x

x

Il recesso unilaterale del calciatore professionista senza giusta causa: normativa internazionale di settore (Regulations for the status and transfer of players) e criterio di calcolo dell’indennizzo

E’ noto come in ambito sportivo, generalmente, ciascuna Federazione Sportiva Nazionale (F.S.N.) sia tenuta a uniformare i propri regolamenti domestici ai principi generali che la rispettiva Federazione Sportiva Internazionale (F.S.I.) elabora e detta in ordine alla regolamentazione, sotto i diversi profili, delle discipline sportive di riferimento.

Tuttavia, in alcune circostanze, accade che non vi sia perfetta rispondenza tra le guidelines indicate dall’ordinamento sportivo internazionale di settore e la disciplina federale nazionale.

Ad esempio, una F.S.N. potrebbe disciplinare degli istituti che, pur legittimi, non trovano analogo riconoscimento a livello internazionale o, addirittura, potrebbe non recepire, in via formale, regolamenti che, in realtà, risulterebbero pienamente applicabili.

Tanto per rendere l’idea, in ambito F.I.G.C. (Federazione Italiana Giuoco Calcio) esistono due istituti che non hanno cittadinanza in ambito F.I.F.A.: quello del c.d. “giovane di serie” (qualifica che un giovane calciatore assume al compimento del 14° anno di età, qualora sottoscriva la richiesta di tesseramento per una società associata ad una delle Leghe professionistiche) e quello relativo al contratto professionistico che ciascuna società sportiva può, con manifestazione di volontà unilaterale, far sottoscrivere al proprio tesserato a conclusione del periodo di formazione e addestramento tecnico (del tema mi sono già occupato in occasione del mio precedente contributo relativo all’illegittimità, sancita dalla F.I.F.A., dell’art. 33, c. 2, N.O.I.F.).

Inoltre, sempre con riferimento al settore calcistico, ad oggi (anno 2008), la F.I.G.C. non ha ancora recepito una fondamentale norma contenuta nelle Regulations for the Status and Transfer of Players in base alla quale un calciatore, con contratto pluriennale, può recedere, unilateralmente (senza incorrere in sanzioni sportive), dal vincolo giuridico al termine del terzo anno di contratto, se di età inferiore ai 28 anni, al termine del secondo, se di età superiore (è evidente che il contratto pluriennale deve essere di durata superiore ai tre anni nel primo caso e ai due anni nel secondo).

In particolare, la fattispecie in esame è disciplinata dall’art. 17, c. 3, ultima parte, Regulations (peraltro, parzialmente novellate in data 29/10/2007, anche con riferimento al citato art. 17, e in vigore, nella nuova versione, dal 01/01/2008) che prevede, espressamente, quanto segue: “Unilateral breach without just cause or sporting just cause after the protected period shall not result in sporting sanctions. Disciplinary measures may, however, be imposed outside the protected period for failure to give notice of termination within 15 days of the last official match of the season (including national cups) of the club with which the player is registered. The protected period starts again when, while renewing the contract, the duration of the previous contract is extended” (Il recesso unilaterale dal contratto senza giusta causa o giusta causa sportiva che avvenga dopo il periodo protetto non è soggetto a sanzione alcuna. Tuttavia, possono essere adottate misure disciplinari, successivamente allo scadere del periodo protetto, nel caso in cui il recesso non venga comunicato entro 15 giorni dall’ultima gara ufficiale -incluse le coppe nazionali- del club presso cui il calciatore sia tesserato. Il periodo protetto decorre nuovamente in caso di prolungamento della durata del contratto in seguito a rinnovo).

In sostanza, se da un lato la normativa internazionale di settore, in tema di rapporti tra calciatori e società sportive, privilegia e si ispira al principio della c.d. manteinance of contractual stability between professionals and clubs (tutela della stabilità contrattuale tra calciatori professionisti e società), ovvero al principio che impone alle parti di un contratto di prestazione sportiva ( e non solo) l’esatto adempimento delle rispettive obbligazioni, dall’altro, tuttavia, detto principio risulta mitigato proprio in virtù della richiamata disposizione regolamentare.

