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Errata diagnosi: quale danno risarcibile?

Nota a Corte di Cassazione - Sezione Terza Civile, Sentenza 18 dicembre 2006 - 24 gennaio 2007, n. 1511
Il casus decisus

Il medico diagnostica al malato un carcinoma schneideriano in luogo di un papilloma transizionale, prescrivendo pertanto la relativa terapia sulla base dell’errata diagnosi di base.

Il paziente si rivolge al tribunale, fondando la domanda risarcitoria a titolo di colpa professionale sull’errore diagnostico e la conseguente terapia inadeguata.

Il giudice qualifica la domanda di responsabilità nei confronti sia del medico sia dell’Asl ex articolo 2236 Cc, quale responsabilità del prestatore d’opera, ed il ricorrente non si oppone.

Il paziente propone una specifica domanda di autonomo risarcimento del danno morale. E alla mancata pronuncia sul punto del giudice d’appello dedica uno dei motivi del ricorso per cassazione: l’unico accolto dai giudici di legittimità.

Decisum

“Poiché l’intervento del medico riguarda non tanto o non solo la fisicità del soggetto ma la persona nella sua integrità (si cura non la malattia ma il malato), è ragionevole ritenere che eventuali errori diagnostici compromettano, oltre alla salute fisica, l’equilibrio psichico della persona, specie se l’errore come nel caso di specie riguarda la diagnosi di malattie assai gravi e comunque in grado di pregiudicare grandemente la serenità del paziente per le sue prospettive infauste e quindi ansiogene.”

Errore diagnostico e danno risarcibile

Quid juris di fronte all’errore del medico che effettua una diagnosi sbagliata quale lesione si configura in capo al paziente?

Qual è la conseguenza diretta ed immediata (ex art. 1223 cc) ricollegabile all’errore del sanitario? E tali conseguenze devono essere colorate dal requisito dell’ingiustizia ex art. 2043, ovvero l’errore costituisce già inadempimento della complessa prestazione professionale in capo al medico?

Ancora può ottenersi risarcimento per danno non patrimoniale scaturente da un rapporto contrattuale?

A questi quesiti cercheremo di dare una breve risposta alla luce della recente sentenza della Cassazione Sezione terza civile – sentenza 18 dicembre 2006-24 gennaio 2007, n. 1511.

Gli argomenti di Cassazione Sezione terza civile – sentenza n. 1511/2007

A fronte dell’errore diagnostico il giudice deve accertare se la terapia consigliata sia stata totalmente inutile, ed in secondo luogo verificare se da essa sono scaturite conseguenze psico-fisiche, quale danno biologico, eziologicamente riconducili all’errata diagnosi.

Sul punto la Corte fiorentina ha preso le mosse dagli accertamento della C.T.U. collegiale svolta in grado di appello, sostanzialmente conforme alle conclusioni della C.T.U. monocratica effettuata in prime cure, in cui si premetteva l’obiettiva difficoltà nel caso sottoposto e le atipie cellulari rinvenibili nel caso di specie potevano far sorgere il sospetto di un’iniziale trasformazione maligna che ben si accordava con il quadro clinico evidenziato.

La C.T.U. conclude che in effetti vi è stato da parte dell’anatomopatologo di Firenze un errore nella formulazione istodiagnostica, avendo scambiato per un carcinoma schneideriano quello che era invece un papilloma transizionale.

Tuttavia tale errore non ha assolutamente inciso sulla scelta del trattamento terapeutico da attuare. L’unico trattamento idoneo e utile era quello radioterapico, quale in effetti è stato eseguito, permettendo di giungere alla guarigione con la totale regressione della neoplasia.

Sul punto l’analisi eziologica fatta dai giudici di merito secondo cui “malgrado l’errore diagnostico (comunque in presenza di una patologia facilmente equivocabile) tale errore non incise sulla scelta del trattamento terapeutico”, poiché ‘l’unica terapia idonea ed utile (cosi come nel carcinoma transizionale) è infatti quella radioterapica, quale in effetti fu eseguita, peraltro con pieno successo”convince la Cassazione, escludendo pertanto qualsiasi danno biologico, quale conseguenza dell’errore diagnostico.

