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Fotovoltaico e fisco

Il sistema solare fotovoltaico è un impianto di produzione di energia elettrica mediante conversione diretta della radiazione solare, tramite l’effetto fotovoltaico. Gli impianti fotovoltaici sono costituiti da un insieme di pannelli, meglio noti come moduli fotovoltaici, a loro volta composti da una pluralità di celle fotovoltaiche. Detti impianti possono concorrere a creare una centrale fotovoltaica oppure possono essere collocati su fondi agricoli ed utilizzati ai fini della conduzione dell’attività agricola svolta. Spesso i pannelli solari sono inseriti nella costruzione di edifici oppure vi sono installati in seguito e possono essere più o meno integrati con l’architettura del fabbricato.

L’impianto fotovoltaico, attraverso i moduli di cui si compone, cattura le radiazioni solari per trasformarle in energia elettrica. Si genera così corrente continua, che grazie ad un macchinario, definito inverter,viene convertita in corrente alternata, idonea a servire i normali congegni elettrici. All’impianto è, poi, associato un contatore che consente di controllare e contabilizzare l’energia prodotta.

I pannelli solari possono essere utilizzati singolarmente oppure insieme ad altri ed in tal caso costituiscono un vero e proprio impianto. In genere i moduli fotovoltaici sono collocati su una struttura di sostegno composta da un reticolato di pali metallici adagiati o infissi sulla superficie interessata, che può essere un fondo oppure lastrico solare. Nel caso in cui la struttura di sostegno sia semplicemente poggiata al suolo si parla di impianti “a terra”. In altri casi l’impianto è perfettamente integrato con la costruzione che è atto a servire.

Si rende, quindi, opportuno operare una distinzione tra le diverse tipologie installative degli impianti fotovoltaici, che si classificano in:

a) non integrati;

b) parzialmente integrati;

c) integrati.

L’installazione può definirsi non integrata quando la disposizione dei pannelli fotovoltaici non si inserisce armoniosamente nella morfologia dell’involucro, che funge unicamente da supporto, ed i moduli non svolgono alcuna prestazione complementare rispetto all’organismo edilizio, al di fuori della produzione energetica. Esempio di questo tipo di impianti sono le installazioni di pannelli fotovoltaici su cavalletti metallici collocati al di sopra di coperture piane.

Gli impianti fotovoltaici semi-integrati non sostituiscono i materiali che costituiscono la superficie d’appoggio, ma vengono installati su tetti inclinati oppure su piani e terrazze attraverso l’ausilio delle strutture di sostegno. L’integrazione architettonica è, dunque, solo parziale, ma comunque sussiste una certa armonia estetica. Possono, ad esempio, essere considerati parzialmente integrati quei moduli fotovoltaici installati su terrazze circondate da balaustre, che li nascondano almeno parzialmente. Generalmente gli impianti parzialmente integrati vengono utilizzati su fabbricati già esistenti.

Sono, infine, impianti fotovoltaici integrati quelli composti da pannelli che s’inseriscono completamente nella struttura architettonica di cui fanno parte e contribuiscono a formare un vero e proprio “involucro energetico”. Ciò avviene per i fabbricati di nuova costruzione, quando i moduli fotovoltaici sostituiscono i materiali di rivestimento di tetti, coperture, facciate di edifici, avendo, pertanto, la stessa inclinazione e funzionalità architettonica. Talvolta i pannelli sostituiscono la parte trasparente o semi trasparente di facciate o lucernari, garantendo l’illuminazione degli ambienti interni.

L’impianto fotovoltaico può, inoltre, essere “ad isola” (o stand alone), qualora non sia connesso ad una rete di distribuzione, ma dotato di dispositivi (rectius batterie) volti ad accumulare e conservare l’energia prodotta, che dunque, è destinata a sopperire al fabbisogno energetico del fabbricato in cui è collocato.

Più spesso l’impianto è “in rete” (o grid connected), ossia connesso ad una rete elettrica di distribuzione privata o pubblica già esistente; nel primo caso l’energia prodotta viene destinata all’uso del produttore, che può anche decidere di immetterla sul mercato, nel secondo caso viene senz’altro venduta a terzi.

Ulteriore distinzione riguarda i piccoli impianti fotovoltaici in rete e le centrali fotovoltaiche. I primi non superano in genere la potenza di 20 KW e si trovano installati su edifici privati che possono usufruire del servizio. Le centrali fotovoltaiche hanno una potenza ben superiore e sono predisposte per la produzione di energia da destinare al mercato.

Numerosi i provvedimenti di incentivazione di tali strumenti finalizzati a favorirne la diffusione. Si tratta di un contributo erogato solitamente per 20 anni, in base all’energia prodotta annualmente (conti energia dal I al IV) e alla quantità di energia prodotta e auto consumata (V Conto Energia). Tale contributo rappresenta la principale voce di ricavo per il soggetto responsabile dell’impianto e ha la funzione di ristorare il medesimo soggetto titolare dell’impianto del costo sostenuto per l’investimento nonché di sostenere la produzione di energia mediante lo sfruttamento dell’impianto fotovoltaico per un lungo periodo (circolare 19 luglio 2007, n. 46/E).

Il primo provvedimento concreto in tal senso è stato il Decreto Legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, emanato in attuazione della direttiva comunitaria 2001/77/Ce del 27 settembre 2001, concernente la promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità.

Le fonti rinnovabili sono normativamente definite dall’articolo 2, comma 1, lettera a), che le individua come «le fonti energetiche rinnovabili non fossili (eolica, solare, geotermica, del moto ondoso, maremotrice, idraulica, biomasse, gas di discarica, gas residuati dai processi di depurazione e biogas)». Caratteristica fondamentale delle fonti rinnovabili rispetto a quelle energetiche fossili (carbone, petrolio, gas), è la natura di sorgenti di energia non esauribili.

La fonte principale che definisce la tariffa incentivante è l’articolo 7 del Decreto Legislativo n. 387/2003 che, al comma 2, nell’individuare i criteri per l’erogazione degli incentivi, alla lettera d) precisa che essi consistono in una «specifica tariffa incentivante, di importo decrescente e di durata tali da garantire una equa remunerazione dei costi di investimento e di esercizio».

I criteri di erogazione della tariffa incentivante, differenziata a seconda della potenza dell’impianto fotovoltaico, sono stati definiti, in primis dai decreti ministeriali 28 luglio 2005 e 6 febbraio 2006 , dal decreto ministeriale del 19 febbraio 2007, pubblicato nella G. U. 23 febbraio 2007, n. 45, e da altri ancora succedutisi nel tempo.

Il meccanismo introdotto dai citati decreti per la corresponsione di tale tariffa prevede che l’incentivo venga erogato - per un periodo di venti anni - in ragione dell’energia fotovoltaica prodot­ta annualmente dall’impianto medesimo, mentre la tariffa in parola non viene corrisposta quando l’impianto non produce energia.

Ne deriva che la ratio di tale incentivo, de­nominato anche «Conto Energia», non è tanto quella di favorire la realizzazione dell’investi­mento, bensì quella di sostenere la produzione di energia mediante lo sfruttamento dell’impian­to fotovoltaico.

L’investimento iniziale, pertanto, non viene ri­dotto per effetto della corresponsione dei predetti incentivi, ma può solo essere recuperato nel tem­po attraverso la produzione di energia che, come detto, viene «premiata» mediante la corresponsio­ne di una somma pari alla tariffa incentivante, che varia in base alla potenza dell’impianto, mol­tiplicata per l’energia prodotta nell’anno.

Gli impianti fotovoltaici entrati in esercizio fra il 31 Maggio 2011 ed il 31 Dicembre 2016 sottostanno alle disposizioni incentivanti previste dal decreto del Quarto Conto Energia formalizzato con Decreto Ministeriale n. 05/05/2011.

Esso stabilisce tariffe incentivanti ben definite in relazione agli incentivi per il fotovoltaico 2012 e 2013 ma, a partire dal primo semestre dell’anno 2013 e così sino all’anno 2016 le tariffe incentivanti assumeranno un valore cosiddetto omnicomprensivo a riguardo dell’energia fotovoltaica immessa nel sistema elettrico.

In riferimento agli anni 2014, 2015 e 2016 bisognerà dunque calcolare le tariffe sulla base del suddetto valore omnicomprensivo.

Il calcolo delle tariffe incentivanti effettuato sulla base di un valore omnicomprensivo sta a significare che gli incentivi previsti per gli anni compresi tra il 2013 ed il 2016 non verranno più erogati sulla base del totale dell’energia prodotta dall’impianto fotovoltaico ma esclusivamente a riguardo della quota energetica che sarà effettivamente immessa nella rete elettrica.

