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Fondi pensione come strumenti di previdenza complementare: sequestrabili penalmente o no?

Prospettive
Ph. Linda Traversi / Prospettive

Indice:

1. Il sequestro della somma del fondo pensione e il motivo del ricorso per cassazione

2. Esito del ricorso: al fondo pensione non si applica l’articolo 545 Codice Procedura Civile

3. Fondi pensione e previdenza complementare

4. Le tutele normative riservate alla previdenza complementare

5. Riflessioni conclusive sulla sequestrabilità dei fondi pensione

 

1. Il sequestro della somma del fondo pensione e il motivo del ricorso per cassazione

Il giudice per le indagini preliminari (di seguito GIP) del Tribunale di Palermo ha emesso un decreto di sequestro preventivo nei confronti di due soggetti accusati di avere commesso reati tributari, tra i quali anche l’emissione di fatture per operazioni inesistenti (articolo 2, Decreto Legislativo 74/2000).

Tra i beni sottoposti a sequestro in vista della confisca di un importo equivalente all’imposta evasa era compresa una somma giacente presso un fondo pensione gestito da una società assicurativa. Uno dei due indagati ha presentato istanza di riesame al Tribunale competente ma l’esito è stato negativo. Il suo difensore ha fatto ricorso per cassazione contro il provvedimento di rigetto.

Interessa qui approfondire uno specifico motivo del ricorso. Esso è fondato sull’assunto secondo il quale l’importo sequestrato presso la società assicurativa, frutto di un piano di accumulo per la costituzione di un fondo pensione, non è sequestrabile e confiscabile data la sua finalità previdenziale.

 

2. Esito del ricorso: al fondo pensione non si applica l’articolo 545 Codice Procedura Civile

Con sentenza n. 13660/2020 (Terza Sezione Penale), il giudice di legittimità ha rigettato il ricorso per infondatezza.

La prima parte della motivazione elenca le norme rilevanti per la soluzione del quesito, individuate nell’articolo 545 Codice Procedura Civile (rubricato “Crediti impignorabili”), nell’articolo 11, comma 10, Decreto Legislativo 252/2005 (è il testo normativo che disciplina in generale le forme pensionistiche complementari) e nell’articolo 1923 Codice Civile (rubricato “Diritti dei creditori e degli eredi”) il quale vieta di sottoporre ad azioni esecutive o cautelari le somme dovute dall’assicuratore al contraente o al beneficiario.

La parte immediatamente successiva prende in rassegna i riferimenti giurisprudenziali utilizzati dal ricorrente a sostegno della sua tesi.

Il primo di essi è la sentenza n. 8271/2008 delle Sezioni unite civili della Cassazione. Tale decisione chiarì che, a fronte del fallimento personale di un soggetto che avesse stipulato un’assicurazione sulla vita mentre era in bonis, il curatore fallimentare non era legittimato a chiedere alla società assicurativa il valore di riscatto della polizza al momento del fallimento. Ciò perché il relativo importo era impignorabile ai sensi dell’articolo 1923 Codice Civile ed il contratto assicurativo aveva una funzione previdenziale.

Il collegio di legittimità ha escluso l’esportabilità del principio al caso oggetto del ricorso, dato il rilievo esclusivamente civilistico delle questioni dibattute.

Ha poi preso in considerazione la ben più recente sentenza n. 13422/2019 della sesta sezione penale della Cassazione. La decisione appena menzionata ha ribadito che anche al sequestro preventivo penale si applicano i limiti sanciti da norme speciali in tema di pignorabilità e sequestrabilità di somme derivanti da trattamenti retributivi e pensionistici e il limite all’impignorabilità stabilito dal testo vigente dell’articolo 545 Codice Procedura Civile, trattandosi di vincoli posti a tutela dei diritti inalienabili e inviolabili della persona e a garanzia del cosiddetto minimo vitale (espressione usata dalla Corte costituzionale già nella sentenza n. 97/1968 come sinonimo dei “mezzi che appaiono indispensabili alle fondamentali esigenze dell’uomo” ma anche di quei “redditi tanto modesti da essere appena sufficienti a soddisfare i bisogni elementari della vita”).

Il collegio ha rilevato che l’applicabilità al sequestro preventivo penale dei limiti posti dal citato articolo 545 Codice Procedura Civile è sostenuta dalla prevalente giurisprudenza di legittimità e che tale indirizzo merita di essere condiviso poiché conforme al senso profondo dell’articolo 2 Costituzione. Ha escluso per ciò stesso l’applicabilità del contrapposto indirizzo, espresso, tra le altre, da Cass. pen. sez. III, sentenza n. 42533/2017, secondo il quale il divieto, posto dall’articolo 545 Codice Procedura Civile, di pignoramento delle somme percepite a titolo di credito retributivo o pensionistico in misura eccedente il quinto del loro importo non opera più quando le somme siano già state corrisposte all’avente diritto e si trovino oramai confuse con il suo restante patrimonio mobiliare.

