita italiani, del Comitato per la tutela della salute della donna, di C. S. A. ed altro, di C. M. ed altro, nonché gli atti di intervento della Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica ed altre e dell’Associazione Cecos Italia, della S.I.S.Me.R. s.r.l. (Società Italiana Studi di Medicina della Riproduzione s.r.l.), della Associazione Hera Onlus, della Associazione Sos Infertilità Onlus e di C. M. ed altro, della Cittadinanzattiva Toscana Onlus e del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 31 marzo 2009 il Giudice relatore Alfio Finocchiaro;

uditi gli avvocati Gian Carlo Muccio per la Warm e per la S.I.S.Me.R. s.r.l., Isabella Loiodice e Filippo Vari per il Comitato per la tutela della salute della donna, Antonio Baldassarre e Giovanni Giacobbe per la Federazione Nazionale dei Centri e dei Movimenti per la vita italiani, Gian Domenico Caiazza per C. S. A. ed altro, per l’Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica ed altre e per la Associazione Cecos Italia, Ileana Alesso, Massimo Clara, Maria Paola Costantini, Marilisa D’Amico e Sebastiano Papandrea per C. M. ed altro e per l’Associazione Hera Onlus, per la Associazione Sos Infertilità Onlus e per Cittadinanzattiva Toscana Onlus e l’Avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. – Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con sentenza 21 gennaio 2008, n. 398 (reg. ord. n. 159 del 2008) – con la quale, su rinvio dal Consiglio di Stato, in accoglimento del sesto motivo del ricorso proposto dalla Warm (World Association Reproductive Medicine), ha annullato le disposizioni delle linee guida, approvate con d.m. 21 luglio 2004 – ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 32 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, commi 2 e 3, della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), nella parte in cui prevede, ai fini della applicazione della procedura della procreazione medicalmente assistita, la formazione di un numero limitato di embrioni, fino ad un massimo di tre, da impiantare contestualmente, e vieta la crioconservazione di embrioni al di fuori delle limitate ipotesi ivi previste.

Il Collegio rimettente ravvisa la rilevanza della questione di costituzionalità nel giudizio a quo nella circostanza che la ulteriore censura, ad opera della medesima ricorrente, delle predette linee guida – per contrasto con l’art. 32, secondo comma, e con gli artt. 2 e 3 Cost., nella parte in cui non consentono la crioconservazione degli embrioni al fine dell’impianto se non in ipotesi del tutto eccezionali e ne prevedono la formazione in un numero limitato fino ad un massimo di tre, da impiantare contestualmente – pur proposta avverso un atto a contenuto generale di fonte secondaria, tocca, in realtà, l’art. 14, commi 2 e 3, della legge n. 40 del 2004, di cui le citate norme regolamentari costituiscono letterale e pedissequa espressione, con la conseguenza che la contestazione delle disposizioni delle linee guida non potrebbe che passare attraverso una questione di legittimità costituzionale della norma di legge che ne costituisce il fondamento.

Sotto il profilo della non manifesta infondatezza, il Collegio rimettente – premesso che la finalità cui è ispirata l’intera legge n. 40 del 2004, secondo quanto si desume, in particolare, dall’art. 1, è quella di assicurare i diritti di tutti i soggetti coinvolti nella procedura di procreazione assistita, compreso il concepito, e che, ai sensi dell’art. 4, comma 2, lettera a), nel fare ricorso alle relative tecniche, è necessario ispirarsi al principio della gradualità, per evitare interventi aventi un grado di invasività tecnica e psicologica più gravoso (di quanto necessario) per i destinatari – ritiene che, non fornendo la legge n. 40 una definizione del termine «embrione», con esso si intenda fare riferimento ad un significato il più ampio possibile, vale a dire alla situazione che si determina a partire dalla fecondazione dell’ovulo.

Svolte tali considerazioni preliminari, il Collegio rimettente richiama l’art. 14 della legge n. 40 del 2004, intitolato «Limiti all’applicazione delle tecniche sugli embrioni», ove, al comma 2, si stabilisce che le tecniche di produzione degli embrioni «non devono creare un numero di embrioni superiore a quello strettamente necessario ad un unico e contemporaneo impianto, comunque non superiore a tre» e, al comma 3, si afferma che nel caso in cui «il trasferimento nell’utero degli embrioni non risulti possibile per grave e documentata causa di forza maggiore relativa allo stato di salute della donna non prevedibile al momento della fecondazione è consentita la crioconservazione degli embrioni stessi fino alla data del trasferimento, da realizzare non appena possibile».