Il GSE ha dunque dato indicazione, per gli anni 2014, 2015 e 2016, delle riduzioni percentuali da applicare alle tariffe incentivanti a riguardo del semestre precedente. Nello specifico, per quanto riguarda gli incentivi per impianti solari fotovoltaici si tratta di:

  • Una riduzione del 13% per il 1° e 2° semestre del 2014
  • Una riduzione del 15% per il 1° e 2° semestre del 2015
  • Una riduzione del 30% per il 1° e 2° semestre del 2016

Per quanto riguarda dunque gli anni 2015 e 2016 gli impianti fotovoltaici innovativi e a concentrazione accederanno alle tariffe previste per gli impianti solari fotovoltaici.

Qualificazione giuridica degli impianti fotovoltaici

Orbene è di fondamentale importanza chiarire se trattasi di qualificazione mobiliare o immobiliare degli impianti fotovoltaici, come desumibile dalla disciplina civilistica, giacché  diversa sarà la disciplina fiscale applicabile, e l’eventuale accatastamento.

In particolare, la definizione di bene immobile è contenuta nell’articolo 812 del codice civile, ai sensi del quale «sono beni immobili il suolo, le sorgenti e i corsi d’acqua, gli alberi, gli edifici e le altre costruzioni, anche se unite al suolo a scopo transitorio e in genere tutto ciò che naturalmente o artificialmente è incorporato al suolo». Al secondo comma si precisa, poi, che «sono reputati immobili i mulini, i bagni e gli altri edifici galleggianti quando sono saldamente assicurati alla riva o all’alveo e sono destinati a esserlo in modo permanente per la loro utilizzazione». I beni mobili sono, invece, definiti in via residuale, nel senso che sono tali le entità giuridicamente rilevanti che non rientrano nella definizione di cui ai citati primi due commi dell’articolo 812 del codice civile.

In altri termini, salvo quelli ontologicamente tali (i.e., suolo, sorgenti, corsi d’acqua), altri beni possono essere considerati immobili solo laddove sussista un (loro) rapporto di «unione» o «incorporazione» al suolo, causato da fenomeni naturali o dall’opera dell’uomo. Tale rapporto non deve necessariamente essere permanente, purché la transitorietà non risulti in una relazione di eccessiva precarietà.

Peraltro, nell’evoluzione giurisprudenziale in materia, i concetti di «unione» e «incorporazione» sono stati oggetto di prese di posizione assai dissonanti: in alcuni casi, i giudici hanno fatto propria la tesi della necessità di un’immedesimazione organica con il suolo, con conseguente perdita dell’individualità fisica, giuridica e funzionale del bene; in altre circostanze - peraltro numericamente prevalenti - si è ritenuto che l’«immobilizzazione» (dei beni) non implica la necessaria stabilità del relativo rapporto di «unione» o «incorporazione» con il suolo.

In ogni caso, la dottrina prevalente, anche alla luce degli orientamenti giurisprudenziali sopra descritti, tende a preferire un «criterio funzionale», in base al quale «andrebbero considerati immobili i beni suscettibili di utilizzazione permanente o almeno duratura nel luogo in cui si trovano»  o, comunque, «quegli oggetti dei diritti la cui idoneità a realizzarne il contenuto implica una relazione funzionale con il luogo in cui si trovano»..

Assai altalenante è apparsa, nel tempo, la posizione dell’Amministrazione finanziaria in merito alla qualificazione giuridica degli impianti fotovoltaici e alle relative conseguenze in termini di trattamento fiscale. In effetti, in passato, l’Agenzia delle entrate, facendo applicazione proprio del suddetto «criterio funzionale», ha avuto modo - in più di un’occasione - di ribadire la natura di bene mobile degli impianti in rassegna, a prescindere dalle loro dimensioni (e potenza). Ciò, in base ad argomentazioni del seguente tenore:

a) «un impianto fotovoltaico non costituisce impianto infisso al suolo in quanto normalmente i moduli che lo compongono (i pannelli fotovoltaici) possono essere agevolmente rimossi e posizionati in altro luogo, mantenendo inalterata la loro originaria funzionalità» (circolare n. 46/E del 2007);

b) «si ritiene, in linea generale, che siano diversi da quelli infissi al suolo - in conformità a quanto contenuto nella Circolare n. 46/E del 2007, cit., emanata in relazione agli incentivi per gli impianti fotovoltaici - gli impianti e i macchinari che possono essere agevolmente rimossi e posizionati in altro luogo, mantenendo inalterata la loro originaria funzionalità (...) ciò vale anche per i beni “stabilmente” e “definitivamente” incorporati al suolo, purché gli stessi possano essere rimossi e utilizzati per le medesime finalità senza “antieconomici” interventi di adattamento» (Circolare n. 38/E del 2008);

c) «l’impianto fotovoltaico situato su un terreno non costituisce impianto infisso al suolo in quanto normalmente i moduli che lo compongono (i pannelli solari) possono essere agevolmente rimossi e posizionati in altro luogo, mantenendo inalterata la loro originaria funzionalità (cfr. Circolare n. 46/E del 2007, cit.) (...). Si è in presenza di beni immobili quando non è possibile separare il bene mobile dall’immobile (terreno o fabbricato) senza alterare la funzionalità dello stesso o quando per riutilizzare il bene in un altro contesto con le medesime finalità debbono essere effettuati antieconomici interventi di adattamento» (Circolare n. 38/E del 2010)..

Non può, peraltro, sottacersi la posizione di segno opposto adottata dall’Agenzia del territorio, prima dell’incorporazione nell’Agenzia delle entrate, con la risoluzione n. 3/T del 2008, poi confermata con la nota 10 marzo 2009, n. 14223 e, infine, con la nota 22 giugno 2012, n. 31892. In tali occasioni, si è affermato che i pannelli fotovoltaici posizionati permanentemente sul suolo possono essere assimilati alle turbine delle centrali idroelettriche e che il complesso dei beni, costituito dal suolo e dalla serie di pannelli costituenti l’impianto fotovoltaico, configurerebbe un «opificio» (categoria D/1), avente autonoma rilevanza catastale e, quindi, natura di bene immobile. Si precisa che la richiamata posizione del Territorio risulta riferita alle centrali fotovoltaiche, ovvero agli impianti di grandi dimensioni, capaci di produrre energia eccedente il mero fabbisogno di auto-consumo e, dunque, destinata alla vendita sul mercato.

Come emerge dalla ricostruzione che precede, il quadro di prassi si è, senz’altro, contraddistinto, negli anni, per un elevato grado di ambiguità.

Con la Circolare n. 36 del 19 dicembre 2013, l’Agenzia delle Entrate fa il punto sull’annosa questione della qualificazione mobiliare o immobiliare degli impianti fotovoltaici, analizzando le conseguenti implicazioni fiscali nel comparto delle imposte dirette ed indirette. In particolare, in relazione al tema di interesse, la circolare fa proprio, anche ai fini fiscali, l’approccio di origine catastale, per cui sono da considerare «unità immobiliari» tutti i fabbricati (o porzioni di essi), nonché le costruzioni ancorate o infisse al suolo, che presentano una propria autonomia funzionale e reddituale.

Con riferimento alle installazioni fotovoltaiche, occorre accertare la relazione con l’immobile che li ospita e valutarne l’eventuale esistenza di una rilevante funzionalità e capacità reddituale, a prescindere dal mezzo di unione utilizzato.

Sono, pertanto, considerati beni immobili tutte le installazioni (fotovoltaiche) che:

- costituiscono una centrale di produzione di energia autonomamente censibile in categoria D1 («opifici») o D10 (i.e., nel caso siano ospitati da immobili aventi i requisiti di ruralità);

- sono poste sulle pareti o sul tetto di un edificio ovvero sono realizzate su aree di pertinenza (comuni o esclusive) di un fabbricato, le quali, pur non essendo assoggettate ad obblighi di autonomo accatastamento, integrano il valore capitale (o l’ordinaria redditività) dell’immobile cui sono collegati di una percentuale almeno pari al 15%.

