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È possibile la rettifica di sesso senza intervento chirurgico demolitore

È possibile la rettifica di sesso senza intervento chirurgico demolitore
È possibile la rettifica di sesso senza intervento chirurgico demolitore

Abstract: L’autrice esamina la sentenza n. 15138 del 2015 della Corte di Cassazione che ha, per la prima volta, riconosciuto il diritto alla rettifica di sesso senza intervento chirurgico demolitore, operando una lettura  aggiornata alla giurisprudenza costituzionale e comunitaria dei diritti dei transessuali.

Con la Sentenza n. 15138  del 21 maggio 2015, depositata il 20 luglio 2015, la Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione ha  posto fine alla difformità di decisioni della giuriprudenza di primo grado in ordine al requisito della necessità  dell’intervento chirurgico.

Fino ad oggi, infatti, la maggior parte dei Tribunali sosteneva che la rettifica di sesso dovesse essere subordinata all’intervento chirurgico demolitore (tra le tante, Tribunale di Vercelli, 12 dicembre 2014; Tribunale di Roma, 18 luglio 2014; Tribunale di Brescia, 15 ottobre 2004) sulla base della normativa prevista dalla Legge 14 aprile 1982 n. 164, Norme in materia di  rettificazione e attribuzione di sesso.

Vi erano, tuttavia, pronuncie di segno contrario.

Si veda, ad esempio, la  Sentenza  del Tribunale di Messina, Prima Sezione Civile del  4 novembre 2014, Est. Bonazinga, che aveva ammesso la rettificazione dell’attribuzione di sesso anche in assenza dell’intervento chirurgico, quando la persona abbia già adeguato, a mezzo terapia ormonale, il fenotipo al “sesso mentale”,  raggiungendo un proprio benessere psico-fisico  (Rettificazione anagrafica di sesso e assenza di intervento chirurgico: a Messina si può, in www.quotidianogiuridico.it, 3 marzo 2015;  conformi: Tribunale di Rovereto, 3 maggio 2013 in Nuova Giurisprudenza civile commentata, 2013, I,1116 con nota di Bilotta, Tribunale di Roma, 11 marzo 2011 e ancora Tribunale di Roma 22 marzo 2011)

Prima di esaminare la Sentenza n. 151388 della Corte di Cassazione, va rilevato che, la Corte di Giustizia, con la sentenza 30 aprile 1996, Causa C-13/14 e con la sentenza 27 aprile 2006, ha chiarito il nesso esistente tra il diritto all’identità di genere della persona transessuale ed il diritto alla sua piena dignità umana.

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, inoltre, ha più volte riconosciuto pieni diritti ai transessuali, ai sensi degli articoli 8 e 12 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (tra le tante, 11 luglio 2002 n. 28957/95, Goodwin c. Regno Unito).

Anche la dottrina, da anni, sostiene che l’intervento chirurgico demolitore sia una pratica arcaica, dal momento che il diritto all’identità sessuale può essere esercitato tramite una mera procedura giuridica di mutamento del sesso nei registri dell’anagrafe (Patti, Rettificazione di sesso e intevento chirurgico, in Famiglia persone e successioni, 2007, 25; Patt-Will, La “rettificazione di attribuzione di sesso”: prime considerazioni, in Rivista di diritto civile, 1982, II, 730 e ss).

Gli Ermellini hanno esaminato un caso iniziato nel 1999 avanti al Tribunale di Piacenza, che aveva autorizzato il richiedente al trattamento chirurgico per la modificazione definitiva dei propri caratteri sessuali primari (ovvero gli organi genitali) al fine di ottenere la rettifica dei caratteri anagrafici.

Dopo dieci anni, il richiedente chiedeva la rettifica dei propri dati anagrafici senza sottoporsi all’intervento chirurgico, evidenziando che temeva complicanze di natura sanitaria e che, durante i dieci anni passati, aveva raggiunto un rapporto armonico con il proprio corpo, tanto da sentirsi una donna a tutti gli effetti.

Il Tribunale di Piacenza rigettava la domanda, ritenendo essenziale il trattamento chirurgico demolitore, ai sensi dell’articolo 3 della legge 164 del 1982.

Veniva, quindi, proposto appello avanti alla Corte di Appello di Bologna, che confermava la Sentenza di primo grado.

Avverso tale pronuncia, il ricorrente adiva la Corte di Cassazione.

La Prima Sezione Civile, esaminando i motivi addotti, evidenziava che: “la riconduzione  del diritto al cambiamento di sesso  nell’area sopra delineata dei diritti inviolabili della persona è stata sancita  dalla sentenza n. 161 del 1985 della Corte Costituzionale”.

L’articolo 1 della Legge 164 del 1982 stabilisce che la rettificazione di sesso si fonda su un accertamento giudiziale che attribuisce ad una persona un sesso diverso rispetto a quello indicato nell’atto di nascita, “a seguito di intervenute modificazioni dei suoi caratteri sessuali”.