Rileva il giudice a quo che la preoccupazione manifestata dalle due disposizioni citate sembra essere essenzialmente quella di pervenire ad un unico impianto allo scopo precipuo di evitare la crioconservazione che sarebbe, invece, indispensabile nel caso in cui dovesse essere prodotto un numero di embrioni superiore a quello effettivamente impiantabile, ed in ogni caso superiore a tre: la ragione di tale previsione risiede, probabilmente – avverte il rimettente – nella circostanza che con la tecnica della crioconservazione molti embrioni possono andare perduti.

Detta disciplina sembra al rimettente contrastare con l’art. 3 Cost. per violazione del canone di ragionevolezza, ed ancora con il medesimo art. 3 per quanto attiene alla parità di trattamento, oltre che con l’art. 32 Cost. nella misura in cui consente pratiche che non bilancerebbero adeguatamente la tutela della salute della donna con quella dell’embrione.

Ed invero, osserva il giudice a quo, ammettere – come ha fatto la legge n. 40 del 2004, all’art. 14, comma 2 – la possibilità di un impianto di più embrioni (fino ad un massimo di tre), nella consapevolezza che alcuni di essi potranno disperdersi, significa accettare che per una concreta aspettativa di gravidanza è necessario procedere ad un impianto superiore all’unità e accettare, altresì, che alcuni di tali embrioni, o anche uno solo, oltre a quello che dà luogo ad una gravidanza, possano andare dispersi.

Nelle situazioni appena descritte, la legge consente che la tutela dell’embrione affievolisca per lasciare spazio al fine perseguito, che è quello di consentire il ricorso ad una tecnica di procreazione medicalmente assistita garantita da concrete speranze di successo.

Ora, se finalità della legge è quella di individuare un giusto bilanciamento tra la tutela dell’embrione e quella dell’esigenza di procreazione, sarebbe irragionevole la previsione che impone la produzione di embrioni in numero tale da rendere possibile l’effettuazione di un unico impianto e comunque in numero non superiore a tre, così come il sostanziale divieto di crioconservazione, ammessa nella sola ipotesi di forza maggiore relativa allo stato di salute della donna insorto successivamente alle fecondazione.

La legge n. 40 del 2004 non avrebbe dovuto escludere la possibilità di consentire l’accertamento delle molte variabili che accompagnano la vicenda della procreazione assistita, quali ad esempio la salute e l’età della donna interessata e la possibilità che ella produca embrioni non forti, intendendo con ciò non quelli che sono capaci di produrre una «razza migliore» – idea espressamente e giustamente vietata dalla legge n. 40 del 2004 – ma semplicemente quelli che si possono rivelare più idonei a realizzare il risultato della gravidanza e della procreazione.

Né rileverebbe, in contrario, la previsione della variabilità da uno a tre degli embrioni impiantabili, sulla scorta del comma 2 dell’art. 14 della legge n. 40 del 2004, in quanto detta previsione tenderebbe ad assicurare concrete possibilità di gravidanza alle persone di medie condizioni fisiche, mentre non fornirebbe la medesima possibilità nei confronti delle donne non giovani o di quelle che non riescono a produrre contestualmente tre embrioni di buona qualità nei sensi prima precisati. E in ciò si rivelerebbe, inoltre, la disparità di trattamento dovuta alla circostanza che situazioni diverse sarebbero sottoposte allo stesso trattamento predeterminato per legge.

La predeterminazione del numero degli embrioni producibili e successivamente impiantabili, imposta dalla norma in modo aprioristico e a prescindere da ogni concreta valutazione del medico curante sulla persona che intende sottoporsi al procedimento di procreazione medicalmente assistita, non sarebbe in linea con quel bilanciamento di interessi che la legge n. 40 del 2004 sembrerebbe voler perseguire.

Il Collegio rimettente lamenta, altresì, il vulnus al diritto alla salute, sancito dall’art. 32 della Costituzione. Infatti, la limitazione del numero degli embrioni producibili e contestualmente impiantabili e il divieto della crioconservazione degli stessi – se non nella circoscritta ipotesi prima descritta – comporterebbero che nell’ipotesi, tutt’altro che improbabile, di un tentativo non andato a buon fine, sia necessario assoggettare la donna ad un successivo trattamento ovarico, ossia ad una pratica medica che comporta in sé il rischio della sindrome da iperstimolazione ovarica e che trova nella legge, e non in esigenze di carattere medico, il suo fondamento. Pratica che, a prescindere da ogni valutazione delle conseguenze sul piano fisico e psicologico della paziente ad essa sottoposta, sarebbe in contrasto con gli stessi principi ispiratori della legge in esame, ed in particolare con quello della «minore invasività», espressamente enunciato nell’art. 4, comma 2, lettera a).

