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Draghi: che governo sarà?

Mario Draghi
Mario Draghi

On.le Prof. Pino Pisicchio - Ospite della rubrica MondoVisione a cura di Angelo Lucarella.

 

Avremo modo, forse, di capire solo più avanti il valore sistemico dell’avvento di Draghi a palazzo Chigi. A cominciare dal ripristino del principio del merito e della competenza nell’esercizio della politica, contrapposto all’idea, peraltro stravolta, di una democrazia diretta da smartphone che ha invaso la scena pubblica negli ultimi anni.

La novità è innanzitutto antropologica: il contenuto delle cose piuttosto che la comunicazione del loro nome. Perché in politica devono parlare i fatti. Non i tweet. Non si sa se questa novità potrà essere da sola sufficiente a rifondare una nuova politica. Di certo inaugura uno stile a cui non eravamo più abituati: via i social e il cicaleccio ansiogeno prodotto dalle torme di comunicanti e propagatori. Sì solo ai dispacci ministeriali con tanto di logo ufficiale e le parole pesate come pietre. Vuoi mettere?

Il secondo aspetto è psicologico: dopo un tempo lunghissimo in cui ogni italiano ha dovuto rassegnarsi alla cupezza di un clima politico-sanitario che non voleva dare requie, Draghi ha rappresentato simbolicamente (molto si è detto sul mitologema del “drago”, appunto) la rottura della cappa di giorni bui alla Blade Runner. Insomma: il Super Mario che viene a salvarci. Un supereroe che nel mondo piace assai e che ci può far andare orgogliosi d’essere italiani. Non accadeva da parecchio agli italiani di potersi gonfiare il petto per i loro rappresentanti nelle istituzioni politiche.

La novità più importante, però, forse si intravede sul piano istituzionale. L’Italia ha conosciuto una gamma variegata di governi riconducibili all’impulso del Presidente della Repubblica in momenti di difficoltà e le catalogazioni accordate sono state le più immaginifiche: governi tecnici, del Presidente, balneari, di transizione, eccetera. Questo che potrebbe nascere, però, sembra avere uno stigma alquanto diverso e originale: punta dichiaratamente ad ottenere un equilibrio con la politica attraverso un rapporto fluido con il Parlamento.

Dunque sarà un governo politico, rinforzato da competenze indiscusse, in una chiave che supera ogni pregiudizialità ideologica. Se non ci fosse stato il diniego pregiudiziale della Meloni, infatti, avrebbe potuto somigliare a quell’unicum nella democrazia dei moderni rappresentato dal governo direttoriale della Svizzera: tutti i partiti dentro.

Sarà, allora, un governo politico, post-ideologico, che poggia sulla reputazione del primo ministro. La logica è stringente: un’importante provvista di risorse viene messa a disposizione dall’Europa a favore degli italiani e non di una particolare maggioranza politica. Ecco, dunque, che tutti i partiti rappresentati in parlamento sono chiamati a sostenere il governo esercitando direttamente un’attività di controllo e di partecipazione. In qualche modo un inedito, che forse trova nel governo Ciampi l’esperienza meno lontana. Con una sola ma fondamentale differenza: all’epoca di Ciampi non c’erano risorse da gestire ma solo scelte draconiane da compiere.

C’è un solo problema in questo tripudio di alleluia nei confronti di Mario Draghi, che racconta, comunque, dell’eterno pendolarismo emozionale degli italiani, notoriamente alacri soccorritori di chi vince. È il rischio di attribuire virtù taumaturgiche al presidente incaricato caricandogli sulle spalle aspettative incommensurabili da esaudire in un amen. Sarà pure Super Mario, ma rientra nella categoria degli esseri umani. Che devono vedersela, poi, con questo Parlamento. Che non è proprio quello dei Padri Costituenti.