x

x

Il trust: strumento di tutela e di gestione delle opere d’arte

Un sesterzio dell’imperatore Adriano è stato venduto in asta a Ginevra per circa 1,3 milioni di Euro.

È sufficiente questa notizia per comprendere che, oggi, l’opera d’arte è anche un asset di investimento, anzi tra i possibili ambiti di investimento è senza dubbio quello che sta mostrando, nel nostro tempo, i migliori risultati sia in termini di rischio che di rendimento. L’acquisto di opere d’arte è una forma di investimento di prima scelta con un mercato di dimensione significativa.

Il numero di coloro che investono a soli fini speculativi in opere d’arte è notevolmente aumentato in misura esponenziale negli ultimi anni al pari del numero dei collezionisti e degli appassionati di arte, i quali tendono sempre più ad implementare le loro collezioni consapevoli che la collezione, qualificabile giuridicamente come universalità di mobili, ha ex se un valore di gran lunga più rilevante rispetto al valore della sommatoria dei singoli beni distinti in essa, proprio perché il concetto di universalità esprime una speciale e ben precisa connotazione fisionomica.

Invero sono proprio gli investitori in arte, i proprietari di facoltose collezioni o anche i soggetti che vantano una numerosa discendenza ad avvertire (per pura passione artistica ovvero anche per meri fini speculativi) l’esigenza di difendere i propri capitali (rectius i propri beni artistici) mediante la costituzione di “vincoli di destinazione”, con cui tutelare il patrimonio familiare, preservare il medesimo nell’interesse dei propri discendenti, proteggerlo da possibili ed eventuali azioni da parte di creditori mediante la predisposizione di un usbergo finalizzato a mettere lo stesso in sicurezza.      

Nellambito della categoria dei cosiddetti “vincoli di destinazione”, che servono in maniera specifica ed essenziale tanto a creare una separazione patrimoniale di beni, quanto a dare una specifica destinazione dei frutti prodotti dai beni interessati, assumono assoluta pregnanza tutti quei negozi giuridici - costituzione di trust, di negozio fiduciario, di fondo patrimoniale, di patrimonio destinato ad uno specifico affare ex articolo 2447-bis del codice civile -, in ragione dei quali determinati beni sono destinati alla realizzazione di un interesse meritevole di tutela da parte dell’ordinamento (articolo 1322 del codice civile) con effetti segregativi e limitativi della disponibilità dei beni medesimi.

L’effetto segregativo, conseguente alla costituzione del vincolo di destinazione, consiste nel far confluire i beni vincolati in un patrimonio separato rispetto al patrimonio del soggetto disponente, il quale ne perde la libera disponibilità, ed esso può essere conseguito attraverso diverse modalità.

Quando il vincolo implica anche il trasferimento di beni ad un soggetto diverso dal disponente, la costituzione del vincolo di destinazione avrà un effetto traslativo; al contrario, nel caso in cui i beni rimangono nella titolarità del soggetto disponente, i vincoli così costituiti avranno effetto non traslativo.

Naturalmente l’effetto traslativo dovrà essere annotato e trascritto negli appositi registri immobiliari o mobiliari competenti, altrimenti esso sarà inefficace nei confronti dei terzi. A tal fine, la mera stipulazione dell’atto (istitutivo) non è sufficiente, essendo necessario l’espletamento delle idonee forme di pubblicità legale.

Tra i negozi con vincoli di destinazione, come già sopra evidenziato, rientra anche il trust, il quale in ragione delle sue intrinseche e rilevanti peculiarità si differenzia nettamente da tutti gli altri negozi con vincoli di destinazione, atteso che il ricordato istituto determima la segregazione dei beni sia rispetto al patrimonio personale del disponente sia con riguardo a quello dell’intestatario di detti beni (trustee), di guisa chei beni costituiti in trust risponderanno delle obbligazioni derivanti dalla gestione del trust medesimo in via contrattuale o extracontrattuale.

Il trust, istituto tipico della common law, disciplinato dalla Legge n. 364/89 di ratifica ed esecuzione della Convenzione adottata da L’Aja il 1.7.1985, si sostanzia in un rapporto giuridico fondato sul rapporto di fiducia tra disponente (settlor) e trustee.

Il disponente, di norma, trasferisce per atto inter vivos o mortis causa, taluni beni o diritti a favore del trustee il quale li amministra con i diritti ed i poteri di un vero e proprio proprietario, per un scopo prestabilito (trust di scopo) o nell’interesse dei beneficiari (trust con beneficiari), individuati in sede di istituzione del trust o in un momento successivo.  

Il trust si connota  per la caratteristica che in esso coesistono, da un lato, la titolarità del diritto di proprietà  piena, e dall’altro la circostanza che l’esercizio di tale diritto è invece limitato al perseguimento degli scopi indicato nell’atto istitutivo..

In buona sostanza nel trust convive un doppio regime di proprietà (dual ownership): la prima finalizzata all’amministrazione (in capo al trustee), l’altra al godimento (in capo ai beneficiari).   

L’istituto è pertanto uno strumento giuridico duttile che permette la risoluzione semplice ed efficace di una vasta gamma di casi complessi di varia natura - patrimoniale, finanziaria, gestionale -, e consente di fronteggiare e proteggere i propri beni da eventi futuri ed incerti, anche e soprattutto con riferimento al fenomeno successorio che disperde e frammenta i patrimoni nel passaggio generazionale (ad esempio il titolare di una collezione di beni artistici può costituire il trust e conferirvi l’intera collezione per evitare che essa venga frammentata tra gli eredi, ovvero, nominare beneficiario un erede, senza lesione di legittima, dotato di particolare competenze artistiche). Lo stesso ha altresì la finalità di porre rimedio in termini di salvaguardia alle azioni proposte da parte dei creditori propri, o dei propri discendenti, ovviamente sempreché il soggetto disponente non abbia pregresse patologiche situazioni di debito atteso che restano in ogni caso salve le garanzie reali e gli atti esecutivi che il creditore si sia assicurato prima della costituzione del trust. Infatti l’utilizzazione del trust con finalità elusive della responsabilità patrimoniale al fine di riparare determinati beni dall’aggressione di creditori già esistenti riconduce l’istituto alla nozione di negozio gratuito e pertanto rende il medesimo soggetto alla declaratoria di inefficacia derivante dall’accoglimento della domanda giudiziale (azione revocatoria) promossa dagli stessi creditori.

