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Dalle Province Regionali ai Liberi Consorzi di Comuni. Riflessioni su una scelta di politica emozionale

[Relazione al 3° Corso di formazione residenziale per Giovani Amministratori sul tema “Aspettando il Federalismo in Sicilia: quale modello di ente locale e di amministratore disegna” promosso dall’Associazione Siciliana Amministratori Enti Locali (ASAEL) il 30/09 e 01/10/2011, Campofelice di Roccella (PA)]

“Ci sono delle epoche nella storia in cui si può andare avanti soltanto tornando indietro” (P. Gentile)

Sommario:

1. Dalle Province autarchiche alle Province Regionali

2. Il consolidamento normativo della Provincia Regionale

3. La natura giuridica della Provincia Regionale

4. L’inquadramento comunitario e costituzionale della Provincia Regionale

5. Profili d’incostituzionalità della Provincia Regionale

6. I Liberi Consorzi di Comuni

7. La bussola costituzionale per l’introduzione dei Liberi Consorzi di Comuni

8. Il rischio di un neocentralismo regionale

9. Considerazioni finali

La soppressione, a tutti i costi, dell’ente intermedio sembra essere diventato il “biglietto da visita” di buona parte delle forze politiche. Non importa fare un’attenta analisi costi-benefici, così come non importa simulare un ipotesi di scenario credibile del nuovo assetto istituzionale delle autonomie locali. Ciò che preme alla classe politica del momento è riuscire a dare una risposta immediata al sentimento di antipolitica che interessa una consistente fetta dell’opinione pubblica.

E così il Governo Berlusconi, dall’improvvisato, discutibilissimo e poi stralciato art. 15 del D.L. n. 138 del 13/08/2011, come convertito nella legge n. 148 del 14/09/2011, è passato alla rapida approvazione di un disegno di legge costituzionale[1] che, in luogo della semplice riduzione delle Province sulla base di criteri quantitativi (popolazione ed estensione territoriale), preferisce tranciare, con l’autorevolezza di cui è dotata una spada costituzionale, l’esistenza medesima dell’ente intermedio, espungendolo alla radice, cioè dalla Costituzione.

La scelta del DDL costituzionale per intervenire sugli assetti dell’articolazione repubblicana appare decisamente più saggia rispetto al temerario percorso della decretazione d’urgenza, ma le riserve sul merito della riforma rimangono integre e meritevoli di essere partecipate alla riflessione e al dibattito non solo del mondo politico. Se non altro, così condividendo le sagge parole del Presidente della Repubblica, perchè bisogna “andarci piano” con le modifiche alla Costituzione.

Se, i tempi tecnici previsti per una modifica costituzionale sono ben noti, tanto da far dubitare alcuni commentatori sulla serietà del percorso intrapreso, in alcune Regioni a Statuto speciale come la Sicilia, la nuova ipotesi di lavoro varata dal Consiglio dei Ministri nella seduta dell’8/09/2011, non frena la decisione del Governatore Lombardo di perseguire comunque il proprio obiettivo politico-programmatico nel sostituire le attuali “Province Regionali” con i Liberi Consorzi di Comuni previsti dall’art. 15 dello Statuto siciliano.

Né, tanto meno, la volontà di sottoporre uno specifico articolato di disposizioni per realizzare la citata riforma in seno alla prossima legge finanziaria regionale per l’anno 2012, risulta rallentata dalla previsione contenuta nel citato DDL costituzionale che, all’art 3, comma 6, così prevede: “Le disposizioni di cui alla presente legge costituzionale si applicano alle Province delle Regioni a statuto speciale, fatta eccezione per quelle autonome di Trento e di Bolzano”. Infatti un autorevole rappresentante del Governo Lombardo non esita ad affermare che “Per la Regione Siciliana il disegno di legge costituzionale che prevede la soppressione delle Province è superfluo, perché ancora una volta lo Statuto siciliano è antesignano delle linee evolutive dell’assetto amministrativo dello Stato, Già 64 anni fa ipotizzava un modello di organizzazione dell’ente intermedio, qual è quello dei liberi consorzi di Comuni”[2]. Dello stesso avviso sembra essere lo stesso Governatore Raffaele Lombardo che in occasione della recente visita del Presidente della Repubblica a Palermo si esprime in questi termini: “Ho illustrato al Capo dello Stato il disegno di legge per la costituzione dei liberi consorzi di Comuni, così come prevede l’art. 15 del nostro Statuto speciale che non contempla le Province”[3].

Dando per buono che il Governatore Lombardo riesca a convincere i novanta inquilini dell’Assemblea Regionale Siciliana, rimane il dubbio sulla compatibilità degli effetti dei due disegni di riforma delle autonomie locali, atteso che, ad oggi, solo quello (costituzionale) approvato dal Consiglio dei Ministri è noto. In disparte, ogni ulteriore riflessione sulla bontà di chi eccepisce che per la modifica degli Statuti speciali possa essere seguito il diverso procedimento previsto dagli Statuti medesimi, considerato che “…gli statuti stessi, altro non sono che leggi costituzionali, pertanto incapaci di resistere a leggi costituzionali successive, adottate attraverso la procedura dell’art. 138 Cost.”[4].

Invero, mentre non è revocabile in dubbio che la soppressione o la riduzione delle Province, così come risultava concepita originariamente dall’art. 15 del citato D.L. n. 138, non può interessare le Regioni ad autonomia speciale[5], con l’adozione di un percorso legislativo di rango costituzionale, il differenziato livello di autonomia riconosciuto alle medesime Regioni anche nei confronti degli Enti locali, sembra perdere consistenza, cedendo di fronte all’esigenza di garantire il rispetto di quei “principi di sistema” contenuti nella Costituzione.

Ora, mentre il tema dei rapporti tra Regioni ad autonomia speciale ed enti locali, anche con particolare riferimento all’ipotesi di soppressione delle Province prevista dal citato DDL costituzionale merita uno specifico approfondimento, la riflessione che ci accingiamo a fare (ovviamente senza alcuna pretesa di esaustività) concerne il quadro ordinamentale siciliano nella prospettiva di riforma delle Autonomie locali annunciate dal Governatore Lombardo.

Cercheremo quindi di mettere in evidenza la lenta ma progressiva evoluzione della Provincia in Sicilia, la cui identificazione passa dall’elenco delle spese allocate in bilancio sotto il regime del TULCP del 1934, all’attribuzione di funzioni proprie con la L.r. n. 9/86, al riconoscimento di ente esponenziale d’interessi sovraccomunali con la L.r. n. 10/2000 ed, infine, al consolidamento di ente intermedio con la L.r. n. 30/2000.

1. Dalle Province autarchiche alle Province Regionali

A differenza dei Comuni, che godono indubbiamente di una tradizione identitaria ben più salda e radicata rispetto agli altri livelli istituzionali, le Province sono, almeno nella fase originaria, una creazione dello Stato, sulla scia del modello francese dei Dipartimenti. La nascita di tali Enti nell’ordinamento italiano risale alla fase storica preunitaria, essendo, in particolare, previsti dall’ordinamento degli enti locali del Regno di Sardegna.

Con la spedizione dei Mille e con la dittatura garibaldina viene esteso anche in Sicilia l’ordinamento degli Enti locali del Regno di Sardegna, regolato dalla legge Rattazzi n. 3702 del 23/10/1859, in forza della quale la Provincia viene dotata di autonomia amministrativa e di rappresentanza elettiva[6]. Fino agli anni ’90 del secolo XX la Provincia rimane l’ente designato da tale legge, poi trasfuso nella legge comunale e provinciale del 1865[7] e consolidato nella legge del 1881, dalla quale è stato ripreso, quasi del tutto immutato, nei successivi Testi Unici.

La configurazione chiara e definitiva della Provincia, come vero e proprio ente di governo locale, avviene con la legge Crispi del 1888 e successivo Testo Unico del 1889. In questo testo la Provincia effettivamente si configura come ente locale perché si separa definitivamente dalla Prefettura, così perdendo “…la sua originaria prevalente matrice di circoscrizione dell’amministrazione decentrata del ministero dell’Interno per assumere la natura essenziale di ente espressivo di una delle dimensioni del sistema dell’autonomia locale tracciato dalla Costituzione”[8].

Con l’avvento del ventennio fascista, oltre ad aumentare i controlli delle Province e sostituire al “sistema elettivo per la costituzione dell’Amministrazione, il sistema della nomina governativa”, se ne riorganizzano le funzioni in materia di sanità e igiene, opere pubbliche, educazione nazionale, assistenza e beneficienza.

Dal 1945 al 1947 la Provincia viene amministrata da un delegato del Governo centrale. Con l’entrata in vigore dello Statuto siciliano le vecchie Province autarchiche sono formalmente soppresse e poste in “amministrazione straordinaria”, sotto la guida di un delegato del Governo regionale coadiuvato da una consulta, fino alla effettiva creazione dei Liberi Consorzi tra Comuni (art. 266 dell’O.R.E.L.).