Nella CTU si evidenzia tuttavia che l’errore diagnostico ha imposto un approccio terapeutico con criterio di urgenza, senza di fatto lasciare scelte alternative al paziente, il quale avrebbe anche eventualmente potuto decidere di programmare il trattamento radioterapico al momento in cui fosse comparsa la recidiva.

Sulla base di quanto sopra detto possiamo dare risposta al primo quesito: l’errore diagnostico determina una prima conseguenza in capo al paziente negandogli una libera scelta terapeutica, di fatto inibendo il diritto all’autodeterminazione ex art 2-32 Cost.

Sul punto la Corte ritiene il motivo è inammissibile e mal posta. Il paziente infatti riteneva che l’errata diagnosi era causa efficiente di un grave deficit informativo e quindi, ledeva il principio di autodeterminazione alla scelta terapeutica, in via libera e consenziente.

La Cassazione sottolinea che “il difetto di informazione assume un ruolo decisivo quando il medico fa una diagnosi esatta e consiglia la giusta terapia, ma tuttavia non informa il paziente che essa può non avere successo ed anzi produrre effetti indesiderati, in sostanza assumendosi il rischio di tali effetti, anziché farlo assumere al paziente”; inoltre nella situazione concreta non è lesa la liberta di autodeterminazione perché la terapia eseguita era l’unica idonea secondo la scienza medica.

Sul punto ci sia consentito dissentire dalle conclusioni della Suprema Corte. Se infatti la libertà di autodeterminazione è un diritto costituzionalmente tutelato, risarcibile ex se secondo l’insegnamento di Cassazione n. 8827/2003 e Corte Costituzionale 223/2003, tale lesione dovrà essere risarcita quando di fatto l’errore del medico ha inibito una reale conoscenza della situazione concreta e una cosciente presa di posizione del malato.

Forzate sembrano le argomentazioni della Cassazione quando ritiene che la terapia posta in essere sia l’unica idonea.

Così ragionando si nega reale valore e tutela alla libertà di autodeterminarsi che resta solo una enunciazione di principio.

Per quanto riguarda l’inquadramento del tipo di responsabilità è pacifico il ricorso alla responsabilità da inadempimento contrattuale ex art. 1218 cc, qualificando il rapporto tra paziente e medico quale contratto di prestazione d’opera ex art. 2236 cc.

Risulta agevolata la posizione processuale del paziente che non dovrà dimostrare l’ingiustizia del danno subito ma l’inadempimento del medico. Sul punto tuttavia non c’è concordanza di opinioni sulla natura della prestazione del medico.

Da un lato si intende l’inadempimento del medico quale il mancato raggiungimento dello scopo. Pertanto se c’è stato errore diagnostico, ma guarigione del paziente, non c’è danno. Questa è la tesi cui accede la sentenza in commento.

Tuttavia bisogna sottolineare che altri interpreti scindono l’obbligazione medica in diverse prestazione che, in forza della natura particolare dell’attività medica e sulla base dei valori primari sottesi, sono caratterizzate da natura autonoma. In tale opzione ermeneutica l’errore diagnostico costituisce inadempimento risarcibile ex art. 1218 cc, a prescindere dall’effettiva guarigione del paziente.

Tale tesi ci sembra più corretta, volta ad una reale tutela del paziente. “Si cura non la malattia ma il malato” afferma sibillianamente la Cassazione in commento.

Da ultimo la corte riconosce il risarcimento del danno non patrimoniale al paziente quale conseguenza dell’errore diagnostico. Per tale posta di danno, secondo i giudici supremi, non vale il ragionamento svolto per quanto riguarda la mancanza del nesso eziologico per i danni conseguenza di carattere biologico.

Sulla base di regole di esperienza la corte afferma che “è ragionevole ritenere che eventuali errori diagnostici compromettano, oltre alla salute fisica, l’equilibrio psichico della persona, specie se l’errore come nel caso di specie riguarda la diagnosi di malattie assai gravi e comunque in grado di pregiudicare grandemente la serenità del paziente per le sue prospettive infauste e quindi ansiogene.”

