È necessario che il prelievo di solidarietà vada a sostegno delle pensioni basse, per evitare il rigetto della Corte Costituzionale?

Risposta: No, perché non risolve il connotato tributario del prelievo. La scelta è anche in contraddizione col percorso di riforma delle pensioni e del welfare dall’inizio anni Novanta. Il recupero, per via tributaria, dell’equità attuariale e il riequilibrio tra pensioni e lavoro e tra generazioni sono obiettivi già coerenti con la Costituzione.

Nel dibattito seguito alla “bocciatura” del prelievo di solidarietà a carico delle pensioni alte da parte della Corte Costituzionale, si è fatta strada l’ipotesi che, se le risorse raccolte fossero vincolate a rimanere all’interno del sistema pensionistico ad integrazione delle pensioni basse, il giudizio della Corte sarebbe diverso. Con quel vincolo scomparirebbe il carattere tributario, e diverrebbe chiara la ratio per cui il prelievo è applicato solo ai redditi da pensione e non a tutti i redditi: si tratterebbe di una manovra settoriale, un aggiustamento tutto interno al sistema pensionistico, disegnato specificatamente per riequilibrare i redditi da pensione tra di loro.

Non priva di un certo “fascino” (il problema delle pensioni basse è destinato ad acuirsi in futuro e va affrontato), questa lettura presenta debolezze sia sul piano giuridico che economico. Non è la strada da seguire per raccordare il provvedimento ai principi costituzionali. Le ragioni sono molteplici:

Sul piano giuridico:

1. La natura tributaria non cambia - Dal punto di vista del soggetto passivo, percettore della pensione alta, il prelievo continua ad avere le caratteristiche del tributo. Mantenere le risorse all’interno del sistema pensioni non è sufficiente a cambiare questo connotato. L’integrazione delle pensioni basse, quantunque obiettivo meritorio che può trovare sostegno sia nell’esito del voto democratico sia nella volontà dei singoli cittadini, non è una controprestazione fruibile direttamente da coloro che la finanziano, i detentori di pensioni alte. Si tratta di una funzione redistributiva che, anche se ristretta alla platea dei cittadini già in quiescenza: a. necessita dell’interposizione dello Stato (del sistema fiscale in senso lato), b. è impersonale (le risorse non si muovono dal singolo al singolo, non c’è biunivocità), c. si innesta nel quadro più ampio della perequazione dei redditi. Tre caratteristiche che individuano in maniera inequivocabile lo strumento dell’imposta.

2. Le sperequazioni non sono circoscrivibili alla platea dei pensionati - Non si può neppure affermare che il flusso di risorse tra pensioni alte e basse vada a sanare sperequazioni tutte interne alla platea dei pensionati, ripristinando una sorta di equilibrio “dei diritti”. Le pensioni alte, che ricevono in rendita più di quanto l’accumulazione dei contributi versati giustificherebbe[1], non sono tali perché sottraggono risorse direttamente alle pensioni basse. La maggior parte delle pensioni in erogazione, alte o basse che siano, proviene dalle stesse regole di calcolo, generose. Non è un “gioco a somma zero” tra pensionati. In realtà, il finanziamento a ripartizione (pay-as-you-go) fa sì che i “regali” alle pensioni elevate sottraggano anno per anno risorse ai redditi da lavoro e, per via dell’ampiezza del cuneo fiscale[2], ostacolino anche la produttività e l’occupabilità. Nel tempo, l’effetto è di minori redditi da lavoro, minore occupazione e anche minori risorse disponibili per tutti gli altri istituti del welfare system diversi dalle pensioni e importanti sia per l’equità che per la crescita.