Fatta questa premessa, i giudici di legittimità hanno tuttavia escluso che il caso concreto posto alla loro attenzione sia disciplinato dall’articolo 545 più volte citato. Hanno infatti ritenuto che i crediti derivanti da fondi pensione ad accumulo non siano compresi nella nozione di “corrispettivo di rapporto lavorativo oggetto di accantonamento”, “neppure nel caso in cui essi siano stati versati, almeno in parte, dallo stesso datore di lavoro per conto dei propri dipendenti”.

Se è vero, infatti, che si tratta di “strumenti finanziari aventi una finalità riconducibile al genus previdenziale”, è altrettanto vero che “proprio la qualificazione attribuita ad essi di strumenti per la previdenza complementare, induce ad escludere che, pur ritenuta la piena meritevolezza dell’interesse che sottende alla stipula di accordi di tale genere fra privato ed assicuratore (meritevolezza, peraltro, indubbiamente attestata dalla specifica tipicità attribuita per via legislativa a tali forme contrattuali di previdenza ed a taluni privilegi ad esse connessi), essi vadano a integrare, arricchendolo e non costituendolo, quel nucleo essenziale di prestazioni che è soggetto a espressa garanzia di intangibilità sia sotto il profilo civile che sotto quello penale”.

Nella parte conclusiva della motivazione, il collegio ha precisato che gli strumenti finanziari compresi nella categoria dei fondi pensione sono assimilabili alle assicurazioni sulla vita e, constatata l’esistenza di un indirizzo interpretativo (espresso, tra le altre, da Cass. pen., sez. III, sentenza n. 11945/2017) che ritiene legittimo il sequestro preventivo penale finalizzato alla confisca del controvalore di tali assicurazioni, ha considerato ugualmente legittimo il sequestro dei fondi pensione.

È stato conseguenziale il rigetto del ricorso.

 

3. Fondi pensione e previdenza complementare

I fondi pensione sono strumenti di risparmio, tendenzialmente di lunga durata, che servono essenzialmente a costituire o integrare il trattamento pensionistico del sottoscrittore.

Se ne distinguono tre tipologie: i fondi pensione aperti ai quali tutti possono accedere, compresi gli individui privi di occupazione o fiscalmente a carico di altri; i piani individuali pensionistici, configurati formalmente come contratti di assicurazione sulla vita ma equiparati ad ogni effetto di legge ai fondi pensione; i fondi pensione chiusi, accessibili solo a determinate categorie di lavoratori e istituiti da accordi o contratti collettivi.

La chiara finalità previdenziale dei fondi pensione comporta la loro appartenenza al sistema della previdenza complementare.

Si intende per tale[1]una forma di previdenza che si aggiunge a quella obbligatoria ma non la sostituisce. È fondata su un sistema di finanziamento a capitalizzazione. Per ogni iscritto viene creato un conto individuale nel quale affluiscono i versamenti che vengono poi investiti nel mercato finanziario da gestori specializzati (in azioni, titoli di Stato, titoli obbligazionari, quote di fondi comuni di investimento ecc.) e che producono, nel tempo, rendimenti variabili in funzione dell’andamento dei mercati e delle scelte di gestione”. “Tutti possono aderire volontariamente a una forma pensionistica complementare per costruirsi una rendita pensionistica. La previdenza complementare, infatti, interessa i dipendenti pubblici e privati, i lavoratori autonomi, i liberi professionisti, i soci di cooperative, i cittadini titolari di redditi diversi da quelli da lavoro e i familiari a carico dei lavoratori”. “Il regime fiscale dei fondi pensione prevede vantaggi, assenti negli altri tipi di risparmio: nelle tre fasi del rapporto previdenziale: Nella fase di contribuzione. I contributi versati alle forme pensionistiche complementari sono deducibili dal reddito complessivo fino ad un limite massimo fissato dalla legge. Ricordiamo, tuttavia, che la deduzione non rappresenta un’esenzione definitiva dall’imposizione fiscale, ma solo un rinvio della stessa a quando si percepiranno le prestazioni. Nella fase dei rendimenti. I rendimenti che si maturano anno per anno sono soggetti a un’imposta sostitutiva con aliquota più bassa rispetto a gran parte delle altre forme di risparmio. Nella fase delle prestazioni. Le prestazioni, per la parte che non è stata già tassata durante la fase di accumulo, sono soggette a un’imposizione fiscale con un’aliquota che si riduce al crescere degli anni di partecipazione al fondo pensione per quelle erogate ai lavoratori del settore privato. Per i dipendenti pubblici, opera la tassazione ordinaria sulle rendite e quella separata sulla prestazione in capitale”.