Il casus decisus

Il medico diagnostica al malato un carcinoma schneideriano in luogo di un papilloma transizionale, prescrivendo pertanto la relativa terapia sulla base dell’errata diagnosi di base.

Il paziente si rivolge al tribunale, fondando la domanda risarcitoria a titolo di colpa professionale sull’errore diagnostico e la conseguente terapia inadeguata.

Il giudice qualifica la domanda di responsabilità nei confronti sia del medico sia dell’Asl ex articolo 2236 Cc, quale responsabilità del prestatore d’opera, ed il ricorrente non si oppone.

Il paziente propone una specifica domanda di autonomo risarcimento del danno morale. E alla mancata pronuncia sul punto del giudice d’appello dedica uno dei motivi del ricorso per cassazione: l’unico accolto dai giudici di legittimità.

Decisum

“Poiché l’intervento del medico riguarda non tanto o non solo la fisicità del soggetto ma la persona nella sua integrità (si cura non la malattia ma il malato), è ragionevole ritenere che eventuali errori diagnostici compromettano, oltre alla salute fisica, l’equilibrio psichico della persona, specie se l’errore come nel caso di specie riguarda la diagnosi di malattie assai gravi e comunque in grado di pregiudicare grandemente la serenità del paziente per le sue prospettive infauste e quindi ansiogene.”

Errore diagnostico e danno risarcibile

Quid juris di fronte all’errore del medico che effettua una diagnosi sbagliata quale lesione si configura in capo al paziente?

Qual è la conseguenza diretta ed immediata (ex art. 1223 cc) ricollegabile all’errore del sanitario? E tali conseguenze devono essere colorate dal requisito dell’ingiustizia ex art. 2043, ovvero l’errore costituisce già inadempimento della complessa prestazione professionale in capo al medico?

Ancora può ottenersi risarcimento per danno non patrimoniale scaturente da un rapporto contrattuale?

A questi quesiti cercheremo di dare una breve risposta alla luce della recente sentenza della Cassazione Sezione terza civile – sentenza 18 dicembre 2006-24 gennaio 2007, n. 1511.

Gli argomenti di Cassazione Sezione terza civile – sentenza n. 1511/2007

A fronte dell’errore diagnostico il giudice deve accertare se la terapia consigliata sia stata totalmente inutile, ed in secondo luogo verificare se da essa sono scaturite conseguenze psico-fisiche, quale danno biologico, eziologicamente riconducili all’errata diagnosi.

Sul punto la Corte fiorentina ha preso le mosse dagli accertamento della C.T.U. collegiale svolta in grado di appello, sostanzialmente conforme alle conclusioni della C.T.U. monocratica effettuata in prime cure, in cui si premetteva l’obiettiva difficoltà nel caso sottoposto e le atipie cellulari rinvenibili nel caso di specie potevano far sorgere il sospetto di un’iniziale trasformazione maligna che ben si accordava con il quadro clinico evidenziato.

La C.T.U. conclude che in effetti vi è stato da parte dell’anatomopatologo di Firenze un errore nella formulazione istodiagnostica, avendo scambiato per un carcinoma schneideriano quello che era invece un papilloma transizionale.

Tuttavia tale errore non ha assolutamente inciso sulla scelta del trattamento terapeutico da attuare. L’unico trattamento idoneo e utile era quello radioterapico, quale in effetti è stato eseguito, permettendo di giungere alla guarigione con la totale regressione della neoplasia.

Sul punto l’analisi eziologica fatta dai giudici di merito secondo cui “malgrado l’errore diagnostico (comunque in presenza di una patologia facilmente equivocabile) tale errore non incise sulla scelta del trattamento terapeutico”, poiché ‘l’unica terapia idonea ed utile (cosi come nel carcinoma transizionale) è infatti quella radioterapica, quale in effetti fu eseguita, peraltro con pieno successo”convince la Cassazione, escludendo pertanto qualsiasi danno biologico, quale conseguenza dell’errore diagnostico.