3. La funzione redistributiva non può discriminare tra cittadini - La funzione redistributiva deve rivolgersi a tutti i cittadini. Anche quando si basi su regole selettive, di priorità di intervento, queste non possono essere settoriali o categoriali, ma riferirsi a misurazioni dei bisogni in cui possono incorrere tutti, il più possibile vicine al tempo reale. Una redistribuzione ad hoc a favore dei percettori di pensioni basse tradisce l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. La nostra Costituzione chiede, come parte integrante dei doveri assegnati dall’articolo 38[3], che si provveda per gli anziani privi di sufficienti mezzi di sostentamento: tutti gli anziani, non solo i percettori di pensioni. Strumenti welfaristi a favore dei redditi bassi in tarda età non possono, per rispettare la Costituzione, che assumere le vesti di un reddito minimo di cittadinanza per la terza età, a cui innalzare tutti coloro che, anno per anno, ne sono al di sotto. Una redistribuzione specifica tra pensioni alte e pensioni basse attuerebbe un canale preferenziale, ponendosi in contrasto con il dettato e lo spirito costituzionale.

Le tre osservazioni appena proposte sono strettamente interrelate tra loro, ma quel che più rileva è che esse hanno una precisa corrispondenza sul piano economico. Diritto ed Economia suggeriscono la medesima lettura.

Sul piano economico:

4. Le risorse indistinte della fiscalità generale - Vincolato a rimanere nel sistema pensioni, il prelievo va comunque a una funzione che, pur perseguita nei modi sbagliati (cfr. precedente punto 3.), è propria della fiscalità generale: erogare prestazioni la cui fruizione non è collegata, né nel “se” né nel “quanto” e nel “quando”, ai cittadini che ne sopportano il finanziamento. Non basta il vincolo di destinazione a garantire che quelle risorse non entrino in confusione con la massa integrale della fiscalità generale. Risorse della fiscalità generale che prima, per altre vie assistenziali, raggiungevano quegli stessi beneficiari, adesso possono, in qualche misura, cambiare destinazione. La caratteristica tributaria emerge non solo dal lato del finanziatore (la pensione alta, cfr. precedente punto 1.), ma anche dal lato degli impieghi, rientrando il gettito del prelievo all’interno delle risorse complessive a disposizione della fiscalità generale per tutte le finalità[4].

5. Gli squilibri tra generazioni - Esiste sicuramente il problema delle pensioni basse[5], che va affrontato come parte del più generale tema dell’insufficienza di mezzi in età avanzata (cfr. precedente punto 3.). Ma lo squilibrio più macroscopico, soprattutto se si guarda ai suoi risvolti a medio-lungo termine, è quello tra generazioni. I “regali” pensionistici degli anni ’70 e ’80 (i “regali acquisiti”, come li chiamano Tito Boeri e Tommaso Nannicini su laVoce.info[6]) sono pagati dagli attivi di oggi, soprattutto dai giovani. Il pay-as-you-go che finanzia le pensioni in erogazione costituisce la parte preponderante del cuneo sul lavoro, che deprime la produttività e scoraggia domanda e offerta di lavoro. Se non si rompe subito questo circuito negativo, al problema della disoccupazione/sottoccupazione giovanile si sommerà, tra qualche anno, quello di redditi pensionistici gravemente insufficienti dopo carriere lavorative corte, discontinue e mal retribuite. Il prelievo di solidarietà sulle pensioni alte che hanno ricevuto “regali” andrebbe dedicato al lavoro e ai giovani, utilizzando quelle risorse o all’interno di un piano per la riduzione permanente del cuneo, oppure a finanziamento degli ammortizzatori contro la disoccupazione. Se questo “scambio” tra pensioni e lavoro - una restituzione dei “regali” inopportuni e insostenibili - fosse portato in evidenza, allora il dubbio della Corte sul perché il prelievo è applicato solo alle pensioni alte e non anche ai redditi troverebbe una ratio.

