Il principio di affidamento nell’attività medico-sanitaria in equipe
Abstract: L’autrice affronta il tema del principio di affidamento nell’attività medico sanitaria espletata in equipe, ripercorrendo gli orientamenti della giurisprudenza sull’argomento
Nella realtà sanitaria contemporanea, lo svolgimento della prestazione terapeutica, un tempo rappresentabile con l’immagine del rapporto tra paziente e medico “di fiducia”, si manifesta in modo radicalmente diverso.
Il termine - peraltro ideato dalla dottrina (V. Fineschi, Res ipsa loquitur: un principio in divenire nella definizione della responsabilità medica, in Riv. It. Med. Legale 1989, pag 419) che meglio rappresenta la mutata situazione odierna è quello di “parcellizzazione” dell’atto medico ed evoca un approccio al paziente necessariamente limitato in quanto settoriale.
Il continuo progresso della medicina ha determinato, quale naturale conseguenza, la produzione di una conoscenza non più dominabile da un unico operatore, rendendo necessario l’allestimento di una classe medica organizzata in modo multidisciplinare, in modo che agli approfondimenti scientifici corrispondano specifiche figure professionali in grado di applicare nella pratica le nuove conquiste scientifiche.
Il conseguenziale fenomeno del proliferare delle specializzazioni mediche ha comportato la creazione di strutture sempre più complesse in cui le attività terapeutiche sono organizzate in comparti omogenei sul piano disciplinare e specialistico.
Si pone, quindi, il problema di distinguere, nell’ambito della cooperazione plurisoggettiva in ambito medico, a quali condizioni colui che ha espletato correttamente le proprie mansioni rispettando le leges artis a lui richieste, può essere chiamato a rispondere del fatto materialmente causato da altro compartecipe alla medesima attività curativa.
La dottrina è orientata nel senso che, qualora la condotta colposa posta in essere dal singolo medico si sovrapponga a quella di altri sanitari, il precetto concreto di diligenza a cui attenersi nel caso concreto dovrà far riferimento al cd “principio di affidamento”, in base al quale ogni soggetto non dovrà ritenersi obbligato a delineare il proprio comportamento in funzione del rischio di condotte colpose altrui, atteso che potrà sempre fare affidamento sul fatto che gli altri soggetti agiscano nell’osservanza delle leges artis (M.Mantovani, IL principio di affidamento nella teoria del reato colposo, Milano, 1997)
La giurisprudenza, al contrario, ha tracciato tre orientamenti in materia di colpa medica da lavoro di equipe:
1. I criteri di attribuzione della responsabilità per colpa sono correlati al grado di specializzazione ed esperienza dell’operatore. Poiché l’intervento chirurgico richiede un determinato grado di specializzazione, i parametri si innalzano in relazione alla specificità della preparazione e dell’esperienza (Cass. Sez. IV 2.12.2008)
2. È attribuita una funzione di indirizzo e controllo al capo dell’equipe, sul quale grava una posizione di garanzia maggiore rispetto agli altri membri del gruppo (Cass. Sez IV 1.12.2004)
3. Il lavoro di equipe è inquadrato nell’ambito di attività pluripersonali concorrenti, per cui l’eventuale responsabilità penale degli operatori rientra nell’ambito della cooperazione colposa.
Infatti, come è ormai pacifico in giurisprudenza, il discrimen tra cooperazione nel reato colposo ed il concorso di cause colpose indipendenti risiede nella “consapevolezza da parte dell’agente che dello svolgimento di una determinata attività anche altri siano investiti “ (Cass. Sez IV 10.12.2009, Cass. Sez IV 29.4.2009, Cass. Sez III 9 .1.2009, Cass. Sez III 9.1.2009, SU 25 .11.1998 n. 15)
È ovviamente escluso che il principio di affidamento abbia valenza per i soggetti che a loro volta vertono in una situazione di colpa (Cass. Sez. IV 19.6.2006)” In tema di reato colposo, a fronte di uno specifico obbligo di garanzia, di cui si assume l’osservanza, mai potrebbe invocarsi legittimamente l’affidamento del comportamento altrui quando colui che si affida sia già in colpa per aver violato determinate norme precauzionali o per aver omesso determinate condotte e, cionostante, confidi che altri, pure tenuto, magari a diverso titolo, ad assumere una condotta prudenziale per prevenire il verificarsi di eventi dannosi, elimini la violazione o ponga rimedio all’omissione”.
