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Danze sacre

Dervisci
Dervisci

Sono venuto ad Avanos, piccolo centro della Cappadocia turca, per cercare di incontrare il mondo dei dervisci.

Mi reco in un locale dove so che si riuniranno e dove mi viene specificato che non effettueranno uno spettacolo culturale di danze, ma una vera e propria cerimonia religiosa (Sema) ricollegabile a Mevlana Rumi, mistico del XIII secolo. Per tale motivo chiedono a chi assiste di astenersi dal prendere immagini.

Un piccolo gruppo di dervisci entra nella sala avvolta dalla penombra. Il loro alto copricapo tondo di feltro rappresenta la pietra tombale del proprio ego; l’abito bianco ne costituisce il sudario.

Al suono di flauti (il soffio di Dio che dà la vita a tutte le cose), di strumenti a corda e di un tamburo (il comando di Dio) iniziano la loro danza ruotante in senso antiorario. Come la terra, girano insieme a tutti gli esseri viventi e a tutte le cose. Il braccio destro rimane proteso verso l’alto, come simbolo del trascendente e della disponibilità a ricevere i doni divini, mentre il sinistro è allungato verso il basso, a significare l’immanente e l’umanità.

Così con il loro corpo divengono il tramite fra le due sfere. Per mezzo della danza e della musica effettuano una ascensione spirituale ed un viaggio mistico, dissolvendo il proprio ego, e ritrovano l’unità con l’Universo. Il loro ritorno sulla terra avviene nel ruolo di servitori di tutte le creature e di tutta la creazione.

Ed ecco che ancora una volta la mia mente mi conduce lontano, verso altre danze sacre a cui ho assistito.

In tutti i più importanti monasteri tibetani ogni anno si svolge un antico rito contraddistinto da danze di monaci chiamate chaam. Non hanno carattere folkloristico, bensì prettamente religioso e costituiscono un esorcismo. In Ladakh, nell’India himalayanica, vengono tenute spesso durante il periodo estivo, per agevolare la partecipazione di fedeli e visitatori stranieri.

Per tale motivo mi ero recato al monastero di Phyang. Il cortile era pieno di gente che chiacchierava e si godeva la festa, momento di meritato riposo in una vita che d’inverno è resa dura dal clima.

Gli spiriti del luogo, trasformati da Padma Sambhava (colui che portò il Buddhismo in Tibet) in difensori della religione, venivano rappresentati da monaci con maschere ed abiti di seta. Erano usciti dal tempio camminando all’indietro e loro guida era Mahakala, il Grande Nero (manifestazione terrifica di Avalokitesvara, bodhisattva della Compassione).

Con la mano destra impugnavano un phurbu, il sacro pugnale a lama triangolare con il quale si possono inchiodare al terreno gli spiriti del male. I loro passi tracciavano un mandala, un cerchio magico nel quale il male non ha accesso.

Restava, tuttavia, da eliminare la negatività già presente entro il cerchio, che simboleggiava la comunità. Il male, principalmente costituito dall’ignoranza, durante la cerimonia veniva assorbito dalla “torma”, offerta composta da un impasto di farina di orzo e burro.

Vari gruppi di danzatori si erano succeduti interpretando le più importanti figure del pantheon religioso buddhista. Mahakala aveva consegna il suo phurbu ad un monaco ed impugnato la spada, consentendo al mandala di sciogliersi per la battaglia finale. Gli spiriti del luogo avevano annientano il male con un phurbu, una freccia ed una spada.

La sua distruzione aveva permesso alla comunità di liberarsi dei veleni presenti al suo interno e di continuare il percorso verso il recupero dell’unità cosmica, che nel buddhismo mahayana viene perseguito in comune, non individualmente come nella tradizione theravada. Mahakala aveva completato personalmente l’opera con la sua spada.

Ciò che restava del male era stato inserito a pezzetti in calotte craniche, che simboleggiano la conoscenza, impugnate dai difensori del buddhismo con la mano sinistra. Un mandala finalmente puro composto dai monaci danzanti si era infine ricostituito. Ai presenti era stato chiesto di non prendere immagini del male esorcizzato al fine di non rievocarlo accidentalmente.

Provo rispetto per questi messaggi di amore.