6. Le pensioni e la redistribuzione - Tutte le riforme dagli anni Novanta ad oggi hanno mirato a neutralizzare il più possibile i flussi di redistribuzione interni al sistema pensionistico o comunque passanti per le pensioni. Una delle caratteristiche delle regole di calcolo contributive (applicate in via integrale a coloro che hanno iniziato a lavorare dal 1995 in poi) è proprio la neutralità attuariale tra contributi versati e rendita pensionistica. È l’interfaccia migliore tra il sistema pensionistico e il mercato del lavoro, perché è trasparente e garantisce l’appropriabilità perfetta dei contributi versati, senza vantaggi né svantaggi. Riaprire adesso il tema su quanta redistribuzione specifica debba veicolare il sistema pensionistico appare contraddittorio e anacronistico. Il welfare system italiano ha bisogno di altro: di rinforzare la redistribuzione al di fuori delle pensioni, quella che, avvalendosi di istituti di spesa diversificati e specializzati (uno dei punti deboli dell’Italia), riesce a coprire tutte le fasi della vita dando risposte adeguate ai bisogni e permettendo il più possibile di superarli, di affrancarsi. Tra questi istituti c’è anche, costruendone i presupposti finanziari, un reddito di cittadinanza accuratamente selettivo nell’età e nei mezzi economici, che inglobi in sé la casistica delle pensioni basse ma che non sia un corollario del sistema pensionistico. Ai nostri 25enni-30enni, ai giovani, interessa sì sapere che, se saranno sfortunati sul lavoro, a fine carriera il welfare system potrà garantire dei livelli minimi di sussistenza; ma interessa ancor di più sapere che quello stesso welfare system è strutturato per distribuire le risorse in maniera equilibrata a sostenere la formazione del capitale umano, l’occupabilità, la ricerca del lavoro, la mobilità professionale, la produttività, etc.. Sviluppare la redistribuzione al di fuori delle pensioni (in volume e in qualità) non impedisce di provvedere alla insufficienza dei redtiti in età avanzata, mentre è la strada obbligata per modernizzare il welfare system italiano.

In conclusione, dedicare il prelievo di solidarietà alle pensioni basse, mantenendo tutte le risorse nel perimetro del sistema pensionistico, non fa venir meno la sua caratteristica tributaria, che è l’aspetto che più ha pesato nel rigetto da parte della Corte Costituzionale. Non è questo l’elemento che può fare la differenza. Per di più, reintrodurre una redistribuzione specifica interna al sistema pensionistico si pone in controtendenza con il processo di riforma dagli inizi degli anni Novanta ad oggi. Una marcia indietro quando, invece, si dovrebbe progredire nello sviluppo degli altri istituti di welfare, quelli dotati di poche risorse o addirittura mancanti in Italia, ma importanti sia per perseguire finalità equitative durante tutte le fasi della vita sia per la crescita.

Il recupero, a posteriori, di una qualche forma di equità attuariale per le pensioni più alte, e il conseguente contributo al riequilibrio del carico tra pensionati e lavoratori e tra generazioni, sono obiettivi di per se stessi coerenti con la Costituzione. È su questa linea che va riscritto il provvedimento che introduce il prelievo di solidarietà, ed è su questa linea che va ricercata una migliore comprensione tra Legislatore e Corte Costituzionale, nel rispetto della separatezza delle Istituzioni e dei ruoli.

 

[1] Questo punto (lo scostamento dall’equità attuariale) è mancato nel disegno del prelievo, e ciò non ha favorito la valutazione da parte della Corte Costituzionale. Si veda: “L’equità delle pensioni vista dalla Corte Costituzionale” su www.lavoce.info.

[2] Per la maggior parte costituito da oneri contributivi al sistema pensionistico, integrati dalla fiscalità generale per il finanziamento delle pensioni in erogazione.

[3] “Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all'assistenza sociale. I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria. Gli inabili ed i minorati hanno diritto all'educazione e all'avviamento professionale. Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato”.

[4] Quel vincolo di destinazione è soft constraint, aggirabile con tax labelling.

[5] Un paradosso per un Paese che dedica oltre il 15% del Pil alle pensioni pubbliche. Le pensioni attualmente in erogazione derivano da regole generose (quelle del criterio di calcolo retributivo o misto). Se tanti assegni sono di basso importo, questo può essere in parte spiegato con il fenomeno delle pensioni multiple, ma le ragioni di fondo sono esterne al sistema pensionistico e vanno ricercate nel mercato del lavoro: durata delle carriere, livelli retributivi, crescita della produttività e dell’economia.

