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Guardiano e trustee: attenzione all’assunzione dell’incarico con disinvoltura

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Sono convinto da tempo, ma non sono il solo a pensarlo, che nei prossimi anni verranno al pettine alcuni nodi legati a una fase in cui si sono cimentati, nella redazione di atti di trust consulenti e professionisti con una preparazione spesso non adeguata all’impegno assunto e con una disinvoltura nel proporre il ricorso a questo strumento decisamente eccessiva.

Le situazioni più clamorose che sono venute alla luce in questi ultimi due, tre anni lo attestano e lo attesta il numero esorbitante di domande di revocatoria, concessa nella quasi totalità dei casi, di atti con i quali venivano apportati beni in trust istituiti in situazioni e con modalità assolutamente incredibili per la “disinvoltura” mostrata.

Bisogna riconoscere, a onor del vero, che, salvo poche eccezioni, la revocatoria non ha travolto anche l’atto in quanto tale, ma solo l’apporto di beni che era stato effettuato, ma ciò non altera il senso della nostra osservazione. Questo però non è un avallo definitivo alla tenuta futura dell’atto istitutivo che, per essere venuto alla luce per lo più all’interno di un contesto familiare a vantaggio dei discendenti del disponente, presentava, in astratto, quei caratteri di meritevolezza che ne giustificavano la creazione, e di rado le sentenze si sono spinte a indagare funditus la tenuta dell’atto.

Nel frattempo la stessa disinvoltura che si rinviene nella redazione di atti, si può osservare anche in chi, con molta leggerezza, accetta di rivestire il ruolo di guardiano o di trustee senza avere chiaro in testa che cosa comportino questi ruoli.

Il compito più facile è, almeno apparentemente, quello del guardiano perché il perimetro del suo intervento è definito nell’atto istitutivo – è noto infatti che alcune leggi non contemplano neppure la figura del guardiano – e si traduce, di norma, nel prestare o meno il proprio consenso in ordine a una serie di atti o all’esercizio di alcuni poteri del trustee la cui disciplina promana dall’atto istitutivo.

Devo peraltro ammettere che anche questa lettura pecca di superficialità perché, se andiamo a esaminare un po' più approfonditamente i poteri del trust, è facile rilevare come, in più di una occasione, nel corso dello svolgimento del suo ufficio, il guardiano si troverà di fronte al non banale problema di decidere se esercitare o meno i poteri conferitigli e in quale direzione esercitarli, con una assunzione di responsabilità tanto più rilevante quanto affidata soprattutto alla sua sensibilità e all’interpretazione dei suoi poteri.

Un’altra situazione non semplice da gestire si può avere quando il trustee non rispetti, quantomeno sotto l’aspetto formale, gli adempimenti cui è tenuto a uniformarsi. In questo caso il guardiano non ha molti poteri a disposizione, oltre a quello di esercitare una pressione sul trustee medesimo, se non quello di revocarlo. Provvedimento che si appalesa sovente troppo drastico anche perché può creare tensioni col disponente che ha scelto il trustee e che magari è soddisfatto del suo operato, ma che rischia di esporre a responsabilità il guardiano che non riesca a farsi imporre al trustee il rispetto dei suoi doveri.

Per il trustee il discorso appare comunque più complesso. Infatti i suoi poteri, e i suoi doveri trovano fondamento in due fonti distinte, la legge regolatrice del trust e l’atto istitutivo con prevalenza di quest’ultimo in caso di contrasto dato che le norme di legge, salvo casi limitatissimi, non sono imperative.

Ora le norme dell’atto istituivo in genere prevedono una serie di obblighi a carico del trustee che nella lettura che generalmente ne viene data da parte di coloro che dovrebbero essere tenuti alla loro osservanza, tendono a essere sottovalutate nella loro specificità e a essere rassomigliate, nell’interpretazione che ne viene data, né più né meno a quanto prevedono le norme interne in tema di mandato e di diligenza del mandatario.

A questo proposito riferisco su un caso che mi si è recentemente presentato e che mi ha fornito lo spunto per queste brevi considerazioni.