Quindi, il trust - i cui effetti, è bene evidenziarlo, non sono in alcun modo riproducibili mediante l’utilizzo composto degli istituti civilistici presenti nell’ordinamento giuridico italiano -, consente di creare un vero e proprio sistema giuridico su misura, una sorta di solida cassaforte giuridica “speciale[1] nel cui forziere può essere custodita qualsivoglia tipologia di beni (mobili, immobili, mobili registrati, quote societarie, crediti futuri), ivi compresi i beni artistici.

Dai rilievi (riflessioni) sin qui espressi, appare dunque evidente l’utilità che deriva dalla istituzione di un trust per la gestione, e, quindi, la tutela e/o il trasferimento di opere d’arte.

Infatti, qualora un soggetto, persona fisica o giuridica, possieda beni di particolare valore artistico (ad esempio una collezione di opere d’arte, od anche le proprie opere di artista)[2], potrebbe decidere di vincolare detti beni mediante la costituzione di un trust, con tutti i vantaggi in precedenza descritti in termini di effetti segregativi dei beni che discendono dal trust medesimo, di guisa che siffatto patrimonio artistico viene anche coperto da anonimato e segretezza, con l’ulteriore conseguenza che allo stesso risulta  assicurata una destinazione unitaria post mortem  di disciplina in ambito familiare della successione ereditaria,  ovvero di devoluzione dei beni ad enti che li usano per istituire musei o perseguire altre pubbliche finalità (es. allestire mostre, etc).    

Il trust per la gestione di opere d’arte si costituisce con un atto unilaterale, cui si affiancano uno o più atti dispositivi, e si presenta come un trust di scopo, ossia come preordinato al perseguimento di un determinato fine, quando i motivi che portano alla sua costituzione sono finalizzati ad attività benefiche e filantropiche. È il caso di un soggetto facoltoso che possiede una collezione di opere d’arte molto importante, ed intende donare questa collezione ad una fondazione pubblica, con la sola condizione che quest’ultima si impegni ad allestire una mostra permanente aperta al pubblico ed ad effettuare tutte le attività di manutenzione e restauro necessarie a mantenere integre nel tempo le singole opere. Oppure il caso di chi (anch’essa persona molto facoltosa o artista o discendente dell’artista stesso) decide di devolvere opere d’arte ad enti pubblici o ecclesiastici per istituire un museo, o una mostra o una galleria di portata nazionale ed internazionale per portare a conoscenza e diffondere tali opere, ma non abbia ancora esattamente identificato l’ente beneficiario.[3]    

Infatti in tali casi è lo scopo a prevalere sui diritti che i soggetti beneficiari potrebbero vantare. Ed invero, se si eccettuano i casi (molto rari) in cui i beneficiari siano del tutto inesistenti - ed allora la differenza tra trust di scopo e trust con beneficiari è palese ed evidente -, è ormai pacifico a livello internazionale che in un trust di scopo possono essere indicati soggetti che avranno il diritto di apprendere i beni al suo termine, o nei cui confronti i beni debbano essere utilizzati nel perseguimento dello scopo. Tuttavia lo scopo è prevalente sui diritti che i soggetti beneficiari possono vantare, sicché il perseguimento della finalità si impone riguardo qualsiasi tipo di ingerenza di carattere personale e di interesse dei beneficiari e giunge sino al punto che il diritto di controllo a che il trustee eserciti al meglio le proprie funzioni di scopo cui i beni in trust sono destinati, è garantito tramite la figura del guardiano - figura necessaria esclusivamente a tali trusts, in quanto la sua individuazione e le regole per la sua nomina o sostituzione nell’atto istitutivo, sono richieste dalla generalità delle leggi regolatrici -, con ampi poteri di controllo ed intervento sull’operato del trustee. Dalla qualificazione del trust come di trust scopo, e quindi dalla prevalenza dello scopo rispetto ai beneficiari, discende una più ampia, in termini di discrezionalità libertà di movimento - purchè ciò avvenga sempre nell’ambito dello scopo - del trustee nel perseguimento dello scopo medesimo.

Viceversa, quando con il trust viene regolata la successione ereditaria (trust successorio), ovvero preservata l’integrità e la destinazione unitaria di un patrimonio artistico, ovvero ancora protetto tale patrimonio dalle pretese di creditori personali e/o dei propri eredi (trust di protezione), esso si presenta generalmente come un trust con beneficiari. È il caso ad esempio, di un soggetto, possessore di una preziosa collezione di quadri che, non volendo disperderla, intenda attribuirla a quello tra i propri eredi che dimostrerà di avere attitudine e competenza ad amministrarla. Ed ancora il caso di un cittadino che possiede un immobile di interesse storico ed artistico, nonché una collezione di opere d’arte di cui intende conservare l’integrità del patrimonio storico ed artistico per un periodo abbastanza così lungo da tramandarlo in ambito familiare.[4] Ed infine il caso di una signora, con un figlio, soggetto scialacquatore e dedito solo alla bella vita, che vuole proteggere la sua collezione di opere d’arte, che rientra nella quota disponibile del suo patrimonio, da eventuali azioni da parte dei creditori del figlio lussurioso.  

In tali casi, il trust è costituito con la presenza di beneficiari, che possono essere sia di reddito - ossia percepire periodicamente delle somme - che finali dei beni devoluti al termine del trust, ed essere individuati o nell’atto istitutivo dal disponente (fixed trust) oppure in un secondo momento direttamente dal disponente o dal trustee o da un terzo designato (trust discrezionale).

I beneficiari possono essere designati nominativamente o quali appartenenti ad una determinata categoria e perciò stesso sono facultati ad agire nei confronti del trustee per rivendicare i loro diritti.