[6] Cfr. “Pensioni: la trasparenza è d’oro” su www.lavoce.info.

Risposta: No, perché non risolve il connotato tributario del prelievo. La scelta è anche in contraddizione col percorso di riforma delle pensioni e del welfare dall’inizio anni Novanta. Il recupero, per via tributaria, dell’equità attuariale e il riequilibrio tra pensioni e lavoro e tra generazioni sono obiettivi già coerenti con la Costituzione.

Nel dibattito seguito alla “bocciatura” del prelievo di solidarietà a carico delle pensioni alte da parte della Corte Costituzionale, si è fatta strada l’ipotesi che, se le risorse raccolte fossero vincolate a rimanere all’interno del sistema pensionistico ad integrazione delle pensioni basse, il giudizio della Corte sarebbe diverso. Con quel vincolo scomparirebbe il carattere tributario, e diverrebbe chiara la ratio per cui il prelievo è applicato solo ai redditi da pensione e non a tutti i redditi: si tratterebbe di una manovra settoriale, un aggiustamento tutto interno al sistema pensionistico, disegnato specificatamente per riequilibrare i redditi da pensione tra di loro.

Non priva di un certo “fascino” (il problema delle pensioni basse è destinato ad acuirsi in futuro e va affrontato), questa lettura presenta debolezze sia sul piano giuridico che economico. Non è la strada da seguire per raccordare il provvedimento ai principi costituzionali. Le ragioni sono molteplici:

Sul piano giuridico:

1. La natura tributaria non cambia - Dal punto di vista del soggetto passivo, percettore della pensione alta, il prelievo continua ad avere le caratteristiche del tributo. Mantenere le risorse all’interno del sistema pensioni non è sufficiente a cambiare questo connotato. L’integrazione delle pensioni basse, quantunque obiettivo meritorio che può trovare sostegno sia nell’esito del voto democratico sia nella volontà dei singoli cittadini, non è una controprestazione fruibile direttamente da coloro che la finanziano, i detentori di pensioni alte. Si tratta di una funzione redistributiva che, anche se ristretta alla platea dei cittadini già in quiescenza: a. necessita dell’interposizione dello Stato (del sistema fiscale in senso lato), b. è impersonale (le risorse non si muovono dal singolo al singolo, non c’è biunivocità), c. si innesta nel quadro più ampio della perequazione dei redditi. Tre caratteristiche che individuano in maniera inequivocabile lo strumento dell’imposta.

2. Le sperequazioni non sono circoscrivibili alla platea dei pensionati - Non si può neppure affermare che il flusso di risorse tra pensioni alte e basse vada a sanare sperequazioni tutte interne alla platea dei pensionati, ripristinando una sorta di equilibrio “dei diritti”. Le pensioni alte, che ricevono in rendita più di quanto l’accumulazione dei contributi versati giustificherebbe[1], non sono tali perché sottraggono risorse direttamente alle pensioni basse. La maggior parte delle pensioni in erogazione, alte o basse che siano, proviene dalle stesse regole di calcolo, generose. Non è un “gioco a somma zero” tra pensionati. In realtà, il finanziamento a ripartizione (pay-as-you-go) fa sì che i “regali” alle pensioni elevate sottraggano anno per anno risorse ai redditi da lavoro e, per via dell’ampiezza del cuneo fiscale[2], ostacolino anche la produttività e l’occupabilità. Nel tempo, l’effetto è di minori redditi da lavoro, minore occupazione e anche minori risorse disponibili per tutti gli altri istituti del welfare system diversi dalle pensioni e importanti sia per l’equità che per la crescita.