1.1. – Nel giudizio innanzi alla Corte si è costituita la Warm, parte del giudizio a quo, che ha concluso per la declaratoria di illegittimità costituzionale sollecitata dal Collegio rimettente, sviluppando argomentazioni adesive a quelle di cui all’atto introduttivo del giudizio di costituzionalità.

In particolare, con riferimento al ritenuto contrasto delle norme impugnate con l’art. 32 Cost., si rileva nell’atto di costituzione che il limite, imposto dalla legge n. 40 del 2004, di tre ovociti inseminabili si pone in contrasto con la tutela della salute della donna, riducendo irragionevolmente le possibilità di successo del trattamento di procreazione medicalmente assistita, impedendo al biologo di selezionare, tra quelli formatisi, gli embrioni più idonei a svilupparsi in un feto e di crioconservare quelli in eccesso per un futuro trasferimento, e costringendo la donna a sottoporsi a nuovi interventi di stimolazione ovarica e di prelievo chirurgico degli ovociti. D’altra parte, si evidenzia nella memoria di costituzione il rischio opposto, quello, cioè, di successo del processo di fecondazione, con possibile insorgenza di una gravidanza plurigemellare, che, a sua volta, comporta rischi per la salute della donna e del concepito.

Per altro verso, la Warm sottolinea che la normativa in questione elimina la discrezionalità della valutazione del medico – unico ad essere in grado di individuare il miglior bilanciamento tra rischi e benefici per la donna e per l’embrione, nel momento in cui si trovi ad applicare il trattamento sanitario di fecondazione assistita – in violazione dell’art. 3 Cost., per la discriminazione che si opererebbe tra le donne in buona salute, per le quali maggiore è la facilità di attecchimento degli embrioni, e quelle che non lo sono per età o condizioni fisiche.

Infine, la Warm ravvisa nelle disposizioni censurate un vizio di irragionevolezza interna, sotto il profilo della incoerenza teleologica, per essere i mezzi predisposti incongrui rispetto alla ratio legis, per il fatto che dette disposizioni, nel consentire la formazione, ed il contestuale unico impianto, per il divieto di crioconservazione, del numero massimo di tre embrioni, ammettono, ed anzi auspicano, che solo uno di essi attecchisca, con conseguente dispersione degli altri, derogando, in tal modo, all’obbligo di tutela dei diritti di tutti i soggetti coinvolti nella procedura.

La irragionevolezza emergerebbe, altresì, nella comparazione con la disciplina della interruzione volontaria della gravidanza, poiché la tutela dell’embrione, cui si ispira il divieto di crioconservazione e di soppressione di cui all’art. 14 della legge n. 40 del 2004, scomparirebbe una volta effettuata con successo la inseminazione, essendo consentito l’aborto, almeno fino al novantesimo giorno di gravidanza.

Infine, sarebbe irrazionale la previsione del numero massimo di tre embrioni impiantabili, in quanto privo di alcun supporto medico-scientifico.

L’associazione costituita richiede, altresì, la dichiarazione di illegittimità costituzionale del comma 1 dell’art. 14 della legge n. 40 del 2004, che prescrive il divieto di soppressione e crioconservazione degli embrioni, la cui sopravvivenza, in presenza dell’accoglimento della questione di legittimità costituzionale dei commi 2 e 3 dello stesso articolo, determinerebbe una estensione dei divieti, senza ammettere alcuna possibilità di deroga.

1.2. – Nel giudizio innanzi alla Corte si sono altresì costituite la Federazione Nazionale dei Centri e dei Movimenti per la vita italiani ed il Comitato per la tutela della salute della donna – intervenuti ad opponendum nel giudizio principale – concludendo entrambi per la inammissibilità o la infondatezza della questione.

La prima ha eccepito la inammissibilità della questione, sotto il profilo del difetto di rilevanza, per non essersi il TAR rimettente pronunciato sulla carenza di interesse diretto della Warm nel giudizio, avendo erroneamente ritenuto che sulla relativa questione si fosse formato il giudicato, come stabilito dal Consiglio di Stato in sede di appello. Il Collegio rimettente avrebbe, inoltre, preso in considerazione alcuni motivi del ricorso della Warm respinti nella precedente sentenza e non riproposti.