Essa, infatti, prevede, per così dire, una clausola di salvaguardia a vantaggio di quei professionisti che, titolari di un contratto di prestazione sportiva pluriennale, allo scadere del terzo anno di contratto, se di età inferiore ai 28 anni, o del secondo, se di età superiore, intendessero, per qualunque ragione, unilateralmente recedere dal vincolo giuridico precedentemente assunto.

Il vincolo triennale e biennale, in particolare, delimitano il c.d. “periodo protetto”, ovvero un arco temporale, convenzionalmente individuato, nel corso del quale nessun calciatore potrebbe recedere nel senso anzidetto, se non a costo di incorrere in pesanti sanzioni sportive, proprio per aver interrotto il rapporto contrattuale con il club di appartenenza senza giusta causa o senza giusta causa sportiva.

Ad ogni buon conto, pur vigente a tutti gli effetti, ad oggi, si sono avvalsi della previsione regolamentare, a livello mondiale, esclusivamente due calciatori: lo scozzese Andrew Webster e il nostro Morgan De Sanctis (ex portiere dell’Udinese Calcio S.p.a. e attualmente in forza al club spagnolo del Siviglia -Sevilla F.C. S.A.D.-, proprio grazie allo sfruttamento della richiamata disposizione regolamentare F.I.F.A.).

Delle due, però, quella che si rivela di maggiore interesse, è la vicenda che ha riguardato Webster, non solo in quanto primo e unico precedente rispetto al caso De Sanctis, ma anche, e soprattutto, per gli sviluppi che essa ha avuto alla luce di una recentissima sentenza del Tribunal Arbitral du Sport (T.A.S.) o Court of Arbitratio for Sport (C.A.S.) con la quale il supremo organo di giustizia sportiva internazionale ha stabilito, ci si augura in via definitiva, i criteri che devono presidiare il calcolo dell’indennizzo cui ha diritto la società sportiva “vittima” del recesso unilaterale senza giusta causa o senza giusta causa sportiva (al di fuori del periodo protetto) e al cui pagamento sono obbligati, in solido, il calciatore recedente e l’eventuale sua nuova società di appartenenza.

Prima dell’intervento del T.A.S. (o C.A.S.), la vicenda si è sviluppata attraverso le seguenti fasi:

- in data 31/03/2001 Webster e il club scozzese Hearts of Midlothian PLC stipulano un contratto di prestazione sportiva con scadenza 30/06/2005;

- in data 31/07/2003, le parti, all’esito di nuove negoziazioni, estendono la durata dell’accordo economico sino al 30/06/2007;

- nell’aprile 2005, ovvero ben due anni prima della scadenza del contratto valido sino al 2007, la società scozzese sottopone a Webster un’ulteriore estensione contrattuale, sino al 2009, senza, tuttavia, ottenere la sua adesione a causa delle non gradite condizioni contrattuali proposte;

- il club inizia a tenere un atteggiamento, per così dire, ritorsivo nei riguardi del proprio tesserato, escludendolo, ripetutamente, dalle convocazioni per le gare di campionato, con il chiaro intento di indurlo ad accettare il rinnovo del contratto sino all’anno 2009;

- Webster, di conseguenza, si rivolge alla Scottish Professional Footballer’s Association (in sostanza, l’associazione calciatori territoriale) che informa l’atleta (che, all’epoca, aveva meno di 28 anni ed era al termine de terzo anno di contratto) circa la possibilità di svincolarsi dalla società sportiva di appartenenza, senza incorrere in sanzioni sportive, ai sensi e per gli effetti del citato art. 17 delle Regulations;

- in data 26/05/2006, Webster comunica alla sua società sportiva, in via formale, la volontà di recedere, unilateralmente, dal contratto vigente;