3. La funzione redistributiva non può discriminare tra cittadini - La funzione redistributiva deve rivolgersi a tutti i cittadini. Anche quando si basi su regole selettive, di priorità di intervento, queste non possono essere settoriali o categoriali, ma riferirsi a misurazioni dei bisogni in cui possono incorrere tutti, il più possibile vicine al tempo reale. Una redistribuzione ad hoc a favore dei percettori di pensioni basse tradisce l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. La nostra Costituzione chiede, come parte integrante dei doveri assegnati dall’articolo 38[3], che si provveda per gli anziani privi di sufficienti mezzi di sostentamento: tutti gli anziani, non solo i percettori di pensioni. Strumenti welfaristi a favore dei redditi bassi in tarda età non possono, per rispettare la Costituzione, che assumere le vesti di un reddito minimo di cittadinanza per la terza età, a cui innalzare tutti coloro che, anno per anno, ne sono al di sotto. Una redistribuzione specifica tra pensioni alte e pensioni basse attuerebbe un canale preferenziale, ponendosi in contrasto con il dettato e lo spirito costituzionale.

Le tre osservazioni appena proposte sono strettamente interrelate tra loro, ma quel che più rileva è che esse hanno una precisa corrispondenza sul piano economico. Diritto ed Economia suggeriscono la medesima lettura.

Sul piano economico:

4. Le risorse indistinte della fiscalità generale - Vincolato a rimanere nel sistema pensioni, il prelievo va comunque a una funzione che, pur perseguita nei modi sbagliati (cfr. precedente punto 3.), è propria della fiscalità generale: erogare prestazioni la cui fruizione non è collegata, né nel “se” né nel “quanto” e nel “quando”, ai cittadini che ne sopportano il finanziamento. Non basta il vincolo di destinazione a garantire che quelle risorse non entrino in confusione con la massa integrale della fiscalità generale. Risorse della fiscalità generale che prima, per altre vie assistenziali, raggiungevano quegli stessi beneficiari, adesso possono, in qualche misura, cambiare destinazione. La caratteristica tributaria emerge non solo dal lato del finanziatore (la pensione alta, cfr. precedente punto 1.), ma anche dal lato degli impieghi, rientrando il gettito del prelievo all’interno delle risorse complessive a disposizione della fiscalità generale per tutte le finalità[4].

5. Gli squilibri tra generazioni - Esiste sicuramente il problema delle pensioni basse[5], che va affrontato come parte del più generale tema dell’insufficienza di mezzi in età avanzata (cfr. precedente punto 3.). Ma lo squilibrio più macroscopico, soprattutto se si guarda ai suoi risvolti a medio-lungo termine, è quello tra generazioni. I “regali” pensionistici degli anni ’70 e ’80 (i “regali acquisiti”, come li chiamano Tito Boeri e Tommaso Nannicini su laVoce.info[6]) sono pagati dagli attivi di oggi, soprattutto dai giovani. Il pay-as-you-go che finanzia le pensioni in erogazione costituisce la parte preponderante del cuneo sul lavoro, che deprime la produttività e scoraggia domanda e offerta di lavoro. Se non si rompe subito questo circuito negativo, al problema della disoccupazione/sottoccupazione giovanile si sommerà, tra qualche anno, quello di redditi pensionistici gravemente insufficienti dopo carriere lavorative corte, discontinue e mal retribuite. Il prelievo di solidarietà sulle pensioni alte che hanno ricevuto “regali” andrebbe dedicato al lavoro e ai giovani, utilizzando quelle risorse o all’interno di un piano per la riduzione permanente del cuneo, oppure a finanziamento degli ammortizzatori contro la disoccupazione. Se questo “scambio” tra pensioni e lavoro - una restituzione dei “regali” inopportuni e insostenibili - fosse portato in evidenza, allora il dubbio della Corte sul perché il prelievo è applicato solo alle pensioni alte e non anche ai redditi troverebbe una ratio.