 

4. Le tutele normative riservate alla previdenza complementare

Nei paragrafi 2 e 3 si è anticipato qualche riferimento, attraverso la riassunzione delle argomentazioni della sentenza commentata e la scheda INPS, alle tutele che l’ordinamento appresta agli strumenti della previdenza complementare. Essi godono anzitutto di una fiscalità di vantaggio.

La maggiore protezione deriva tuttavia dai limiti di natura civilistica posti a coloro che, vantando crediti nei confronti dei titolari di uno di quegli strumenti, intendano azionarli per ottenere la loro soddisfazione. Il primo e più rilevante di questi limiti è posto dall’articolo 545 Codice Procedura Civile. La norma elenca una serie di crediti che non consentono (o consentono in misura limitata) l’esperimento di azioni esecutive.

È opportuno ricordare che la norma è stata novellata dal Decreto Legge 83/2015 convertito con modifiche dalla Legge 132/2015 che ha aggiunto tre commi (7, 8 e 9) al testo originario.

In particolare il comma 7 dispone che “Le somme da chiunque dovute a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione o di altri assegni di quiescenza, non possono essere pignorate per un ammontare corrispondente alla misura massima mensile dell’assegno sociale, aumentato della metà. La parte eccedente tale ammontare è pignorabile nei limiti previsti dal terzo, quarto e quinto comma nonché dalle speciali disposizioni di legge”.

Il comma 8 dispone a sua volta che “Le somme dovute a titolo di stipendio, salario, altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, nonché a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione, o di assegni di quiescenza, nel caso di accredito su conto bancario o postale intestato al debitore, possono essere pignorate, per l’importo eccedente il triplo dell’assegno sociale, quando l’accredito ha luogo in data anteriore al pignoramento; quando l’accredito ha luogo alla data del pignoramento o successivamente, le predette somme possono essere pignorate nei limiti previsti dal terzo, quarto, quinto e settimo comma, nonché dalle speciali disposizioni di legge”.

Il comma 9 prevede infine che “Il pignoramento eseguito sulle somme di cui al presente articolo in violazione dei divieti e oltre i limiti previsti dallo stesso e dalle speciali disposizioni di legge è parzialmente inefficace. L’inefficacia è rilevata dal giudice anche d’ufficio”.

L’aggiunta di questi commi ha fatto sì che tra i crediti a realizzazione limitata siano compresi anche quelli su somme spettanti al titolare dello strumento previdenziale a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione o di altri assegni di quiescenza.

Un’altra disposizione che appare rilevante in questa materia, non a caso valorizzata dal ricorrente, è quella contenuta nell’articolo 11, comma 10, Decreto Legislativo  252/2005 in virtù del quale “Ferma restando l’intangibilità delle posizioni individuali costituite presso le forme pensionistiche complementari nella fase di accumulo, le prestazioni pensionistiche in capitale e rendita, e le anticipazioni di cui al comma 7, lettera a), sono sottoposti agli stessi limiti di cedibilità, sequestrabilità e pignorabilità in vigore per le pensioni a carico degli istituti di previdenza obbligatoria previsti dall’articolo 128 del regio decreto-legge 4 ottobre 1935, n. 1827, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 aprile 1935, n. 1155, e dall’articolo 2 del decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1950, n. 180, e successive modificazioni. I crediti relativi alle somme oggetto di riscatto totale e parziale e le somme oggetto di anticipazione di cui al comma 7, lettere b) e c), non sono assoggettate ad alcun vincolo di cedibilità, sequestrabilità e pignorabilità”.

Residua infine l’articolo 1923 Codice Civile che, come già detto, impedisce di assoggettare ad azioni esecutive o cautelari le somme che l’assicuratore deve al contraente o al beneficiario.

Questo complesso di norme ha una precisa e ben riconoscibile ragion d’essere che consiste nella ricerca del migliore equilibrio possibile tra chi vanta un credito e conta per la sua realizzazione sul patrimonio presente e futuro del debitore e chi, pur avendo l’obbligo di soddisfare quel credito, se lo facesse metterebbe a repentaglio la sua capacità di provvedere ai bisogni essenziali propri e del proprio nucleo familiare.

Sullo sfondo, come principio ispiratore di questa legislazione di favore, si staglia l’articolo 2 Costituzione che riconosce (espressione usata dal legislatore costituente per sottolineare l’esistenza di qualcosa non creato dal diritto ma ad esso preesistente) e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo considerato sia nella sua dimensione individuale che all’interno delle formazioni sociali che ne scandiscono il percorso di vita, prima tra tutte la famiglia.