- il 09/08/2006, Webster, ormai svincolatosi, sottoscrive un contratto di prestazione sportiva con il Wigan Athletic A.F.C. LTD., club militante nella Premier League inglese;

- nel novembre 2006 la società Hearts of Midlothian si rivolge alla Dispute Resolution Chamber (D.R.C.) presso la F.I.F.A, al fine di ottenere un indennizzo (compensation) di importo pari a 5,037,711 di sterline da parte di Webster (e, quale obbligato in solido, dal Wigan Athletic A.F.C.) a fronte del recesso unilaterale operato senza giusta causa al di fuori del periodo protetto;

- in data 05/04/2007, la D.R.C., in parziale accoglimento del ricorso interposto dalla società sportiva scozzese, dispone, a carico di Webster (e del Wigan Athletic A.F.C., obbligato in solido) il pagamento, a titolo di indennizzo, della somma di 625,000 sterline;

- avverso la suddetta decisione, e, in particolare, avverso la determinazione del quantum, le parti, ciascuna per le proprie ragioni, propongono appello dinanzi al T.A.S. (o C.A.S.) di Losanna.

Proprio dai motivi di appello delle controparti, il T.A.S. ha tratto lo spunto per fare luce sui criteri in base ai quali deve essere calcolato l’importo da corrispondere a titolo di indennizzo, stabilendo, nel caso di specie, in primo luogo, come la somma di 625,000 sterline fosse stata calcolata senza fornire alcuna plausibile ragione, e ciò, in palese contrasto con le norme che disciplinano i procedimenti dinanzi alla D.R.C. e, in particolare, con l’art. 13.4, per il quale “decisions of the D.R.C. must contain reasons for its findings” (le decisioni assunte dalla D.R.C. devono contenere le motivazioni delle relative conclusioni). Non solo.

Il T.A.S. (o C.A.S.) ha precisato che l’indennizzo debba essere quantificato in base ai criteri desumibili dall’art. 17 delle Regulations e, tra questi, sicuramente non è annoverato, come, invece, avrebbe preteso il club scozzese, il valore di mercato del calciatore al momento del recesso unilaterale, pari a oltre 4,000,000 di sterline.

Infatti, sulla base di un ragionamento improntato a principi di indubbia equità, il T.A.S. (o C.A.S.) ha osservato come il valore di mercato (in aumento) di un calciatore costituisca una variabile non legata esclusivamente alla qualità dell’addestramento offerto dalla società sportiva di appartenenza, ma anche, e soprattutto, al talento e all’impegno profuso dall’atleta; senza considerare che, al contrario, la società sportiva potrebbe contribuire a un decremento di quel valore, qualora, ad esempio, il proprio tesserato fosse relegato frequentemente in panchina o addestrato da un allenatore incompetente, con conseguente ipotetica possibilità, per l’atleta, di chiedere, a sua volta, un ristoro in danno del club di appartenenza.

Peraltro -si osserva ancora in sentenza- l’eventuale corresponsione di un indennizzo elevato, rischierebbe di ricondurre l’intero movimento calcistico all’era pre-Bosman (pre-Bosman days), epoca in cui la libera circolazione dei calciatori era ostacolata dall’obbligo di pagare (da parte del club cessionario in favore di quello cedente) di somme non dovute.

Né -sempre secondo il T.A.S. (o C.A.S.)- la compensation potrebbe essere determinata in proporzione a quanto il calciatore recedente ottenga con la stipula di altro contratto di prestazione sportiva, atteso che, in questo caso, si adotterebbe un criterio di calcolo connesso alla sua nuova situazione finanziaria, e, pertanto, il medesimo risulterebbe oltre misura penalizzante.

In conclusione, al T.A.S. (o C.A.S.) è parso equo determinare l’ammontare dell’indennizzo dovuto in ipotesi di recesso unilaterale senza giusta causa o giusta causa sportiva da parte del tesserato, tenendo conto del valore residuale del suo contratto al momento del breach of the contract (rottura del vincolo contrattuale).