Nella CTU si evidenzia tuttavia che l’errore diagnostico ha imposto un approccio terapeutico con criterio di urgenza, senza di fatto lasciare scelte alternative al paziente, il quale avrebbe anche eventualmente potuto decidere di programmare il trattamento radioterapico al momento in cui fosse comparsa la recidiva.

Sulla base di quanto sopra detto possiamo dare risposta al primo quesito: l’errore diagnostico determina una prima conseguenza in capo al paziente negandogli una libera scelta terapeutica, di fatto inibendo il diritto all’autodeterminazione ex art 2-32 Cost.

Sul punto la Corte ritiene il motivo è inammissibile e mal posta. Il paziente infatti riteneva che l’errata diagnosi era causa efficiente di un grave deficit informativo e quindi, ledeva il principio di autodeterminazione alla scelta terapeutica, in via libera e consenziente.

La Cassazione sottolinea che “il difetto di informazione assume un ruolo decisivo quando il medico fa una diagnosi esatta e consiglia la giusta terapia, ma tuttavia non informa il paziente che essa può non avere successo ed anzi produrre effetti indesiderati, in sostanza assumendosi il rischio di tali effetti, anziché farlo assumere al paziente”; inoltre nella situazione concreta non è lesa la liberta di autodeterminazione perché la terapia eseguita era l’unica idonea secondo la scienza medica.

Sul punto ci sia consentito dissentire dalle conclusioni della Suprema Corte. Se infatti la libertà di autodeterminazione è un diritto costituzionalmente tutelato, risarcibile ex se secondo l’insegnamento di Cassazione n. 8827/2003 e Corte Costituzionale 223/2003, tale lesione dovrà essere risarcita quando di fatto l’errore del medico ha inibito una reale conoscenza della situazione concreta e una cosciente presa di posizione del malato.

Forzate sembrano le argomentazioni della Cassazione quando ritiene che la terapia posta in essere sia l’unica idonea.

Così ragionando si nega reale valore e tutela alla libertà di autodeterminarsi che resta solo una enunciazione di principio.

Per quanto riguarda l’inquadramento del tipo di responsabilità è pacifico il ricorso alla responsabilità da inadempimento contrattuale ex art. 1218 cc, qualificando il rapporto tra paziente e medico quale contratto di prestazione d’opera ex art. 2236 cc.

Risulta agevolata la posizione processuale del paziente che non dovrà dimostrare l’ingiustizia del danno subito ma l’inadempimento del medico. Sul punto tuttavia non c’è concordanza di opinioni sulla natura della prestazione del medico.

Da un lato si intende l’inadempimento del medico quale il mancato raggiungimento dello scopo. Pertanto se c’è stato errore diagnostico, ma guarigione del paziente, non c’è danno. Questa è la tesi cui accede la sentenza in commento.

Tuttavia bisogna sottolineare che altri interpreti scindono l’obbligazione medica in diverse prestazione che, in forza della natura particolare dell’attività medica e sulla base dei valori primari sottesi, sono caratterizzate da natura autonoma. In tale opzione ermeneutica l’errore diagnostico costituisce inadempimento risarcibile ex art. 1218 cc, a prescindere dall’effettiva guarigione del paziente.

Tale tesi ci sembra più corretta, volta ad una reale tutela del paziente. “Si cura non la malattia ma il malato” afferma sibillianamente la Cassazione in commento.

Da ultimo la corte riconosce il risarcimento del danno non patrimoniale al paziente quale conseguenza dell’errore diagnostico. Per tale posta di danno, secondo i giudici supremi, non vale il ragionamento svolto per quanto riguarda la mancanza del nesso eziologico per i danni conseguenza di carattere biologico.

Sulla base di regole di esperienza la corte afferma che “è ragionevole ritenere che eventuali errori diagnostici compromettano, oltre alla salute fisica, l’equilibrio psichico della persona, specie se l’errore come nel caso di specie riguarda la diagnosi di malattie assai gravi e comunque in grado di pregiudicare grandemente la serenità del paziente per le sue prospettive infauste e quindi ansiogene.”