L’art. 15 dello Statuto siciliano - approvato con D.L. 15/05/1946 n. 455, convertito in legge costituzionale 26/02/1948 n. 2 – così recita: “Le circoscrizioni provinciali e gli organi ed enti pubblici che ne derivano sono soppressi nell’ambito della Regione siciliana. L’ordinamento degli enti locali si basa nella Regione stessa sui Comuni e sui liberi Consorzi comunali, dotati della più ampia autonomia amministrativa e finanziaria. Nel quadro di tali principi spetta alla Regione la legislazione esclusiva e la esecuzione diretta in materia di circoscrizione, ordinamento e controllo degli enti locali”. Ovviamente, come è stato opportunamente affermato, “Si tratta di una manifestazione di desiderio, la soppressione degli organi statali e (almeno parte) degli enti pubblici di dimensione provinciale compete allo Stato e non alla Regione: ma è significativa della volontà della Regione di sostituire un proprio apparato periferico a quello statale preesistente (prefetture, provveditorati agli studi, uffici del genio civile, intendenze di finanza etc.)”[9].

La storia delle Province Regionali in Sicilia nasce invece nel 1955 allorquando, in applicazione del citato art. 15 dello Statuto siciliano viene adottato con Decreto Legislativo Presidenziale n. 6 del 29/10/1955 l’Ordinamento amministrativo degli Enti locali nella Regione Siciliana (O.R.E.L.), poi confermato dalla legge L.r. n. 16 del 15/03/1963. E’ nell’art. 17 del citato O.R.E.L. che il legislatore introduce per la prima volta il termine “Provincia Regionale”. Detto articolo, poi soppresso dall’art. 61 della L.r. n. 9/86, così dispone: “I Liberi Consorzi costituiti a norma dei precedenti articoli attuano il decentramento dell’Amministrazione regionale a mezzo dei loro organi; svolgono le funzioni amministrative delegate dalla Regione, nonché i compiti ed i servizi demandati dallo Stato. Con la legge che ne approva lo Statuto, il Libero Consorzio assume la denominazione di Provincia regionale contraddistinta col nome del Comune dove ha sede l’Amministrazione consortile”.

Invero, dal testo della norma non si comprendono le ragioni per le quali il legislatore ha inteso assegnare ai costituendi Liberi Consorzi di Comuni la denominazione di “Provincia Regionale”. Riferiscono i “bene informati” che il recupero del termine “Provincia” è apparso necessario per non essere esclusi dai trasferimenti che lo Stato riconosceva solamente a Comuni e Province. L’estensione “Regionale” fu invece utilizzata sia per differenziare le nuove Province dai soppressi Enti autarchici provinciali, sia per attuare il disegno ordinamentale previsto dallo Statuto, attraverso il trasferimento di funzioni e servizi dalla Regione al nuovo Ente.

Tale previsione statutaria rimane inattuata per lungo tempo, e la fase di transizione, dura quasi vent’anni, fin tanto che l’Assemblea Regionale Siciliana non decide di intervenire con una specifica legge di attuazione della previsione statutaria contenuta nell’art. 15. Tuttavia, detta fase non è caratterizzata da immobilismo istituzionale anzi, alle “amministrazioni straordinarie” delle Province, la Regione assicura l’elezione degli organi di governo attraverso l’applicazione delle medesime norme già contenute nell’art. 25 della legge n. 16 del 07/02/1957. L’O.R.E.L., all’art. 25, infatti, testualmente dispone che “Le norme della presente legge sono applicabili anche per le elezioni degli organi dell’amministrazione straordinaria prevista dall’art. 266 del decreto legislativo presidenziale 29/10/1955, n. 6”.

Nel 1961 la Provincia nasce quindi come entità istituzionale con una sua struttura amministrativa e di governo dotata di un Consiglio Provinciale eletto col sistema di secondo grado, cioè dai Consigli dei Comuni che ne fanno parte, che a sua volta elegge il Presidente della Provincia e la Giunta provinciale. Nel 1970 viene altresì introdotto il sistema di democrazia diretta per l’elezione dei rappresentanti del Consiglio Provinciale.

In questo modo, alla Provincia del vecchio ordinamento, pur in regime di “amministrazione straordinaria” viene riconosciuta dalla Corte Costituzionale la necessaria autorevolezza istituzionale di ente territoriale[10] fino alla data di creazione dei Liberi Consorzi di Comuni.

Attraverso il varo della L.r. n. 9 del 06/03/1986, che ha un vero e proprio carattere esaustivo ed abrogativo della pregressa legislazione contenuta nell’O.R.E.L., il legislatore siciliano, in un solo colpo, avvia le procedure per la costituzione dei Liberi Consorzi di Comuni denominandoli “Province Regionali”. L’art. 3 di detta legge, riprendendo quanto già previsto dall’art. 17 dell’O.R.E.L., infatti così recita: “L’amministrazione locale territoriale nella Regione siciliana è articolata, in comuni ed in liberi consorzi di comuni denominati <<province regionali>>”. Dal successivo art. 4, comma 1, inizia l’inversione dei termini, dando priorità solamente alla denominazione “Provincia Regionale”. I successivi articoli individuano, infatti, le modalità di istituzione della “Provincia Regionale” (art. 5), le funzioni fondamentali (artt. 4, 8, 9, 10, 12, 13 e 14), l’assetto organizzativo (artt. 22 e seguenti), gli assetti finanziari e patrimoniali (artt. 48, 51, 52 e 53). In sostanza, mentre nell’art. 3 il Libero Consorzio di Comuni rappresenta il soggetto e la “Provincia Regionale” il complemento, a partire dall’art. 4 la “Provincia Regionale” diventa il soggetto e del Libero Consorzio di Comuni non si parla più.

L’Assemblea Regionale Siciliana, con l’approvazione della successiva L.r. n. 17 del 12/08/1989, all’art. 1, costituisce quindi “Le province regionali di Agrigento, Caltanissetta, Catania, Enna, Messina, Palermo, Ragusa e Trapani, risultanti dall’aggregazione in liberi consorzi dei comuni residenti nell’ambito territoriale delle disciolte province, già gestite dalle amministrazioni straordinarie provinciali, e con i medesimi capoluoghi”.

2. Il consolidamento normativo della Provincia Regionale

Come già detto, la Provincia Regionale nasce terminologicamente all’art. 17 dell’O.R.E.L. ed istituzionalmente con la L.r. n. 9/86, ma la saldatura dell’Ente avviene attraverso un precipitato di norme interne ed esterne all’ordinamento regionale, che mira da una parte a trasferire funzioni e competenze, dall’altra a creare una rete di natura comunitaria e costituzionale fondata sui principi di autonomia, decentramento e sussidiarietà. Diversi fattori hanno quindi contribuito a far emergere e consolidare il volto della Provincia Regionale, che rappresentano altrettante tappe dell’evoluzione dell’ordinamento degli enti locali.

La L.r. n. 22 del 09/05/86 sul “Riordino dei servizi e delle attività socio-assistenziali in

Sicilia”, approvata dall’A.R.S. lo stesso anno della L.r. n. 9/86, all’art. 49, individua una specifica attribuzione delle Province Regionali. Ma le competenze più specifiche affidate alla Provincia Regionale nell’ambito delle politiche socio-assistenziali sono contenute nell’art. 12 della L.r. n. 33 del 23/05/91. In forza di tale disposizione, compete alla Provincia Regionale provvedere alla assistenza dei ciechi e dei sordomuti rieducabili, curando anche il mantenimento degli stessi presso appositi istituti per ciechi e per sordomuti ai fini dell’assolvimento dell’ obbligo scolastico, della formazione ed istruzione professionale e, se richiesto e sussistendo lo stato di povertà, del conseguimento di altro titolo di istruzione media di secondo grado, musicale, artistica ed universitaria.

Con le disposizioni di cui agli articoli 1 e 2 della L.r. n. 34 del 05/09/1990, le Province Regionali acquisiscono ulteriori competenze nel settore scolastico con particolare riferimento alle istituzioni scolastiche regionali, eccezion fatta per il personale.

Con la L.r. n. 48 del 11/12/91 vengono introdotte nell’ordinamento regionale alcune discipline contenute nella L. n. 142/90 su “Ordinamento delle autonomie locali”, in materia di statuti, regolamenti, servizi pubblici, forme associative ecc.... Il legislatore regionale estende alle Province Regionali tali istituti facendo salve le disposizioni già contenute nella L.r. n. 9/86.

Con la L.r. n. 25 del 01/09/93 vengono individuate alcune specifiche attività in materia di smaltimento dei rifiuti solidi che le Province Regionali dovranno obbligatoriamente svolgere.

Nella stessa seduta del 01/09/93, con la L.r. n. 26, l’A.R.S. introduce nel sistema di governo delle Province Regionali l’elezione diretta del Presidente della Provincia, così uniformandosi al sistema elettorale che un anno prima era stato adottato per i Comuni attraverso la L.r. n. 7/92. L’elezione diretta del Presidente della Provincia rappresente un ulteriore momento di passaggio importante e positivo, determinando una maggiore “visibilità” dell’Ente, caratterizzato da un più forte legame con i cittadini e da un suo maggiore radicamento territoriale.

Anche a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 408 del 15/12/1998 che respinge il ricorso della Regione Siciliana avverso la legge n. 59/97, il legislatore regionale, con la L.r. n. 10 del 15/05/2000, si adegua al processo in atto di decentramento amministrativo (a Costituzione invariata) promosso dalle leggi “Bassanini” e, all’art. 31, rubricato “Ripartizione delle competenze tra Regione ed enti locali” così dispone: “In armonia con il principio di sussidiarietà e con i principi enunciati dall’articolo 4 della legge 15 marzo 1997, n. 59, tutte le funzioni amministrative che non richiedono l’unitario esercizio a livello regionale sono conferite agli enti locali”. Il comma 2 dell’art. 32 così recita: “Ai comuni e alle province sono affidate competenze complete ed integrali”. Il comma 5 del medesimo articolo si spinge ancora oltre, introducendo gli articoli 117, commi 1 e 2, e 118, comma 1, della Costituzione per attribuire autorevolezza ordinamentale alla volontà della Regione di organizzare l’esercizio delle funzioni amministrative a livello locale attraverso i Comuni e le Province.