Nella fase introduttiva di costituzione del trust, nonché successivamente, durante le operazioni di gestione del trust medesimo afferenti alla valutazione delle opere, al trasporto delle stesse, all’organizzazione di mostre ed alla istituzione di musei sino alla vendita eventuale delle opere medesime, è consigliabile affidarsi ad esperti del settore in grado di fornire servizi di consulenza (advisor), non soltanto nell’attività di supporto sopra citata, ma anche nella scelta del trustee, ed eventualmente del protector.

A tal proposito si evidenzia che nel trust di opere d’arte, oltre a quanto già rilevato seppur sommariamente in ordine alla struttura del trust medesimo, di fondamentale importanza è senza alcun dubbio la scelta del trustee.

Spesso i trustee sono trust company, vale a dire società che hanno quale oggetto sociale l’assistenza ai propri clienti nella fase di istituzione del trust nonché in quella successiva della gestione del patrimonio (artistico).

L’ufficio del trustee può essere ricoperto o da un singolo soggetto, o viceversa da più soggetti in composizione collegiale; in ogni caso i poteri del trustee sono sempre definiti con l’atto unilaterale istitutivo del trust.      

Generalmente questa seconda opzione, proprio a causa della rilevanza e della complessità del ruolo, è da preferire, viepiù che la presenza di più soggetti - con poteri direttamente attribuiti dal disponente, ovvero delegati in un secondo momento dal trustee -, si rende necessaria in considerazione del fatto che le competenze richieste e le attribuzioni di pertinenza sono varie e diverse. Infatti il trustee (rectius la trust company) dovrà: a) delegare la gestione delle opere d’arte ad un ente anche di nuova istituzione (ad esempio una fondazione); b) eventualmente essere aiutato da un professionista, esperto d’arte, stimato, e che comunque gode la fiducia del disponente ed anche dell’ente gestorio; c) nel caso in cui nel trust unitamente alle opere d’arte siano presenti anche beni immobili di valore storico ed artistico, delegare ed attribuire ad un soggetto - da individuare, o anche all’ente individuato alla superiore lett. a) - la gestione dei beni immobili; d) delegare, eventualmente, ad una casa d’aste la vendita delle opere apportate, e/o (nel caso in cui ciò sia previsto) acquistate, mediante l’investimento delle somme realizzate attraverso mostre ed esposizioni delle opere stesse, dal trust.

Così costituito l’ufficio del trustee, esso dovrà gestire i beni artistici (mobili ed immobili) attraverso il soggetto di nuova istituzione, nell’interesse di beneficiari designati o da designare, o in alternativa devolvere tutto o parte del patrimonio artistico ad un ente pubblico o ecclesiastico con determinate caratteristiche, da utilizzare per organizzare mostre, istituire musei o perseguire altre finalità pubbliche.

Spesso nell’ufficio del trustee si suole aggiungere, anche il disponente, o, viceversa, far gestire i beni da chi al termine del trust è designato quale beneficiario.

Ciò, però, è stato ritenuto, anche se soltanto da un punto di vista fiscale, illegittimo dall’ Agenzia delle Entrate, che con la circolare n. 61/E del 27.12.2010, ha ritenuto illegittimi, e quindi, non validamente operanti, sotto il profilo fiscale, i trust che sono istituiti e gestiti per realizzare una mera interposizione nel possesso dei beni dei redditi. In sostanza, quindi, i beni facenti parte del patrimonio del trust non possono continuare ad essere a disposizione del disponente né questi può in nessun caso beneficiare dei relativi redditi. Se, pertanto, il potere di gestire e disporre dei beni permane in tutto o in parte in capo al disponente, e ciò emerge non soltanto dall’atto istitutivo del trust ma anche da elementi di mero fatto e non si verifica, quindi, il reale spossessamento di quest’ultimo, il trust medesimo deve considerarsi inesistente dal punto di vista dell’imposizione dei redditi da esso prodotti.

Pertanto, come anche precisato dall’Agenzia delle Entrate nella circolare n. 43/E del 10 ottobre 2009, sono da ritenere inesistenti in quanto interposte le seguenti tipologie di trust:

- trust che il disponente (o il beneficiario) può far cessare liberamente in ogni momento, generalmente a proprio vantaggio o anche a vantaggio di terzi;

- trust in cui il disponente è titolare del potere di designare in qualsiasi momento sé stesso come beneficiario;

- trust in cui il disponente (o il beneficiario) risulti, dall’atto istitutivo ovvero da altri elementi di fatto, titolare di poteri in forza dell’atto istitutivo, in conseguenza dei quali il trustee, pur dotato di poteri discrezionali nella gestione ed amministrazione del trust, non può esercitarli senza il suo consenso;

- trust in cui il disponente è titolare del potere di porre termine anticipatamente al trust medesimo,  designando sé stesso e/o altri come beneficiari (cosiddetto “trust a termine”);

- trust in cui il beneficiario ha diritto di ricevere attribuzioni di patrimonio dal trustee;

- trust in cui è previsto che il trustee debba tener conto delle indicazioni fornite dal disponente in relazione alla gestione del patrimonio e del reddito da questo generato;

- trust in cui il disponente può modificare nel corso della vita del trust i beneficiari;

- trust in cui il disponente ha la facoltà di attribuire redditi e beni del trust o concedere prestiti a soggetti dallo stesso individuati;

- ogni altra ipotesi in cui potere gestionale e dispositivo del trustee, così come individuato dal regolamento del trust o dalla legge, risulti in qualche modo limitato o anche semplicemente condizionato dalla volontà del disponente e/o dei beneficiari.[5]          

Di conseguenza, al fine di evitare che il trust risulti improduttivo di effetti, e, quindi, inoperante fiscalmente, è consigliabile non aggiungere il disponente nell’ufficio del trustee.         

Per quel che concerne la eventuale figura del guardiano o protector, ossia di colui il quale esercita in forza di apposita clausola inserita nell’atto istitutivo poteri di vigilanza e controllo nei confronti del trustee, figura necessaria, come già in precedenza evidenziato, limitatamente al trust di scopo con devoluzione dei beni ad uno o più beneficiari, tale compito può essere affidato, sia ad una singola persona che ad un collegio, del quale fanno parte più persone, a seconda della tipologia dei beni artistici costituiti in trust.

