x

x

Gli swaps per gli enti pubblici costituiscono una forma di indebitamento

enti locali
enti locali

Con la sentenza n. 8770 del 12 maggio 2020, le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione hanno finalmente definito la delicata e tanto discussa, per la sua rilevanza anche mediatica, querelle inerente i contratti derivati stipulati dagli enti territoriali.

La vexata quaestio ha avuto quale campo di agone tanto la giurisdizione ordinaria, per gli aspetti afferenti al rapporto contrattuale, che la giurisdizione amministrativa per quanto attiene ai profili di annullamento in autotutela da parte degli enti pubblici dei provvedimenti aventi ad oggetto la stipula di operazioni in strumenti finanziari derivati.

Tale querelle si è estesa persino in territorio straniero, dinanzi alla giustizia anglosassone, in virtù della clausola di giurisdizione esclusiva presente nell’ISDA Master Agreement, ed è giunta sino alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione che, con il provvedimento giustiziale citato, hanno rigettato il ricorso proposto dalla BNL - Banca Nazionale del Lavoro S.p.A. avverso una puntuale sentenza della Corte di Appello di Bologna, la quale a sua volta, in accoglimento del gravame avanzato dal Comune di Cattolica, e, quindi, in riforma della decisione del Tribunale di Bologna, aveva dichiarato la nullità (e pure annullato) e l’inefficacia dei contratti di interest rate swap (d’ora in poi IRS), conclusi dalle parti nel biennio 2003-2004, ed aveva di conseguenza disposto la ripetizione degli importi corrisposti come effetto dei prefati contratti

In particolare le problematiche deferite alla cognizione delle Sezione Unite a seguito dell’ordinanza di rimessione della Prima Sezione Civile ed affrontate con il provvedimento in esame, hanno avuto ad oggetto le seguenti questioni:

1) «se lo swap, in particolare quello che preveda un upfront — e non sia disciplinato ratione temporis dalla I. n. 133 del 2008, di conversione del d.l. n. 112 del 2008 —, costituisca per l’ente locale un’operazione che generi un indebitamento per finanziare spese diverse da quelle di investimento, a norma dell’articolo 30, comma 15, I. n. 289 del 2002»;

2) «se la stipula del relativo contratto rientri nella competenza riservata al Consiglio comunale, implicando una delibera di spesa che impegni i bilanci per gli esercizi successivi, giusta l’articolo 42, comma 2, lett. i), T.u.e.I.».      

Questioni, entrambe risolte dalla Suprema Corte di Cassazione a SS.UU. che con il giudicato in esame ha dettato le seguenti regulae iuris:

1)“il riconoscimento della legittimazione dell’Amministrazione a concludere contratti derivati, sulla base della disciplina vigente fino al 2013 (quando la legge n. 147 del 2013 ne ha escluso la possibilità) e della distinzione tra i derivati di copertura e i derivati speculativi, in base al criterio del diverso grado di rischiosità di ciascuno di essi, comportava che solamente nel primo caso l’ente locale potesse dirsi legittimato a procedere alla loro stipula.”

2) “ in tema di contratti derivati, stipulati dai Comuni italiani sulla base della disciplina normativa vigente fino al 2013 (quando la legge n. 147 del 2013 ha escluso la possibilità di farvi ulteriore ricorso) e della distinzione tra i derivati di copertura e i derivati speculativi, in base al criterio del diverso grado di rischiosità di ciascuno di essi, pur potendo l’ente locale procedere alla stipula dei primi con qualificati intermediari finanziari nondimeno esso poteva utilmente ed efficacemente procedervi solo in presenza di una precisa misurabilità/determinazione dell’oggetto contrattuale, comprensiva sia del criterio del mark to market sia degli scenari probabilistici, sia dei cd. costi occulti, allo scopo di ridurre al minimo e di rendere consapevole l’ente di ogni aspetto di aleatorietà del rapporto, costituente una rilevante disarmonia nell’ambito delle regole relative alla contabilità pubblica, introduttiva di variabili non compatibili con la certezza degli impegni di spesa riportati in bilancio,