La “benedizione” di ente territoriale arriva alla Provincia Regionale con l’art. 33 della medesima L.r. n. 10 del 15/05/2000. L’articolo 33, rubricato “Funzioni e compiti amministrativi della provincia regionale”, introduce quel concetto di “area vasta” di cui si parla solamente nel Disegno di legge-delega - Codice delle Autonomie Locali – approvato dal Consiglio dei Ministri nella seduta del 15/07/2009 ed ancora impantanato nelle aule parlamentari. Il 1° comma, infatti, così dispone: “La provincia regionale, oltre a quanto già specificamente previsto dalle leggi regionali, esercita le funzioni ed i compiti amministrativi di interesse provinciale qualora riguardino vaste zone intercomunali o l’intero territorio provinciale, salvo quanto espressamente attribuito dalla legge regionale ad altri soggetti pubblici”. Nel 2° comma si conferma il valore della “programmazione economico-sociale” e della “pianificazione territoriale” contenuto nelle disposizioni di cui agli articoli 9,10, 11 e 12 della L.r. n. 9/86. In coerenza con tale nuovo disegno istituzionale viene detto che “La scala provinciale permette di determinare su di una scala locale (quale quella della piccola e media impresa e dei distretti industriali, entrambi spina dorsale dell’economia italiana) l’insieme delle reti senza però staccarsi dalla scala nazionale e sovranazionale”[11] e che “La Provincia rappresenta un elemento essenziale nel più generale sistema della programmazione perché partecipa alla programmazione regionale, perché ha il compito di predisporre piani di sviluppo socioeconomico e perché ha il controllo degli strumenti di pianificazione dei comuni, ponendo per essi le premesse concrete per una reciproca armonizzazione, senza incidere, direttamente e in forma particolare, sul contenuto pianificatorio dei singoli Comuni”[12].

Nello stesso anno il legislatore regionale, adeguandosi alla riforma delle Autonomie locali di cui al D.lgs. n. 265/99, introduce espressamente il principio di sussidiarietà, nelle due versioni (verticale ed orizzontale), attraverso la L.r. n. 30 del 23/12/2000. L’art. 2, rubricato “Principio di sussidiarietà” così dispone: “I comuni e le province sono titolari di funzioni proprie e di quelle conferite loro con legge dello Stato e della Regione, secondo il principio di sussidiarietà. I comuni e le province svolgono le loro funzioni anche attraverso le attività che possono essere adeguatamente esercitate dall’autonoma iniziativa dei cittadini e delle loro formazioni sociali”. Tale principio, ora di rango costituzionale (art. 118), introdotto nell’ordinamento siciliano, non distribuisce direttamente le competenze, ma indica la regola cui la Regione deve ispirarsi per la loro allocazione. In tal modo, la sussidiarietà in senso verticale, così configurata, diventa anche per la Regione Siciliana, il principio informatore dei rapporti tra i diversi livelli di governo, sostituendosi al precedente modello a “cascata”[13]. Da questo momento, “Dovranno essere regolati i rapporti tra la Regione e gli enti locali, visto che la nuova amministrazione dovrà essere essenzialmente locale a meno che ci siano ragioni che rendano più congruo ed efficiente la collocazione di una funzione amministrativa ad un superiore livello territoriale di governo”[14].

All’art. 35 della L.r. n. 10/2000, poi modificato dall’art. 22 della L.r. n. 2/2002, viene prevista l’adozione di appositi decreti del Presidente della Regione, previo parere della Conferenza Regione-autonomie locali, della Commissione affari istituzionali e della Commissione bilancio dell’Assemblea regionale siciliana, per l’individuazione dei procedimenti di competenza rispettivamente delle Province Regionali e dei Comuni. In tale contesto, l’Unione Regionale Province Siciliane (U.R.P.S.)[15] propone alla Regione Siciliana la sottoscrizione di un protocollo d’intesa finalizzato ad una migliore attuazione del titolo IV della L.r. n. 10/2000 per l’individuazione delle funzioni amministrative e servizi da trasferire alle Province ed ai Comuni e per l’attuazione dell’art. 7 del D.lgs. n. 112/98. Tale proposta, nonostante i solleciti periodicamente formalizzati dall’Unione Regionale delle Province Siciliane[16], è rimasta però lettera morta.

Significativa è altresì la legge finanziaria n. 388 del 23/12/2000, applicabile in Sicilia in quanto norma di contenimento della spesa pubblica[17], che all’art. 52 attribuisce alla Provincia il compito di coordinare il processo associativo dei comuni imposto dall’operazione di trasferimento in attuazione della L. n. 59/97, attribuendo in via interinale alla Provincia stessa le funzioni e i compiti destinati ai Comuni in attesa della loro aggregazione associativa.

Con l’art. 34 della L.r. n. 5/2005, il legislatore siciliano prevede anche per le Province Regionali la facoltà di consorziarsi al fine di usufruire del 5% delle risorse a ciò annualmente destinate per la gestione di politiche comuni d’interesse sovra provinciale. Si tratta di una disposizione che può attivare sinergie interistituzionali di notevole rilievo[18], ma ad oggi non risulta che la stessa abbia trovato applicazione.

Più recentemente, la competenza della Provincia Regionale viene estesa anche alla materia dei rifiuti. L’art. 3 della L.r. n. 9 del 14/04/2010 è infatti tutto dedicato alle funzioni esercitate dalla Provincia in aggiunta a quelle già previste dall’art. 197 del D.lgs. n. 152/2006.

Non va omessa la considerazione che “La dimensione territoriale provinciale si è via via caratterizzata pure come la sede ordinaria a livello locale di una serie di organizzazioni sociali, economiche e politiche, che hanno considerato questo ambito come quello più appropriato per legare le rispettive funzioni settoriali (pubbliche e private) alla comunità ivi residente (v. camere di commercio, associazioni sindacali e industriali, partiti politici e in molti casi anche diocesi)”[19].

Tra le ragioni di questa crescita della Provincia Regionale si può rilevare come la fine del mito della Regione imprenditrice e pianificatrice abbia richiesto un ambito intermedio tra Comuni e Regione, necessario per rispondere alle funzioni di area vasta e per la gestione ottimale di reti di servizi e, in quest’ottica, vanno considerati, non solo i compiti di programmazione della Provincia, ma soprattutto alcune funzioni che la L.r. n. 9/86 assegna alle Province Regionali nei confronti dei Comuni.

3. La natura giuridica della Provincia Regionale

Le argomentazioni fin qui illustrate ci consentono di fare alcune prime valutazioni. Del modello consortile (rectius, associativo), a parte la fase costitutiva, mediante libera scelta deliberata dai Consigli comunali anche per il tramite dell’istituto del silenzio assenso, viene mutuato dalla L.r. n. 9/86 solamente l’inattuata “gestione comune” (art. 13) alla quale, peraltro, non viene riconosciuta personalità giuridica. L’Assessorato Reg.le agli Enti locali commenta così tale previsione normativa: “Mediante tale figura si procede alla costituzione di organi intercomunali allo scopo di svolgere congiuntamente servizi, di predisporre ed adottare unitariamente piani intercomunali, di disporre congiuntamente di beni e di utilizzare strutture tecniche particolari. Lo strumento materiale normativo è il regolamento, deliberato dai consigli comunali e provinciali interessati a maggioranza assoluta dei componenti in carica”[20]. Inoltre, il successivo art. 16, che disciplina la costituzione obbligatoria di gestioni comuni per l’esercizio delle funzioni relative al perseguimento di determinati obiettivi, potrebbe presentare profili d’incostituzionalità per l’evidente lesione dell’autonomia riconosciuta ai Comuni soprattutto dopo la riforma del Titolo V° della Costituzione.

In sostanza, il legislatore siciliano formalmente costituisce i Liberi Consorzi di Comuni per avere la copertura dello Statuto ma, nella sostanza del disegno normativo, e nella pratica istituzionale, crea l’ente intermedio Provincia, che è tutt’altro che una semplice denominazione del Libero Consorzio di Comuni.

Invero, non si è in presenza solo di norme auto qualificanti, che notoriamente non sono determinanti ai fini della natura giuridica dell’ente[21], per il semplice fatto che il testo della L.r. n. 9/86 contiene tutti gli indicatori sintomatici e tipici dell’ente territoriale. E’ infatti presente nel Titolo III° la disciplina delle funzioni fondamentali della Provincia Regionale, sia quelle di programmazione socio-economica e pianificazione territoriale che quelle prettamente amministrative previste dall’art. 13. Un altro importante indicatore della natura giuridica si rinviene nell’ultimo comma del medesimo art. 13, allorquando viene previsto che la Provincia Regionale svolge, altresì, le attribuzioni delle soppresse amministrazioni provinciali, così ereditando funzioni della Provincia autarchica alla quale, come già detto, la Corte Costituzionale riconosce la natura di ente territoriale. Il Titolo V° è invece dedicato all’autorganizzazione dell’ente, alla potestà regolamentare ed all’articolazione degli organi di governo (Consiglio, Giunta e Presidente). Ancora, nel Titolo VII° viene previsto che la Provincia Regionale assume le funzioni e il relativo personale sia delle Comunità Montane che dei Consorzi di Bonifica[22]. Infine, l’art. 59 istituisce la Conferenza delle autonomie locali della quale fanno obbligatoriamente parte Sindaci e Vice Sindaci e capi-gruppo consiliari dei Comuni nonché Presidenti, Vice-Presidenti e Capi-gruppo consiliari delle Province Regionali.