Tuttavia, proprio a causa della valutazione relativa alla correttezza dell’operato del trustee, la quale richiede competenze specifiche nel settore dell’arte, l’ufficio di guardiano è generalmente affidato ad un comitato di soggetti di fiducia del disponente, oltre che dal disponente medesimo.

Può, infine, anche accadere che l’atto istitutivo del trust attribuisca alla figura del guardiano poteri di natura consultiva - ad esempio il consenso ad alienare opere apportate nel trust -, di guisa che i due ruoli di advisor e di protector vengono ricoperti dal medesimo soggetto.

Nel caso in cui nel trust di opere d’arte fossero presenti beni di natura artistica, qualificabili anche come beni culturali ex Decreto Legislativo n. 42/2004, va rilevato che, in relazione ai vincoli, disciplinati dal citato Codice dei beni culturali e del paesaggio, per siffatti beni - obbligo di denuncia del trasferimento della proprietà o della detenzione del bene, e diritto di prelazione in favore dello Stato -, essendo l’atto (di apporto) del trust sostanzialmente gratuito, esso, in quanto tale, non rientra nel vincolo di cui all’articolo 60 (acquisto in via di prelazione) e ss. del Decreto Legislativo n. 42/2004; viceversa esso rientra senza alcun dubbio tra quegli atti per cui deve essere data denuncia del trasferimento del bene ai sensi dell’articolo 59 del Decreto Legislativo n. 42/2004 per evidenti ragioni di pubblicità, nonché in caso di mostre ed esposizioni, è soggetto all’autorizzazione ex articolo 48 del Decreto Legislativo n. 42/2004 il prestito per dette attività.[6]

Infine un ultimo sommario accenno va rivolto agli aspetti fiscali del trust di opere d’arte, ed alla convenienza o meno di tale istituto ai fini tributari nel settore dell’arte.

Va osservato che, con le previsioni di cui all’articolo 1, commi 74, 75 e 76 della Legge n. 296 del 2006 (finanziaria 2007) è stato introdotta per la prima volta nel nostro ordinamento una disciplina fiscale per l’istituto del trust. Infatti non esisteva, prima di allora, una normativa specifica che disciplinasse il regime fiscale del trust, per cui era necessario rifarsi alle indicazioni dottrinali e giurisprudenziali, oltreché alla prassi amministrativa. Con le nuove disposizioni viene dunque sancita la soggettività passiva del trust, e riconosciuta ad esso un’autonoma soggettività tributaria, la cui natura può essere quella di ente commerciale o di tipo non commerciale, e si dispone, inoltre, l’attribuzione “per trasparenza” dei redditi conseguiti dal trust ai beneficiari, ponendo la vincolante condizione che questi ultimi risultino individuati. In tal caso i redditi vengono imputati ai beneficiari in proporzione alla quota di partecipazione individuata nell’atto di costituzione del trust o in altri documenti successivi, ovvero, in mancanza, in parti uguali.

Da ciò discende, - anche in virtù di quanto disposto dall’articolo 9 del Decreto Legislativo n. 346/90, il quale prevede, infatti, che si considerano compresi nell’attivo ereditario denaro, gioielli e mobilia per un importo pari al 10% del valore dell’asse ereditario netto (e, cioè, eccedente le eventuali franchigie) anche se non dichiarati o se dichiarati per un importo inferiore -, che in Italia per i collezionisti che detengono le loro opere all’interno di abitazioni private, non è consigliabile, dal punto di vista fiscale, creare strutture complesse, quali trust, fondazioni e quant’altro, per ottimizzare la fiscalità a carico degli eredi. La creazione di tali strutture ha senso unicamente per rispondere alle esigenze, diverse da quelle fiscali, in precedenza evidenziate, quali la conservazione delle opere d’arte all’interno della famiglia a favore delle generazioni future ovvero la loro destinazione a soggetti appositamente individuati ovvero ancora per finalità espositive. Infatti, dal punto di visto fiscale, il trasferimento delle opere d’arte a favore di un trust italiano, formalizzato in Italia durante la vita del collezionista, sconta l’imposta di donazione sempre con le aliquote del 4%, del 6% o dell’8% (a seconda della relazione o meno di parentela o di affinità esistente tra il collezionista e i beneficiari del trust con la applicazione delle relative franchige); aliquote che si applicano  sul valore di mercato delle opere d’arte. Invece, se il collezionista non pianifica la sua successione, al momento del decesso, gli eredi pagheranno l’imposta sulle successioni, con le stesse aliquote, ma solo sul 10% del valore dell’asse ereditario al netto delle franchigie. E così, se in altri Stati i collezionisti privati avvertono spesso, soprattutto ai fini fiscali, la necessità di procedere alla pianificazione successoria delle opere d’arte, ricorrendo alla creazione di trust o ad istituti analoghi, in Italia ciò non conviene, se non, eventualmente, come già evidenziato, per finalità diverse. Questo grazie a una norma tutta italiana che, di fatto, esonera dalla imposizione successoria le opere d’arte che abbiamo un valore superiore al 10% dell’asse ereditario netto, senza applicazioni di sanzioni.

Tale agevolazione nel nostro Paese, che vanta il più cospicuo numero di opere d’arte al mondo, è frutto di consapevole scelta legislativa.[7]

                   

[1] Trust – Unione Professionale Fiduciaria S.p.A. www.unioneprofessionalefiduciaria.it/it/?page_id=7.

[2] FabrizioVedana, Donazione e successione di opere d’arte in Arte e Finanza - Italia Oggi

[3] Mauro Mattei  in www.lamiafinanza.it/Default.aspx?c=83&a=17534 e in www.lamiafinanza.it/Default.aspx?c=83&a=17607

[4] Mauro Mattei in op.cit.

[5] Agenzia delle Entrate, circ. n. 61/E del 27.12.2010

[6] F. Vedana in op. cit.,  cfr. anche Studio n. 5140 della Commissione studi civilistici del C.N.N. del 2.7.2004.

[7] Maria Vittoria Vaccarino, TAXART Pianificare la successione delle opere: in Italia ne vale la pena? in www.exibart.com/notizia.asp?IDNotizia=37784&IDCategoria=237

Un sesterzio dell’imperatore Adriano è stato venduto in asta a Ginevra per circa 1,3 milioni di Euro.