3) “l’autorizzazione alla conclusione di un contratto di swap da parte dei Comuni italiani, specie se del tipo con finanziamento upfront, ma anche in tutti quei casi ín cui la sua negoziazione si traduce comunque nell’estinzione dei precedenti rapporti di mutuo sottostanti ovvero anche nel loro mantenimento in vita, ma con rilevanti modificazioni, deve essere data, a pena di nullità, dal Consiglio comunale ai sensi dell’articolo 42, comma 2, lett. i), TUEL di cui al D. Igs. n. 267 del 2000 [laddove stabilisce che «Il consiglio ha competenza limitatamente ai seguenti atti fondamentali: (...) – spese che impegnino i bilanci per gli esercizi successivi (...)»]; non potendosi assimilare ad un semplice atto di gestione dell’indebitamento dell’ente locale con finalità di riduzione degli oneri finanziari ad esso inerenti, adottabile dalla giunta comunale in virtù della sua residuale competenza gestoria ex articolo 48, comma 2, dello stesso testo unico.”

 

La vicenda giudiziale

L’arresto giurisprudenziale in esame ha definito il complesso ed articolato contenzioso tra il Comune di Cattolica e la Banca Nazionale del Lavoro SPA, deciso in primo grado con la sentenza n. 5244/2009 del Tribunale di Bologna, che ha rigettato le domande avanzate dal Comune di Cattolica, di nullità o annullamento, o inefficacia sopravvenuta ex d.m. 1.12.2003 n. 389, dei contratti swap su derivati (IRS) conclusi con BNL il 15.5, 1.12.2003 e 22.10.2004 con condanna delle parti alla restituzione dei pagamenti ex articolo 2033 Codice Civile, e in subordine di risarcimento del danno per violazione delle regole di comportamento del TUF (danno quantificabile in relazione ai "differenziali negativi attesi"), atteso che i contratti de quibus non potevano ritenersi forme di indebitamento sol perché in due di essi era prevista la clausola di upfront (premio di liquidità),  e, pertanto, gli stessi non erano soggetti ad alcun vincolo di forma (precedente delibera dei consiglio comunale e redazione per atto pubblico), con l’ulteriore corollario che i contratti erano quindi stati validamente conclusi dal dirigente comunale ex articolo 107 TUEL.

Inoltre il Tribunale ritenendo altresì infondato il dedotto profilo di invalidità in relazione all’illegittimità della stipula di swaps da parte dei Comune per debiti preesistenti e non solo contestualmente creati, ha evidenziato:

a) che il d.m. 1.12.2003 (col suo limite di upfront non superiore all’ 1%) era entrato in vigore solo successivamente, e pertanto non era retroattivo e il terzo swap non prevedeva alcun upfront;

b) che inoltre il capitale di riferimento e i debiti sottostanti (pacificamente esistenti) erano per relationem presenti (tramite il nozionale, i tassi, la durata) nei contratti, che quindi avevano oggetto determinato; c) la validità della dichiarazione del dirigente comunale in ordine alla qualità di "operatore qualificato", “stante le prerogative soggettive e la notoria esperienza e competenza in materia finanziaria dell’ente territoriale, attestata anche dalla pregressa emissione di prestiti obbligazionari”.

La Corte di Appello di Bologna, in  riforma della prefata sentenza, ha accolto le tesi esposte nel gravame proposto dall’Ente locale, segnatamente quelle con cui la P.A. comunale in primis ha ribadito che il contratto di swap (rectius Interest Rate Swap), e in particolare quello che prevede una clausola di iniziale upfront, costituisce, proprio per la sua natura aleatoria, una forma di indebitamento per l’ente pubblico, attuale o potenziale, e pertanto ex articolo 42 c. 2 lettera i) TUEL le delibere di accensione degli swaps, in quanto prevedevano "spese che impegnavano i bilanci per gli esercizi successivi”, andavano prese dal Consiglio Comunale.