6. Le pensioni e la redistribuzione - Tutte le riforme dagli anni Novanta ad oggi hanno mirato a neutralizzare il più possibile i flussi di redistribuzione interni al sistema pensionistico o comunque passanti per le pensioni. Una delle caratteristiche delle regole di calcolo contributive (applicate in via integrale a coloro che hanno iniziato a lavorare dal 1995 in poi) è proprio la neutralità attuariale tra contributi versati e rendita pensionistica. È l’interfaccia migliore tra il sistema pensionistico e il mercato del lavoro, perché è trasparente e garantisce l’appropriabilità perfetta dei contributi versati, senza vantaggi né svantaggi. Riaprire adesso il tema su quanta redistribuzione specifica debba veicolare il sistema pensionistico appare contraddittorio e anacronistico. Il welfare system italiano ha bisogno di altro: di rinforzare la redistribuzione al di fuori delle pensioni, quella che, avvalendosi di istituti di spesa diversificati e specializzati (uno dei punti deboli dell’Italia), riesce a coprire tutte le fasi della vita dando risposte adeguate ai bisogni e permettendo il più possibile di superarli, di affrancarsi. Tra questi istituti c’è anche, costruendone i presupposti finanziari, un reddito di cittadinanza accuratamente selettivo nell’età e nei mezzi economici, che inglobi in sé la casistica delle pensioni basse ma che non sia un corollario del sistema pensionistico. Ai nostri 25enni-30enni, ai giovani, interessa sì sapere che, se saranno sfortunati sul lavoro, a fine carriera il welfare system potrà garantire dei livelli minimi di sussistenza; ma interessa ancor di più sapere che quello stesso welfare system è strutturato per distribuire le risorse in maniera equilibrata a sostenere la formazione del capitale umano, l’occupabilità, la ricerca del lavoro, la mobilità professionale, la produttività, etc.. Sviluppare la redistribuzione al di fuori delle pensioni (in volume e in qualità) non impedisce di provvedere alla insufficienza dei redtiti in età avanzata, mentre è la strada obbligata per modernizzare il welfare system italiano.

In conclusione, dedicare il prelievo di solidarietà alle pensioni basse, mantenendo tutte le risorse nel perimetro del sistema pensionistico, non fa venir meno la sua caratteristica tributaria, che è l’aspetto che più ha pesato nel rigetto da parte della Corte Costituzionale. Non è questo l’elemento che può fare la differenza. Per di più, reintrodurre una redistribuzione specifica interna al sistema pensionistico si pone in controtendenza con il processo di riforma dagli inizi degli anni Novanta ad oggi. Una marcia indietro quando, invece, si dovrebbe progredire nello sviluppo degli altri istituti di welfare, quelli dotati di poche risorse o addirittura mancanti in Italia, ma importanti sia per perseguire finalità equitative durante tutte le fasi della vita sia per la crescita.

Il recupero, a posteriori, di una qualche forma di equità attuariale per le pensioni più alte, e il conseguente contributo al riequilibrio del carico tra pensionati e lavoratori e tra generazioni, sono obiettivi di per se stessi coerenti con la Costituzione. È su questa linea che va riscritto il provvedimento che introduce il prelievo di solidarietà, ed è su questa linea che va ricercata una migliore comprensione tra Legislatore e Corte Costituzionale, nel rispetto della separatezza delle Istituzioni e dei ruoli.

 

[1] Questo punto (lo scostamento dall’equità attuariale) è mancato nel disegno del prelievo, e ciò non ha favorito la valutazione da parte della Corte Costituzionale. Si veda: “L’equità delle pensioni vista dalla Corte Costituzionale” su www.lavoce.info.

[2] Per la maggior parte costituito da oneri contributivi al sistema pensionistico, integrati dalla fiscalità generale per il finanziamento delle pensioni in erogazione.

[3] “Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all'assistenza sociale. I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria. Gli inabili ed i minorati hanno diritto all'educazione e all'avviamento professionale. Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato”.

[4] Quel vincolo di destinazione è soft constraint, aggirabile con tax labelling.

[5] Un paradosso per un Paese che dedica oltre il 15% del Pil alle pensioni pubbliche. Le pensioni attualmente in erogazione derivano da regole generose (quelle del criterio di calcolo retributivo o misto). Se tanti assegni sono di basso importo, questo può essere in parte spiegato con il fenomeno delle pensioni multiple, ma le ragioni di fondo sono esterne al sistema pensionistico e vanno ricercate nel mercato del lavoro: durata delle carriere, livelli retributivi, crescita della produttività e dell’economia.

[6] Cfr. “Pensioni: la trasparenza è d’oro” su www.lavoce.info.