Infatti, come l’atleta, secondo le norme internazionali di settore, avrebbe diritto alla remunerazione maturanda sino al termine di scadenza del contratto, in caso di recesso senza giusta causa da parte della società sportiva, analogamente, qualora a recedere sia il calciatore, il club non potrà che pretendere il residual value of the contract (valore residuale del contratto).

Con particolare riferimento al caso Webster, detto valore è risultato pari a 150,000 sterline, per cui la società scozzese ha ottenuto un indennizzo di pari importo.

Se il principio espresso in tema sia destinato a rivelarsi rivoluzionario, con conseguente stravolgimento degli assetti e delle strategie negoziali tra società sportive e calciatori, al momento, non è concretamente prevedibile, ma, nel frattempo, si profilano all’orizzonte nuovi scenari.

Ciascuna società sportiva potrà optare per la stipula di contratti di durata massima triennale con gli under 28, ma, in presenza di un calciatore di prospettiva, l’operazione non risulterebbe strategicamente corretta; oppure cercherà di rinnovare, tempestivamente, l’accordo economico vigente, determinando i presupposti per la decorrenza di un nuovo periodo protetto, triennale (per gli ultra ventotenni) o biennale (per gli under 28), impedendo, di conseguenza, qualsiasi velleità di recedere che il calciatore possa maturare.

Il sodalizio, potrebbe anche imporre, in sede negoziale, l’adesione ad una clausola in base alla quale l’atleta rinunci ad avvalersi dell’art. 17 delle Regulations.

E’ evidente, però, come, in relazione a tali evenienze, non sia difficile ipotizzare un aumento del costo del giocatore.

Vero è, d’altro canto, che, ad oggi, la richiamata norma può essere applicata solo ad operazioni di trasferimento internazionale, ma non si può escludere che, a breve termine, qualche calciatore potrebbe invocarne l’operatività anche relativamente ad un eventuale trasferimento in ambito domestico; e in caso di contenzioso dinanzi alla F.I.F.A., la partita sarà aperta su tutti i fronti.

E’ noto come in ambito sportivo, generalmente, ciascuna Federazione Sportiva Nazionale (F.S.N.) sia tenuta a uniformare i propri regolamenti domestici ai principi generali che la rispettiva Federazione Sportiva Internazionale (F.S.I.) elabora e detta in ordine alla regolamentazione, sotto i diversi profili, delle discipline sportive di riferimento.

Tuttavia, in alcune circostanze, accade che non vi sia perfetta rispondenza tra le guidelines indicate dall’ordinamento sportivo internazionale di settore e la disciplina federale nazionale.

Ad esempio, una F.S.N. potrebbe disciplinare degli istituti che, pur legittimi, non trovano analogo riconoscimento a livello internazionale o, addirittura, potrebbe non recepire, in via formale, regolamenti che, in realtà, risulterebbero pienamente applicabili.

Tanto per rendere l’idea, in ambito F.I.G.C. (Federazione Italiana Giuoco Calcio) esistono due istituti che non hanno cittadinanza in ambito F.I.F.A.: quello del c.d. “giovane di serie” (qualifica che un giovane calciatore assume al compimento del 14° anno di età, qualora sottoscriva la richiesta di tesseramento per una società associata ad una delle Leghe professionistiche) e quello relativo al contratto professionistico che ciascuna società sportiva può, con manifestazione di volontà unilaterale, far sottoscrivere al proprio tesserato a conclusione del periodo di formazione e addestramento tecnico (del tema mi sono già occupato in occasione del mio precedente contributo relativo all’illegittimità, sancita dalla F.I.F.A., dell’art. 33, c. 2, N.O.I.F.).