È sufficiente questa notizia per comprendere che, oggi, l’opera d’arte è anche un asset di investimento, anzi tra i possibili ambiti di investimento è senza dubbio quello che sta mostrando, nel nostro tempo, i migliori risultati sia in termini di rischio che di rendimento. L’acquisto di opere d’arte è una forma di investimento di prima scelta con un mercato di dimensione significativa.

Il numero di coloro che investono a soli fini speculativi in opere d’arte è notevolmente aumentato in misura esponenziale negli ultimi anni al pari del numero dei collezionisti e degli appassionati di arte, i quali tendono sempre più ad implementare le loro collezioni consapevoli che la collezione, qualificabile giuridicamente come universalità di mobili, ha ex se un valore di gran lunga più rilevante rispetto al valore della sommatoria dei singoli beni distinti in essa, proprio perché il concetto di universalità esprime una speciale e ben precisa connotazione fisionomica.

Invero sono proprio gli investitori in arte, i proprietari di facoltose collezioni o anche i soggetti che vantano una numerosa discendenza ad avvertire (per pura passione artistica ovvero anche per meri fini speculativi) l’esigenza di difendere i propri capitali (rectius i propri beni artistici) mediante la costituzione di “vincoli di destinazione”, con cui tutelare il patrimonio familiare, preservare il medesimo nell’interesse dei propri discendenti, proteggerlo da possibili ed eventuali azioni da parte di creditori mediante la predisposizione di un usbergo finalizzato a mettere lo stesso in sicurezza.      

Nellambito della categoria dei cosiddetti “vincoli di destinazione”, che servono in maniera specifica ed essenziale tanto a creare una separazione patrimoniale di beni, quanto a dare una specifica destinazione dei frutti prodotti dai beni interessati, assumono assoluta pregnanza tutti quei negozi giuridici - costituzione di trust, di negozio fiduciario, di fondo patrimoniale, di patrimonio destinato ad uno specifico affare ex articolo 2447-bis del codice civile -, in ragione dei quali determinati beni sono destinati alla realizzazione di un interesse meritevole di tutela da parte dell’ordinamento (articolo 1322 del codice civile) con effetti segregativi e limitativi della disponibilità dei beni medesimi.

L’effetto segregativo, conseguente alla costituzione del vincolo di destinazione, consiste nel far confluire i beni vincolati in un patrimonio separato rispetto al patrimonio del soggetto disponente, il quale ne perde la libera disponibilità, ed esso può essere conseguito attraverso diverse modalità.

Quando il vincolo implica anche il trasferimento di beni ad un soggetto diverso dal disponente, la costituzione del vincolo di destinazione avrà un effetto traslativo; al contrario, nel caso in cui i beni rimangono nella titolarità del soggetto disponente, i vincoli così costituiti avranno effetto non traslativo.

Naturalmente l’effetto traslativo dovrà essere annotato e trascritto negli appositi registri immobiliari o mobiliari competenti, altrimenti esso sarà inefficace nei confronti dei terzi. A tal fine, la mera stipulazione dell’atto (istitutivo) non è sufficiente, essendo necessario l’espletamento delle idonee forme di pubblicità legale.

Tra i negozi con vincoli di destinazione, come già sopra evidenziato, rientra anche il trust, il quale in ragione delle sue intrinseche e rilevanti peculiarità si differenzia nettamente da tutti gli altri negozi con vincoli di destinazione, atteso che il ricordato istituto determima la segregazione dei beni sia rispetto al patrimonio personale del disponente sia con riguardo a quello dell’intestatario di detti beni (trustee), di guisa chei beni costituiti in trust risponderanno delle obbligazioni derivanti dalla gestione del trust medesimo in via contrattuale o extracontrattuale.

Il trust, istituto tipico della common law, disciplinato dalla Legge n. 364/89 di ratifica ed esecuzione della Convenzione adottata da L’Aja il 1.7.1985, si sostanzia in un rapporto giuridico fondato sul rapporto di fiducia tra disponente (settlor) e trustee.

Il disponente, di norma, trasferisce per atto inter vivos o mortis causa, taluni beni o diritti a favore del trustee il quale li amministra con i diritti ed i poteri di un vero e proprio proprietario, per un scopo prestabilito (trust di scopo) o nell’interesse dei beneficiari (trust con beneficiari), individuati in sede di istituzione del trust o in un momento successivo.  

Il trust si connota  per la caratteristica che in esso coesistono, da un lato, la titolarità del diritto di proprietà  piena, e dall’altro la circostanza che l’esercizio di tale diritto è invece limitato al perseguimento degli scopi indicato nell’atto istitutivo..

In buona sostanza nel trust convive un doppio regime di proprietà (dual ownership): la prima finalizzata all’amministrazione (in capo al trustee), l’altra al godimento (in capo ai beneficiari).   

L’istituto è pertanto uno strumento giuridico duttile che permette la risoluzione semplice ed efficace di una vasta gamma di casi complessi di varia natura - patrimoniale, finanziaria, gestionale -, e consente di fronteggiare e proteggere i propri beni da eventi futuri ed incerti, anche e soprattutto con riferimento al fenomeno successorio che disperde e frammenta i patrimoni nel passaggio generazionale (ad esempio il titolare di una collezione di beni artistici può costituire il trust e conferirvi l’intera collezione per evitare che essa venga frammentata tra gli eredi, ovvero, nominare beneficiario un erede, senza lesione di legittima, dotato di particolare competenze artistiche). Lo stesso ha altresì la finalità di porre rimedio in termini di salvaguardia alle azioni proposte da parte dei creditori propri, o dei propri discendenti, ovviamente sempreché il soggetto disponente non abbia pregresse patologiche situazioni di debito atteso che restano in ogni caso salve le garanzie reali e gli atti esecutivi che il creditore si sia assicurato prima della costituzione del trust. Infatti l’utilizzazione del trust con finalità elusive della responsabilità patrimoniale al fine di riparare determinati beni dall’aggressione di creditori già esistenti riconduce l’istituto alla nozione di negozio gratuito e pertanto rende il medesimo soggetto alla declaratoria di inefficacia derivante dall’accoglimento della domanda giudiziale (azione revocatoria) promossa dagli stessi creditori.

