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Diritto alla riservatezza: Gigi d'Alessio e gli amanti svelati

Diritto alla riservatezza: a proteggerlo è il “valido” consenso
Foto di James Frid da Pexels
Foto di James Frid da Pexels

Diritto alla riservatezza: a proteggerlo è il “valido” consenso

La giurisprudenza ha ritenuto sussistente la lesione del diritto alla riservatezza, quando quest’ultimo non è supportato da un valido consenso.
 

Diritto alla riservatezza: il fatto

Nel videoclip realizzato per la canzone “Oi nenna né” – interpretata dal noto cantante napoletano Gigi d’Alessioè ripresa una coppia di amanti che si tengono per mano. Scena perfetta e adorabile, sì, per la Sony (creatrice del video), ma non per la coppia, essendo venuta alla luce la natura extraconiugale della loro relazione.
 

Diritto alla riservatezza: il contraddittorio tra le parti

La signora, il cui diritto alla riservatezza sembrerebbe “leso”, lamentava che la canzone – essendosi particolarmente diffusa nel quartiere dove è ubicata la sua abitazione; quartiere il cui “orecchio” è favorevolmente incline all’ascolto dei brani del summenzionato cantante – avrebbe leso i suoi interessi e provocato patemi d’animo come conseguenza del danno derivato alla sua reputazione e riservatezza.

Per la Sony le cose non stanno così. Il consenso – seppur tacito – si presumeva, essendosi la signora accortasi delle riprese e del fatto che fosse inquadrata, avendo “soffermato lo sguardo sullo strumento di ripresa per alcuni istanti.

Inoltre, la Sony, preoccupata che questo non bastasse per avere la meglio nel processo, è andata frugando nella vita intima e sentimentale della parte lesa, provando che una separazione tra la signora in argomento e suo marito era già in atto.
 

Diritto alla riservatezza: la decisione dei giudici

La Corte d’Appello, sostenuta dalla Cassazione (con sentenza n. 36754) ha accolto l’istanza della signora, condannando la Sony al pagamento dei danni subiti dalla parte lesa in ordine al diritto alla riservatezza e reputazione.

È vero che la signora, spinta da curiosità, ha fissato la telecamera, ma la mera curiosità per i giudici – non è consenso, né tantomeno piena e convincente consapevolezza.

Dalla mancanza di consapevolezza, l’assenza di un “valido” consenso e da qui la lesione del diritto alla riservatezza.

Mancante è inoltre la preparazione di un formale set; mancanza, questa, che non ha permesso alla signora di individuare il campo di ripresa e il fine della realizzazione del videoclip.

Per quanto riguarda l’ultima spiaggia a cui è ricorsa la Sony (la separazione ex ante), la Corte non è d’accordo e, anzi, la bacchetta sulle mani, ricordando che una mera separazione non è sufficiente, essendo invece richiesto il divorzio, e che la prova della relazione extraconiugale può avere un suo peso in termini di addebito.

Per quanto concerne la quantificazione dei danni patrimoniali, alla signora, non essendo di particolare e manifesta “notorietà, spetta quello che si presume avrebbe potuto chiedere in caso di cessione dell’immagine.
 

Diritto alla riservatezza: uno sguardo alla legislazione attuale

Il diritto alla riservatezza e alla reputazione sono considerati, in un’ottica costituzionale, diritti inviolabili, che, ai sensi dell’articolo 2 della Costituzione, sono riconosciuti e garantiti dalla Repubblica all’uomo, “sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità.

Inoltre, la Legge 31 dicembre 1996, n. 675, ha associato l’identità personale alla riservatezza, diritto, quest’ultimo, che si collega a quello alla reputazione, che può essere leso e pregiudicato dalla violazione dei dati personali, ai sensi del Regolamento UE n. 679/2016.

Insomma, talvolta il diritto alla propria riservatezza è più forte e più sentito della volontà di diventare “piccole star” in “piccoli videoclip” e in futuro la Sony, prima di vestirsi – seppure involontariamente - da formidabile detective e mostrare che non tutto l’amore che luccica è coniugale, verificherà due volte che il consenso di chi riprende sia valido.