Qualche anno fa viene istituito un trust, di impostazione molto classica, in cui il disponente si nomina anche guardiano. Il disponente conferisce nel trust la casa dove abita con il coniuge, riservandosi il diritto di abitazione, e indica come beneficiari finali i tre figli (al tempo e anche ora minori di età) di una sua figlia e con l’intenzione di dotare il fondo ancora di altri beni nel corso degli anni.

Premesso che la destinazione del cespite indicato nel trust non fa sorgere problemi di violazione della legittima rispetto agli altri (due) figli della coppia, viene nominata, in qualità di trustee una trust company gestita da un commercialista che ha creato questa struttura come srl unipersonale.

Prima ancora del perfezionamento del trust, il trustee in pectore richiede al disponente un compenso di 4.000,00 euro all’anno per lo svolgimento del suo compito che, come sopra detto, avrebbe dovuto riguardare anche la gestione di un ulteriore non modesto patrimonio che sarebbe dovuto confluire nel trust. La somma viene accettata con una lettera, sottoscritta dal disponente, diretta non alla società Trustee ma alla persona fisica del titolare della società, contenente un elenco di potenziali spese, peraltro antecedente alla sottoscrizione del Trust in oggetto.

Viene istituito il trust e creato un fondo iniziale di ventimila euro che avrebbe dovuto alimentarsi, nel corso del tempo, con gli affitti di altri immobili o con gli interessi sui depositi che dovevano essere apportati.

Il trustee paga il notaio, si intesta la casa e chiede al disponente l’importo delle somme necessarie al pagamento delle imposte annualmente gravanti sull’immobile. Mantiene contatti non tanto col disponente e guardiano, ma con la di lui figlia, madre delle beneficiarie. Questi contatti avvengono comunque perlopiù in via informale, a mezzo telefono.

Il disponente paga il corrispettivo indicato il primo anno, paga il secondo in misura ridotta (poco più del 50%), senza che vi siano contestazioni da parte del trustee, dopodiché cessa di pagare del tutto. Anche in questo caso non vi sono da parte del trustee atti di messa in mora o simili. È solo nel 2018, dopo circa quattro anni di silenzio, che il trustee richiede il pagamento di quanto maturato a suo vantaggio, pari a circa, secondo i suoi calcoli, a una somma di 25 mila euro calcolata sulla base dell’inziale compenso moltiplicato per il numero di anni di durata dell’incarico.

Nel frattempo le condizioni di salute del disponente-guardiano sono drammaticamente evolute e lo stesso non è più in grado di interfacciarsi, neppure volendo, con il trustee che continua a rapportarsi con la madre dei beneficiari che, dal canto suo non è disponibile (perché non può o non vuole) pagare la somma richiesta.

La controversia viene portata davanti a un conciliatore come previsto dall’atto istitutivo, oltre che imposto dalla legge, e in questi giorni dovrebbe raggiungersi un componimento transattivo della vertenza insorta sulla base di un ridimensionamento sostanziale delle pretese del trustee.

Questo è stato possibile in quanto è stato fatto constatare come la condotta dello stesso si sia rivelata particolarmente carente e soprattutto ben al di sotto di quello standard di diligenza richiesto dalla legge regolatrice. Dal modo in cui si è condotto sembra che il trustee abbia assunto questo incarico non solo senza avere conoscenza della legge istituiva (Jersey), ma neppure delle normali regole che si seguono nella gestione di un mandato.

Tralasciando in questa sede le possibili contestazioni che potevano sollevarsi in relazione al diritto interno (mancanza di un preventivo; eccezione di prescrizione (triennale) per i compensi del trustee); dal punto di vista del rispetto della legge regolatrice, il trustee,

A. non ha rispettato, più in generale, le previsioni della s.21 della legge regolatrice “Doveri del trustee “in quanto:

non ha agito con la dovuta diligenza. Infatti:

  • non ha curato la tenuta dei libri contabili;
  • non ha provveduto a individuare e ad apprendere i beni in trust. Primo obbligo del trustee infatti è quello di accertarsi della reale consistenza dei beni e di tenerli separati dai propri o da altri di cui si abbia la disponibilità. Appare chiaro che così il trustee non ha provveduto a fare perché, a parte la casa, non ha versato nel fondo le somme che sono indicate nello scambio di lettere depositato da parte istante e che del fondo facevano parte, ovvero non ha preteso che vi venissero versate;
  • non ha tenuto l’inventario dei beni (si trattava solo di un immobile, ma erano state depositate anche delle somme di denaro);
  • non ha adempiuto all’onere del rendiconto annuale;
  • non ha provveduto a attivare il registro degli eventi (la cui tenuta è prevista dall’atto istitutivo) sul quale avrebbe potuto far constare la situazione di cui ora si duole;
  • non si è relazionato col Guardiano anche quando questi non lamentava i problemi che ora lo affliggono;
  • non ha osservato la massima buona fede perché, quando ha visto che il corrispettivo richiesto è stato, prima notevolmente decurtato e poi non più pagato, avrebbe potuto o
    1. dimettersi;
    2. significare formalmente la cosa al guardiano e darne evidenza nel libro degli eventi;
    3. adire il giudice richiedendo un provvedimento che lo aiutasse a orientarsi nell’esercizio della sua discrezionalità. Al contrario, con il suo comportamento ha contribuito ad aggravare la posizione debitoria del trust a suo esclusivo vantaggio determinando un incremento delle sue pretese;
    4. agire tempestivamente per richiedere subito quanto a suo dire dovutogli.

B. Inoltre,

  • ha agito in conflitto di interessi. Infatti mentre dovere primo del trustee è quello di tutelare l’interesse dei beneficiari, oltretutto minori, il fatto di aver atteso per un così lungo periodo, prima di rivendicare le sue contestate pretese, ha fatto sì che queste si incrementassero in modo ingiustificato a scapito dei beneficiari medesimi.
  • Non ha pertanto agito nell’esclusivo interesse dei beneficiari perché, nel contrasto fra l’interesse di questi e il suo avrebbe dovuto privilegiare i primi.
  • Al tempo stesso la sua condotta (inerte per diversi anni) è stata oggettivamente idonea a procurargli un utile personale.

Quanto al diritto al compenso del trustee (s.26, 1° della legge di Jersey sul trust)

In linea di principio si ritiene invece che al trustee spetti un compenso anche laddove si dovesse ritenere che l’accordo intervenuto non dovesse per qualsiasi motivo esser ritenuto valido.

Il riferimento normativo contenuto nella legge regolatrice prevede, infatti, che “laddove l’atto istitutivo taccia sul compenso [e in questo caso tace sulla misura di esso], un trustee professionale ha diritto a un ragionevole compenso per i servizi che esso fornisce…”.

Ora possiamo dire che, indipendentemente dal difetto di professionalità dimostrato, il trustee possa esser riconosciuto come trustee professionale in quanto si configura come una srl avente per oggetto lo svolgimento di questa attività (di trustee). D’altro canto, i servizi prestati dal trustee erano insignificanti in quanto consistenti nella predisposizione della denuncia dei redditi e comunque tali da non giustificare la somma ora pretesa e definita sul presupposto di un più consistente lavoro da svolgere.

Fra l’altro, il trustee non si è mai neppure premurato, in questi anni, di verificare le condizioni dell’immobile, né ha stipulato una polizza assicurativa, esponendo così i beneficiari a un rischio rilevante, sia sotto il profilo della responsabilità civile, sia per i danni che avrebbero potuto prodursi all’interno dell’appartamento.

Concludendo, al di là dei termini dell’accordo che potrà essere raggiunto, questa situazione induce a far riflettere sulla improvvisazione e la superficialità con cui sono assunti certi incarichi perché si trascura quasi costantemente, da parte di chi si improvvisa in questi ruoli, di considerare che la condotta del trustee deve essere diretta all’assolvimento dei compiti e di quelle attività indicate nell’atto istitutivo (gestione del fondo in trust, distribuzione ai beneficiari ecc.), ma al tempo stesso improntata al rispetto delle norme della legge regolatrice che ne disciplinano il comportamento e ne regolano la responsabilità.

Inoltre non si deve dimenticare che fare ricorso a una legge straniera non significa soltanto rispettare le disposizioni di questa, ma applicarla col corredo della giurisprudenza che è stata elaborata nel paese di origine e che non ci si può permettere di ignorare assumendo che si possa invece interpretarla facendo riferimento alle pronunce dei nostri tribunali su istituti analoghi a quelli stranieri.