Quindi, il trust - i cui effetti, è bene evidenziarlo, non sono in alcun modo riproducibili mediante l’utilizzo composto degli istituti civilistici presenti nell’ordinamento giuridico italiano -, consente di creare un vero e proprio sistema giuridico su misura, una sorta di solida cassaforte giuridica “speciale[1] nel cui forziere può essere custodita qualsivoglia tipologia di beni (mobili, immobili, mobili registrati, quote societarie, crediti futuri), ivi compresi i beni artistici.

Dai rilievi (riflessioni) sin qui espressi, appare dunque evidente l’utilità che deriva dalla istituzione di un trust per la gestione, e, quindi, la tutela e/o il trasferimento di opere d’arte.

Infatti, qualora un soggetto, persona fisica o giuridica, possieda beni di particolare valore artistico (ad esempio una collezione di opere d’arte, od anche le proprie opere di artista)[2], potrebbe decidere di vincolare detti beni mediante la costituzione di un trust, con tutti i vantaggi in precedenza descritti in termini di effetti segregativi dei beni che discendono dal trust medesimo, di guisa che siffatto patrimonio artistico viene anche coperto da anonimato e segretezza, con l’ulteriore conseguenza che allo stesso risulta  assicurata una destinazione unitaria post mortem  di disciplina in ambito familiare della successione ereditaria,  ovvero di devoluzione dei beni ad enti che li usano per istituire musei o perseguire altre pubbliche finalità (es. allestire mostre, etc).    

Il trust per la gestione di opere d’arte si costituisce con un atto unilaterale, cui si affiancano uno o più atti dispositivi, e si presenta come un trust di scopo, ossia come preordinato al perseguimento di un determinato fine, quando i motivi che portano alla sua costituzione sono finalizzati ad attività benefiche e filantropiche. È il caso di un soggetto facoltoso che possiede una collezione di opere d’arte molto importante, ed intende donare questa collezione ad una fondazione pubblica, con la sola condizione che quest’ultima si impegni ad allestire una mostra permanente aperta al pubblico ed ad effettuare tutte le attività di manutenzione e restauro necessarie a mantenere integre nel tempo le singole opere. Oppure il caso di chi (anch’essa persona molto facoltosa o artista o discendente dell’artista stesso) decide di devolvere opere d’arte ad enti pubblici o ecclesiastici per istituire un museo, o una mostra o una galleria di portata nazionale ed internazionale per portare a conoscenza e diffondere tali opere, ma non abbia ancora esattamente identificato l’ente beneficiario.[3]    

Infatti in tali casi è lo scopo a prevalere sui diritti che i soggetti beneficiari potrebbero vantare. Ed invero, se si eccettuano i casi (molto rari) in cui i beneficiari siano del tutto inesistenti - ed allora la differenza tra trust di scopo e trust con beneficiari è palese ed evidente -, è ormai pacifico a livello internazionale che in un trust di scopo possono essere indicati soggetti che avranno il diritto di apprendere i beni al suo termine, o nei cui confronti i beni debbano essere utilizzati nel perseguimento dello scopo. Tuttavia lo scopo è prevalente sui diritti che i soggetti beneficiari possono vantare, sicché il perseguimento della finalità si impone riguardo qualsiasi tipo di ingerenza di carattere personale e di interesse dei beneficiari e giunge sino al punto che il diritto di controllo a che il trustee eserciti al meglio le proprie funzioni di scopo cui i beni in trust sono destinati, è garantito tramite la figura del guardiano - figura necessaria esclusivamente a tali trusts, in quanto la sua individuazione e le regole per la sua nomina o sostituzione nell’atto istitutivo, sono richieste dalla generalità delle leggi regolatrici -, con ampi poteri di controllo ed intervento sull’operato del trustee. Dalla qualificazione del trust come di trust scopo, e quindi dalla prevalenza dello scopo rispetto ai beneficiari, discende una più ampia, in termini di discrezionalità libertà di movimento - purchè ciò avvenga sempre nell’ambito dello scopo - del trustee nel perseguimento dello scopo medesimo.

Viceversa, quando con il trust viene regolata la successione ereditaria (trust successorio), ovvero preservata l’integrità e la destinazione unitaria di un patrimonio artistico, ovvero ancora protetto tale patrimonio dalle pretese di creditori personali e/o dei propri eredi (trust di protezione), esso si presenta generalmente come un trust con beneficiari. È il caso ad esempio, di un soggetto, possessore di una preziosa collezione di quadri che, non volendo disperderla, intenda attribuirla a quello tra i propri eredi che dimostrerà di avere attitudine e competenza ad amministrarla. Ed ancora il caso di un cittadino che possiede un immobile di interesse storico ed artistico, nonché una collezione di opere d’arte di cui intende conservare l’integrità del patrimonio storico ed artistico per un periodo abbastanza così lungo da tramandarlo in ambito familiare.[4] Ed infine il caso di una signora, con un figlio, soggetto scialacquatore e dedito solo alla bella vita, che vuole proteggere la sua collezione di opere d’arte, che rientra nella quota disponibile del suo patrimonio, da eventuali azioni da parte dei creditori del figlio lussurioso.  

In tali casi, il trust è costituito con la presenza di beneficiari, che possono essere sia di reddito - ossia percepire periodicamente delle somme - che finali dei beni devoluti al termine del trust, ed essere individuati o nell’atto istitutivo dal disponente (fixed trust) oppure in un secondo momento direttamente dal disponente o dal trustee o da un terzo designato (trust discrezionale).

I beneficiari possono essere designati nominativamente o quali appartenenti ad una determinata categoria e perciò stesso sono facultati ad agire nei confronti del trustee per rivendicare i loro diritti.