Dalla lettura della L.r. n. 9/86 e dal precipitato normativo sopra illustrato, non sembra revocabile in dubbio che la volontà del legislatore regionale sia quella di dotare l’ordinamento regionale di un ente territoriale che esercita funzioni intermedie a quelle della Regione e dei Comuni e che rappresenta direttamente gli interessi generali di una comunità stanziata su un territorio provinciale. Un progetto, evidentemente, ben più ambizioso dei Liberi Consorzi di Comuni. Infatti, mentre il Libero Consorzio di Comuni ha tradizionalmente, ma anche secondo la previsione di cui all’art. 13 del D.L. del Presidente della Regione n. 6 del 29/10/1955, “…natura di ente pubblico non territoriale, dotato di autonomia amministrativa e finanziaria”, la Provincia Regionale è, anche per espressa volontà del legislatore (art. 4, comma 3, L.r. n. 9/86) un ente pubblico territoriale che realizza l’autogoverno della comunità consortile e sovrintende, nel quadro della programmazione regionale, all’ordinato sviluppo economico e sociale della comunità medesima. Nella medesima disposizione normativa viene altresì espressamente sancito il principio che la Provincia Regionale è titolare di funzioni proprie ed esercita le funzioni delegate dallo Stato o dalla Regione.

Pertanto, il profilo che emerge da queste argomentazioni riguarda la configurazione della Provincia Regionale come comunità territoriale sia sotto l’aspetto formale che sostanziale, ossia legato ad un substrato socio-politico di appartenenza collettiva unitaria, con una precisa identità, come del resto dimostrano le ricerche estese dal Censis, dall’Istat e dal Formez a tutte le Province d’Italia.

Non appare azzardato sostenere che la L.r. n. 9/86, pur essendo collocata nel sistema delle fonti tra le leggi ordinarie, ha una valenza costituzionale (rectius, "supernorma") perché attua, per la prima volta in Sicilia, il principio di autonomia di cui all’art. 5 della Costituzione, ponendo al centro della disciplina gli interessi delle comunità provinciali di riferimento, che fungono anche da parametro di un’azione amministrativa che, in quanto autonoma, deve essere anche responsabile.

La Provincia Regionale costituisce quindi un ente territoriale con competenze potenzialmente rappresentative della generalità[23] degli interessi sociali, economici e culturali delle comunità amministrate[24], cioè legati alla pluralità degli interessi propri della collettività rappresentata. Secondo alcuni attenti osservatori del sistema delle autonomie locali in Sicilia, “Questo ente rappresenta il risultato dello sforzo di conciliare l’esigenza di semplificazione, unificazione ed articolazione dei poteri locali sulla base del principio: un territorio, un governo”[25]. L’ente territoriale può infatti definirsi un portatore sano di "autonomia locale" nel “senso della portata del principio di autonomia, che viene inteso sempre più come un riconoscimento di effettive responsabilità, come uno spazio di autogoverno riconosciuto alle istituzioni rappresentative delle collettività locali di diverso livello: e questo senso dell’autonomia ha sempre più un contenuto complessivo che comprende anzitutto l’autonomia normativa, ossia la capacità di darsi regole proprie sia statutarie che regolamentari, e poi comprende la dimensione organizzativa, la dimensione amministrativa e la dimensione finanziaria”[26].

Per completezza, va aggiunto che il ruolo della Provincia Regionale, come ente di governo territoriale rappresentativo della propria collettività, muta fortemente a seconda che si tratti di Province operanti in territori caratterizzati dalla presenza di una pluralità di Comuni medio-piccoli e Province operanti in territori metropolitani. Mentre le Province operanti in territori caratterizzati da Comuni medio-piccoli possono svolgere compiti effettivi di coordinamento, pianificazione e di programmazione, le Province stanziati in territori metropolitani, dove c’è una presenza determinante di un Comune capoluogo che risulta incomparabilmente più grande in termini di mezzi amministrativi e finanziari rispetto all’ente intermedio, non riescono ad emergere come enti di programmazione e di coordinamento generale. Il legislatore siciliano è ben consapevole di questa situazione, e proprio perchè intende valorizzare la Provincia Regionale, introduce agli artt. 19, 20 e 21 della L.r. n. 9/86, la disciplina sulle Aree metropolitane, normativa che ha trovato anche il conforto della Corte Costituzionale[27].

Su questo specifico tema, nonostante la dottrina sembra non dividersi nel sostenere che "Dove c’è l’area metropolitana non c’è la Provincia, c’è un ente che prende il posto della Provincia, ha una configurazione strutturale e funzioni diverse e prende il posto anche, in certi limiti, dei Comuni inseriti nell’area"[28], la classe politica siciliana preferisce ancora lasciare inalterato l’attuale sistema istituzionale ed inattuata la previsione normativa in questione.

4. L’inquadramento comunitario e costituzionale della Provincia Regionale

L’organizzazione territoriale degli Stati Europei affonda le sue radici nella tradizione medievale, così come questa è risultata modificata dalla rivoluzione francese del 1789 e dalla disciplina che nel dicembre di quell’anno venne dettata per i dipartimenti e i comuni francesi, ma il vero processo di contaminazione istituzionale nei Paesi Europei inizia nell’immediato dopoguerra nell’ambito del Consiglio d’Europa.

Il processo d’integrazione europea rappresenta per tutti i Paesi aderenti un indiscusso strumento di promozione ed impulso dello sviluppo economico regionale e locale, in particolare attraverso l’utilizzazione dei fondi strutturali. In tale contesto, forme di federalismo, ovvero di regionalismo, si sono consolidate anche in quei Paesi con una radicata tradizione unitaria come la Francia, “affermandosi attraverso un processo di riforme costituzionali in cui il decentramento e la sussidiarietà diventano elementi caratterizzanti dell’organizzazione statale”[29].

Il binomio autonomia-uniformità rappresenta il punto di riferimento di ogni analisi che voglia affrontare l’attuale ruolo delle autonomie locali nel processo di integrazione europea. La valorizzazione degli enti rappresentativi delle collettività territoriali avviene nell’ambito del Consiglio d’Europa del 1949 e, solo successivamente, nell’ambito del processo di integrazione comunitaria accelerato dal Trattato di Maastrict del 1992. In tale contesto, “Gli enti locali, infatti, non sono stati visti solo dal punto di vista istituzionale, ma anche dal punto di vista funzionale, in connessione con l’affermazione del principio di sussidiarietà”[30].

L’Unione Europea spinge sul principio di sussidiarietà, già individuato come cardine dell’ordinamento giuridico comunitario all’art. 5 del Trattato CE, e promuove la sottoscrizione della Carta europea delle autonomie locali, firmata a Strasburgo il 15 ottobre 1985, ratificata dall’ordinamento interno con la legge n. 439 del 30/12/1989. In base all’art. 4.3 della Carta europea delle autonomie locali, “L’esercizio delle responsabilità pubbliche deve, in linea di massima, incombere di preferenza sulle autorità più vicine ai cittadini. L’assegnazione di una responsabilità ad un’altra autorità deve tener conto dell’ampiezza e della natura del compito e delle esigenze di efficacia e di economia”. Nel preambolo della medesima Carta viene affermato che “le collettività locali costituiscono uno dei principali fondamenti di un regime democratico”. Tutto ciò, però, richiede “l’esistenza di collettività locali dotate di organi decisionali democraticamente costituiti, che beneficino di una vasta autonomia per quanto riguarda le loro competenze, le modalità d’esercizio delle stesse, ed i mezzi necessari all’espletamento dei loro compiti istituzionali”[31].

Pertanto, e coerentemente con l’impostazione che si ricava dall’ordinamento comunitario, gli enti locali sono intesi quali primi garanti dei principi di democrazia e di tutela dei diritti fondamentali della persona che ispirano la stessa Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.

Orbene, guardando oltre l’ortus conclusus del nostro ordinamento possiamo evidenziare che “esiste un presupposto comune quando si ragiona di autonomie locali, inteso come valore coessenziale per ogni democrazia”[32] o come è stato detto “faccia interna della sovranità”[33]. Infatti, se mettiamo a confronto il modello di governance delineato dalla nostra Costituzione con gli altri Paesi dell’Unione Europea[34] si scopre che su 25 Stati 17 hanno tre livelli di governo: Regioni, Province e Comuni; 5 ne hanno solo due: province e Comuni; solo due Stati non hanno le Province, Cipro e Lussemburgo. L’Italia ha 104 Province, la Germania ne ha 439, l’Inghilterra 133, la Francia 100, la Spagna 52, con competenze diversa ma tutte con il medesimo distintivo del governo di area vasta.