Di conseguenza il giudice d’appello ha dichiarato “la nullità e comunque annullato e l’inefficacia dei contratti di Interest Rate Swap conclusi fra i] COMUNE DI CATTOLICA e la BANCA NAZIONALE DEL LAVORO SPA in data 15.5.2003, 1.12.2003, 22.10.2004, e per l’effetto ha disposto la restituzione delle somme di tempo in tempo corrisposte da BANCA NAZIONALE DEL LAVORO SPA al COMUNE DI CATTOLICA sino al 30.1.2010 per complessivi euro 555.738,76, e delle somme di tempo in tempo corrisposte dal COMUNE di CATTOLICA alla BANCA NAZIONALE DEL LAVORO SPA per complessivi euro 1.031.393,17, oltre ad eventuali reciproci pagamenti successivi intercorsi fra le parti per gli stessi titoli, con gli interessi legali dal giorno della domanda”.

 

Le problematiche esaminate dal Giudice di legittimità

Ai fini di una più ordinata disamina delle questioni giuridiche afferenti alla sentenza de qua le problematiche aperte dall’impugnato provvedimento vengono affrontate utilizzando lo stesso percorso logico che il giudice ha ritenuto necessario seguire.

Le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno preliminarmente:

  1. condotto un’analisi seppur sintetica della materia dei derivati, e segnatamente degli swap, con particolare riguardo al problema, preliminare ad ogni altro, ad avviso della Corte, ovvero se con tali tipi di contratti vengano perseguiti interessi meritevoli di tutela ai sensi dell’articolo 1322 cod. civ. e, quindi, gli stessi siano muniti di una valida causa in concreto,
  2. esaminato la questione relativa all’ammissibilità della  stipulazione dei derivati, Swap ed IRS, solo di copertura da parte degli enti pubblici in generale e degli enti locali in particolare, mediante la ricostruzione del percorso normativo in subiecta materia,
  3. verificato se in tali casi non siano riscontrabili altri limiti alla liceità di siffatti tipi contrattuali per la PA,
  4. ed infine per dirimere le questioni ad esse devolute, affrontato il problema se lo swap costituisca per l’ente locale un’operazione che generi un indebitamento e della competenza a deliberare in ordine ad esso indebitamento.  

La Suprema Corte ha subito sottolineato che appare operazione complessa l’individuazione di una nozione unitaria della categoria dei derivati, in quanto i medesimi, creati dalla prassi finanziaria, sono soltanto in un’ottica economica comprensibili come fenomeno globale.

Pertanto il compito della reductio ad unum, nel caso in cui sia possibile, è lasciato all’interprete, con l’ovvia conseguenza che l’esame in ordine alla liceità di siffatti tipi contrattuali per la PA, va condotto caso per caso attraverso un approccio concreto, in particolare con riferimento alla determinatezza (o determinabilità) dell’oggetto ed alla causa in concreto del contratto, di speculazione o di copertura, viepiù in considerazione del fatto che negli IRS, è altresì rilevante la circostanza che nel medesimo soggetto – intermediario finanziario – si sommano le qualità di offerente e consulente, essendo essi derivati OTC, ovvero non standardizzati.