Nel merito, la Federazione costituita ha rilevato che il limite massimo di tre embrioni è stabilito dalla legge n. 40 del 2004 ai fini della tutela della salute della donna e degli stessi embrioni, avuto riguardo alle difficoltà connesse alle gravidanze multiple. In sostanza, la legge n. 40 attuerebbe un ragionevole bilanciamento tra l’interesse della coppia alla genitorialità e il diritto alla vita del concepito, espressamente affermato dall’art. 1 della legge stessa. Del resto, anche la tutela della salute della donna sarebbe meglio garantita da una stimolazione “soffice” che non da una stimolazione forte, effettuata allo scopo di avere a disposizione un numero abbondante di ovociti. Infine, anche la discrezionalità del medico dovrebbe rispettare le regole derivanti dalla esigenza di tutela dei diritti umani fondamentali.

Il Comitato per la tutela della salute della donna ha, a sua volta, eccepito la inammissibilità della questione in quanto sollevata con sentenza anziché con ordinanza, in violazione delle norme sul processo costituzionale. Il TAR rimettente – si rileva nella memoria – da un lato ha sollevato la questione di legittimità costituzionale, dall’altro ha definito in parte il giudizio con decisione impugnabile innanzi al Consiglio di Stato.

Altro profilo di inammissibilità della questione viene adombrato nel mutamento del quadro normativo per effetto dell’intervento delle nuove linee guida in materia di procreazione medicalmente assistita, di cui al d.m. 11 aprile 2008, che avrebbe determinato la estinzione del giudizio amministrativo e, con esso, travolto il giudizio di costituzionalità.

Nel merito, il predetto Comitato ha insistito per la infondatezza della questione, rilevando che l’affievolimento del diritto alla vita dell’embrione non sarebbe materia disponibile da parte del legislatore ordinario, avuto riguardo al fondamento costituzionale di tale diritto, e che, inoltre, la limitazione a tre del numero massimo di embrioni impiantabili corrisponderebbe al numero massimo di embrioni suscettibili, secondo la scienza medica, di dar luogo alla gravidanza.

1.3. – Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso, a sua volta, per la inammissibilità della questione, in quanto sollevata con sentenza, e, nel merito, per la sua infondatezza. Al riguardo, osserva l’Autorità intervenuta che essa si risolve in una critica alle scelte discrezionali del legislatore, che ha, invece, a suo avviso, effettuato una ragionevole comparazione tra l’interesse della donna al buon esito della procedura di procreazione medicalmente assistita e la tutela dell’embrione.

1.4. – Sono altresì intervenute l’Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica, l’Associazione Cecos Italia e la S.I.S. Me.R. s.r.l., che hanno concluso per la declaratoria di illegittimità costituzionale delle norme censurate dal T.A.R., con argomentazioni adesive ai contenuti del provvedimento di rimessione della questione.

1.5. – Hanno, quindi, depositato memorie le parti costituite, Warm e Federazione Nazionale dei Centri e dei Movimenti per la Vita italiani (che ha anche dubitato della sussistenza del requisito della incidentalità della questione sollevata) ed il Comitato per la tutela della salute della donna, insistendo nelle rispettive conclusioni. Quest’ultimo, in particolare, ha fatto presente che, nonostante la rimessione degli atti alla Corte, il giudizio a quo è proseguito, essendosi svolta una camera di consiglio a seguito della istanza di correzione di errore materiale proposta dalla Warm, nel senso di estendere la censura anche al comma 1 dell’art. 14 della legge n. 40 del 2004, ed essendo stata emessa una pronuncia, la sentenza n. 7956 del 2008, con la quale il TAR Lazio ha fornito una interpretazione autentica della precedente decisione con la quale aveva sollevato la questione di legittimità costituzionale in esame. In subordine, il predetto Comitato ha chiesto alla Corte di restituire gli atti al giudice a quo perché valuti nuovamente la rilevanza della questione alla luce del sopravvenuto decreto del Ministro della salute dell’11 aprile 2008, che ha adottato le nuove linee guida in materia di procreazione assistita; e di valutare la sopravvenuta irrilevanza della questione per effetto dell’abrogazione delle precedenti linee guida.

Hanno depositato memoria, altresì, l’Avvocatura generale dello Stato, che ha insistito per la inammissibilità e l’infondatezza della questione, l’Associazione Cecos Italia e l’Associazione Luca Coscioni, oltre alle Associazioni Amica Cicogna Onlus, Madre Provetta Onlus, Cerco un bimbo, L’altra Cicogna Onlus e l’Associazione www.unbambino.it, che hanno, invece, concluso per la declaratoria di illegittimità costituzionale.

1.6. – Nell’imminenza della odierna udienza pubblica, la difesa della Warm ha depositato memoria, nella quale vengono analizzati i dati del Registro europeo relativi ai trattamenti effettuati nell’anno 2005, recentemente pubblicati a cura del