Inoltre, sempre con riferimento al settore calcistico, ad oggi (anno 2008), la F.I.G.C. non ha ancora recepito una fondamentale norma contenuta nelle Regulations for the Status and Transfer of Players in base alla quale un calciatore, con contratto pluriennale, può recedere, unilateralmente (senza incorrere in sanzioni sportive), dal vincolo giuridico al termine del terzo anno di contratto, se di età inferiore ai 28 anni, al termine del secondo, se di età superiore (è evidente che il contratto pluriennale deve essere di durata superiore ai tre anni nel primo caso e ai due anni nel secondo).

In particolare, la fattispecie in esame è disciplinata dall’art. 17, c. 3, ultima parte, Regulations (peraltro, parzialmente novellate in data 29/10/2007, anche con riferimento al citato art. 17, e in vigore, nella nuova versione, dal 01/01/2008) che prevede, espressamente, quanto segue: “Unilateral breach without just cause or sporting just cause after the protected period shall not result in sporting sanctions. Disciplinary measures may, however, be imposed outside the protected period for failure to give notice of termination within 15 days of the last official match of the season (including national cups) of the club with which the player is registered. The protected period starts again when, while renewing the contract, the duration of the previous contract is extended” (Il recesso unilaterale dal contratto senza giusta causa o giusta causa sportiva che avvenga dopo il periodo protetto non è soggetto a sanzione alcuna. Tuttavia, possono essere adottate misure disciplinari, successivamente allo scadere del periodo protetto, nel caso in cui il recesso non venga comunicato entro 15 giorni dall’ultima gara ufficiale -incluse le coppe nazionali- del club presso cui il calciatore sia tesserato. Il periodo protetto decorre nuovamente in caso di prolungamento della durata del contratto in seguito a rinnovo).

In sostanza, se da un lato la normativa internazionale di settore, in tema di rapporti tra calciatori e società sportive, privilegia e si ispira al principio della c.d. manteinance of contractual stability between professionals and clubs (tutela della stabilità contrattuale tra calciatori professionisti e società), ovvero al principio che impone alle parti di un contratto di prestazione sportiva ( e non solo) l’esatto adempimento delle rispettive obbligazioni, dall’altro, tuttavia, detto principio risulta mitigato proprio in virtù della richiamata disposizione regolamentare.

Essa, infatti, prevede, per così dire, una clausola di salvaguardia a vantaggio di quei professionisti che, titolari di un contratto di prestazione sportiva pluriennale, allo scadere del terzo anno di contratto, se di età inferiore ai 28 anni, o del secondo, se di età superiore, intendessero, per qualunque ragione, unilateralmente recedere dal vincolo giuridico precedentemente assunto.

Il vincolo triennale e biennale, in particolare, delimitano il c.d. “periodo protetto”, ovvero un arco temporale, convenzionalmente individuato, nel corso del quale nessun calciatore potrebbe recedere nel senso anzidetto, se non a costo di incorrere in pesanti sanzioni sportive, proprio per aver interrotto il rapporto contrattuale con il club di appartenenza senza giusta causa o senza giusta causa sportiva.

Ad ogni buon conto, pur vigente a tutti gli effetti, ad oggi, si sono avvalsi della previsione regolamentare, a livello mondiale, esclusivamente due calciatori: lo scozzese Andrew Webster e il nostro Morgan De Sanctis (ex portiere dell’Udinese Calcio S.p.a. e attualmente in forza al club spagnolo del Siviglia -Sevilla F.C. S.A.D.-, proprio grazie allo sfruttamento della richiamata disposizione regolamentare F.I.F.A.).

Delle due, però, quella che si rivela di maggiore interesse, è la vicenda che ha riguardato Webster, non solo in quanto primo e unico precedente rispetto al caso De Sanctis, ma anche, e soprattutto, per gli sviluppi che essa ha avuto alla luce di una recentissima sentenza del Tribunal Arbitral du Sport (T.A.S.) o Court of Arbitratio for Sport (C.A.S.) con la quale il supremo organo di giustizia sportiva internazionale ha stabilito, ci si augura in via definitiva, i criteri che devono presidiare il calcolo dell’indennizzo cui ha diritto la società sportiva “vittima” del recesso unilaterale senza giusta causa o senza giusta causa sportiva (al di fuori del periodo protetto) e al cui pagamento sono obbligati, in solido, il calciatore recedente e l’eventuale sua nuova società di appartenenza.