Pertanto la possibilità per gli enti territoriali di ricorrere all’utilizzo dei contratti derivati, che è stata disciplinata dapprima con l’articolo 35 L. 724/94 e dall’articolo 2 del Regolamento di attuazione n. 420 del 1996, nella parte in cui è stato previsto il ricorso a strumenti derivati mediante l’attivazione di un currency swap come copertura obbligatoria del rischio di cambio nel caso di emissioni obbligazionarie in valuta estera, e, successivamente con l’articolo 41 L. n. 448/01 che al fine di contenere il costo dell’indebitamento e di monitorare gli andamenti di finanza pubblica, attraverso il c.d. principio di “convenienza economica”, autorizzava gli enti locali a convertire il proprio debito derivante da mutui contratti successivamente al 31 dicembre 1996, mediante il collocamento di titoli obbligazionari di nuova emissione o rinegoziazioni del debito, laddove il valore delle passività post ristrutturazione sia inferiore al valore delle passività ante ristrutturazione (contratti di gestione del rischio di tasso), è stata quindi dal legislatore fortemente limitata. Inoltre a seguito dell’introduzione dall’articolo 1, comma 572, della legge n. 147 del 2013 è stato vietato definitivamente, salvo nei casi individuati dalla stessa norma, alle Province autonome di Trento e di Bolzano e agli enti locali l’utilizzo di strumenti finanziari derivati.

Pertanto il legislatore con il sopra citato quadro normativo di riferimento, di natura eccezionale e di stretta interpretazione, ha reso i derivati stipulati dalle pubbliche amministrazioni alla stregua di contratti tipici, diversamente da quelli conclusi dai privati (per quanto appartenenti all’amplissimo e medesimo genus), dal momento che l’aleatorietà, che è un elemento essenziale dei derivati, introduce in tali modelli variabili che non sono compatibili con la certezza degli impegni di spesa.   

In ogni caso, va evidenziato che, affinché le PP.AA. potessero illo tempore stipulare contratti derivati, gli stessi dovevano possedere i requisiti della convenienza economica, e della non appartenenza alla tipologia dei derivati speculativi, (quindi soltanto derivati di copertura).

Dunque, dalle Sezioni Unite è stato correttamente osservato che in tali ipotesi contrattuali (nella specie IRS) la causa, a differenza dalla comune scommessa, consiste in una sorta di “azzardo finanziario differenziale”, intesa come espressione di una logica probabilistica, atteso che essi non hanno ad oggetto un’entità specificamente ed esattamente determinata, e, quindi, gli stessi, in quanto suscettibili, come già evidenziato, di rispondere sia ad una finalità speculativa che di copertura dei sottostanti, si connotano come negozi a causa variabile.   

Ne consegue che, affinché gli stessi possano perseguire interessi meritevoli di tutela ex articolo 1322 Codice Civile, e, quindi essere ritenuti leciti perché muniti di una valida causa in concreto, la funzione che l’affare persegue vada individuata esaminando il caso concreto. 

Infatti, essendo autorizzato dal legislatore sul presupposto della loro utilità sociale soltanto il genere delle cd “scommesse razionali”, la validità dell’accordo tra investitore ed intermediario va accertata in presenza di un negozio, con finalità di copertura, in cui la misura dell’alea è calcolata alla luce di criteri riconosciuti ed oggettivamente condivisi, senza limitarsi per tale misurabilità al solo criterio del mark to market, che, in quanto espressione numerica di una proiezione finanziaria e non di un valore concreto ed attuale, è in grado di esprimere poco in ordine alla consistenza o misura dell’alea; invece esso accordo deve aver riguardo alla misura dei costi occulti, anche impliciti, ed agli scenari probabilistici attesi dal decorso dei parametri di calcolo individuati nel contratto. 

In sintesi l’intermediario finanziario deve fornire all’investitore pubblico, indipendentemente dal fatto che esso sia o meno un operatore qualificato, una precisa misurabilità/determinazione dell’oggetto contrattuale, comprensiva sia del criterio del mark to market che dei costi occulti, oltre ad una rappresentazione degli scenari probabilistici basati sui parametri di calcolo delle rispettive obbligazioni contrattuali, al fine sia di evidenziare la convenienza economica dell’operazione ed il contenimento del costo dell’indebitamento, che di ridurre al minimo e rendere così consapevole l’ente  di ogni aspetto di aleatorietà del rapporto.