L’articolo 3 della stessa Legge, nella attuale formulazione, stabilisce che “quando risulta necessario” un adeguamento dei caratteri sessuali da realizzare mediante trattamento medico chirurgico il tribunale lo autorizza. È venuto meno, quindi, il vecchio procedimento bifasico, introdotto dall’articolo 3 nella originaria formulazione, che prevedeva l’autorizzazione all’intervento e, in seguito, l’attribuzione di sesso.

L’esame integrato dei due articoli sopra citati, secondo la Prima Sezione, quindi, non porta a ritenere necessaria la preventiva demolizione chirurgica dei caratteri sessuali anatomici primari. L’articolo 1, infatti, non specifica se i caratteri da mutare siano quelli primari (organi sessuali) o secondari( ormoni, voce, interventi estetici…).

Poiché il diritto alla personalità è inviolabile, il mutamento dell’identità di genere non può essere standardizzato in un mero percorso chirurgico demolitore, attenendo alla sfera più  esclusiva della personalità.

La coincidenza tra il corpo e la psiche è prima di tutto il risultato di un percorso psicologico  e medico (terapie ormonali, chirurgia estetica) che non deve necessariamente essere realizzato con  un intervento di demolizione chirurgica.

Del resto, imporre un intervento demolitore accorderebbe prevalenza all’interesse della comunità alla congruenza tra corporeità materiale e sesso anagrafico, interesse privo di copertura costituzionale, a scapito del diritto all’identità personale, riconosciuto come inviolabile dall’articolo 2 della Costituzione nonché dalla normativa europea.

Ovviamente, è compito dei giudici valutare attentamente, anche con l’ausilio di ctu, che il ricorrente abbia terminato il percorso psicologico volto ad attestare l’irreversibilità della scelta.

Esaminando il caso specifico, la Prima Sezione ha concluso che la persona ha irreversibilmente e radicalmente scelto di essere donna, sottoponendosi a terapie ormonali e interventi estetici, come dimostrato dalla consulenza espletata nel corso del giudizio di primo grado. La scelta di non sottoporsi all’intervento chirurgico demolitore, quindi, non fa venire meno il suo sentirsi ed essere donna.

Ha, conseguentemente, accolto il ricorso, accogliendo la domanda di rettificazione di sesso da maschile a femminile, ordinando agli ufficiali dello stato civile le modifiche anagrafiche conseguenti.

Abstract: L’autrice esamina la sentenza n. 15138 del 2015 della Corte di Cassazione che ha, per la prima volta, riconosciuto il diritto alla rettifica di sesso senza intervento chirurgico demolitore, operando una lettura  aggiornata alla giurisprudenza costituzionale e comunitaria dei diritti dei transessuali.

Con la Sentenza n. 15138  del 21 maggio 2015, depositata il 20 luglio 2015, la Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione ha  posto fine alla difformità di decisioni della giuriprudenza di primo grado in ordine al requisito della necessità  dell’intervento chirurgico.

Fino ad oggi, infatti, la maggior parte dei Tribunali sosteneva che la rettifica di sesso dovesse essere subordinata all’intervento chirurgico demolitore (tra le tante, Tribunale di Vercelli, 12 dicembre 2014; Tribunale di Roma, 18 luglio 2014; Tribunale di Brescia, 15 ottobre 2004) sulla base della normativa prevista dalla Legge 14 aprile 1982 n. 164, Norme in materia di  rettificazione e attribuzione di sesso.

Vi erano, tuttavia, pronuncie di segno contrario.

Si veda, ad esempio, la  Sentenza  del Tribunale di Messina, Prima Sezione Civile del  4 novembre 2014, Est. Bonazinga, che aveva ammesso la rettificazione dell’attribuzione di sesso anche in assenza dell’intervento chirurgico, quando la persona abbia già adeguato, a mezzo terapia ormonale, il fenotipo al “sesso mentale”,  raggiungendo un proprio benessere psico-fisico  (Rettificazione anagrafica di sesso e assenza di intervento chirurgico: a Messina si può, in www.quotidianogiuridico.it, 3 marzo 2015;  conformi: Tribunale di Rovereto, 3 maggio 2013 in Nuova Giurisprudenza civile commentata, 2013, I,1116 con nota di Bilotta, Tribunale di Roma, 11 marzo 2011 e ancora Tribunale di Roma 22 marzo 2011)

Prima di esaminare la Sentenza n. 151388 della Corte di Cassazione, va rilevato che, la Corte di Giustizia, con la sentenza 30 aprile 1996, Causa C-13/14 e con la sentenza 27 aprile 2006, ha chiarito il nesso esistente tra il diritto all’identità di genere della persona transessuale ed il diritto alla sua piena dignità umana.