C’è chi ritiene che a differenza dell’Italia, “In Europa forse non solo sono più chiare le funzioni ma è diversa l’articolazione dei poteri ed è consolidata la consapevolezza dell’importanza di un governo intermedio”[35]. Tuttavia, nel nostro ordinamento, la Costituzione repubblicana segna un salto di qualità prevedendo un’ampia tutela delle autonomie territoriali che coinvolge anche le Province. All’art. 5 viene infatti previsto che “la Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell

[Relazione al 3° Corso di formazione residenziale per Giovani Amministratori sul tema “Aspettando il Federalismo in Sicilia: quale modello di ente locale e di amministratore disegna” promosso dall’Associazione Siciliana Amministratori Enti Locali (ASAEL) il 30/09 e 01/10/2011, Campofelice di Roccella (PA)]

“Ci sono delle epoche nella storia in cui si può andare avanti soltanto tornando indietro” (P. Gentile)

Sommario:

1. Dalle Province autarchiche alle Province Regionali

2. Il consolidamento normativo della Provincia Regionale

3. La natura giuridica della Provincia Regionale

4. L’inquadramento comunitario e costituzionale della Provincia Regionale

5. Profili d’incostituzionalità della Provincia Regionale

6. I Liberi Consorzi di Comuni

7. La bussola costituzionale per l’introduzione dei Liberi Consorzi di Comuni

8. Il rischio di un neocentralismo regionale

9. Considerazioni finali

La soppressione, a tutti i costi, dell’ente intermedio sembra essere diventato il “biglietto da visita” di buona parte delle forze politiche. Non importa fare un’attenta analisi costi-benefici, così come non importa simulare un ipotesi di scenario credibile del nuovo assetto istituzionale delle autonomie locali. Ciò che preme alla classe politica del momento è riuscire a dare una risposta immediata al sentimento di antipolitica che interessa una consistente fetta dell’opinione pubblica.

E così il Governo Berlusconi, dall’improvvisato, discutibilissimo e poi stralciato art. 15 del D.L. n. 138 del 13/08/2011, come convertito nella legge n. 148 del 14/09/2011, è passato alla rapida approvazione di un disegno di legge costituzionale[1] che, in luogo della semplice riduzione delle Province sulla base di criteri quantitativi (popolazione ed estensione territoriale), preferisce tranciare, con l’autorevolezza di cui è dotata una spada costituzionale, l’esistenza medesima dell’ente intermedio, espungendolo alla radice, cioè dalla Costituzione.

La scelta del DDL costituzionale per intervenire sugli assetti dell’articolazione repubblicana appare decisamente più saggia rispetto al temerario percorso della decretazione d’urgenza, ma le riserve sul merito della riforma rimangono integre e meritevoli di essere partecipate alla riflessione e al dibattito non solo del mondo politico. Se non altro, così condividendo le sagge parole del Presidente della Repubblica, perchè bisogna “andarci piano” con le modifiche alla Costituzione.

Se, i tempi tecnici previsti per una modifica costituzionale sono ben noti, tanto da far dubitare alcuni commentatori sulla serietà del percorso intrapreso, in alcune Regioni a Statuto speciale come la Sicilia, la nuova ipotesi di lavoro varata dal Consiglio dei Ministri nella seduta dell’8/09/2011, non frena la decisione del Governatore Lombardo di perseguire comunque il proprio obiettivo politico-programmatico nel sostituire le attuali “Province Regionali” con i Liberi Consorzi di Comuni previsti dall’art. 15 dello Statuto siciliano.

Né, tanto meno, la volontà di sottoporre uno specifico articolato di disposizioni per realizzare la citata riforma in seno alla prossima legge finanziaria regionale per l’anno 2012, risulta rallentata dalla previsione contenuta nel citato DDL costituzionale che, all’art 3, comma 6, così prevede: “Le disposizioni di cui alla presente legge costituzionale si applicano alle Province delle Regioni a statuto speciale, fatta eccezione per quelle autonome di Trento e di Bolzano”. Infatti un autorevole rappresentante del Governo Lombardo non esita ad affermare che “Per la Regione Siciliana il disegno di legge costituzionale che prevede la soppressione delle Province è superfluo, perché ancora una volta lo Statuto siciliano è antesignano delle linee evolutive dell’assetto amministrativo dello Stato, Già 64 anni fa ipotizzava un modello di organizzazione dell’ente intermedio, qual è quello dei liberi consorzi di Comuni”[2]. Dello stesso avviso sembra essere lo stesso Governatore Raffaele Lombardo che in occasione della recente visita del Presidente della Repubblica a Palermo si esprime in questi termini: “Ho illustrato al Capo dello Stato il disegno di legge per la costituzione dei liberi consorzi di Comuni, così come prevede l’art. 15 del nostro Statuto speciale che non contempla le Province”[3].

Dando per buono che il Governatore Lombardo riesca a convincere i novanta inquilini dell’Assemblea Regionale Siciliana, rimane il dubbio sulla compatibilità degli effetti dei due disegni di riforma delle autonomie locali, atteso che, ad oggi, solo quello (costituzionale) approvato dal Consiglio dei Ministri è noto. In disparte, ogni ulteriore riflessione sulla bontà di chi eccepisce che per la modifica degli Statuti speciali possa essere seguito il diverso procedimento previsto dagli Statuti medesimi, considerato che “…gli statuti stessi, altro non sono che leggi costituzionali, pertanto incapaci di resistere a leggi costituzionali successive, adottate attraverso la procedura dell’art. 138 Cost.”[4].

Invero, mentre non è revocabile in dubbio che la soppressione o la riduzione delle Province, così come risultava concepita originariamente dall’art. 15 del citato D.L. n. 138, non può interessare le Regioni ad autonomia speciale[5], con l’adozione di un percorso legislativo di rango costituzionale, il differenziato livello di autonomia riconosciuto alle medesime Regioni anche nei confronti degli Enti locali, sembra perdere consistenza, cedendo di fronte all’esigenza di garantire il rispetto di quei “principi di sistema” contenuti nella Costituzione.

Ora, mentre il tema dei rapporti tra Regioni ad autonomia speciale ed enti locali, anche con particolare riferimento all’ipotesi di soppressione delle Province prevista dal citato DDL costituzionale merita uno specifico approfondimento, la riflessione che ci accingiamo a fare (ovviamente senza alcuna pretesa di esaustività) concerne il quadro ordinamentale siciliano nella prospettiva di riforma delle Autonomie locali annunciate dal Governatore Lombardo.

Cercheremo quindi di mettere in evidenza la lenta ma progressiva evoluzione della Provincia in Sicilia, la cui identificazione passa dall’elenco delle spese allocate in bilancio sotto il regime del TULCP del 1934, all’attribuzione di funzioni proprie con la L.r. n. 9/86, al riconoscimento di ente esponenziale d’interessi sovraccomunali con la L.r. n. 10/2000 ed, infine, al consolidamento di ente intermedio con la L.r. n. 30/2000.

1. Dalle Province autarchiche alle Province Regionali

A differenza dei Comuni, che godono indubbiamente di una tradizione identitaria ben più salda e radicata rispetto agli altri livelli istituzionali, le Province sono, almeno nella fase originaria, una creazione dello Stato, sulla scia del modello francese dei Dipartimenti. La nascita di tali Enti nell’ordinamento italiano risale alla fase storica preunitaria, essendo, in particolare, previsti dall’ordinamento degli enti locali del Regno di Sardegna.

Con la spedizione dei Mille e con la dittatura garibaldina viene esteso anche in Sicilia l’ordinamento degli Enti locali del Regno di Sardegna, regolato dalla legge Rattazzi n. 3702 del 23/10/1859, in forza della quale la Provincia viene dotata di autonomia amministrativa e di rappresentanza elettiva[6]. Fino agli anni ’90 del secolo XX la Provincia rimane l’ente designato da tale legge, poi trasfuso nella legge comunale e provinciale del 1865[7] e consolidato nella legge del 1881, dalla quale è stato ripreso, quasi del tutto immutato, nei successivi Testi Unici.

La configurazione chiara e definitiva della Provincia, come vero e proprio ente di governo locale, avviene con la legge Crispi del 1888 e successivo Testo Unico del 1889. In questo testo la Provincia effettivamente si configura come ente locale perché si separa definitivamente dalla Prefettura, così perdendo “…la sua originaria prevalente matrice di circoscrizione dell’amministrazione decentrata del ministero dell’Interno per assumere la natura essenziale di ente espressivo di una delle dimensioni del sistema dell’autonomia locale tracciato dalla Costituzione”[8].

Con l’avvento del ventennio fascista, oltre ad aumentare i controlli delle Province e sostituire al “sistema elettivo per la costituzione dell’Amministrazione, il sistema della nomina governativa”, se ne riorganizzano le funzioni in materia di sanità e igiene, opere pubbliche, educazione nazionale, assistenza e beneficienza.

Dal 1945 al 1947 la Provincia viene amministrata da un delegato del Governo centrale. Con l’entrata in vigore dello Statuto siciliano le vecchie Province autarchiche sono formalmente soppresse e poste in “amministrazione straordinaria”, sotto la guida di un delegato del Governo regionale coadiuvato da una consulta, fino alla effettiva creazione dei Liberi Consorzi tra Comuni (art. 266 dell’O.R.E.L.).

L’art. 15 dello Statuto siciliano - approvato con D.L. 15/05/1946 n. 455, convertito in legge costituzionale 26/02/1948 n. 2 – così recita: “Le circoscrizioni provinciali e gli organi ed enti pubblici che ne derivano sono soppressi nell’ambito della Regione siciliana. L’ordinamento degli enti locali si basa nella Regione stessa sui Comuni e sui liberi Consorzi comunali, dotati della più ampia autonomia amministrativa e finanziaria. Nel quadro di tali principi spetta alla Regione la legislazione esclusiva e la esecuzione diretta in materia di circoscrizione, ordinamento e controllo degli enti locali”. Ovviamente, come è stato opportunamente affermato, “Si tratta di una manifestazione di desiderio, la soppressione degli organi statali e (almeno parte) degli enti pubblici di dimensione provinciale compete allo Stato e non alla Regione: ma è significativa della volontà della Regione di sostituire un proprio apparato periferico a quello statale preesistente (prefetture, provveditorati agli studi, uffici del genio civile, intendenze di finanza etc.)”[9].

