Draghi: cosa farà da grande
Draghi: cosa farà da grande
Escludendo talk show e carta stampata, resta per fortuna il web, il tanto vituperato regno delle fake news, che lo erano ieri e non lo sono più oggi, oppure lo sono oggi e non lo saranno più domani.
In questi ultimi tempi – chi vi legge un riferimento apocalittico fa bene – frequento sempre di più tre “testate”: nicolaporro.it, atlanticoquotidiano.it e la lanuovabq.it (La Nuova Bussola Quotidiana) e leggo, tra gli altri, tutte le analisi di Luigi Bisignani, Federico Punzi e Stefano Magni, che a diverso modo offrono chiavi di lettura della corsa a perdifiato che ha preso la storia nel 2022.
E allora vediamo cosa dice il primo, mi sembra giusto partire dall’Italia, la provincia dell’impero.
Nell’ultimo articolo su nicolaporro.it “Il piano segreto di Draghi: ora punta a un altro incarico”, Bisignani osserva che il piglio militarista di Draghi – che ha spiazzato forze politiche, stati maggiori e commentatori – non è casuale bensì risponde all’ambizione di sedersi il prossimo anno sulla poltrona di Segretario Generale della NATO. Ecco dunque spiegata la necessità di accreditarsi oggi come il più fedele fautore della linea dell’azionista di maggioranza. Costi quel che costi.
La vocazione di Draghi è credibile? Sì, i segni vanno in quella direzione, soprattutto fuori dall’Italia, ma non è questo che mi interessa.
Non ci deve stupire: Draghi è sempre stato un battitore libero che ha usato la cambiale in bianco improvvidamente – o consapevolmente – concessagli per giocare la sua partita. Sin dall’inizio quello che è stato quasi unanimemente considerato il salvatore della patria, il nostro miglior rappresentante, ha considerato la Presidenza del Consiglio se non un ripiego senz’altro un trampolino per altre posizioni. Non ha neppure bisogno di parlare al proprio elettorato, a differenza di Macron e Biden che per ragioni diverse sgomitano oggi durante la crisi Ucraina per essere in prima fila – con dichiarazioni che solo per il favor di cui godono sui media liberal non sono giudicate da corte marziale – in vista delle elezioni presidenziali e di mid term.
Il piglio militarista di Draghi in fondo è lo stesso mostrato nella gestione della crisi pandemica.
C’è perfetta continuità del Draghi che oggi discrezionalmente gestisce la politica estera – è lecito domandarsi se pro domo sua o pro domo nostra – con il Draghi che con piglio decisionista e assertivo ha imposto – con la credibilità incondizionatamente concessagli da forze politiche e media – una unica visione su vaccini e green pass, bollando tutto il resto come fake news, in sintonia, su questo sì, con il suo competitor interno, Mister “doppio mandato accettato per il bene dell’Italia”.
Oltre a sparare bordate – è sempre uno spasso perché non le manda mai a dire – su Francesco Giavazzi in merito al pagamento in rubli del gas russo, Bisignani ci ricorda che “Si fa ancora fatica a dirlo, ma probabilmente molte voci del Next Generation Eu e del Pnrr italiano andranno riviste a beneficio di maggiori investimenti su produzione e infrastrutture per l’energia, in questo momento molto più strategiche rispetto al resto”.
Per questo Bisignani richiama Draghi alla sua vocazione di economista: “per salvare l’Italia torni a fare soprattutto quello che sa fare: l’economista che guarda lontano”. Non sono convinto che Draghi lo voglia fare e, soprattutto, che sia in grado di farlo. Ci vorrebbe coraggio e visione, e poi ormai ha il respiro corto, le ombre della sera, almeno sul suo governo, si stanno allungando. Come aveva previsto qualcuno i prossimi mesi saranno spesi nella gestione di scaramucce interne alla maggioranza, un Vietnam fatto di imboscate parlamentari, dichiarazioni e controdichiarazioni per alzare e abbassare la tensione con occhio ai sondaggi.
E poi quando si parla di economisti mi vien da ridere, amaro ma da ridere. Penso alle pagini memorabili del compianto Professor Sergio Ricossa (da leggere la sua conversazione autobiografica).
È presto per fare bilanci del suo mandato?
Facciamo un solo esempio sul terreno delle riforme sul quale Draghi aveva speso parole rassicuranti, ottenendo il tanto agognato lasciapassare a livello UE. I giuristi – eterni ingenui e trafficoni – attendono le riforme della giustizia come gli ebrei la manna nel deserto. Siamo sicuri che arriveranno? Io non ci scommetterei più di tanto e non mi farei illusioni su quello che uscirà. Tanto rumore per nulla. Specchietti per le allodole, italiane e europeiste. Pronto a ricredermi.
Resta il fatto che, forse per Draghi è un vanto, ma mai negli ultimi 70 anni i diritti e le libertà in Italia sono stati così bersagliati come nel corso del suo mandato. Immagine plastica: lo stato di emergenza perenne, per alcuni lo stato d’eccezione, per me lo stato d’assedio. Che milioni di Waylon Smithers lo abbiano accettato supinamente o, peggio, entusiasticamente, è un segno dei tempi e di italianità, non una giustificazione.
In fin dei conti, tutto questo fa parte della politica. Sangue e merda, disse uno che se ne intendeva. Cosa prevalga oggi, inutile domandarselo. Solo, se potessi, chiederei di risparmiami le tonnellate di retorica sul senso di responsabilità e sugli interessi del paese.