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, inoltre, ha più volte riconosciuto pieni diritti ai transessuali, ai sensi degli articoli 8 e 12 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (tra le tante, 11 luglio 2002 n. 28957/95, Goodwin c. Regno Unito).

Anche la dottrina, da anni, sostiene che l’intervento chirurgico demolitore sia una pratica arcaica, dal momento che il diritto all’identità sessuale può essere esercitato tramite una mera procedura giuridica di mutamento del sesso nei registri dell’anagrafe (Patti, Rettificazione di sesso e intevento chirurgico, in Famiglia persone e successioni, 2007, 25; Patt-Will, La “rettificazione di attribuzione di sesso”: prime considerazioni, in Rivista di diritto civile, 1982, II, 730 e ss).

Gli Ermellini hanno esaminato un caso iniziato nel 1999 avanti al Tribunale di Piacenza, che aveva autorizzato il richiedente al trattamento chirurgico per la modificazione definitiva dei propri caratteri sessuali primari (ovvero gli organi genitali) al fine di ottenere la rettifica dei caratteri anagrafici.

Dopo dieci anni, il richiedente chiedeva la rettifica dei propri dati anagrafici senza sottoporsi all’intervento chirurgico, evidenziando che temeva complicanze di natura sanitaria e che, durante i dieci anni passati, aveva raggiunto un rapporto armonico con il proprio corpo, tanto da sentirsi una donna a tutti gli effetti.

Il Tribunale di Piacenza rigettava la domanda, ritenendo essenziale il trattamento chirurgico demolitore, ai sensi dell’articolo 3 della legge 164 del 1982.

Veniva, quindi, proposto appello avanti alla Corte di Appello di Bologna, che confermava la Sentenza di primo grado.

Avverso tale pronuncia, il ricorrente adiva la Corte di Cassazione.

La Prima Sezione Civile, esaminando i motivi addotti, evidenziava che: “la riconduzione  del diritto al cambiamento di sesso  nell’area sopra delineata dei diritti inviolabili della persona è stata sancita  dalla sentenza n. 161 del 1985 della Corte Costituzionale”.

L’articolo 1 della Legge 164 del 1982 stabilisce che la rettificazione di sesso si fonda su un accertamento giudiziale che attribuisce ad una persona un sesso diverso rispetto a quello indicato nell’atto di nascita, “a seguito di intervenute modificazioni dei suoi caratteri sessuali”.

L’articolo 3 della stessa Legge, nella attuale formulazione, stabilisce che “quando risulta necessario” un adeguamento dei caratteri sessuali da realizzare mediante trattamento medico chirurgico il tribunale lo autorizza. È venuto meno, quindi, il vecchio procedimento bifasico, introdotto dall’articolo 3 nella originaria formulazione, che prevedeva l’autorizzazione all’intervento e, in seguito, l’attribuzione di sesso.

L’esame integrato dei due articoli sopra citati, secondo la Prima Sezione, quindi, non porta a ritenere necessaria la preventiva demolizione chirurgica dei caratteri sessuali anatomici primari. L’articolo 1, infatti, non specifica se i caratteri da mutare siano quelli primari (organi sessuali) o secondari( ormoni, voce, interventi estetici…).

Poiché il diritto alla personalità è inviolabile, il mutamento dell’identità di genere non può essere standardizzato in un mero percorso chirurgico demolitore, attenendo alla sfera più  esclusiva della personalità.

La coincidenza tra il corpo e la psiche è prima di tutto il risultato di un percorso psicologico  e medico (terapie ormonali, chirurgia estetica) che non deve necessariamente essere realizzato con  un intervento di demolizione chirurgica.

Del resto, imporre un intervento demolitore accorderebbe prevalenza all’interesse della comunità alla congruenza tra corporeità materiale e sesso anagrafico, interesse privo di copertura costituzionale, a scapito del diritto all’identità personale, riconosciuto come inviolabile dall’articolo 2 della Costituzione nonché dalla normativa europea.

Ovviamente, è compito dei giudici valutare attentamente, anche con l’ausilio di ctu, che il ricorrente abbia terminato il percorso psicologico volto ad attestare l’irreversibilità della scelta.

Esaminando il caso specifico, la Prima Sezione ha concluso che la persona ha irreversibilmente e radicalmente scelto di essere donna, sottoponendosi a terapie ormonali e interventi estetici, come dimostrato dalla consulenza espletata nel corso del giudizio di primo grado. La scelta di non sottoporsi all’intervento chirurgico demolitore, quindi, non fa venire meno il suo sentirsi ed essere donna.

Ha, conseguentemente, accolto il ricorso, accogliendo la domanda di rettificazione di sesso da maschile a femminile, ordinando agli ufficiali dello stato civile le modifiche anagrafiche conseguenti.