Sono, invece, beni mobili gli impianti fotovoltaici di dimensione e potenza tale da essere prevalentemente destinati alla produzione energetica per consumo domestico. Ciò accade quando risulta rispettato almeno uno dei seguenti requisiti:

i) la potenza nominale dell’impianto non è maggiore di 3 chilowatt per unità immobiliare servita;

ii) la potenza complessiva in chilowatt non supera tre volte il numero di unità immobiliari le cui parti comuni sono servite dall’impianto;

iii) il volume complessivo delle installazioni (fotovoltaiche) ubicate al suolo non supera i 150 mc.

La questione è delicata, perché in genere un impianto di 3 kW è esattamente quello che serve per coprire i consumi di una famiglia-tipo. Fino a qualche anno fa, però, gli incentivi erano così ricchi che molti proprietari hanno scelto di installare impianti un po’ più potenti, così da massimizzare l’incasso delle “tariffe incentivanti”: quando il tetto di casa era abbastanza spazioso, molti hanno scelto moduli da 4, 6 o anche 10 kW di potenza (in media, 1 kW richiede circa 7 metri quadrati di superficie). Sono proprio queste le situazioni in cui bisogna verificare se la rendita catastale dell’unità immobiliare va aggiornata o no.

Quando il fotovoltaico è al servizio di un’unità immobiliare già accatastata, la circolare delle Entrate ribadisce che la variazione catastale è obbligatoria solamente quando il valore dell’impianto supera il 15% della rendita catastale. Piccolo problema: per il proprietario è impossibile valutare da solo se il rapporto viene superato o no. Anche perché il risultato finale dipende dalla rendita di partenza, che può essere molto diversa a seconda della categoria catastale: molte villette, ad esempio, non sono iscritte in Catasto come A/7 (villini), ma come A/2 (abitazioni civili), e proprio per questo valgono meno agli occhi del fisco. In questi casi, arrivare all’obbligo di aggiornamento catastale potrebbe essere più facile. Al contrario, sulle abitazioni di recente costruzione (o dove la rendita catastale è stata aggiornata per grandi lavori di ristrutturazione) sarà più difficile che il valore dell’impianto fotovoltaico sul tetto incida per oltre il 15 per cento. La conclusione comunque è una sola: per fare una valutazione corretta bisogna coinvolgere un professionista abilitato, come un geometra, perché valuti se è necessario aggiornare la rendita. Di quanto? Impossibile generalizzare, perché di fatto l’impianto farà salire la rendita di una o più “classi”, ma si può ipotizzare che su una villetta con una rendita di 1.200 euro l’incremento sarà - almeno - di 250 euro.

  1. Conseguenze fiscali 

Imposte dirette

Prima di entrare nel merito degli aspetti fiscali degli impianti fotovoltaici, è necessario ricordare che l’amministrazione finanziaria, fino alla circolare n. 36/E del 2013, qualificava gli impianti fotovoltaici come beni mobili.

Infatti, nella Circolare n. 46/2007 veniva indicato come coefficiente di ammortamento da applicare agli impianti fotovoltaici il 9% che corrisponde al coefficiente applicabile alle «Centrali termoelettriche» secondo la tabella allegata al Decreto Ministeriale del 31 dicembre 1988. In considerazione del fatto che la categoria impianti fotovoltaici non è contemplata nella tabella, l’amministrazione finanziaria, al fine di determinare il coefficiente, ha fatto riferimento a beni che presentano caratteristiche similari a quelli in esame.

Alla luce della nuova posizione assunta dall’Agenzia delle Entrate, se gli impianti fotovoltaici si qualificano come beni immobili si applica un coefficiente di ammortamento del 4%, facendo riferimento al settore dell’energia elettrica e, quindi, mutuando il coefficiente di ammortamento da beni similari per impiego e vita utile non essendo contemplato nella tabella lo specifico coefficiente.

Se gli impianti fotovoltaici non risultano accatasti separatamente, si applica il coefficiente di ammortamento previsto per l’unità immobiliare che li ospita (ad esempio 3% come nel caso degli immobili).

Diversamente, se gli impianti fotovoltaici costituiscono beni immobili autonomamente accatastati è necessario ai fini dell’ammortamento applicare la disciplina dello scorporo del valore del terreno così come prevista dal Decreto Legge n. 223/2006, in modo tale da rendere indeducibile l’ammortamento delle aree sulle quali insistono gli impianti fotovoltaici.

Il costo da attribuire all’area sottostante gli impianti fotovoltaici sarà pari al maggiore tra:

- il valore separatamente esposto in bilancio nell’anno di acquisto;

- il 30% del costo di acquisto complessivo dell’immobile comprensivo del valore dell’area.

Si applica il 30% tenuto conto che gli impianti fotovoltaici hanno natura di immobili industriali a prescindere dalla classificazione catastale, essendo destinati alla produzione di energia.

Infine, l’Agenzia delle Entrate precisa che se il terreno su cui insistono gli impianti fotovoltaici è detenuto in forza di un diritto di superficie a tempo determinato la disciplina dello scorporo di cui al Decreto Legge n. 223/2006 non si applica, se invece il diritto di superficie è a tempo indeterminato allora risulta applicabile in quanto assimilabile all’acquisto in proprietà.

Se invece gli impianti fotovoltaici si qualificano come beni mobili si applica un coefficiente di ammortamento pari al 9% come previsto nella Circolare n. 46/2007.

Sempre ai fini dell’ammortamento, qualora l’immobile che ospita gli impianti fotovoltaici sia di proprietà di un terzo, fattispecie peraltro piuttosto ricorrente, allora gli stessi si qualificano come spese incrementative su beni di terzi. In base al principio contabile OIC n. 24 tali costi sono da iscrivere fra le immobilizzazioni immateriali nella voce BI7) «altre immobilizzazioni immateriali» se non possano essere separati dai beni immobili che li ospitano, in questo caso l’ammortamento si effettua nel periodo minore tra quello di utilità futura delle spese sostenute e quello residuo della locazione tenuto conto dell’eventuale rinnovo.

Sempre secondo il principio contabile se la spesa incrementativa (l’impianto fotovoltaico) è dotata di una propria autonomia rispetto all’immobile che lo ospita allora l’impianto deve essere iscritto fra le immobilizzazioni materiali nella categoria di riferimento e ammortizzato secondo quanto previsto nella circolare in commento, se immobile al 4%, altrimenti al 9%.

Imposte indirette

La qualificazione degli impianti fotovoltaici come beni immobili o mobili assume rilevanza anche nel comparto delle imposte indirette (Iva).

Se gli impianti in esame hanno natura di beni immobili, allora in caso di cessione degli stessi da parte di un soggetto passivo Iva si applica l’articolo 10, comma 1, nn. 8-bis) e 8-ter) del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633/72 e, quindi, il regime di esenzione, fatto salvo il caso in cui il cedente abbia manifestato l’opzione per l’imposizione.

Ai fini del momento impositivo, trattandosi di beni immobili, in base all’articolo 6 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633/72, la cessione si considera effettuata al momento della stipulazione dell’atto, mentre sotto il profilo procedurale, se il cedente soggetto passivo Iva ha manifestato l’opzione per l’imponibilità, si applica l’articolo 17, comma 6, lett. a-bis) del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633/72, che prevede l’obbligo del reverse charge in caso di cessione di fabbricati strumentali per i quali è stata manifestata l’opzione per l’applicazione dell’Iva.

Il cessionario, soggetto passivo Iva, integra la fattura con aliquota Iva al 10%.

Per effetto del principio di alternatività Iva registro, l’assoggettamento ad Iva (sia in regime di imponibilità con applicazione del reverse charge che in regime di esenzione) dell’atto di cessione dell’impianto fotovoltaico comporta l’applicazione dell’imposta di registro nella nuova misura fissa di euro 200,00 e delle imposte ipo-catastali nelle vecchie misure proporzionali rispettivamente al 3% e 1%.

Qualora l’impianto fotovoltaico qualificato come bene immobile sia ceduto da un privato e, quindi, fuori dal campo di applicazione dell’Iva, si applica l’imposta di registro nella misura proporzionale del 9% e le imposte ipo-catastali in misura fissa pari ad euro 50 ciascuna, tenuto conto delle modifiche apportate con il Decreto Legislativo n. 23/2011 alle imposte di registro, ipotecarie e catastali in caso di trasferimenti immobiliari a decorrere dall’1° gennaio 2014.

Qualora gli impianti fotovoltaici abbiano natura di beni mobili sono soggetti ad Iva con aliquota del 10%, nel caso la cessione venga effettuata da un privato non si applica l’Iva venendo a mancare il requisito soggettivo, ma l’imposta di registro in misura pari al 3%.