 

5. Riflessioni conclusive sulla sequestrabilità dei fondi pensione

La decisione che ha dato spunto a questo scritto merita apprezzamento nella parte in cui liquida come scorretto l’orientamento pregresso che aveva affermato la sequestrabilità senza limiti delle somme dovute a titolo di retribuzione o pensione se già percepite e confuse nel patrimonio mobiliare del titolare.

Del tutto erroneamente, infatti, quell’interpretazione presupponeva un mutamento di natura dell’importo dovuto, fondato esclusivamente su un evento fisiologico quale è certamente l’incasso del valore monetario corrispondente alla prestazione maturata. Del resto, la stessa Corte costituzionale (sentenza n. 85/2015), cui era stata sottoposta la questione di legittimità costituzionale, per contrasto con gli articoli 38 e 3 Costituzione, delle norme che impongono la rimessa in conto corrente di stipendi e pensioni oltre un determinato importo, pur dichiarandola inammissibile, rilevando che era soltanto il credito inerente al saldo di conto corrente a non godere dell’impignorabilità, aveva nondimeno formulato un monito al legislatore, sottolineando il pericolo della perdita di un diritto sociale incomprimibile a seguito della mera confluenza delle somme sul conto corrente.

È ugualmente apprezzabile il riconoscimento dell’estensione del principio civilistico di limitazione della pignorabilità all’ambito penale, derivante dal previo riconoscimento della sua strumentalità alla garanzia di diritti umani di primo rango.

Non convince invece l’argomentazione conclusiva che ha portato al rigetto del ricorso. Sono due le sue proposizioni essenziali: che i fondi pensione, in quanto strumento di previdenza complementare, non possano essere considerati parte del nucleo di prestazioni da cui dipende la soddisfazione di bisogni essenziali dell’individuo; che i medesimi fondi siano equiparabili ad un’assicurazione sulla vita.

Entrambe sono più che discutibili.

Il collegio di legittimità sembra infatti aver trascurato che almeno alcuni dei fondi pensione sono utilizzabili a favore di individui privi di lavoro (disoccupati in senso stretto, inoccupati, soggetti fiscalmente a carico di altri) per i quali dunque non è attiva alcuna contribuzione previdenziale obbligatoria. Se è vero che anche costoro, in presenza delle condizioni normativamente previste, potrebbero percepire le prestazioni assistenziali pubbliche, in primo luogo l’assegno sociale, è altrettanto vero che il loro importo è ben al di sotto della soglia di mera sussistenza (al momento l’importo mensile dell’assegno sociale è di € 459,83) e la loro corresponsione avviene al compimento di età sempre più avanzate.

Non è quindi vero, già in punto di fatto, che in questi casi la previdenza complementare ha una finalità meramente integrativa, servendo al contrario a consentire agli interessati di disporre di una liquidità senza la quale non avrebbero letteralmente i mezzi per vivere.

Non è neanche vero che i fondi pensione e i contratti assicurativi sulla vita siano la stessa cosa. A questi ultimi è connaturale infatti una funzione protettiva in relazione al rischio del verificarsi di eventi attinenti appunto all’intera vita dell’assicurato (come, ad esempio, la morte o l’invalidità) e dei bisogni che ne potrebbero scaturire in capo all’interessato o ai suoi cari. Il fondo pensione è invece una forma di risparmio il cui rendimento nel tempo serve ad acquisire una rendita che possa sorreggere il tenore di vita dell’interessato.

Infine, e in termini più generali, ciò che pare decisamente difettare nella decisione commentata è l’individuazione del corretto punto di equilibrio tra le esigenze penalistiche soddisfatte dal sequestro preventivo e la disciplina ordinamentale generale che considera pienamente meritevole di tutela l’interesse di cui sono espressione gli accordi da cui scaturiscono i piani pensione.

Si vuole intendere che la filosofia di cui è espressione la decisione attribuisce prevalenza all’interesse sottostante al sequestro preventivo (vale a dire, nel caso di specie, l’interesse pubblico a recuperare tramite confisca l’imposta evasa) e considera cedevole nel confronto quello del titolare delle somme sequestrate.

Non sembra che questa conclusione sia giustificata poiché, in assenza di norme che la legittimino formalmente, si dovrebbe al contrario considerare cedevole l’interesse statuale ad incamerare le somme corrispondenti all’imposta evasa dall’accusato e ritenere prioritario il diritto umano inviolabile (non a caso compreso tra i principi fondamentali della Costituzione) di cui è titolare il destinatario del sequestro.

 

[1] I periodi virgolettati che seguono sono tratti da una scheda sulla previdenza complementare rinvenibile nel sito web istituzionale dell’INPS a questo link.