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Sikh

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In Italia gli immigrati membri di questa comunità si fanno apprezzare soprattutto in agricoltura e nell’allevamento del bestiame (con gli animali hanno una intesa speciale). Il fatto che siano gente molto pacifica non deve ingannare, perché in realtà sono guerrieri (il loro cognome più diffuso è Singh, cioè Leone).

I Sikh (“discepoli”) sono originari del Punjab, dove ad Amritsar è sito il celebre Tempio d’Oro. Questa religione monoteistica, che si sviluppò tra il XV ed il XVII secolo, si basa sugli insegnamenti di dieci Maestri (“Guru”) e onora il testo sacro Sri Guru Granth Sahibji (“Nobile Libro Originario Signore e Maestro Spirituale”), comunemente chiamato Adi Granth.

La salvezza viene perseguita mediante una condotta basata su onestà, solidarietà (nel “langar”, cucina comune del tempio, vengono preparati pasti per fedeli o visitatori) e rifiuto di dipendenze da sostanze quali alcol o tabacco.

Il Sikhismo ritiene tutte le persone uguali, senza discriminazione di casta, di estrazione sociale o di genere.

Gli uomini sono soggetti a cinque obblighi, detti “5k” dall’iniziale delle parole che li specificano:

  • portare i capelli e la barba mai tagliati raccolti sotto un turbante (“kesha”),
  • avere con sé un pettine (“kangha”) simbolo di pulizia fisica e mentale,
  • portare al polso destro un braccialetto di ferro (“kara”) indice di mutuo soccorso,
  • possedere una spada (“kirpan”) in quanto guerrieri,
  • indossare mutande (“kacchara”) che consentano di effettuare le abluzioni rituali di purificazione nel cortile dei templi.
  • Il loro saluto abituale è: “Sat Siri Akal” (“La Verità è il Dio supremo”).

Dal mio diario:

“Nel Tempio d’Oro (Harmandir Sahib o Tempio di Dio) si respira spiritualità. È uno dei luoghi “magici” che ho avuto la fortuna di visitare nel mio peregrinare sulle strade dell’Asia e più volte vi ho fatto ritorno per la nostalgia che mi aveva ispirato. All’entrata (con il capo coperto da un fazzoletto arancione) ci si deve purificare attraversando delle vaschette di acqua corrente. Poi si è avvolti da una musica dolce e da una atmosfera unica.

Il complesso è sacro e per questo protetto da numerosi guardiani armati di lance o spade. I colori dei loro turbanti spaziano dal violetto, al giallo, al turchese. Darebbero la vita per difendere quel luogo e chiunque sia al suo interno, incluso me.

Insieme a numerosi fedeli mi siedo in un cortile e a tutti viene portato un piatto di riso e lenticchie.

L’edificio più bello, rivestito in oro, è situato al centro di un laghetto artificiale di acqua considerata sacra. Dopo il 1947 il Punjab è stato diviso tra India e Pakistan, e questo è certamente per loro motivo di dolore, ma in questo momento sono orgogliosi di mostrarmi la bellezza non solo architettonica di quel luogo.

Chiedo a un anziano, il cui viso è incorniciato da un magnifico turbante: “Vorresti che il Punjab fosse riunificato?”. La risposta mi arriva in un dolce sussurro: “Vorrei che tutti gli uomini fossero riunificati”.”