La giurisprudenza, inoltre, pur ammettendo l’operatività del principio di affidamento, ne riconosce una valenza limitata laddove afferma che sussiste un obbligo di controllo sull’operato altrui, specialmente quando questo sia contraddistinto da un evidente errore, la cui percezione rende prevedibile l’evento conseguente a colpa.
In tal caso, ogni sanitario che ha in cura il paziente non ha solo l’obbligo di espletare le proprie mansioni con diligenza e perizia, ma deve anche adoperarsi per impedire e vanificare l’altrui condotta contrarie alle leges artis proprie.
Il principio di affidamento non vale per il capo equipe perché chi dirige l’attività del gruppo di lavoro ha la responsabilità di una costante e diligente vigilanza in ogni momento.
L’importanza di tale funzione è direttamente proporzionale all’inesperienza dei collaboratori. Se, quindi, è ragionevole riconoscere al capo chirurgo la facoltà di fare affidamento sull’operato dell’aiuto anziano, tale facoltà non assume rilevanza nell’ipotesi dell’operato del giovane collaboratore con contratto di formazione (Cass. Sez IV 3 marzo 1988, Cass. Sez IV 2.4.2077 “In tema di colpa professionale, risponde del reato commesso dal medico specializzando, materiale esecutore dell’intervento chirurgico, anche il primario, cui lo specializzando è affidato, il quale, allontanandosi durante l’operazione, viene meno all’obbligo di diretta partecipazione agli atti medici posti in essere dal sanitario affidatogli”).
Il capo dell’equipe, inoltre, al di là dell’autonomia professionale dei singoli operatori, ha il dovere di portare a conoscenza del gruppo tutte le informazioni di cui è in possesso sulle patologie del paziente che, se non comunicate, potrebbero incidere sulle scelte degli altri. Per questo motivo, è stato ritenuto responsabile di omicidio colposo un chirurgo che non aveva informato l’anestesista di una patologia cardiologica del paziente (Cass. IV 24 novembre 1992)
La Cassazione ha riconosciuto la responsabilità per omicidio colposo del capo equipe, non attribuendo valenza esimente al principio di affidamento, al capo chirurgo che, una volta autorizzata l’anestesia, si allontana dalla sala operatoria facendo affidamento sulle capacità di condurre l’intervento di altri collabotori chirurghi. Avendo il capo equipe funzione di controllo, direzione e vigilanza sull’operato dei collaboratori, essendosi allontanato dalla sala operatoria, è venuto meno alla sua obbligatoria funzione di controllo (Cass. Sez. IV 14.11.2008, Cass. Sez. IV 11.3.2005)
L’obbligo di controllo sussiste anche in fase preoperatoria. Per questo motivo è stata riconosciuta la correponsabilità del primario con quella del proprio assistente che effettuava una diagnosi errata in forza della quale veniva effettuato un intervento su un organo sano anziché su quello malato (Cass Sez IV26.6.2008).
Ugualmente è stato ritenuto responsabile il capo equipe che, una volta conclusa l’operazione chirurgica, qualora si manifestino possibili complicanze, non può abbandonare il paziente lasciandolo alle cure dei suoi collaboratori, uscendo dall’ospedale (Cass sez IV 7.11.1988)
Il continuo progredire della scienza medica, come già osservato, e la conseguenza sempre maggiore specializzazione delle figure coinvolte in operazioni chirurgiche complesse è stato affrontato dalla Corte di Cassazione con la sentenza della IV Sezione del 1 ottobre 1999.
Il caso riguardava l’equipe coinvolta in un trapianto di rene da cadavere di persona affetta da carcinoma, patologia che avrebbe impedito il prelievo.