Prima dell’intervento del T.A.S. (o C.A.S.), la vicenda si è sviluppata attraverso le seguenti fasi:

- in data 31/03/2001 Webster e il club scozzese Hearts of Midlothian PLC stipulano un contratto di prestazione sportiva con scadenza 30/06/2005;

- in data 31/07/2003, le parti, all’esito di nuove negoziazioni, estendono la durata dell’accordo economico sino al 30/06/2007;

- nell’aprile 2005, ovvero ben due anni prima della scadenza del contratto valido sino al 2007, la società scozzese sottopone a Webster un’ulteriore estensione contrattuale, sino al 2009, senza, tuttavia, ottenere la sua adesione a causa delle non gradite condizioni contrattuali proposte;

- il club inizia a tenere un atteggiamento, per così dire, ritorsivo nei riguardi del proprio tesserato, escludendolo, ripetutamente, dalle convocazioni per le gare di campionato, con il chiaro intento di indurlo ad accettare il rinnovo del contratto sino all’anno 2009;

- Webster, di conseguenza, si rivolge alla Scottish Professional Footballer’s Association (in sostanza, l’associazione calciatori territoriale) che informa l’atleta (che, all’epoca, aveva meno di 28 anni ed era al termine de terzo anno di contratto) circa la possibilità di svincolarsi dalla società sportiva di appartenenza, senza incorrere in sanzioni sportive, ai sensi e per gli effetti del citato art. 17 delle Regulations;

- in data 26/05/2006, Webster comunica alla sua società sportiva, in via formale, la volontà di recedere, unilateralmente, dal contratto vigente;

- il 09/08/2006, Webster, ormai svincolatosi, sottoscrive un contratto di prestazione sportiva con il Wigan Athletic A.F.C. LTD., club militante nella Premier League inglese;

- nel novembre 2006 la società Hearts of Midlothian si rivolge alla Dispute Resolution Chamber (D.R.C.) presso la F.I.F.A, al fine di ottenere un indennizzo (compensation) di importo pari a 5,037,711 di sterline da parte di Webster (e, quale obbligato in solido, dal Wigan Athletic A.F.C.) a fronte del recesso unilaterale operato senza giusta causa al di fuori del periodo protetto;

- in data 05/04/2007, la D.R.C., in parziale accoglimento del ricorso interposto dalla società sportiva scozzese, dispone, a carico di Webster (e del Wigan Athletic A.F.C., obbligato in solido) il pagamento, a titolo di indennizzo, della somma di 625,000 sterline;

- avverso la suddetta decisione, e, in particolare, avverso la determinazione del quantum, le parti, ciascuna per le proprie ragioni, propongono appello dinanzi al T.A.S. (o C.A.S.) di Losanna.

Proprio dai motivi di appello delle controparti, il T.A.S. ha tratto lo spunto per fare luce sui criteri in base ai quali deve essere calcolato l’importo da corrispondere a titolo di indennizzo, stabilendo, nel caso di specie, in primo luogo, come la somma di 625,000 sterline fosse stata calcolata senza fornire alcuna plausibile ragione, e ciò, in palese contrasto con le norme che disciplinano i procedimenti dinanzi alla D.R.C. e, in particolare, con l’art. 13.4, per il quale “decisions of the D.R.C. must contain reasons for its findings” (le decisioni assunte dalla D.R.C. devono contenere le motivazioni delle relative conclusioni). Non solo.

Il T.A.S. (o C.A.S.) ha precisato che l’indennizzo debba essere quantificato in base ai criteri desumibili dall’art. 17 delle Regulations e, tra questi, sicuramente non è annoverato, come, invece, avrebbe preteso il club scozzese, il valore di mercato del calciatore al momento del recesso unilaterale, pari a oltre 4,000,000 di sterline.