Nella fase introduttiva di costituzione del trust, nonché successivamente, durante le operazioni di gestione del trust medesimo afferenti alla valutazione delle opere, al trasporto delle stesse, all’organizzazione di mostre ed alla istituzione di musei sino alla vendita eventuale delle opere medesime, è consigliabile affidarsi ad esperti del settore in grado di fornire servizi di consulenza (advisor), non soltanto nell’attività di supporto sopra citata, ma anche nella scelta del trustee, ed eventualmente del protector.

A tal proposito si evidenzia che nel trust di opere d’arte, oltre a quanto già rilevato seppur sommariamente in ordine alla struttura del trust medesimo, di fondamentale importanza è senza alcun dubbio la scelta del trustee.

Spesso i trustee sono trust company, vale a dire società che hanno quale oggetto sociale l’assistenza ai propri clienti nella fase di istituzione del trust nonché in quella successiva della gestione del patrimonio (artistico).

L’ufficio del trustee può essere ricoperto o da un singolo soggetto, o viceversa da più soggetti in composizione collegiale; in ogni caso i poteri del trustee sono sempre definiti con l’atto unilaterale istitutivo del trust.      

Generalmente questa seconda opzione, proprio a causa della rilevanza e della complessità del ruolo, è da preferire, viepiù che la presenza di più soggetti - con poteri direttamente attribuiti dal disponente, ovvero delegati in un secondo momento dal trustee -, si rende necessaria in considerazione del fatto che le competenze richieste e le attribuzioni di pertinenza sono varie e diverse. Infatti il trustee (rectius la trust company) dovrà: a) delegare la gestione delle opere d’arte ad un ente anche di nuova istituzione (ad esempio una fondazione); b) eventualmente essere aiutato da un professionista, esperto d’arte, stimato, e che comunque gode la fiducia del disponente ed anche dell’ente gestorio; c) nel caso in cui nel trust unitamente alle opere d’arte siano presenti anche beni immobili di valore storico ed artistico, delegare ed attribuire ad un soggetto - da individuare, o anche all’ente individuato alla superiore lett. a) - la gestione dei beni immobili; d) delegare, eventualmente, ad una casa d’aste la vendita delle opere apportate, e/o (nel caso in cui ciò sia previsto) acquistate, mediante l’investimento delle somme realizzate attraverso mostre ed esposizioni delle opere stesse, dal trust.

Così costituito l’ufficio del trustee, esso dovrà gestire i beni artistici (mobili ed immobili) attraverso il soggetto di nuova istituzione, nell’interesse di beneficiari designati o da designare, o in alternativa devolvere tutto o parte del patrimonio artistico ad un ente pubblico o ecclesiastico con determinate caratteristiche, da utilizzare per organizzare mostre, istituire musei o perseguire altre finalità pubbliche.

Spesso nell’ufficio del trustee si suole aggiungere, anche il disponente, o, viceversa, far gestire i beni da chi al termine del trust è designato quale beneficiario.

Ciò, però, è stato ritenuto, anche se soltanto da un punto di vista fiscale, illegittimo dall’ Agenzia delle Entrate, che con la circolare n. 61/E del 27.12.2010, ha ritenuto illegittimi, e quindi, non validamente operanti, sotto il profilo fiscale, i trust che sono istituiti e gestiti per realizzare una mera interposizione nel possesso dei beni dei redditi. In sostanza, quindi, i beni facenti parte del patrimonio del trust non possono continuare ad essere a disposizione del disponente né questi può in nessun caso beneficiare dei relativi redditi. Se, pertanto, il potere di gestire e disporre dei beni permane in tutto o in parte in capo al disponente, e ciò emerge non soltanto dall’atto istitutivo del trust ma anche da elementi di mero fatto e non si verifica, quindi, il reale spossessamento di quest’ultimo, il trust medesimo deve considerarsi inesistente dal punto di vista dell’imposizione dei redditi da esso prodotti.

Pertanto, come anche precisato dall’Agenzia delle Entrate nella circolare n. 43/E del 10 ottobre 2009, sono da ritenere inesistenti in quanto interposte le seguenti tipologie di trust:

- trust che il disponente (o il beneficiario) può far cessare liberamente in ogni momento, generalmente a proprio vantaggio o anche a vantaggio di terzi;

- trust in cui il disponente è titolare del potere di designare in qualsiasi momento sé stesso come beneficiario;

- trust in cui il disponente (o il beneficiario) risulti, dall’atto istitutivo ovvero da altri elementi di fatto, titolare di poteri in forza dell’atto istitutivo, in conseguenza dei quali il trustee, pur dotato di poteri discrezionali nella gestione ed amministrazione del trust, non può esercitarli senza il suo consenso;

- trust in cui il disponente è titolare del potere di porre termine anticipatamente al trust medesimo,  designando sé stesso e/o altri come beneficiari (cosiddetto “trust a termine”);

- trust in cui il beneficiario ha diritto di ricevere attribuzioni di patrimonio dal trustee;

- trust in cui è previsto che il trustee debba tener conto delle indicazioni fornite dal disponente in relazione alla gestione del patrimonio e del reddito da questo generato;

- trust in cui il disponente può modificare nel corso della vita del trust i beneficiari;

- trust in cui il disponente ha la facoltà di attribuire redditi e beni del trust o concedere prestiti a soggetti dallo stesso individuati;

- ogni altra ipotesi in cui potere gestionale e dispositivo del trustee, così come individuato dal regolamento del trust o dalla legge, risulti in qualche modo limitato o anche semplicemente condizionato dalla volontà del disponente e/o dei beneficiari.[5]          

Di conseguenza, al fine di evitare che il trust risulti improduttivo di effetti, e, quindi, inoperante fiscalmente, è consigliabile non aggiungere il disponente nell’ufficio del trustee.         

Per quel che concerne la eventuale figura del guardiano o protector, ossia di colui il quale esercita in forza di apposita clausola inserita nell’atto istitutivo poteri di vigilanza e controllo nei confronti del trustee, figura necessaria, come già in precedenza evidenziato, limitatamente al trust di scopo con devoluzione dei beni ad uno o più beneficiari, tale compito può essere affidato, sia ad una singola persona che ad un collegio, del quale fanno parte più persone, a seconda della tipologia dei beni artistici costituiti in trust.