La storia delle Province Regionali in Sicilia nasce invece nel 1955 allorquando, in applicazione del citato art. 15 dello Statuto siciliano viene adottato con Decreto Legislativo Presidenziale n. 6 del 29/10/1955 l’Ordinamento amministrativo degli Enti locali nella Regione Siciliana (O.R.E.L.), poi confermato dalla legge L.r. n. 16 del 15/03/1963. E’ nell’art. 17 del citato O.R.E.L. che il legislatore introduce per la prima volta il termine “Provincia Regionale”. Detto articolo, poi soppresso dall’art. 61 della L.r. n. 9/86, così dispone: “I Liberi Consorzi costituiti a norma dei precedenti articoli attuano il decentramento dell’Amministrazione regionale a mezzo dei loro organi; svolgono le funzioni amministrative delegate dalla Regione, nonché i compiti ed i servizi demandati dallo Stato. Con la legge che ne approva lo Statuto, il Libero Consorzio assume la denominazione di Provincia regionale contraddistinta col nome del Comune dove ha sede l’Amministrazione consortile”.

Invero, dal testo della norma non si comprendono le ragioni per le quali il legislatore ha inteso assegnare ai costituendi Liberi Consorzi di Comuni la denominazione di “Provincia Regionale”. Riferiscono i “bene informati” che il recupero del termine “Provincia” è apparso necessario per non essere esclusi dai trasferimenti che lo Stato riconosceva solamente a Comuni e Province. L’estensione “Regionale” fu invece utilizzata sia per differenziare le nuove Province dai soppressi Enti autarchici provinciali, sia per attuare il disegno ordinamentale previsto dallo Statuto, attraverso il trasferimento di funzioni e servizi dalla Regione al nuovo Ente.

Tale previsione statutaria rimane inattuata per lungo tempo, e la fase di transizione, dura quasi vent’anni, fin tanto che l’Assemblea Regionale Siciliana non decide di intervenire con una specifica legge di attuazione della previsione statutaria contenuta nell’art. 15. Tuttavia, detta fase non è caratterizzata da immobilismo istituzionale anzi, alle “amministrazioni straordinarie” delle Province, la Regione assicura l’elezione degli organi di governo attraverso l’applicazione delle medesime norme già contenute nell’art. 25 della legge n. 16 del 07/02/1957. L’O.R.E.L., all’art. 25, infatti, testualmente dispone che “Le norme della presente legge sono applicabili anche per le elezioni degli organi dell’amministrazione straordinaria prevista dall’art. 266 del decreto legislativo presidenziale 29/10/1955, n. 6”.

Nel 1961 la Provincia nasce quindi come entità istituzionale con una sua struttura amministrativa e di governo dotata di un Consiglio Provinciale eletto col sistema di secondo grado, cioè dai Consigli dei Comuni che ne fanno parte, che a sua volta elegge il Presidente della Provincia e la Giunta provinciale. Nel 1970 viene altresì introdotto il sistema di democrazia diretta per l’elezione dei rappresentanti del Consiglio Provinciale.

In questo modo, alla Provincia del vecchio ordinamento, pur in regime di “amministrazione straordinaria” viene riconosciuta dalla Corte Costituzionale la necessaria autorevolezza istituzionale di ente territoriale[10] fino alla data di creazione dei Liberi Consorzi di Comuni.

Attraverso il varo della L.r. n. 9 del 06/03/1986, che ha un vero e proprio carattere esaustivo ed abrogativo della pregressa legislazione contenuta nell’O.R.E.L., il legislatore siciliano, in un solo colpo, avvia le procedure per la costituzione dei Liberi Consorzi di Comuni denominandoli “Province Regionali”. L’art. 3 di detta legge, riprendendo quanto già previsto dall’art. 17 dell’O.R.E.L., infatti così recita: “L’amministrazione locale territoriale nella Regione siciliana è articolata, in comuni ed in liberi consorzi di comuni denominati <<province regionali>>”. Dal successivo art. 4, comma 1, inizia l’inversione dei termini, dando priorità solamente alla denominazione “Provincia Regionale”. I successivi articoli individuano, infatti, le modalità di istituzione della “Provincia Regionale” (art. 5), le funzioni fondamentali (artt. 4, 8, 9, 10, 12, 13 e 14), l’assetto organizzativo (artt. 22 e seguenti), gli assetti finanziari e patrimoniali (artt. 48, 51, 52 e 53). In sostanza, mentre nell’art. 3 il Libero Consorzio di Comuni rappresenta il soggetto e la “Provincia Regionale” il complemento, a partire dall’art. 4 la “Provincia Regionale” diventa il soggetto e del Libero Consorzio di Comuni non si parla più.

L’Assemblea Regionale Siciliana, con l’approvazione della successiva L.r. n. 17 del 12/08/1989, all’art. 1, costituisce quindi “Le province regionali di Agrigento, Caltanissetta, Catania, Enna, Messina, Palermo, Ragusa e Trapani, risultanti dall’aggregazione in liberi consorzi dei comuni residenti nell’ambito territoriale delle disciolte province, già gestite dalle amministrazioni straordinarie provinciali, e con i medesimi capoluoghi”.

2. Il consolidamento normativo della Provincia Regionale

Come già detto, la Provincia Regionale nasce terminologicamente all’art. 17 dell’O.R.E.L. ed istituzionalmente con la L.r. n. 9/86, ma la saldatura dell’Ente avviene attraverso un precipitato di norme interne ed esterne all’ordinamento regionale, che mira da una parte a trasferire funzioni e competenze, dall’altra a creare una rete di natura comunitaria e costituzionale fondata sui principi di autonomia, decentramento e sussidiarietà. Diversi fattori hanno quindi contribuito a far emergere e consolidare il volto della Provincia Regionale, che rappresentano altrettante tappe dell’evoluzione dell’ordinamento degli enti locali.

La L.r. n. 22 del 09/05/86 sul “Riordino dei servizi e delle attività socio-assistenziali in

Sicilia”, approvata dall’A.R.S. lo stesso anno della L.r. n. 9/86, all’art. 49, individua una specifica attribuzione delle Province Regionali. Ma le competenze più specifiche affidate alla Provincia Regionale nell’ambito delle politiche socio-assistenziali sono contenute nell’art. 12 della L.r. n. 33 del 23/05/91. In forza di tale disposizione, compete alla Provincia Regionale provvedere alla assistenza dei ciechi e dei sordomuti rieducabili, curando anche il mantenimento degli stessi presso appositi istituti per ciechi e per sordomuti ai fini dell’assolvimento dell’ obbligo scolastico, della formazione ed istruzione professionale e, se richiesto e sussistendo lo stato di povertà, del conseguimento di altro titolo di istruzione media di secondo grado, musicale, artistica ed universitaria.

Con le disposizioni di cui agli articoli 1 e 2 della L.r. n. 34 del 05/09/1990, le Province Regionali acquisiscono ulteriori competenze nel settore scolastico con particolare riferimento alle istituzioni scolastiche regionali, eccezion fatta per il personale.

Con la L.r. n. 48 del 11/12/91 vengono introdotte nell’ordinamento regionale alcune discipline contenute nella L. n. 142/90 su “Ordinamento delle autonomie locali”, in materia di statuti, regolamenti, servizi pubblici, forme associative ecc.... Il legislatore regionale estende alle Province Regionali tali istituti facendo salve le disposizioni già contenute nella L.r. n. 9/86.

Con la L.r. n. 25 del 01/09/93 vengono individuate alcune specifiche attività in materia di smaltimento dei rifiuti solidi che le Province Regionali dovranno obbligatoriamente svolgere.

Nella stessa seduta del 01/09/93, con la L.r. n. 26, l’A.R.S. introduce nel sistema di governo delle Province Regionali l’elezione diretta del Presidente della Provincia, così uniformandosi al sistema elettorale che un anno prima era stato adottato per i Comuni attraverso la L.r. n. 7/92. L’elezione diretta del Presidente della Provincia rappresente un ulteriore momento di passaggio importante e positivo, determinando una maggiore “visibilità” dell’Ente, caratterizzato da un più forte legame con i cittadini e da un suo maggiore radicamento territoriale.

Anche a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 408 del 15/12/1998 che respinge il ricorso della Regione Siciliana avverso la legge n. 59/97, il legislatore regionale, con la L.r. n. 10 del 15/05/2000, si adegua al processo in atto di decentramento amministrativo (a Costituzione invariata) promosso dalle leggi “Bassanini” e, all’art. 31, rubricato “Ripartizione delle competenze tra Regione ed enti locali” così dispone: “In armonia con il principio di sussidiarietà e con i principi enunciati dall’articolo 4 della legge 15 marzo 1997, n. 59, tutte le funzioni amministrative che non richiedono l’unitario esercizio a livello regionale sono conferite agli enti locali”. Il comma 2 dell’art. 32 così recita: “Ai comuni e alle province sono affidate competenze complete ed integrali”. Il comma 5 del medesimo articolo si spinge ancora oltre, introducendo gli articoli 117, commi 1 e 2, e 118, comma 1, della Costituzione per attribuire autorevolezza ordinamentale alla volontà della Regione di organizzare l’esercizio delle funzioni amministrative a livello locale attraverso i Comuni e le Province.