Più l’attività è complessa e specializzata, maggiore è la funzione di coordiamento del capo equipe il quale, nel caso in cui l’errore sia riconoscibile perché riguarda la sua sfera di competenza, dovrà far valere la sua posizione di supremazia gerarchica, eventualmente anche interrompendo l’operazione chirurgica.
Ovviamente, nel caso in cui l’errore non sia riconoscibile, anche per il capo equipe varrà il principio di affidamento.
Per la Corte di Cassazione, il capo equipe non è esonerato da responsabilità neanche nell’ipotesi in cui l’operazione chirurgica sia terminata, l’equipe sciolta ed il paziente affidato ai sanitari della terapia intensiva. La posizione di garanzia del capo equipe permane, attesa la difficoltà dell’intervento, atteso che prevale l’obbligo di controllo sull’operato dei collaboratori e la conseguenza culpa in vigilando per errori imputabili agli stessi, nel caso di specie medici di rianimazione (Cass. Sez. IV 6.3.2012)
Il principio di affidamento, inoltre, non può essere ritenuto operante nei confronti del collaboratore medico che si adegua alle direttive del primario, quando queste non sono immuni da errori. La Cassazione, infatti, ha riconosciuto la responsabilità penale per omicidio colposo dell’aiuto che non ha evidenziato il proprio dissenso, proponendo una soluzione alternativa. L’assistente non è un mero esecutore di ordini, ma deve sapere necessariamente valutare con spirito critico l’operato degli altri medici, ivi compreso il primario ( Cass. Sez IV 17.11.1999)
Quando l’assistente ha dei dubbi, non è sufficiente che esprima mere perplessità, ma per andare esente da colpa deve esprimere per iscritto il proprio parere difforme (Cass. Sez. IV 8.11.1988)
Dalla breve panoramica giurisprudenziale riportata, emerge che la giurisprudenza è molto restrittiva nel riconoscere l’operatività del principio di affidamento quale limite della responsabilità penale del componente dell’equipe medica.
Abstract: L’autrice affronta il tema del principio di affidamento nell’attività medico sanitaria espletata in equipe, ripercorrendo gli orientamenti della giurisprudenza sull’argomento
Nella realtà sanitaria contemporanea, lo svolgimento della prestazione terapeutica, un tempo rappresentabile con l’immagine del rapporto tra paziente e medico “di fiducia”, si manifesta in modo radicalmente diverso.
Il termine - peraltro ideato dalla dottrina (V. Fineschi, Res ipsa loquitur: un principio in divenire nella definizione della responsabilità medica, in Riv. It. Med. Legale 1989, pag 419) che meglio rappresenta la mutata situazione odierna è quello di “parcellizzazione” dell’atto medico ed evoca un approccio al paziente necessariamente limitato in quanto settoriale.
Il continuo progresso della medicina ha determinato, quale naturale conseguenza, la produzione di una conoscenza non più dominabile da un unico operatore, rendendo necessario l’allestimento di una classe medica organizzata in modo multidisciplinare, in modo che agli approfondimenti scientifici corrispondano specifiche figure professionali in grado di applicare nella pratica le nuove conquiste scientifiche.
Il conseguenziale fenomeno del proliferare delle specializzazioni mediche ha comportato la creazione di strutture sempre più complesse in cui le attività terapeutiche sono organizzate in comparti omogenei sul piano disciplinare e specialistico.
Si pone, quindi, il problema di distinguere, nell’ambito della cooperazione plurisoggettiva in ambito medico, a quali condizioni colui che ha espletato correttamente le proprie mansioni rispettando le leges artis a lui richieste, può essere chiamato a rispondere del fatto materialmente causato da altro compartecipe alla medesima attività curativa.
La dottrina è orientata nel senso che, qualora la condotta colposa posta in essere dal singolo medico si sovrapponga a quella di altri sanitari, il precetto concreto di diligenza a cui attenersi nel caso concreto dovrà far riferimento al cd “principio di affidamento”, in base al quale ogni soggetto non dovrà ritenersi obbligato a delineare il proprio comportamento in funzione del rischio di condotte colpose altrui, atteso che potrà sempre fare affidamento sul fatto che gli altri soggetti agiscano nell’osservanza delle leges artis (M.Mantovani, IL principio di affidamento nella teoria del reato colposo, Milano, 1997)
La giurisprudenza, al contrario, ha tracciato tre orientamenti in materia di colpa medica da lavoro di equipe:
1. I criteri di attribuzione della responsabilità per colpa sono correlati al grado di specializzazione ed esperienza dell’operatore. Poiché l’intervento chirurgico richiede un determinato grado di specializzazione, i parametri si innalzano in relazione alla specificità della preparazione e dell’esperienza (Cass. Sez. IV 2.12.2008)
2. È attribuita una funzione di indirizzo e controllo al capo dell’equipe, sul quale grava una posizione di garanzia maggiore rispetto agli altri membri del gruppo (Cass. Sez IV 1.12.2004)
3. Il lavoro di equipe è inquadrato nell’ambito di attività pluripersonali concorrenti, per cui l’eventuale responsabilità penale degli operatori rientra nell’ambito della cooperazione colposa.
Infatti, come è ormai pacifico in giurisprudenza, il discrimen tra cooperazione nel reato colposo ed il concorso di cause colpose indipendenti risiede nella “consapevolezza da parte dell’agente che dello svolgimento di una determinata attività anche altri siano investiti “ (Cass. Sez IV 10.12.2009, Cass. Sez IV 29.4.2009, Cass. Sez III 9 .1.2009, Cass. Sez III 9.1.2009, SU 25 .11.1998 n. 15)
È ovviamente escluso che il principio di affidamento abbia valenza per i soggetti che a loro volta vertono in una situazione di colpa (Cass. Sez. IV 19.6.2006)” In tema di reato colposo, a fronte di uno specifico obbligo di garanzia, di cui si assume l’osservanza, mai potrebbe invocarsi legittimamente l’affidamento del comportamento altrui quando colui che si affida sia già in colpa per aver violato determinate norme precauzionali o per aver omesso determinate condotte e, cionostante, confidi che altri, pure tenuto, magari a diverso titolo, ad assumere una condotta prudenziale per prevenire il verificarsi di eventi dannosi, elimini la violazione o ponga rimedio all’omissione”.
La giurisprudenza, inoltre, pur ammettendo l’operatività del principio di affidamento, ne riconosce una valenza limitata laddove afferma che sussiste un obbligo di controllo sull’operato altrui, specialmente quando questo sia contraddistinto da un evidente errore, la cui percezione rende prevedibile l’evento conseguente a colpa.
In tal caso, ogni sanitario che ha in cura il paziente non ha solo l’obbligo di espletare le proprie mansioni con diligenza e perizia, ma deve anche adoperarsi per impedire e vanificare l’altrui condotta contrarie alle leges artis proprie.
Il principio di affidamento non vale per il capo equipe perché chi dirige l’attività del gruppo di lavoro ha la responsabilità di una costante e diligente vigilanza in ogni momento.
L’importanza di tale funzione è direttamente proporzionale all’inesperienza dei collaboratori. Se, quindi, è ragionevole riconoscere al capo chirurgo la facoltà di fare affidamento sull’operato dell’aiuto anziano, tale facoltà non assume rilevanza nell’ipotesi dell’operato del giovane collaboratore con contratto di formazione (Cass. Sez IV 3 marzo 1988, Cass. Sez IV 2.4.2077 “In tema di colpa professionale, risponde del reato commesso dal medico specializzando, materiale esecutore dell’intervento chirurgico, anche il primario, cui lo specializzando è affidato, il quale, allontanandosi durante l’operazione, viene meno all’obbligo di diretta partecipazione agli atti medici posti in essere dal sanitario affidatogli”).
Il capo dell’equipe, inoltre, al di là dell’autonomia professionale dei singoli operatori, ha il dovere di portare a conoscenza del gruppo tutte le informazioni di cui è in possesso sulle patologie del paziente che, se non comunicate, potrebbero incidere sulle scelte degli altri. Per questo motivo, è stato ritenuto responsabile di omicidio colposo un chirurgo che non aveva informato l’anestesista di una patologia cardiologica del paziente (Cass. IV 24 novembre 1992)
La Cassazione ha riconosciuto la responsabilità per omicidio colposo del capo equipe, non attribuendo valenza esimente al principio di affidamento, al capo chirurgo che, una volta autorizzata l’anestesia, si allontana dalla sala operatoria facendo affidamento sulle capacità di condurre l’intervento di altri collabotori chirurghi. Avendo il capo equipe funzione di controllo, direzione e vigilanza sull’operato dei collaboratori, essendosi allontanato dalla sala operatoria, è venuto meno alla sua obbligatoria funzione di controllo (Cass. Sez. IV 14.11.2008, Cass. Sez. IV 11.3.2005)
L’obbligo di controllo sussiste anche in fase preoperatoria. Per questo motivo è stata riconosciuta la correponsabilità del primario con quella del proprio assistente che effettuava una diagnosi errata in forza della quale veniva effettuato un intervento su un organo sano anziché su quello malato (Cass Sez IV26.6.2008).
Ugualmente è stato ritenuto responsabile il capo equipe che, una volta conclusa l’operazione chirurgica, qualora si manifestino possibili complicanze, non può abbandonare il paziente lasciandolo alle cure dei suoi collaboratori, uscendo dall’ospedale (Cass sez IV 7.11.1988)
Il continuo progredire della scienza medica, come già osservato, e la conseguenza sempre maggiore specializzazione delle figure coinvolte in operazioni chirurgiche complesse è stato affrontato dalla Corte di Cassazione con la sentenza della IV Sezione del 1 ottobre 1999.
Il caso riguardava l’equipe coinvolta in un trapianto di rene da cadavere di persona affetta da carcinoma, patologia che avrebbe impedito il prelievo.
Più l’attività è complessa e specializzata, maggiore è la funzione di coordiamento del capo equipe il quale, nel caso in cui l’errore sia riconoscibile perché riguarda la sua sfera di competenza, dovrà far valere la sua posizione di supremazia gerarchica, eventualmente anche interrompendo l’operazione chirurgica.
Ovviamente, nel caso in cui l’errore non sia riconoscibile, anche per il capo equipe varrà il principio di affidamento.
Per la Corte di Cassazione, il capo equipe non è esonerato da responsabilità neanche nell’ipotesi in cui l’operazione chirurgica sia terminata, l’equipe sciolta ed il paziente affidato ai sanitari della terapia intensiva. La posizione di garanzia del capo equipe permane, attesa la difficoltà dell’intervento, atteso che prevale l’obbligo di controllo sull’operato dei collaboratori e la conseguenza culpa in vigilando per errori imputabili agli stessi, nel caso di specie medici di rianimazione (Cass. Sez. IV 6.3.2012)
Il principio di affidamento, inoltre, non può essere ritenuto operante nei confronti del collaboratore medico che si adegua alle direttive del primario, quando queste non sono immuni da errori. La Cassazione, infatti, ha riconosciuto la responsabilità penale per omicidio colposo dell’aiuto che non ha evidenziato il proprio dissenso, proponendo una soluzione alternativa. L’assistente non è un mero esecutore di ordini, ma deve sapere necessariamente valutare con spirito critico l’operato degli altri medici, ivi compreso il primario ( Cass. Sez IV 17.11.1999)
Quando l’assistente ha dei dubbi, non è sufficiente che esprima mere perplessità, ma per andare esente da colpa deve esprimere per iscritto il proprio parere difforme (Cass. Sez. IV 8.11.1988)
Dalla breve panoramica giurisprudenziale riportata, emerge che la giurisprudenza è molto restrittiva nel riconoscere l’operatività del principio di affidamento quale limite della responsabilità penale del componente dell’equipe medica.