Le fondazioni di famiglia: inquadramento dell’istituto
Le fondazioni di famiglia: inquadramento dell’istituto
Il regime delle fondazioni trova spazio, all’interno del codice civile, nel Libro I, titolo II, capo II, recante “Delle associazioni e delle fondazioni”.
Prima di procedere all’analisi del tema oggetto di trattazione, appare opportuno introdurre la definizione di “fondazione”. Nello specifico, la fondazione è un complesso di beni destinati al perseguimento di uno specifico scopo. Il soggetto fondatore la costituisce mediante atto pubblico o testamento (art. 14 c.c.). Uno degli elementi di maggior rilievo attiene alla personalità giuridica di diritto privato, che la fondazione acquisisce attraverso apposita iscrizione nel registro delle persone giuridiche. In virtù di ciò, si caratterizza come un autonomo centro soggettivo di imputazione di rapporti giuridici. Nonostante il silenzio del codice civile rispetto allo scopo, la dottrina è arrivata, ormai da tempo, ad affermare che non è possibile, per questo tipo di ente, perseguire finalità lucrative, almeno per quanto attiene alla distribuzione degli utili. Nello specifico, la fondazione di famiglia può essere identificata come la crasi tra la disciplina della fondazione in senso ampio e la dimensione strettamente individuale e personale dell’istituto. Le modalità di costituzione della fondazione di famiglia seguono il dispositivo contenuto nell’articolo 16 c.c., valente anche per la costituzione della fondazione in generale. L’articolo recita che “L'atto costitutivo e lo statuto devono contenere la denominazione dell'ente, l'indicazione dello scopo, del patrimonio e della sede, nonché le norme sull'ordinamento e sull'amministrazione. Devono anche determinare, quando trattasi di associazioni, i diritti e gli obblighi degli associati e le condizioni della loro ammissione; e, quando trattasi di fondazioni, i criteri e le modalità di erogazione delle rendite (…)”. Nonostante il codice civile non contenga un copioso spettro di norme rispetto al tema, appare opportuno ricordare al lettore il contenuto degli articoli 26 e 28 c.c. Il primo asserisce che “L'autorità governativa può disporre il coordinamento dell'attività di più fondazioni ovvero l'unificazione della loro amministrazione, rispettando, per quanto è possibile, la volontà del fondatore”. Il secondo, invece, afferma che “(…) Le disposizioni del primo comma di questo articolo e dell'articolo 26 non si applicano alle fondazioni destinate a vantaggio soltanto di una o più famiglie determinate”. In linea generale, le fondazioni di famiglia trovano la loro ragion d’essere al ricorrere di due specifiche condizioni: da un lato la persecuzione di fini di pubblico interesse, dall’altro il vantaggio a favore di una o più famiglie determinate. Rispetto alla disciplina del credito, assume particolare rilevanza la c.d. segregazione patrimoniale, ossia la preclusione di una parte di patrimonio alla eventuale aggressione dei creditori, purché il diritto non sia sorto in dipendenza dello scopo perseguito dall’ente. Quest’ultima condizione ha estremo rilievo e porta alla necessità, per il soggetto che voglia costituire una fondazione, di procedere alla suddetta costituzione solo al momento in cui non risultino aperte delle situazioni debitorie poiché, in caso contrario, si incorrerebbe nel rischio di realizzare una truffa ai danni dei creditori. Per quanto attiene, invece, il regime fiscale, la fondazione di famiglia, giuridicamente, non è un ente commerciale e, pertanto, è soggetta al TUIR (Testo Unico delle Imposte sui redditi). Volendo fornire un inquadramento complessivo dell’istituto, appare opportuno sottolineare una ulteriore differenziazione: da una parte la c.d. fondazione di famiglia revocabile (che si caratterizza per un regime fiscale particolarmente flessibile), dall’altra la fondazione irrevocabile. Quest’ultima può essere accompagnata o meno da una clausola beneficiaria fissa. In mancanza, il fondatore ben potrebbe decidere, nel corso della sua attività di gestione, di ampliare la cerchia dei soggetti destinatari dei benefici. In quest’ultima fattispecie, non rilevano significative modifiche della disciplina fiscale che resta, essenzialmente, la stessa. Un ultimo accenno è rivolto, infine, alle fondazioni di famiglia all’estero. Non di rado, infatti, la sede legale che viene scelta dal fondatore si trova in un altro Paese europeo e si è riscontrata, nel tempo, la preferenza di Paesi considerati paradisi fiscali (come, ad esempio, la Svizzera, il Liechtenstein o il Lussemburgo). Se da un lato le ragioni di opportunità che incentivano tale scelta sono ben visibili, sulla base degli evidenti vantaggi sussistenti, dall’altro si pone la necessità di individuare il regime di tassazione applicabile. Sul tema, l’Agenzia delle Entrate è intervenuta con due pareri di grande rilevanza, prendendo le mosse da due casi a lei sottoposti sulle due relative Fondazioni di famiglia costituite in Liechtenstein.
Nello specifico, il primo caso riguarda la risposta n. 473 del 7 novembre 2019, con la quale l’Agenzia ha analizzato l’istituto delle c.d. “Familienstiftung”, ossia le fondazioni di famiglia in cui redditi e patrimonio sono utilizzabili per il mantenimento e l’istruzione dei componenti stessi della famiglia. Dalla loro costituzione, viene a crearsi un’autonomia patrimoniale perfetta tra il fondatore e la fondazione. Tuttavia, tale divisione risulta essere meramente apparente perché il fondatore, assumendo la veste di beneficiario, continua a godere dei redditi e del patrimonio. Dunque, è emersa l’estrema necessità di chiarire, per questo tipo di Fondazione, se si trattasse o meno di un veicolo fittiziamente interposto o se si configurasse un diverso soggetto di diritto. Il secondo parere, invece, riposa nella risposta ad interpello n. 9/2022, riguardante una Fondazione di famiglia estera costituita secondo il diritto del Principato. La Fondazione del caso di specie chiedeva, all’Agenzia, se la stessa dovesse considerarsi soggetto interposto rispetto ai potenziali Beneficiari e se, in caso di risposta affermativa, dovesse considerarsi un istituto simile al trust opaco, sulla base della normativa fiscale italiana. Si ricordi che per “trust opaco” si intende quell’istituto in cui il diritto di percepire i beni derivati dal trust non sussiste, ma c’è comunque discrezionalità da parte del trustee nell’effettuare l’attribuzione del reddito. Orbene, non sarà questa la sede di approfondimento di una questione tanto complessa quanto suggestiva. Ciò che appare innegabile è l’inevitabile riverbero dell’istituto estero sia sulle c.d. imposte dirette sia su quelle indirette di successione o, ancora, sulle donazioni.
In conclusione, si può senz’altro affermare che la materia sin qui trattata propone diversi spunti di riflessione che necessitano di un doveroso e costante approfondimento. Resta, tuttavia, l’efficacia di un istituto utile per la gestione e la difesa del patrimonio.