La “benedizione” di ente territoriale arriva alla Provincia Regionale con l’art. 33 della medesima L.r. n. 10 del 15/05/2000. L’articolo 33, rubricato “Funzioni e compiti amministrativi della provincia regionale”, introduce quel concetto di “area vasta” di cui si parla solamente nel Disegno di legge-delega - Codice delle Autonomie Locali – approvato dal Consiglio dei Ministri nella seduta del 15/07/2009 ed ancora impantanato nelle aule parlamentari. Il 1° comma, infatti, così dispone: “La provincia regionale, oltre a quanto già specificamente previsto dalle leggi regionali, esercita le funzioni ed i compiti amministrativi di interesse provinciale qualora riguardino vaste zone intercomunali o l’intero territorio provinciale, salvo quanto espressamente attribuito dalla legge regionale ad altri soggetti pubblici”. Nel 2° comma si conferma il valore della “programmazione economico-sociale” e della “pianificazione territoriale” contenuto nelle disposizioni di cui agli articoli 9,10, 11 e 12 della L.r. n. 9/86. In coerenza con tale nuovo disegno istituzionale viene detto che “La scala provinciale permette di determinare su di una scala locale (quale quella della piccola e media impresa e dei distretti industriali, entrambi spina dorsale dell’economia italiana) l’insieme delle reti senza però staccarsi dalla scala nazionale e sovranazionale”[11] e che “La Provincia rappresenta un elemento essenziale nel più generale sistema della programmazione perché partecipa alla programmazione regionale, perché ha il compito di predisporre piani di sviluppo socioeconomico e perché ha il controllo degli strumenti di pianificazione dei comuni, ponendo per essi le premesse concrete per una reciproca armonizzazione, senza incidere, direttamente e in forma particolare, sul contenuto pianificatorio dei singoli Comuni”[12].

Nello stesso anno il legislatore regionale, adeguandosi alla riforma delle Autonomie locali di cui al D.lgs. n. 265/99, introduce espressamente il principio di sussidiarietà, nelle due versioni (verticale ed orizzontale), attraverso la L.r. n. 30 del 23/12/2000. L’art. 2, rubricato “Principio di sussidiarietà” così dispone: “I comuni e le province sono titolari di funzioni proprie e di quelle conferite loro con legge dello Stato e della Regione, secondo il principio di sussidiarietà. I comuni e le province svolgono le loro funzioni anche attraverso le attività che possono essere adeguatamente esercitate dall’autonoma iniziativa dei cittadini e delle loro formazioni sociali”. Tale principio, ora di rango costituzionale (art. 118), introdotto nell’ordinamento siciliano, non distribuisce direttamente le competenze, ma indica la regola cui la Regione deve ispirarsi per la loro allocazione. In tal modo, la sussidiarietà in senso verticale, così configurata, diventa anche per la Regione Siciliana, il principio informatore dei rapporti tra i diversi livelli di governo, sostituendosi al precedente modello a “cascata”[13]. Da questo momento, “Dovranno essere regolati i rapporti tra la Regione e gli enti locali, visto che la nuova amministrazione dovrà essere essenzialmente locale a meno che ci siano ragioni che rendano più congruo ed efficiente la collocazione di una funzione amministrativa ad un superiore livello territoriale di governo”[14].

All’art. 35 della L.r. n. 10/2000, poi modificato dall’art. 22 della L.r. n. 2/2002, viene prevista l’adozione di appositi decreti del Presidente della Regione, previo parere della Conferenza Regione-autonomie locali, della Commissione affari istituzionali e della Commissione bilancio dell’Assemblea regionale siciliana, per l’individuazione dei procedimenti di competenza rispettivamente delle Province Regionali e dei Comuni. In tale contesto, l’Unione Regionale Province Siciliane (U.R.P.S.)[15] propone alla Regione Siciliana la sottoscrizione di un protocollo d’intesa finalizzato ad una migliore attuazione del titolo IV della L.r. n. 10/2000 per l’individuazione delle funzioni amministrative e servizi da trasferire alle Province ed ai Comuni e per l’attuazione dell’art. 7 del D.lgs. n. 112/98. Tale proposta, nonostante i solleciti periodicamente formalizzati dall’Unione Regionale delle Province Siciliane[16], è rimasta però lettera morta.

Significativa è altresì la legge finanziaria n. 388 del 23/12/2000, applicabile in Sicilia in quanto norma di contenimento della spesa pubblica[17], che all’art. 52 attribuisce alla Provincia il compito di coordinare il processo associativo dei comuni imposto dall’operazione di trasferimento in attuazione della L. n. 59/97, attribuendo in via interinale alla Provincia stessa le funzioni e i compiti destinati ai Comuni in attesa della loro aggregazione associativa.

Con l’art. 34 della L.r. n. 5/2005, il legislatore siciliano prevede anche per le Province Regionali la facoltà di consorziarsi al fine di usufruire del 5% delle risorse a ciò annualmente destinate per la gestione di politiche comuni d’interesse sovra provinciale. Si tratta di una disposizione che può attivare sinergie interistituzionali di notevole rilievo[18], ma ad oggi non risulta che la stessa abbia trovato applicazione.

Più recentemente, la competenza della Provincia Regionale viene estesa anche alla materia dei rifiuti. L’art. 3 della L.r. n. 9 del 14/04/2010 è infatti tutto dedicato alle funzioni esercitate dalla Provincia in aggiunta a quelle già previste dall’art. 197 del D.lgs. n. 152/2006.

Non va omessa la considerazione che “La dimensione territoriale provinciale si è via via caratterizzata pure come la sede ordinaria a livello locale di una serie di organizzazioni sociali, economiche e politiche, che hanno considerato questo ambito come quello più appropriato per legare le rispettive funzioni settoriali (pubbliche e private) alla comunità ivi residente (v. camere di commercio, associazioni sindacali e industriali, partiti politici e in molti casi anche diocesi)”[19].

Tra le ragioni di questa crescita della Provincia Regionale si può rilevare come la fine del mito della Regione imprenditrice e pianificatrice abbia richiesto un ambito intermedio tra Comuni e Regione, necessario per rispondere alle funzioni di area vasta e per la gestione ottimale di reti di servizi e, in quest’ottica, vanno considerati, non solo i compiti di programmazione della Provincia, ma soprattutto alcune funzioni che la L.r. n. 9/86 assegna alle Province Regionali nei confronti dei Comuni.

3. La natura giuridica della Provincia Regionale

Le argomentazioni fin qui illustrate ci consentono di fare alcune prime valutazioni. Del modello consortile (rectius, associativo), a parte la fase costitutiva, mediante libera scelta deliberata dai Consigli comunali anche per il tramite dell’istituto del silenzio assenso, viene mutuato dalla L.r. n. 9/86 solamente l’inattuata “gestione comune” (art. 13) alla quale, peraltro, non viene riconosciuta personalità giuridica. L’Assessorato Reg.le agli Enti locali commenta così tale previsione normativa: “Mediante tale figura si procede alla costituzione di organi intercomunali allo scopo di svolgere congiuntamente servizi, di predisporre ed adottare unitariamente piani intercomunali, di disporre congiuntamente di beni e di utilizzare strutture tecniche particolari. Lo strumento materiale normativo è il regolamento, deliberato dai consigli comunali e provinciali interessati a maggioranza assoluta dei componenti in carica”[20]. Inoltre, il successivo art. 16, che disciplina la costituzione obbligatoria di gestioni comuni per l’esercizio delle funzioni relative al perseguimento di determinati obiettivi, potrebbe presentare profili d’incostituzionalità per l’evidente lesione dell’autonomia riconosciuta ai Comuni soprattutto dopo la riforma del Titolo V° della Costituzione.

In sostanza, il legislatore siciliano formalmente costituisce i Liberi Consorzi di Comuni per avere la copertura dello Statuto ma, nella sostanza del disegno normativo, e nella pratica istituzionale, crea l’ente intermedio Provincia, che è tutt’altro che una semplice denominazione del Libero Consorzio di Comuni.

Invero, non si è in presenza solo di norme auto qualificanti, che notoriamente non sono determinanti ai fini della natura giuridica dell’ente[21], per il semplice fatto che il testo della L.r. n. 9/86 contiene tutti gli indicatori sintomatici e tipici dell’ente territoriale. E’ infatti presente nel Titolo III° la disciplina delle funzioni fondamentali della Provincia Regionale, sia quelle di programmazione socio-economica e pianificazione territoriale che quelle prettamente amministrative previste dall’art. 13. Un altro importante indicatore della natura giuridica si rinviene nell’ultimo comma del medesimo art. 13, allorquando viene previsto che la Provincia Regionale svolge, altresì, le attribuzioni delle soppresse amministrazioni provinciali, così ereditando funzioni della Provincia autarchica alla quale, come già detto, la Corte Costituzionale riconosce la natura di ente territoriale. Il Titolo V° è invece dedicato all’autorganizzazione dell’ente, alla potestà regolamentare ed all’articolazione degli organi di governo (Consiglio, Giunta e Presidente). Ancora, nel Titolo VII° viene previsto che la Provincia Regionale assume le funzioni e il relativo personale sia delle Comunità Montane che dei Consorzi di Bonifica[22]. Infine, l’art. 59 istituisce la Conferenza delle autonomie locali della quale fanno obbligatoriamente parte Sindaci e Vice Sindaci e capi-gruppo consiliari dei Comuni nonché Presidenti, Vice-Presidenti e Capi-gruppo consiliari delle Province Regionali.