Visto il deciso cambio di rotta, la stessa Agenzia delle Entrate ha precisato nella circolare in commento che, in virtù di quanto previsto all’articolo 10 dello Statuto del Contribuente, sono fatti salvi i comportamenti tenuti dai contribuenti ai fini delle imposte dirette e indirette sulla base dei precedenti documenti di prassi.

In particolare, se l’impianto fotovoltaico sulla base delle indicazioni rese nei precedenti documenti interpretativi è stato qualificato dal contribuente come bene mobile applicando un coefficiente di ammortamento nella misura del 9%, gli eventuali maggiori ammortamenti dedotti non devono essere rettificati.

La Circolare n. 36/E del 2013 passa poi ad esaminare, sempre sotto il profilo delle imposte dirette, la disciplina delle società di comodo essendo in linea di principio applicabile anche ai soggetti che operano nel settore del fotovoltaico.

Come noto la disciplina si basa sull’applicazione di prestabiliti coefficienti a determinati asset patrimoniali il cui risultato determina l’ammontare di ricavi minimi da conseguire per non risultare società di comodo.

La circolare precisa che ai fini del calcolo del test di operatività si deve assumere il coefficiente del 6% previsto per i beni immobili a prescindere dalla qualifica degli impianti fotovoltaici come beni immobili o mobili (per i quali il coefficiente sarebbe del 15%).

Inoltre come si apprende dalla circolare, in considerazione del fatto che il settore di energia elettrica da fonte fotovoltaica è un mercato a prezzi predefiniti, l’Agenzia delle Entrate valuterà favorevolmente gli interpelli presentati dalle società che dimostrano con idonea documentazione le motivazioni per cui i ricavi conseguiti non sono pari a quelli presunti dal legislatore.

Quindi, pur non costituendo la fattispecie in esame una causa di esclusione dall’applicazione della disciplina sulle società di comodo, presenta comunque degli elementi di cui tenere conto proprio perché non si può prescindere dal particolare funzionamento di questo mercato in cui la vendita di energia avviene a prezzi imposti.

Il contribuente potrà presentare l’interpello in cui motiverà che non consegue ricavi almeno pari a quelli stimati dalla legge in quanto:

in caso di vendita indiretta, la vendita dell’energia avviene sulla base di prezzi stabiliti dal GSE;

in caso di vendita diretta (borsa o un grossista), ricorrono situazioni oggettive che non permettono il conseguimento di ricavi in misura tale da superare il test di operatività.

Infine, l’Agenzia delle Entrate precisa che le considerazioni effettuate in materia di società di comodo per le società che producono e vendono energia con impianti fotovoltaici valgono solo in caso di mancato conseguimento di ricavi per un importo pari o superiore a quello presunto dalla legge, tali considerazioni non possono essere estese all’ipotesi di società di comodo da perdita sistemica.

Con la Circolare n. 36 del 19 dicembre 2013, come detto sopra, l’Agenzia delle Entrate fa il punto sulla intricata vicenda della qualificazione mobiliare o immobiliare degli impianti fotovoltaici, analizzando le conseguenti implicazioni fiscali nel comparto delle imposte dirette ed indirette.

I proprietari delle case che hanno installato sui propri tetti un impianto fotovoltaico tra 3 e 20 kWp, pertanto, saranno costretti ad aggiornare la rendita catastale come avessero costruito dei nuovi vani, in proporzione al valore del proprio impianto. Il fisco, quindi, dopo aver spinto i cittadini a godere dei generosi incentivi disponibili in passato grazie al Conto Energia (finanziamenti che sono stati poi spalmati sulla bolletta di tutti gli utenti), presenta il conto ai circa 312mila proprietari di case sulle quali sono stati collocati gli impianti e, di fatto, aumenta le tasse sulla casa a chi ha investito sul proprio immobile, seppure dimostrandosi più sensibile alle questioni delle energie rinnovabili. Lo spostamento di rendita o di classe catastale comporta infatti un aumento dell’Irpef, dell’Imu e della Tares, e della imposta di registro in caso di vendita, corrispettivo all’aumento della rendita conseguente all’accatastamento dell’impianto stesso.

Cosa fare qualora si riceva, e si vuol contestare, un avviso di accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate, che varia in aumento la rendita catastale proposta:

  • proporre ricorso alla Commissione Tributaria tramite un avvocato esperto del settore. Il momento decisivo ai fini della possibilità di difendersi è la notifica al contribuente dell’avviso di accertamento di rideterminazione della rendita catastale relativa all’impianto fotovoltaico di sua proprietà.

Entro 60 giorni dalla data di ricezione della notifica, è infatti possibile impugnare singolarmente il nuovo classamento davanti alle Commissioni Tributarie territorialmente competenti, contestando la regolarità del procedimento per:

- Nullità del provvedimento per difetto di motivazione

Il provvedimento impugnato è del tutto privo di motivazione, poiché l’Agenzia del Territorio ha provveduto alla nuova determinazione di classamento e rendita catastale, senza alcuna indicazione e  motivazione degli elementi obiettivi assunti a riferimento per la determinazione dello stesso.

Del resto, l’articolo 7 della legge n. 212/2000  rubricato: “chiarezza e motivazione degli atti” stabilisce espressamente, al primo comma, che: “gli atti dell’amministrazione finanziaria sono motivati secondo quanto prescritto dall’articolo 3 della Legge 7 agosto 1990, n. 241, concernente la motivazione dei provvedimenti amministrativi, indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione …”.

Al riguardo, la Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 17576 del 10/12/2002 e con la successiva Sentenza del 14 aprile 2004, n. 7080, ha affermato che i principi espressi nelle disposizioni della Legge n. 212/2000 o dalla stessa desumibilihanno una rilevanza del tutto particolare nell’ambito della legislazione tributaria ed una sostanziale superiorità, quali norme primarie, rispetto alle altre disposizioni vigenti in materia.

Da ultimo, poi, la Suprema Corte, con la recente Sentenza n. 10982/2009 depositata il 13 maggio 2009 ha rilanciato in termini forti lo Statuto del contribuente, riprendendo il contenuto di alcune precedenti pronunce (Sentenze nn. 21513/2006 e 17516/2002). In quanto norme a valenza costituzionale perché attuative di principi costituzionali, le norme dello Statuto dei diritti del contribuente devono trovare, quindi, diretta ed immediata applicazione in materia tributaria.

Peraltro, la Suprema Corte con la Sentenza n. 9629 del 13 giugno 2012 afferma: <<quando attribuisce un nuovo classamento ad un’unità immobiliare, l’Agenzia del Territorio deve rendere possibile la conoscenza da parte del contribuente dei presupposti del riclassamento e pertanto specificare: a) se il mutato classamento sia dovuto a trasformazioni specifiche subite dall’unità immobiliare, indicandole; b) se il nuovo classamento consegua ad una revisione dei parametri relativi alla microzona, a seguito di significativi e concreti miglioramenti del contesto urbano, indicando l’atto con il quale tale revisione è stata effettuata>>.

E, sempre nello stesso senso, con la recente Sentenza n. 11370 del 6 luglio 2012 la Cassazione ha stabilito che: <<è illegittimo l’atto di attribuzione di nuova  rendita catastale se l’Agenzia del Territorio nel motivarlo utilizza formule “generiche e stereotipate” adattabili a qualsivoglia immobile>>. ( CTP Treviso 24.09.2001 n. 89 ). Come ad esempio: riportare nelle motivazioni semplicemente: “Elementi estimali per determinare la rendita catastale con riferimento all’epoca censuaria 1988/89” ma senz’altro null’altro aggiungere in merito al criterio di determinazione del valore catastale. Ne deriva che, la lesione del diritto alla difesa è vistosa perché il contenuto dell’avviso di accertamento  in esame non consente al contribuente di operare alcun controllo.

- Infondatezza nel Merito

L’avviso di accertamento impugnato con cui l’Agenzia del Territorio provvede a variare la situazione catastale proposta in sede di presentazione di DOCFA, con rilevante aumento di rendita è illegittimo ed infondato, altresì, nel merito.

Ed infatti, l’Ufficio in modo del tutto incomprensibile ed infondato notifica al contribuente, l’avviso, sulla base dell’inconsistente motivazione , come ad esempio, che “la determinazione del nuovo classamento e della relativa rendita catastale è stata eseguita  con stima diretta sulla base degli elementi economici e quantitativi con riferimento al biennio economico 1988-89” .