Tuttavia, proprio a causa della valutazione relativa alla correttezza dell’operato del trustee, la quale richiede competenze specifiche nel settore dell’arte, l’ufficio di guardiano è generalmente affidato ad un comitato di soggetti di fiducia del disponente, oltre che dal disponente medesimo.

Può, infine, anche accadere che l’atto istitutivo del trust attribuisca alla figura del guardiano poteri di natura consultiva - ad esempio il consenso ad alienare opere apportate nel trust -, di guisa che i due ruoli di advisor e di protector vengono ricoperti dal medesimo soggetto.

Nel caso in cui nel trust di opere d’arte fossero presenti beni di natura artistica, qualificabili anche come beni culturali ex Decreto Legislativo n. 42/2004, va rilevato che, in relazione ai vincoli, disciplinati dal citato Codice dei beni culturali e del paesaggio, per siffatti beni - obbligo di denuncia del trasferimento della proprietà o della detenzione del bene, e diritto di prelazione in favore dello Stato -, essendo l’atto (di apporto) del trust sostanzialmente gratuito, esso, in quanto tale, non rientra nel vincolo di cui all’articolo 60 (acquisto in via di prelazione) e ss. del Decreto Legislativo n. 42/2004; viceversa esso rientra senza alcun dubbio tra quegli atti per cui deve essere data denuncia del trasferimento del bene ai sensi dell’articolo 59 del Decreto Legislativo n. 42/2004 per evidenti ragioni di pubblicità, nonché in caso di mostre ed esposizioni, è soggetto all’autorizzazione ex articolo 48 del Decreto Legislativo n. 42/2004 il prestito per dette attività.[6]

Infine un ultimo sommario accenno va rivolto agli aspetti fiscali del trust di opere d’arte, ed alla convenienza o meno di tale istituto ai fini tributari nel settore dell’arte.

Va osservato che, con le previsioni di cui all’articolo 1, commi 74, 75 e 76 della Legge n. 296 del 2006 (finanziaria 2007) è stato introdotta per la prima volta nel nostro ordinamento una disciplina fiscale per l’istituto del trust. Infatti non esisteva, prima di allora, una normativa specifica che disciplinasse il regime fiscale del trust, per cui era necessario rifarsi alle indicazioni dottrinali e giurisprudenziali, oltreché alla prassi amministrativa. Con le nuove disposizioni viene dunque sancita la soggettività passiva del trust, e riconosciuta ad esso un’autonoma soggettività tributaria, la cui natura può essere quella di ente commerciale o di tipo non commerciale, e si dispone, inoltre, l’attribuzione “per trasparenza” dei redditi conseguiti dal trust ai beneficiari, ponendo la vincolante condizione che questi ultimi risultino individuati. In tal caso i redditi vengono imputati ai beneficiari in proporzione alla quota di partecipazione individuata nell’atto di costituzione del trust o in altri documenti successivi, ovvero, in mancanza, in parti uguali.

Da ciò discende, - anche in virtù di quanto disposto dall’articolo 9 del Decreto Legislativo n. 346/90, il quale prevede, infatti, che si considerano compresi nell’attivo ereditario denaro, gioielli e mobilia per un importo pari al 10% del valore dell’asse ereditario netto (e, cioè, eccedente le eventuali franchigie) anche se non dichiarati o se dichiarati per un importo inferiore -, che in Italia per i collezionisti che detengono le loro opere all’interno di abitazioni private, non è consigliabile, dal punto di vista fiscale, creare strutture complesse, quali trust, fondazioni e quant’altro, per ottimizzare la fiscalità a carico degli eredi. La creazione di tali strutture ha senso unicamente per rispondere alle esigenze, diverse da quelle fiscali, in precedenza evidenziate, quali la conservazione delle opere d’arte all’interno della famiglia a favore delle generazioni future ovvero la loro destinazione a soggetti appositamente individuati ovvero ancora per finalità espositive. Infatti, dal punto di visto fiscale, il trasferimento delle opere d’arte a favore di un trust italiano, formalizzato in Italia durante la vita del collezionista, sconta l’imposta di donazione sempre con le aliquote del 4%, del 6% o dell’8% (a seconda della relazione o meno di parentela o di affinità esistente tra il collezionista e i beneficiari del trust con la applicazione delle relative franchige); aliquote che si applicano  sul valore di mercato delle opere d’arte. Invece, se il collezionista non pianifica la sua successione, al momento del decesso, gli eredi pagheranno l’imposta sulle successioni, con le stesse aliquote, ma solo sul 10% del valore dell’asse ereditario al netto delle franchigie. E così, se in altri Stati i collezionisti privati avvertono spesso, soprattutto ai fini fiscali, la necessità di procedere alla pianificazione successoria delle opere d’arte, ricorrendo alla creazione di trust o ad istituti analoghi, in Italia ciò non conviene, se non, eventualmente, come già evidenziato, per finalità diverse. Questo grazie a una norma tutta italiana che, di fatto, esonera dalla imposizione successoria le opere d’arte che abbiamo un valore superiore al 10% dell’asse ereditario netto, senza applicazioni di sanzioni.

Tale agevolazione nel nostro Paese, che vanta il più cospicuo numero di opere d’arte al mondo, è frutto di consapevole scelta legislativa.[7]

                   

[1] Trust – Unione Professionale Fiduciaria S.p.A. www.unioneprofessionalefiduciaria.it/it/?page_id=7.

[2] FabrizioVedana, Donazione e successione di opere d’arte in Arte e Finanza - Italia Oggi

[3] Mauro Mattei  in www.lamiafinanza.it/Default.aspx?c=83&a=17534 e in www.lamiafinanza.it/Default.aspx?c=83&a=17607

[4] Mauro Mattei in op.cit.

[5] Agenzia delle Entrate, circ. n. 61/E del 27.12.2010

[6] F. Vedana in op. cit.,  cfr. anche Studio n. 5140 della Commissione studi civilistici del C.N.N. del 2.7.2004.

[7] Maria Vittoria Vaccarino, TAXART Pianificare la successione delle opere: in Italia ne vale la pena? in www.exibart.com/notizia.asp?IDNotizia=37784&IDCategoria=237