Infatti, sulla base di un ragionamento improntato a principi di indubbia equità, il T.A.S. (o C.A.S.) ha osservato come il valore di mercato (in aumento) di un calciatore costituisca una variabile non legata esclusivamente alla qualità dell’addestramento offerto dalla società sportiva di appartenenza, ma anche, e soprattutto, al talento e all’impegno profuso dall’atleta; senza considerare che, al contrario, la società sportiva potrebbe contribuire a un decremento di quel valore, qualora, ad esempio, il proprio tesserato fosse relegato frequentemente in panchina o addestrato da un allenatore incompetente, con conseguente ipotetica possibilità, per l’atleta, di chiedere, a sua volta, un ristoro in danno del club di appartenenza.

Peraltro -si osserva ancora in sentenza- l’eventuale corresponsione di un indennizzo elevato, rischierebbe di ricondurre l’intero movimento calcistico all’era pre-Bosman (pre-Bosman days), epoca in cui la libera circolazione dei calciatori era ostacolata dall’obbligo di pagare (da parte del club cessionario in favore di quello cedente) di somme non dovute.

Né -sempre secondo il T.A.S. (o C.A.S.)- la compensation potrebbe essere determinata in proporzione a quanto il calciatore recedente ottenga con la stipula di altro contratto di prestazione sportiva, atteso che, in questo caso, si adotterebbe un criterio di calcolo connesso alla sua nuova situazione finanziaria, e, pertanto, il medesimo risulterebbe oltre misura penalizzante.

In conclusione, al T.A.S. (o C.A.S.) è parso equo determinare l’ammontare dell’indennizzo dovuto in ipotesi di recesso unilaterale senza giusta causa o giusta causa sportiva da parte del tesserato, tenendo conto del valore residuale del suo contratto al momento del breach of the contract (rottura del vincolo contrattuale).

Infatti, come l’atleta, secondo le norme internazionali di settore, avrebbe diritto alla remunerazione maturanda sino al termine di scadenza del contratto, in caso di recesso senza giusta causa da parte della società sportiva, analogamente, qualora a recedere sia il calciatore, il club non potrà che pretendere il residual value of the contract (valore residuale del contratto).

Con particolare riferimento al caso Webster, detto valore è risultato pari a 150,000 sterline, per cui la società scozzese ha ottenuto un indennizzo di pari importo.

Se il principio espresso in tema sia destinato a rivelarsi rivoluzionario, con conseguente stravolgimento degli assetti e delle strategie negoziali tra società sportive e calciatori, al momento, non è concretamente prevedibile, ma, nel frattempo, si profilano all’orizzonte nuovi scenari.

Ciascuna società sportiva potrà optare per la stipula di contratti di durata massima triennale con gli under 28, ma, in presenza di un calciatore di prospettiva, l’operazione non risulterebbe strategicamente corretta; oppure cercherà di rinnovare, tempestivamente, l’accordo economico vigente, determinando i presupposti per la decorrenza di un nuovo periodo protetto, triennale (per gli ultra ventotenni) o biennale (per gli under 28), impedendo, di conseguenza, qualsiasi velleità di recedere che il calciatore possa maturare.

Il sodalizio, potrebbe anche imporre, in sede negoziale, l’adesione ad una clausola in base alla quale l’atleta rinunci ad avvalersi dell’art. 17 delle Regulations.

E’ evidente, però, come, in relazione a tali evenienze, non sia difficile ipotizzare un aumento del costo del giocatore.

Vero è, d’altro canto, che, ad oggi, la richiamata norma può essere applicata solo ad operazioni di trasferimento internazionale, ma non si può escludere che, a breve termine, qualche calciatore potrebbe invocarne l’operatività anche relativamente ad un eventuale trasferimento in ambito domestico; e in caso di contenzioso dinanzi alla F.I.F.A., la partita sarà aperta su tutti i fronti.