Perizia

Ecco che è necessario contrapporre alle risultanze ottenute dalle verifiche effettuate dall’Agenzia del Territorio quelle derivanti,  da una perizia giurata in originale redatta da un ingegnere che dimostri che, operando con due distinti procedimenti di stima (stima con metodo sintetico-comparativo e stima indiretta con determinazione del valore di mercato del bene immobile attraverso il valore di ricostruzione),  si conferma il medesimo valore di mercato per il bene oggetto del ricorso, valore, peraltro, riportato in sede di presentazione Docfa. È necessario precisare che per “stima diretta” si intende la stima effettuata in maniera puntuale sugli immobili a destinazione speciale o particolare, per i quali non è possibile fare riferimento al sistema delle tariffe. La stessa Corte di Cassazione con la Sentenza n. 19215 del 2012 ha stabilito che, in conformità al Decreto del Presidente della Repubblica n. 1142/1949, se la valutazione per il riclassamento per gli immobili di categoria D è stata fatta attraverso la comparazione con immobili simili, ma senza stima diretta, l’atto impositivo è annullabile poiché è sempre necessario il sopralluogo, tranne che per il caso in cui sia prodotto una perizia di parte. La Suprema Corte ha affermato testualmente “Invero il canone determinativo del classamento e della conseguente attribuzione della rendita catastale per gli immobili di categoria D deve basarsi, a norma del Decreto del Presidente della Repubblica 1 dicembre 1949, n. 1142, e del Decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 articolo 34, sulla stima diretta, che tenga conto delle caratteristiche del bene, potendo all’uopo essere utilizzate le risultanze emergenti dalla perizia prodotta dalla parte interessata senza necessità di sopralluogo”.

- CTU

Si consiglia di chiedere, inoltre, alla Commissione Tributaria la nomina di un C.T.U. affinché lo stesso chiarisca definitivamente l’infondatezza della pretesa impositiva avanzata dall’Ufficio nei confronti del ricorrente.

Giurisprudenza su casi particolari

La cessione di un impianto fotovoltaico in corso di costruzione o la realizzazione dello stesso sopra un terreno agricolo non comporta alcun mutamentoai fini Iva né ai fini della destinazione del terreno ospitante. Questi sono in estrema sintesi i due concetti espressi rispettivamente dalla CTR di Milano con la Sentenza n. 3602/36/2014 e dalla CTP di Brindisi con la Sentenza n. 1032/2/2014.

Con la sentenza della CTR di Milano i giudici milanesi hanno affrontato la questione di un’operazione di compravendita avente ad oggetto il diritto di superficie e un impianto di produzione di energia elettrica da fonte fotovoltaica in corso di costruzione, alla quale era stata applicata l’Iva, in quanto qualificata dal cedente come una mera cessione di beni. Di diverso avviso è stata invece l’Agenzia delle Entrate, la quale, con l’avviso di accertamento poi impugnato, sosteneva l’applicazione dell’imposta di registro nella misura del 15%, oltre alla imposta catastale del 1% e ipotecaria del 2%, giustificando tale scelta impositiva mediante l’inquadramento della compravendita in questione come un’operazione avente ad oggetto un terreno agricolo, sul quale era ospitato l’impianto in corso di costruzione.

L’assoggettamento ad Iva dell’operazione, sulla quale è stata chiamata ad esprimersi la CTR di Milano, assume ancora più rilevanza considerando la circostanza che l’oggetto della compravendita è un impianto fotovoltaico in corso di costruzione, già censito al catasto fabbricati nella categoria “fabbricato in corso di costruzione” e poi regolarmente censito nella categoria catastale D/10, in quanto rispondente ai criteri indicati dalla stessa Agenzia delle Entrate con la C.M. n.36/E/2013. Come dire: se con la citata circolare affermi, al ricorrere di specifici parametri, la qualifica di immobile di un impianto fotovoltaico, lo stesso bene non può essere qualificato anche come terreno agricolo.

La Sentenza della CTP di Brindisi n. 1032/2/2014, invece, ha risolto una questione in materia di ICI, ma con effetti anche ai fini IMU e TASI, originata dalla costruzione di diversi impianti fotovoltaici a pannelli su un terreno agricolo di proprietà di terzi. La questione trae origine dal fatto che una società agricola aveva concesso in affitto un proprio terreno avente destinazione urbanistica agricola produttiva (ricadente in zona E1). Su una porzione dell’immobile la stessa società affittuaria beneficiava anche dei diritti di superficie e di servitù per cavidotto, elettrodotto, accesso e passaggio. Inoltre, sulla porzione immobiliare in questione, sono stati realizzati alcuni impianti fotovoltaici. A distanza di alcuni anni, il Comune competente tuttavia ha accertato alla società in questione l’omesso versamento dell’ICI e la mancata presentazione della relativa dichiarazione.

La Commissione tributaria provinciale di Siena, Prima Sezione,Sentenza n. 94/01/12 del 24/5/2012 dà ragione al contribuente su un ricorso avverso l’avviso di accertamento catastale con cui veniva attribuita la cat. D/1 ad una pensilina per parcheggi situata nell’area di servizio, dotata di copertura di pannelli fotovoltaici.

La Società aveva presentato una docfa chiedendo il classamento in cat. E/1, ma l’Agenzia del territorio aveva negato tale classamento ritenendo trattarsi di un opificio destinato alla produzione di energia elettrica.

Infine, la CTP di Bari con Sentenza n. 184/2011 ha accolto il ricorso di una società proprietaria di un immobile del quale l’Agenzia del territorio aveva variato il classamento, senza dar prova dell’applicazione del metodo della stima diretta prevista per gli immobili rientranti tra le categorie speciali. Ebbene, la CTP di Bari ha affermato che “la stima diretta conseguente all’effettivo sopralluogo dell’immobile, avrebbe consentito di appurarne le caratteristiche e qualità, oltre che ad osservare le disposizioni di legge e di prassi amministrativa, per una determinazione della valutazione finale quale risultato dell’esame dell’intero compendio produttivo nella sua interezza. La mancata adozione, pertanto, del metodo della stima diretta nonché la mancanza del predetto sopralluogo invalidano ab origine ed in modo insanabile l’attività stessa di classificazione posta in essere dall’Agenzia del Territorio.”

Il sistema solare fotovoltaico è un impianto di produzione di energia elettrica mediante conversione diretta della radiazione solare, tramite l’effetto fotovoltaico. Gli impianti fotovoltaici sono costituiti da un insieme di pannelli, meglio noti come moduli fotovoltaici, a loro volta composti da una pluralità di celle fotovoltaiche. Detti impianti possono concorrere a creare una centrale fotovoltaica oppure possono essere collocati su fondi agricoli ed utilizzati ai fini della conduzione dell’attività agricola svolta. Spesso i pannelli solari sono inseriti nella costruzione di edifici oppure vi sono installati in seguito e possono essere più o meno integrati con l’architettura del fabbricato.

L’impianto fotovoltaico, attraverso i moduli di cui si compone, cattura le radiazioni solari per trasformarle in energia elettrica. Si genera così corrente continua, che grazie ad un macchinario, definito inverter,viene convertita in corrente alternata, idonea a servire i normali congegni elettrici. All’impianto è, poi, associato un contatore che consente di controllare e contabilizzare l’energia prodotta.

I pannelli solari possono essere utilizzati singolarmente oppure insieme ad altri ed in tal caso costituiscono un vero e proprio impianto. In genere i moduli fotovoltaici sono collocati su una struttura di sostegno composta da un reticolato di pali metallici adagiati o infissi sulla superficie interessata, che può essere un fondo oppure lastrico solare. Nel caso in cui la struttura di sostegno sia semplicemente poggiata al suolo si parla di impianti “a terra”. In altri casi l’impianto è perfettamente integrato con la costruzione che è atto a servire.

Si rende, quindi, opportuno operare una distinzione tra le diverse tipologie installative degli impianti fotovoltaici, che si classificano in:

a) non integrati;

b) parzialmente integrati;

c) integrati.

L’installazione può definirsi non integrata quando la disposizione dei pannelli fotovoltaici non si inserisce armoniosamente nella morfologia dell’involucro, che funge unicamente da supporto, ed i moduli non svolgono alcuna prestazione complementare rispetto all’organismo edilizio, al di fuori della produzione energetica. Esempio di questo tipo di impianti sono le installazioni di pannelli fotovoltaici su cavalletti metallici collocati al di sopra di coperture piane.

Gli impianti fotovoltaici semi-integrati non sostituiscono i materiali che costituiscono la superficie d’appoggio, ma vengono installati su tetti inclinati oppure su piani e terrazze attraverso l’ausilio delle strutture di sostegno. L’integrazione architettonica è, dunque, solo parziale, ma comunque sussiste una certa armonia estetica. Possono, ad esempio, essere considerati parzialmente integrati quei moduli fotovoltaici installati su terrazze circondate da balaustre, che li nascondano almeno parzialmente. Generalmente gli impianti parzialmente integrati vengono utilizzati su fabbricati già esistenti.

Sono, infine, impianti fotovoltaici integrati quelli composti da pannelli che s’inseriscono completamente nella struttura architettonica di cui fanno parte e contribuiscono a formare un vero e proprio “involucro energetico”. Ciò avviene per i fabbricati di nuova costruzione, quando i moduli fotovoltaici sostituiscono i materiali di rivestimento di tetti, coperture, facciate di edifici, avendo, pertanto, la stessa inclinazione e funzionalità architettonica. Talvolta i pannelli sostituiscono la parte trasparente o semi trasparente di facciate o lucernari, garantendo l’illuminazione degli ambienti interni.

L’impianto fotovoltaico può, inoltre, essere “ad isola” (o stand alone), qualora non sia connesso ad una rete di distribuzione, ma dotato di dispositivi (rectius batterie) volti ad accumulare e conservare l’energia prodotta, che dunque, è destinata a sopperire al fabbisogno energetico del fabbricato in cui è collocato.

Più spesso l’impianto è “in rete” (o grid connected), ossia connesso ad una rete elettrica di distribuzione privata o pubblica già esistente; nel primo caso l’energia prodotta viene destinata all’uso del produttore, che può anche decidere di immetterla sul mercato, nel secondo caso viene senz’altro venduta a terzi.

Ulteriore distinzione riguarda i piccoli impianti fotovoltaici in rete e le centrali fotovoltaiche. I primi non superano in genere la potenza di 20 KW e si trovano installati su edifici privati che possono usufruire del servizio. Le centrali fotovoltaiche hanno una potenza ben superiore e sono predisposte per la produzione di energia da destinare al mercato.

Numerosi i provvedimenti di incentivazione di tali strumenti finalizzati a favorirne la diffusione. Si tratta di un contributo erogato solitamente per 20 anni, in base all’energia prodotta annualmente (conti energia dal I al IV) e alla quantità di energia prodotta e auto consumata (V Conto Energia). Tale contributo rappresenta la principale voce di ricavo per il soggetto responsabile dell’impianto e ha la funzione di ristorare il medesimo soggetto titolare dell’impianto del costo sostenuto per l’investimento nonché di sostenere la produzione di energia mediante lo sfruttamento dell’impianto fotovoltaico per un lungo periodo (circolare 19 luglio 2007, n. 46/E).

Il primo provvedimento concreto in tal senso è stato il Decreto Legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, emanato in attuazione della direttiva comunitaria 2001/77/Ce del 27 settembre 2001, concernente la promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità.

Le fonti rinnovabili sono normativamente definite dall’articolo 2, comma 1, lettera a), che le individua come «le fonti energetiche rinnovabili non fossili (eolica, solare, geotermica, del moto ondoso, maremotrice, idraulica, biomasse, gas di discarica, gas residuati dai processi di depurazione e biogas)». Caratteristica fondamentale delle fonti rinnovabili rispetto a quelle energetiche fossili (carbone, petrolio, gas), è la natura di sorgenti di energia non esauribili.

La fonte principale che definisce la tariffa incentivante è l’articolo 7 del Decreto Legislativo n. 387/2003 che, al comma 2, nell’individuare i criteri per l’erogazione degli incentivi, alla lettera d) precisa che essi consistono in una «specifica tariffa incentivante, di importo decrescente e di durata tali da garantire una equa remunerazione dei costi di investimento e di esercizio».

I criteri di erogazione della tariffa incentivante, differenziata a seconda della potenza dell’impianto fotovoltaico, sono stati definiti, in primis dai decreti ministeriali 28 luglio 2005 e 6 febbraio 2006 , dal decreto ministeriale del 19 febbraio 2007, pubblicato nella G. U. 23 febbraio 2007, n. 45, e da altri ancora succedutisi nel tempo.

Il meccanismo introdotto dai citati decreti per la corresponsione di tale tariffa prevede che l’incentivo venga erogato - per un periodo di venti anni - in ragione dell’energia fotovoltaica prodot­ta annualmente dall’impianto medesimo, mentre la tariffa in parola non viene corrisposta quando l’impianto non produce energia.

Ne deriva che la ratio di tale incentivo, de­nominato anche «Conto Energia», non è tanto quella di favorire la realizzazione dell’investi­mento, bensì quella di sostenere la produzione di energia mediante lo sfruttamento dell’impian­to fotovoltaico.

L’investimento iniziale, pertanto, non viene ri­dotto per effetto della corresponsione dei predetti incentivi, ma può solo essere recuperato nel tem­po attraverso la produzione di energia che, come detto, viene «premiata» mediante la corresponsio­ne di una somma pari alla tariffa incentivante, che varia in base alla potenza dell’impianto, mol­tiplicata per l’energia prodotta nell’anno.

Gli impianti fotovoltaici entrati in esercizio fra il 31 Maggio 2011 ed il 31 Dicembre 2016 sottostanno alle disposizioni incentivanti previste dal decreto del Quarto Conto Energia formalizzato con Decreto Ministeriale n. 05/05/2011.

Esso stabilisce tariffe incentivanti ben definite in relazione agli incentivi per il fotovoltaico 2012 e 2013 ma, a partire dal primo semestre dell’anno 2013 e così sino all’anno 2016 le tariffe incentivanti assumeranno un valore cosiddetto omnicomprensivo a riguardo dell’energia fotovoltaica immessa nel sistema elettrico.

In riferimento agli anni 2014, 2015 e 2016 bisognerà dunque calcolare le tariffe sulla base del suddetto valore omnicomprensivo.

Il calcolo delle tariffe incentivanti effettuato sulla base di un valore omnicomprensivo sta a significare che gli incentivi previsti per gli anni compresi tra il 2013 ed il 2016 non verranno più erogati sulla base del totale dell’energia prodotta dall’impianto fotovoltaico ma esclusivamente a riguardo della quota energetica che sarà effettivamente immessa nella rete elettrica.

Il GSE ha dunque dato indicazione, per gli anni 2014, 2015 e 2016, delle riduzioni percentuali da applicare alle tariffe incentivanti a riguardo del semestre precedente. Nello specifico, per quanto riguarda gli incentivi per impianti solari fotovoltaici si tratta di:

  • Una riduzione del 13% per il 1° e 2° semestre del 2014
  • Una riduzione del 15% per il 1° e 2° semestre del 2015
  • Una riduzione del 30% per il 1° e 2° semestre del 2016

Per quanto riguarda dunque gli anni 2015 e 2016 gli impianti fotovoltaici innovativi e a concentrazione accederanno alle tariffe previste per gli impianti solari fotovoltaici.

Qualificazione giuridica degli impianti fotovoltaici

Orbene è di fondamentale importanza chiarire se trattasi di qualificazione mobiliare o immobiliare degli impianti fotovoltaici, come desumibile dalla disciplina civilistica, giacché  diversa sarà la disciplina fiscale applicabile, e l’eventuale accatastamento.

In particolare, la definizione di bene immobile è contenuta nell’articolo 812 del codice civile, ai sensi del quale «sono beni immobili il suolo, le sorgenti e i corsi d’acqua, gli alberi, gli edifici e le altre costruzioni, anche se unite al suolo a scopo transitorio e in genere tutto ciò che naturalmente o artificialmente è incorporato al suolo». Al secondo comma si precisa, poi, che «sono reputati immobili i mulini, i bagni e gli altri edifici galleggianti quando sono saldamente assicurati alla riva o all’alveo e sono destinati a esserlo in modo permanente per la loro utilizzazione». I beni mobili sono, invece, definiti in via residuale, nel senso che sono tali le entità giuridicamente rilevanti che non rientrano nella definizione di cui ai citati primi due commi dell’articolo 812 del codice civile.

In altri termini, salvo quelli ontologicamente tali (i.e., suolo, sorgenti, corsi d’acqua), altri beni possono essere considerati immobili solo laddove sussista un (loro) rapporto di «unione» o «incorporazione» al suolo, causato da fenomeni naturali o dall’opera dell’uomo. Tale rapporto non deve necessariamente essere permanente, purché la transitorietà non risulti in una relazione di eccessiva precarietà.

Peraltro, nell’evoluzione giurisprudenziale in materia, i concetti di «unione» e «incorporazione» sono stati oggetto di prese di posizione assai dissonanti: in alcuni casi, i giudici hanno fatto propria la tesi della necessità di un’immedesimazione organica con il suolo, con conseguente perdita dell’individualità fisica, giuridica e funzionale del bene; in altre circostanze - peraltro numericamente prevalenti - si è ritenuto che l’«immobilizzazione» (dei beni) non implica la necessaria stabilità del relativo rapporto di «unione» o «incorporazione» con il suolo.

In ogni caso, la dottrina prevalente, anche alla luce degli orientamenti giurisprudenziali sopra descritti, tende a preferire un «criterio funzionale», in base al quale «andrebbero considerati immobili i beni suscettibili di utilizzazione permanente o almeno duratura nel luogo in cui si trovano»  o, comunque, «quegli oggetti dei diritti la cui idoneità a realizzarne il contenuto implica una relazione funzionale con il luogo in cui si trovano»..

Assai altalenante è apparsa, nel tempo, la posizione dell’Amministrazione finanziaria in merito alla qualificazione giuridica degli impianti fotovoltaici e alle relative conseguenze in termini di trattamento fiscale. In effetti, in passato, l’Agenzia delle entrate, facendo applicazione proprio del suddetto «criterio funzionale», ha avuto modo - in più di un’occasione - di ribadire la natura di bene mobile degli impianti in rassegna, a prescindere dalle loro dimensioni (e potenza). Ciò, in base ad argomentazioni del seguente tenore:

a) «un impianto fotovoltaico non costituisce impianto infisso al suolo in quanto normalmente i moduli che lo compongono (i pannelli fotovoltaici) possono essere agevolmente rimossi e posizionati in altro luogo, mantenendo inalterata la loro originaria funzionalità» (circolare n. 46/E del 2007);

b) «si ritiene, in linea generale, che siano diversi da quelli infissi al suolo - in conformità a quanto contenuto nella Circolare n. 46/E del 2007, cit., emanata in relazione agli incentivi per gli impianti fotovoltaici - gli impianti e i macchinari che possono essere agevolmente rimossi e posizionati in altro luogo, mantenendo inalterata la loro originaria funzionalità (...) ciò vale anche per i beni “stabilmente” e “definitivamente” incorporati al suolo, purché gli stessi possano essere rimossi e utilizzati per le medesime finalità senza “antieconomici” interventi di adattamento» (Circolare n. 38/E del 2008);

c) «l’impianto fotovoltaico situato su un terreno non costituisce impianto infisso al suolo in quanto normalmente i moduli che lo compongono (i pannelli solari) possono essere agevolmente rimossi e posizionati in altro luogo, mantenendo inalterata la loro originaria funzionalità (cfr. Circolare n. 46/E del 2007, cit.) (...). Si è in presenza di beni immobili quando non è possibile separare il bene mobile dall’immobile (terreno o fabbricato) senza alterare la funzionalità dello stesso o quando per riutilizzare il bene in un altro contesto con le medesime finalità debbono essere effettuati antieconomici interventi di adattamento» (Circolare n. 38/E del 2010)..

Non può, peraltro, sottacersi la posizione di segno opposto adottata dall’Agenzia del territorio, prima dell’incorporazione nell’Agenzia delle entrate, con la risoluzione n. 3/T del 2008, poi confermata con la nota 10 marzo 2009, n. 14223 e, infine, con la nota 22 giugno 2012, n. 31892. In tali occasioni, si è affermato che i pannelli fotovoltaici posizionati permanentemente sul suolo possono essere assimilati alle turbine delle centrali idroelettriche e che il complesso dei beni, costituito dal suolo e dalla serie di pannelli costituenti l’impianto fotovoltaico, configurerebbe un «opificio» (categoria D/1), avente autonoma rilevanza catastale e, quindi, natura di bene immobile. Si precisa che la richiamata posizione del Territorio risulta riferita alle centrali fotovoltaiche, ovvero agli impianti di grandi dimensioni, capaci di produrre energia eccedente il mero fabbisogno di auto-consumo e, dunque, destinata alla vendita sul mercato.

Come emerge dalla ricostruzione che precede, il quadro di prassi si è, senz’altro, contraddistinto, negli anni, per un elevato grado di ambiguità.

Con la Circolare n. 36 del 19 dicembre 2013, l’Agenzia delle Entrate fa il punto sull’annosa questione della qualificazione mobiliare o immobiliare degli impianti fotovoltaici, analizzando le conseguenti implicazioni fiscali nel comparto delle imposte dirette ed indirette. In particolare, in relazione al tema di interesse, la circolare fa proprio, anche ai fini fiscali, l’approccio di origine catastale, per cui sono da considerare «unità immobiliari» tutti i fabbricati (o porzioni di essi), nonché le costruzioni ancorate o infisse al suolo, che presentano una propria autonomia funzionale e reddituale.

Con riferimento alle installazioni fotovoltaiche, occorre accertare la relazione con l’immobile che li ospita e valutarne l’eventuale esistenza di una rilevante funzionalità e capacità reddituale, a prescindere dal mezzo di unione utilizzato.

Sono, pertanto, considerati beni immobili tutte le installazioni (fotovoltaiche) che:

- costituiscono una centrale di produzione di energia autonomamente censibile in categoria D1 («opifici») o D10 (i.e., nel caso siano ospitati da immobili aventi i requisiti di ruralità);

- sono poste sulle pareti o sul tetto di un edificio ovvero sono realizzate su aree di pertinenza (comuni o esclusive) di un fabbricato, le quali, pur non essendo assoggettate ad obblighi di autonomo accatastamento, integrano il valore capitale (o l’ordinaria redditività) dell’immobile cui sono collegati di una percentuale almeno pari al 15%.

Sono, invece, beni mobili gli impianti fotovoltaici di dimensione e potenza tale da essere prevalentemente destinati alla produzione energetica per consumo domestico. Ciò accade quando risulta rispettato almeno uno dei seguenti requisiti:

i) la potenza nominale dell’impianto non è maggiore di 3 chilowatt per unità immobiliare servita;

ii) la potenza complessiva in chilowatt non supera tre volte il numero di unità immobiliari le cui parti comuni sono servite dall’impianto;

iii) il volume complessivo delle installazioni (fotovoltaiche) ubicate al suolo non supera i 150 mc.

La questione è delicata, perché in genere un impianto di 3 kW è esattamente quello che serve per coprire i consumi di una famiglia-tipo. Fino a qualche anno fa, però, gli incentivi erano così ricchi che molti proprietari hanno scelto di installare impianti un po’ più potenti, così da massimizzare l’incasso delle “tariffe incentivanti”: quando il tetto di casa era abbastanza spazioso, molti hanno scelto moduli da 4, 6 o anche 10 kW di potenza (in media, 1 kW richiede circa 7 metri quadrati di superficie). Sono proprio queste le situazioni in cui bisogna verificare se la rendita catastale dell’unità immobiliare va aggiornata o no.

Quando il fotovoltaico è al servizio di un’unità immobiliare già accatastata, la circolare delle Entrate ribadisce che la variazione catastale è obbligatoria solamente quando il valore dell’impianto supera il 15% della rendita catastale. Piccolo problema: per il proprietario è impossibile valutare da solo se il rapporto viene superato o no. Anche perché il risultato finale dipende dalla rendita di partenza, che può essere molto diversa a seconda della categoria catastale: molte villette, ad esempio, non sono iscritte in Catasto come A/7 (villini), ma come A/2 (abitazioni civili), e proprio per questo valgono meno agli occhi del fisco. In questi casi, arrivare all’obbligo di aggiornamento catastale potrebbe essere più facile. Al contrario, sulle abitazioni di recente costruzione (o dove la rendita catastale è stata aggiornata per grandi lavori di ristrutturazione) sarà più difficile che il valore dell’impianto fotovoltaico sul tetto incida per oltre il 15 per cento. La conclusione comunque è una sola: per fare una valutazione corretta bisogna coinvolgere un professionista abilitato, come un geometra, perché valuti se è necessario aggiornare la rendita. Di quanto? Impossibile generalizzare, perché di fatto l’impianto farà salire la rendita di una o più “classi”, ma si può ipotizzare che su una villetta con una rendita di 1.200 euro l’incremento sarà - almeno - di 250 euro.

  1. Conseguenze fiscali 

Imposte dirette

Prima di entrare nel merito degli aspetti fiscali degli impianti fotovoltaici, è necessario ricordare che l’amministrazione finanziaria, fino alla circolare n. 36/E del 2013, qualificava gli impianti fotovoltaici come beni mobili.