Dalla lettura della L.r. n. 9/86 e dal precipitato normativo sopra illustrato, non sembra revocabile in dubbio che la volontà del legislatore regionale sia quella di dotare l’ordinamento regionale di un ente territoriale che esercita funzioni intermedie a quelle della Regione e dei Comuni e che rappresenta direttamente gli interessi generali di una comunità stanziata su un territorio provinciale. Un progetto, evidentemente, ben più ambizioso dei Liberi Consorzi di Comuni. Infatti, mentre il Libero Consorzio di Comuni ha tradizionalmente, ma anche secondo la previsione di cui all’art. 13 del D.L. del Presidente della Regione n. 6 del 29/10/1955, “…natura di ente pubblico non territoriale, dotato di autonomia amministrativa e finanziaria”, la Provincia Regionale è, anche per espressa volontà del legislatore (art. 4, comma 3, L.r. n. 9/86) un ente pubblico territoriale che realizza l’autogoverno della comunità consortile e sovrintende, nel quadro della programmazione regionale, all’ordinato sviluppo economico e sociale della comunità medesima. Nella medesima disposizione normativa viene altresì espressamente sancito il principio che la Provincia Regionale è titolare di funzioni proprie ed esercita le funzioni delegate dallo Stato o dalla Regione.

Pertanto, il profilo che emerge da queste argomentazioni riguarda la configurazione della Provincia Regionale come comunità territoriale sia sotto l’aspetto formale che sostanziale, ossia legato ad un substrato socio-politico di appartenenza collettiva unitaria, con una precisa identità, come del resto dimostrano le ricerche estese dal Censis, dall’Istat e dal Formez a tutte le Province d’Italia.

Non appare azzardato sostenere che la L.r. n. 9/86, pur essendo collocata nel sistema delle fonti tra le leggi ordinarie, ha una valenza costituzionale (rectius, "supernorma") perché attua, per la prima volta in Sicilia, il principio di autonomia di cui all’art. 5 della Costituzione, ponendo al centro della disciplina gli interessi delle comunità provinciali di riferimento, che fungono anche da parametro di un’azione amministrativa che, in quanto autonoma, deve essere anche responsabile.

La Provincia Regionale costituisce quindi un ente territoriale con competenze potenzialmente rappresentative della generalità[23] degli interessi sociali, economici e culturali delle comunità amministrate[24], cioè legati alla pluralità degli interessi propri della collettività rappresentata. Secondo alcuni attenti osservatori del sistema delle autonomie locali in Sicilia, “Questo ente rappresenta il risultato dello sforzo di conciliare l’esigenza di semplificazione, unificazione ed articolazione dei poteri locali sulla base del principio: un territorio, un governo”[25]. L’ente territoriale può infatti definirsi un portatore sano di "autonomia locale" nel “senso della portata del principio di autonomia, che viene inteso sempre più come un riconoscimento di effettive responsabilità, come uno spazio di autogoverno riconosciuto alle istituzioni rappresentative delle collettività locali di diverso livello: e questo senso dell’autonomia ha sempre più un contenuto complessivo che comprende anzitutto l’autonomia normativa, ossia la capacità di darsi regole proprie sia statutarie che regolamentari, e poi comprende la dimensione organizzativa, la dimensione amministrativa e la dimensione finanziaria”[26].

Per completezza, va aggiunto che il ruolo della Provincia Regionale, come ente di governo territoriale rappresentativo della propria collettività, muta fortemente a seconda che si tratti di Province operanti in territori caratterizzati dalla presenza di una pluralità di Comuni medio-piccoli e Province operanti in territori metropolitani. Mentre le Province operanti in territori caratterizzati da Comuni medio-piccoli possono svolgere compiti effettivi di coordinamento, pianificazione e di programmazione, le Province stanziati in territori metropolitani, dove c’è una presenza determinante di un Comune capoluogo che risulta incomparabilmente più grande in termini di mezzi amministrativi e finanziari rispetto all’ente intermedio, non riescono ad emergere come enti di programmazione e di coordinamento generale. Il legislatore siciliano è ben consapevole di questa situazione, e proprio perchè intende valorizzare la Provincia Regionale, introduce agli artt. 19, 20 e 21 della L.r. n. 9/86, la disciplina sulle Aree metropolitane, normativa che ha trovato anche il conforto della Corte Costituzionale[27].

Su questo specifico tema, nonostante la dottrina sembra non dividersi nel sostenere che "Dove c’è l’area metropolitana non c’è la Provincia, c’è un ente che prende il posto della Provincia, ha una configurazione strutturale e funzioni diverse e prende il posto anche, in certi limiti, dei Comuni inseriti nell’area"[28], la classe politica siciliana preferisce ancora lasciare inalterato l’attuale sistema istituzionale ed inattuata la previsione normativa in questione.

4. L’inquadramento comunitario e costituzionale della Provincia Regionale

L’organizzazione territoriale degli Stati Europei affonda le sue radici nella tradizione medievale, così come questa è risultata modificata dalla rivoluzione francese del 1789 e dalla disciplina che nel dicembre di quell’anno venne dettata per i dipartimenti e i comuni francesi, ma il vero processo di contaminazione istituzionale nei Paesi Europei inizia nell’immediato dopoguerra nell’ambito del Consiglio d’Europa.

Il processo d’integrazione europea rappresenta per tutti i Paesi aderenti un indiscusso strumento di promozione ed impulso dello sviluppo economico regionale e locale, in particolare attraverso l’utilizzazione dei fondi strutturali. In tale contesto, forme di federalismo, ovvero di regionalismo, si sono consolidate anche in quei Paesi con una radicata tradizione unitaria come la Francia, “affermandosi attraverso un processo di riforme costituzionali in cui il decentramento e la sussidiarietà diventano elementi caratterizzanti dell’organizzazione statale”[29].

Il binomio autonomia-uniformità rappresenta il punto di riferimento di ogni analisi che voglia affrontare l’attuale ruolo delle autonomie locali nel processo di integrazione europea. La valorizzazione degli enti rappresentativi delle collettività territoriali avviene nell’ambito del Consiglio d’Europa del 1949 e, solo successivamente, nell’ambito del processo di integrazione comunitaria accelerato dal Trattato di Maastrict del 1992. In tale contesto, “Gli enti locali, infatti, non sono stati visti solo dal punto di vista istituzionale, ma anche dal punto di vista funzionale, in connessione con l’affermazione del principio di sussidiarietà”[30].

L’Unione Europea spinge sul principio di sussidiarietà, già individuato come cardine dell’ordinamento giuridico comunitario all’art. 5 del Trattato CE, e promuove la sottoscrizione della Carta europea delle autonomie locali, firmata a Strasburgo il 15 ottobre 1985, ratificata dall’ordinamento interno con la legge n. 439 del 30/12/1989. In base all’art. 4.3 della Carta europea delle autonomie locali, “L’esercizio delle responsabilità pubbliche deve, in linea di massima, incombere di preferenza sulle autorità più vicine ai cittadini. L’assegnazione di una responsabilità ad un’altra autorità deve tener conto dell’ampiezza e della natura del compito e delle esigenze di efficacia e di economia”. Nel preambolo della medesima Carta viene affermato che “le collettività locali costituiscono uno dei principali fondamenti di un regime democratico”. Tutto ciò, però, richiede “l’esistenza di collettività locali dotate di organi decisionali democraticamente costituiti, che beneficino di una vasta autonomia per quanto riguarda le loro competenze, le modalità d’esercizio delle stesse, ed i mezzi necessari all’espletamento dei loro compiti istituzionali”[31].

Pertanto, e coerentemente con l’impostazione che si ricava dall’ordinamento comunitario, gli enti locali sono intesi quali primi garanti dei principi di democrazia e di tutela dei diritti fondamentali della persona che ispirano la stessa Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.

Orbene, guardando oltre l’ortus conclusus del nostro ordinamento possiamo evidenziare che “esiste un presupposto comune quando si ragiona di autonomie locali, inteso come valore coessenziale per ogni democrazia”[32] o come è stato detto “faccia interna della sovranità”[33]. Infatti, se mettiamo a confronto il modello di governance delineato dalla nostra Costituzione con gli altri Paesi dell’Unione Europea[34] si scopre che su 25 Stati 17 hanno tre livelli di governo: Regioni, Province e Comuni; 5 ne hanno solo due: province e Comuni; solo due Stati non hanno le Province, Cipro e Lussemburgo. L’Italia ha 104 Province, la Germania ne ha 439, l’Inghilterra 133, la Francia 100, la Spagna 52, con competenze diversa ma tutte con il medesimo distintivo del governo di area vasta.

C’è chi ritiene che a differenza dell’Italia, “In Europa forse non solo sono più chiare le funzioni ma è diversa l’articolazione dei poteri ed è consolidata la consapevolezza dell’importanza di un governo intermedio”[35]. Tuttavia, nel nostro ordinamento, la Costituzione repubblicana segna un salto di qualità prevedendo un’ampia tutela delle autonomie territoriali che coinvolge anche le Province. All’art. 5 viene infatti previsto che “la Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell