La responsabilità del medico specialista e del medico generale

Sydney
Ph. Antonio Capodieci / Sydney

Il medico, interpellato anche solo per un semplice consulto specialistico, ha gli stessi doveri professionali del medico che ha in carico il paziente presso un determinato reparto, non potendo esimersi da responsabilità adducendo di essere stato chiamato solo per valutare una specifica situazione.

E il medico che non è specialista può avere il dovere di intervenire anche quando è stato interpellato il medico specialista.

A ricordarlo è la Cassazione penale, Sezione IV, nella sentenza 30 giugno 2021 n. 24895.

Questo il caso.

Un soggetto effettuava accesso al Pronto soccorso, inviato dal medico curante per iperpiressia da tre giorni, stato confusionale e cefalea. Quivi veniva visitata, annotandosi “paziente in stato di agitazione, non collaborante, piretica” e le venivano somministrati alcuni farmaci, veniva eseguita rx al torace e tac al capo. Durante la tac, si manifestava un ulteriore episodio di forte agitazione psicomotoria, veniva attuata contenzione fisica, facendo sottoscrivere il consenso informato ai familiari. Terminato il proprio turno, il medico del pronto soccorso affidava il paziente al medico del turno di notte, suggerendo di contattare il neurologo reperibile. Il medico del pronto soccorso, subentrato nell’affidamento, contattava il neurologo. Quest’ultimo visitava il paziente, visionava la tac e confermava il sospetto clinico di meningite, annotando “paziente vigile ma non contattabile, non parla né esegue comandi, isocorica, nuca rigida e decubito preferenziale laterale”. Il neurologo consigliava di inviare il paziente in una struttura sanitaria con un reparto di malattie infettive, in quanto l’ospedale dove era sito il pronto soccorso non aveva un reperto di malattie infettive né consulente infettivologo. Il neurologo non menzionava alcuna terapia da somministrare al paziente nelle more del trasferimento ad altra struttura. Il medico del pronto soccorso, seguendo le istruzioni del neurologo, cercava ripetutamente di trasferire il paziente presso altra struttura, ma la ricerca richiedeva molto più tempo del previsto. Nel frattempo, veniva contattato telefonicamente più volte il neurologo che riteneva di non eseguire la rachicentesi, esame fondamentale per la diagnosi di meningite, ritenendo più indicata l’esecuzione della procedura in oggetto presso la struttura di destinazione dotata di reparto di malattie infettive. Successivamente, in caso di mancato trasferimento del paziente, il neurologo consigliava telefonicamente di eseguire emocolture e successiva terapia antibiotica. Infine, il paziente veniva trasferito presso altra struttura in codice rosso.

Al medico del pronto soccorso del turno di notte, che ricevette il paziente con una chiara indicazione che fosse affetto da meningite, venne imputato di non aver immediatamente iniziato la terapia antibiotica così come prescritto dalle linee guida di quel pronto soccorso.

Allo specialista neurologo venne imputato di non aver subito disposto la terapia antibiotica o in ogni caso di non aver controllato che il collega del pronto soccorso l’attuasse.

Si chiede allora la Corte di Cassazione: doveva e poteva il medico del pronto soccorso che aveva chiesto la consulenza specialistica al collega attivarsi motu proprio ad indicazioni terapeutiche che non gli erano state fornite? Doveva conoscere comunque le linee guida che gli imponevano la somministrazione quanto prima della terapia antibiotica? E ancora: sussiste la responsabilità del medico che ha chiesto il consulto anche se concorre quella del collega che il consulto gli ha fornito?

La risposta, a tutti i quesiti di cui sopra, è di segno positivo”.

Invero, ricordano gli ermellini, che in tema di colpa professionale medica, qualora ricorra l’ipotesi di cooperazione multidisciplinare, ancorché non sia svolta contestualmente, “ogni sanitario – compreso il personale paramedico – è tenuto, oltre che al rispetto dei canoni di diligenza e prudenza connessi alla specifiche mansioni svolte, all’osservanza degli obblighi derivanti dalla convergenza di tutte le attività verso il fine comune ed unico, senza che possa invocarsi il principio di affidamento da parte dell’agente che non abbia osservato una regola precauzionale su cui si innesti l’altrui condotta colposa, poiché la sua responsabilità persiste in base al principio di equivalenza della cause, salva l’affermazione dell’efficacia esclusiva della causa sopravvenuta, che presenti il carattere dell’eccezionalità ed imprevedibilità”. Ne consegue che “ogni sanitario non può esimersi dal conoscere e valutare l’attività precedente op contestuale svolta da un altro collega, sia pure specialista in altra disciplina, e dal controllarne la correttezza, se del caso ponendo rimedio ad errori altrui che siano evidenti e non settoriali, rilevabili ed emendabili con l’ausilio delle comuni conoscenze scientifiche del professionista medio”. Né può invocare il principio dell’affidamento l’agente che non abbia osservato una regola precauzionale su cui si innesti l’altrui condotta colposa, poiché allorquando il garante precedente abbia posto in essere una condotta colposa che abbia avuto efficacia causale nella determinazione dell’evento, “unitamente alla condotta colposa del garante successivo, persiste la responsabilità anche del primo”. Né vale ad esimere da responsabilità nemmeno la circostanza che il collega sia più anziano, poiché è escluso “che possa invocare esonero da responsabilità il medo che si sia fidato acriticamente della scelta del collega più anziano, pur essendo in possesso delle cognizioni tecniche per coglierne l’erroneità, ed avendo pertanto il dovere di valutarla e, se del caso, contrastarla”.

Quindi certamente responsabilità del medico del medico del pronto soccorso.

Ma responsabilità anche del neurologo specialista, perché suo compito “non era solo quello di visitare il paziente e di formulare una corretta diagnosi, ma anche di prescrivere la terapia, interessarsi alla vicenda, somministrare i farmaci salvifici personalmente o controllare che altri lo facessero”.

Aggiunge la Corte: “con riguardo alla posizione di garanzia del medico che sia stato interpellato anche solo per un semplice consulto specialistico e che accerti l’esistenza di una patologia ad elevato ed immediato rischio di aggravamento, ha l’obbligo di disporre personalmente i trattamenti terapeutici ritenuti idonei ad evitare eventi dannosi ovvero, in caso di impossibilità di intervento, portando a conoscenza dei medici specialistici la gravità o urgenza del caso ovvero, nel caso di indisponibilità di posti letto nel reparto specialistico, richiedendo che l’assistenza specializzata venga prestata nel reparto dove il paziente si trova ricoverato specie laddove questo reparto non sia idoneo ad affrontare la patologia riscontrata con la necessaria perizia professionale”.

Concludendo che “ciò in quanto il medico che (…) venga chiamato per un consulto specialistico, ha gli stessi doveri professionali del medico che ha in carico il paziente presso un determinato reparto, non potendo esimersi da responsabilità adducendo di essere stato chiamato solo per valutare una specifica situazione”.