Soltanto in tale ipotesi è riscontrabile la cd “scommessa razionale” meritevole di tutela ex articolo 1322 Codice Civile, intesa come preventiva conoscibilità della molteplicità di variabili derivanti dalle obbligazioni stipulate; in caso contrario il contratto deve essere dichiarato nullo, anche perché non caratterizzato da un profilo causale chiaro e definito (o definibile).        

Altrettanto rilevanti sotto il profilo giuridico, e che pertanto meritano di essere evidenziate, sono le ultime due questioni, devolute dall’ordinanza di rimessione e trattate congiuntamente dalle Sezioni Unite, inerenti al problema, se lo swap costituisca per l’ente locale un’operazione che generi un indebitamento e, in tal caso, della competenza a deliberare in ordine ad esso indebitamento

A tal proposito, il giudizio del Supremo organo giudicante è stato tranchant, nell’affermare che, quando gli IRS sono stati utilizzati dagli enti locali alla stregua di mutui al fine, per mezzo di essi, di in concreto modificare e gestire (ristrutturare) il livello del proprio precedente indebitamento, l’autorizzazione alla conclusione di detti contratti deve essere data, a pena di nullità, dal Consiglio comunale ai sensi dell’articolo 42, comma 2, lett. i), TUEL di cui al D.lgs. n. 267 del 2000, in cui è statuita la competenza del Consiglio per le “spese che impegnino i bilanci per gli esercizi successivi.

Dunque una rinegoziazione, che ha quale fine l’allungamento dei termini di pagamento del debito originario, non può essere uno strumento da utilizzare immediatamente per fare fronte alla spesa corrente.

E ciò in tutti quei casi in cui la negoziazione degli stessi comporta comunque l’estinzione di precedenti rapporti di mutuo sottostanti ovvero anche il loro mantenimento in vita, ma con rilevanti modificazioni, e, soprattutto, a prescindere dalla previsione o meno in seno agli swaps di un finanziamento mediante la previsione di una clausola upfront, ovvero di quella somma che il soggetto eventualmente avvantaggiato nella stipula dello swap  deve corrispondere all’altra parte (svantaggiata) per riequilibrare finanziariamente il contratto (affinché abbia valore nullo).

Dunque, alla luce delle prefate regole giuridiche in essa sentenza contenute, in mancanza di una espressa delibera consiliare, gli swaps sono da considerarsi nulli.

 

Conclusioni

Nell’analisi dell’iter logico tracciato dal decisum in esame non si può fare a meno di evidenziare come le argomentazioni e le conclusioni, inerenti al concetto di indebitamento per gli enti territoriali (nella specie locali) e di upfront, cui l’organo giudicante è giunto, siano di assoluta novità per gli interpreti.

Ed invero, tenuto conto delle sopramenzionate indicazioni e regole in esso decisum stabilite, va preliminarmente posto il problema se gli swaps rientrino nella definizione di indebitamento di cui all’articolo 3, della Legge 350/2003, che, com’è noto, al comma 17 specifica quali operazioni finanziarie costituiscono per gli enti locali “indebitamento” ed “investimento” , ed al comma 18  le “spese di investimento” ai fini ed agli effetti dell’articolo 119, 6 co, Cost. (articolo che detta i principi generali in materia di autonomia finanziaria di entrata e di spesa degli enti locali), atteso che nell’elenco di cui al citato comma 17 non sono inclusi i derivati, e viepiù che nel 2008, tale elenco è stato parzialmente modificato dall’articolo 62 D.L. 112/2008, come convertito dalla L. 133/2008, e successivamente modificato dalla L. 203/2008 e dall’articolo 1, comma 572, L. 147/2013, includendo nell’articolo 62, quale finanziamento, “l’eventuale premio incassato al momento del perfezionamento delle operazioni derivate”, e quindi esclusivamente tale componente del contratto derivato.

A tal fine va, quindi, esaminata la valenza di quest’ultima normativa (del 2008) ovvero se essa sia una semplice “norma chiarificatrice” del citato comma 17, o di contro, abbia portata innovativa al dichiarato fine di includere nell’elenco di cui all’articolo 3 una specifica tipologia di operazioni (upfront) che prima evidentemente non vi rientrava.

Ad avviso della Suprema Corte – e contrariamente ad alcuni pregressi arresti giurisprudenziali, anche del giudice contabile secondo i quali, prima della modifica legislativa, la corresponsione di un upfront non ricadeva nel precetto costituzionale di cui all’articolo 119, 6 co. Cost. – la normativa del 2008 ha soltanto preso atto della natura di indebitamento di quanto conseguito con la clausola di upfront, senza innovare l’ordinamento, di guisa che gli importi ricevuti a tal titolo costituiscono indebitamento ai fini della normativa di contabilità pubblica e dell’articolo 119 Cost., anche per il periodo antecedente l’approvazione dell’articolo 62, comma 9, del d.l. n. 112 del 2008.

Ne deriva, dunque, secondo tale ragionamento, che l’elenco di cui al comma 17 non è a contenuto tassativo, bensì conterrebbe una lista meramente esemplificativa di operazioni che devono essere considerate indebitamento, con l’ovvia conseguenza che è possibile quindi includere in tale elenco anche ulteriori operazioni che non siano in esso riportate, mediante un’esegesi sostanziale della norma in esame, e non sulla scorta di una interpretazione meramente formale - letterale della medesima, che invece in tal caso si porrebbe in contrasto con la ratio della stessa norma, non assoggettando al limite di indebitamento operazioni che sostanzialmente ne hanno la natura.

Ed allora interpretando in tal senso la disposizione di cui al citato comma 17, ovvero che essa, con le parole “assunzione di mutui”, abbia voluto ricomprendere le diverse fattispecie nelle quali si fa ricorso a finanziamenti, si può quindi ritenere che anche gli swaps possano essere annoverati tra le forme di indebitamento, sul presupposto però che essi in sostanza siano identificabili alla stregua dei mutui (come ad es. tutti gli swaps conclusi con fini di copertura dichiarati, che - presentando un collegamento negoziale ex lege  in quanto il contratto precedente era comunemente un mutuo - riguardavano atti che costituivano indebitamento, ovvero la cui conclusione si traduceva spesso nell’estinzione di precedenti mutui o nel prolungamento nel tempo dell’indebitamento dell’ente), e tenuto conto, altresì, dei rischi connessi alle diverse condizioni di indebitamento, alla durata del debito e alle modalità di estinzione della passività.

Pertanto in buona sostanza, mentre il pagamento ottenuto a titolo di upfront va sempre ritenuto indebitamento, gli IRS conclusi dagli enti pubblici costituiscono una forma di indebitamento attuale o potenziale, per l’ente stesso, soltanto nel caso in cui, esaminata l’operazione di swap nel suo complesso, gli stessi negoziati per la ristrutturazione del debito incidano sull’entità globale del deficit dell’ente con effetti di sostanziale indebitamento, proprio per la loro natura aleatoria, com’è dimostrato da quegli enti locali che sono stati capaci di utilizzare gli IRS, che si fondavano tra l’altro, su un precedente indebitamento, alla stregua di mutui e, tramite essi, in concreto, modificare e gestire il livello dell’indebitamento.

In conclusione non appare revocabile in dubbio che a seguito delle regole giuridiche espresse con il provvedimento in questione dalla Suprema Corte, nuove vertenze giudiziali potranno svilupparsi in futuro, anche davanti al G.A. per l’impugnazione degli atti annullati dalle PP.AA. mediante il ricorso al procedimento di autotutela, sottolineando però come anche affermato dagli ermellini, che le questioni decise sono senza alcun dubbio connotate da elementi di novità e di controvertibilità, e, quindi, soggette a possibili ed eventuali interpretazioni di segno contrario.