Covid dall’altra parte del mondo: meno vaccinati e meno morti in Asia e Africa
Covid dall’altra parte del mondo: quali numeri in Asia e Africa?
Asia e Africa detengono i livelli più bassi di vaccinati e, sorprendentemente (all’apparenza), di morti per Covid.
La conferma arriva dai dati attuali a livello globale: si va dal 47% asiatico al 7% africano di vaccinazioni effettuate (derivanti dalla somma di vaccinazioni complete e prime dosi), mentre il 21 novembre scorso la media dei morti per Covid in Asia si attestava a 18,48, contro gli appena 2,43 dell’Africa.
Numeri che lasciano interdetti, soprattutto se paragonati a un Occidente decisamente più vaccinato e in piena quarta ondata – con picchi allarmanti di contagi e mortalità dagli Stati Uniti, alla Germania, alla Russia.
Ma quali sono le cause di queste differenze tra le zone del mondo?
E perché il Covid sta colpendo di meno quelli che vengono considerati Paesi in via di sviluppo?
Covid dall’altra parte del mondo: perché il virus è meno potente in Asia e Africa?
La letteratura scientifica continua a elaborare ipotesi in merito.
In un articolo uscito su «Osservatorio CPI», Carlo Cottarelli e Federica Paudice hanno raccolto 16 tra i più autorevoli contributi sull’argomento, provenienti da équipe scientifiche di tutto il mondo.
La domanda alla base degli studi è stata: perché il Covid ha colpito i Paesi in modo diverso?
Le risposte si sono articolate in base alla considerazione di una serie di variabili:
- demografiche e relative allo stato di salute della popolazione;
- socioeconomiche;
- ambientali;
- misure adottate e risposta da parte dei cittadini;
- capacità dei sistemi sanitari.
“Il complesso dell’evidenza disponibile”, riassumono gli autori dell’articolo, “porta a concludere che la struttura demografica della popolazione, l’ordine in cui sono stati colpiti i vari Paesi (i Paesi colpiti prima sono stati penalizzati), l’inquinamento atmosferico sono stati fattori particolarmente rilevanti.
Non sembra invece che il livello della spesa pubblica per la sanità nel periodo pre-Covid sia stato rilevante, forse perché Paesi ad alta spesa non erano comunque preparati alla sorpresa di una pandemia”.
Prima – e con maggior rilevanza – delle percentuali di vaccinazioni effettuate, ci sono quindi da considerare i fattori endogeni di ogni Paese per poter stabilire le ragioni reali del diverso andamento del Covid (sia per morti, sia per contagi) in Occidente e in Oriente.
Covid dall’altra parte del mondo: ivermectina come cura?
Nonostante la ricerca sul Covid abbia con tutta evidenza bisogno di tempo per dare risposte adatte alla complessità della situazione, nel corso della pandemia ci si è più volte convinti di aver trovato una soluzione (alternativa, è chiaro, ai vaccini).
In particolare, con l’ivermectina.
Antielmintico (ossia, antiparassitario) in commercio dal 1981, i cui scopritori sono stati premiati con il Nobel nel 2015, l’ivermectina è stata indicata come cura risolutiva al Covid.
Tutto è partito da uno studio egiziano, condotto e pubblicato sul finire del 2020, il quale ha fatto gridare al miracolo mezzo mondo.
L’antiparassitario, infatti, ha dimostrato in vitro di poter uccidere il coronavirus nel giro di 48 ore.
L’équipe di ricercatori egiziani ha allora deciso di monitorare due gruppi di pazienti positivi al Covid: quello a cui era stata somministrata l'ivermectina aveva in effetti riportato un tasso di mortalità estremamente più basso.
Peccato che, pochi mesi dopo, un altro ricercatore abbia smontato pezzo a pezzo lo studio, rilevando irregolarità, plagio da brani giornalistici e soprattutto manipolazione dei dati al fine di orientare i risultati in favore dell’ivermectina come cura al Covid.
Sono state chieste spiegazioni all’équipe egiziana, a tutt’oggi chiusa in un silenzio emblematico.
Nel frattempo, comunque, la ricerca è stata ritirata dalle maggiori piattaforme scientifiche.
La parabola dell’ivermectina non si è però fermata in Egitto.
Meno di un mese fa, il Giappone è stato preso a esempio per aver sconfitto il Covid proprio grazie all’antiparassitario.
Ma le autorità giapponesi non hanno in alcun modo incentivato l’uso dell’ivermectina contro il Covid, anzi: lo hanno vivamente sconsigliato, declassandolo a rimedio casalingo.
E Haruo Ozaki, presidente della Tokyo Medical Association (che non è l’Ordine dei Medici del Giappone tutto[1], come riportato altrove, ma l’associazione di settore della città metropolitana di Tokyo), ha solo suggerito al governo e alle altre autorità sanitarie di affidarsi maggiormente alle prescrizioni dei medici di famiglia e alle soluzioni da loro proposte nella cura domestica al Covid – tra cui, per l’appunto, l’ivermectina.
Anche l’India, Paese a favore dell'antiparassitario, lo ha di recente ritirato dai protocolli di cura.
E le motivazioni sono sempre le stesse: mancanza di evidenze scientifiche sull’efficacia dell’ivermectina contro il Covid.
Di sicuro, focalizzarsi sulla cura – e sui differenti concetti e pratiche di cura tra Occidente e Oriente – è molto importante, in questa fase della pandemia.
Come è importante riflettere sulle strategie che stiamo attuando come società globale nei confronti del Covid, e sulle conseguenze non solo fisiologiche che queste avranno in futuro.
Ma più importante ancora è saper aspettare risposte meno immediate a uno dei fenomeni più complessi della storia umana.
[1] L'equivalente dell’Ordine nazionale dei Medici in Giappone è la Japan Medical Association.