Infatti, nella Circolare n. 46/2007 veniva indicato come coefficiente di ammortamento da applicare agli impianti fotovoltaici il 9% che corrisponde al coefficiente applicabile alle «Centrali termoelettriche» secondo la tabella allegata al Decreto Ministeriale del 31 dicembre 1988. In considerazione del fatto che la categoria impianti fotovoltaici non è contemplata nella tabella, l’amministrazione finanziaria, al fine di determinare il coefficiente, ha fatto riferimento a beni che presentano caratteristiche similari a quelli in esame.

Alla luce della nuova posizione assunta dall’Agenzia delle Entrate, se gli impianti fotovoltaici si qualificano come beni immobili si applica un coefficiente di ammortamento del 4%, facendo riferimento al settore dell’energia elettrica e, quindi, mutuando il coefficiente di ammortamento da beni similari per impiego e vita utile non essendo contemplato nella tabella lo specifico coefficiente.

Se gli impianti fotovoltaici non risultano accatasti separatamente, si applica il coefficiente di ammortamento previsto per l’unità immobiliare che li ospita (ad esempio 3% come nel caso degli immobili).

Diversamente, se gli impianti fotovoltaici costituiscono beni immobili autonomamente accatastati è necessario ai fini dell’ammortamento applicare la disciplina dello scorporo del valore del terreno così come prevista dal Decreto Legge n. 223/2006, in modo tale da rendere indeducibile l’ammortamento delle aree sulle quali insistono gli impianti fotovoltaici.

Il costo da attribuire all’area sottostante gli impianti fotovoltaici sarà pari al maggiore tra:

- il valore separatamente esposto in bilancio nell’anno di acquisto;

- il 30% del costo di acquisto complessivo dell’immobile comprensivo del valore dell’area.

Si applica il 30% tenuto conto che gli impianti fotovoltaici hanno natura di immobili industriali a prescindere dalla classificazione catastale, essendo destinati alla produzione di energia.

Infine, l’Agenzia delle Entrate precisa che se il terreno su cui insistono gli impianti fotovoltaici è detenuto in forza di un diritto di superficie a tempo determinato la disciplina dello scorporo di cui al Decreto Legge n. 223/2006 non si applica, se invece il diritto di superficie è a tempo indeterminato allora risulta applicabile in quanto assimilabile all’acquisto in proprietà.

Se invece gli impianti fotovoltaici si qualificano come beni mobili si applica un coefficiente di ammortamento pari al 9% come previsto nella Circolare n. 46/2007.

Sempre ai fini dell’ammortamento, qualora l’immobile che ospita gli impianti fotovoltaici sia di proprietà di un terzo, fattispecie peraltro piuttosto ricorrente, allora gli stessi si qualificano come spese incrementative su beni di terzi. In base al principio contabile OIC n. 24 tali costi sono da iscrivere fra le immobilizzazioni immateriali nella voce BI7) «altre immobilizzazioni immateriali» se non possano essere separati dai beni immobili che li ospitano, in questo caso l’ammortamento si effettua nel periodo minore tra quello di utilità futura delle spese sostenute e quello residuo della locazione tenuto conto dell’eventuale rinnovo.

Sempre secondo il principio contabile se la spesa incrementativa (l’impianto fotovoltaico) è dotata di una propria autonomia rispetto all’immobile che lo ospita allora l’impianto deve essere iscritto fra le immobilizzazioni materiali nella categoria di riferimento e ammortizzato secondo quanto previsto nella circolare in commento, se immobile al 4%, altrimenti al 9%.

Imposte indirette

La qualificazione degli impianti fotovoltaici come beni immobili o mobili assume rilevanza anche nel comparto delle imposte indirette (Iva).

Se gli impianti in esame hanno natura di beni immobili, allora in caso di cessione degli stessi da parte di un soggetto passivo Iva si applica l’articolo 10, comma 1, nn. 8-bis) e 8-ter) del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633/72 e, quindi, il regime di esenzione, fatto salvo il caso in cui il cedente abbia manifestato l’opzione per l’imposizione.

Ai fini del momento impositivo, trattandosi di beni immobili, in base all’articolo 6 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633/72, la cessione si considera effettuata al momento della stipulazione dell’atto, mentre sotto il profilo procedurale, se il cedente soggetto passivo Iva ha manifestato l’opzione per l’imponibilità, si applica l’articolo 17, comma 6, lett. a-bis) del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633/72, che prevede l’obbligo del reverse charge in caso di cessione di fabbricati strumentali per i quali è stata manifestata l’opzione per l’applicazione dell’Iva.

Il cessionario, soggetto passivo Iva, integra la fattura con aliquota Iva al 10%.

Per effetto del principio di alternatività Iva registro, l’assoggettamento ad Iva (sia in regime di imponibilità con applicazione del reverse charge che in regime di esenzione) dell’atto di cessione dell’impianto fotovoltaico comporta l’applicazione dell’imposta di registro nella nuova misura fissa di euro 200,00 e delle imposte ipo-catastali nelle vecchie misure proporzionali rispettivamente al 3% e 1%.

Qualora l’impianto fotovoltaico qualificato come bene immobile sia ceduto da un privato e, quindi, fuori dal campo di applicazione dell’Iva, si applica l’imposta di registro nella misura proporzionale del 9% e le imposte ipo-catastali in misura fissa pari ad euro 50 ciascuna, tenuto conto delle modifiche apportate con il Decreto Legislativo n. 23/2011 alle imposte di registro, ipotecarie e catastali in caso di trasferimenti immobiliari a decorrere dall’1° gennaio 2014.

Qualora gli impianti fotovoltaici abbiano natura di beni mobili sono soggetti ad Iva con aliquota del 10%, nel caso la cessione venga effettuata da un privato non si applica l’Iva venendo a mancare il requisito soggettivo, ma l’imposta di registro in misura pari al 3%.

Visto il deciso cambio di rotta, la stessa Agenzia delle Entrate ha precisato nella circolare in commento che, in virtù di quanto previsto all’articolo 10 dello Statuto del Contribuente, sono fatti salvi i comportamenti tenuti dai contribuenti ai fini delle imposte dirette e indirette sulla base dei precedenti documenti di prassi.

In particolare, se l’impianto fotovoltaico sulla base delle indicazioni rese nei precedenti documenti interpretativi è stato qualificato dal contribuente come bene mobile applicando un coefficiente di ammortamento nella misura del 9%, gli eventuali maggiori ammortamenti dedotti non devono essere rettificati.

La Circolare n. 36/E del 2013 passa poi ad esaminare, sempre sotto il profilo delle imposte dirette, la disciplina delle società di comodo essendo in linea di principio applicabile anche ai soggetti che operano nel settore del fotovoltaico.

Come noto la disciplina si basa sull’applicazione di prestabiliti coefficienti a determinati asset patrimoniali il cui risultato determina l’ammontare di ricavi minimi da conseguire per non risultare società di comodo.

La circolare precisa che ai fini del calcolo del test di operatività si deve assumere il coefficiente del 6% previsto per i beni immobili a prescindere dalla qualifica degli impianti fotovoltaici come beni immobili o mobili (per i quali il coefficiente sarebbe del 15%).

Inoltre come si apprende dalla circolare, in considerazione del fatto che il settore di energia elettrica da fonte fotovoltaica è un mercato a prezzi predefiniti, l’Agenzia delle Entrate valuterà favorevolmente gli interpelli presentati dalle società che dimostrano con idonea documentazione le motivazioni per cui i ricavi conseguiti non sono pari a quelli presunti dal legislatore.

Quindi, pur non costituendo la fattispecie in esame una causa di esclusione dall’applicazione della disciplina sulle società di comodo, presenta comunque degli elementi di cui tenere conto proprio perché non si può prescindere dal particolare funzionamento di questo mercato in cui la vendita di energia avviene a prezzi imposti.

Il contribuente potrà presentare l’interpello in cui motiverà che non consegue ricavi almeno pari a quelli stimati dalla legge in quanto:

in caso di vendita indiretta, la vendita dell’energia avviene sulla base di prezzi stabiliti dal GSE;

in caso di vendita diretta (borsa o un grossista), ricorrono situazioni oggettive che non permettono il conseguimento di ricavi in misura tale da superare il test di operatività.

Infine, l’Agenzia delle Entrate precisa che le considerazioni effettuate in materia di società di comodo per le società che producono e vendono energia con impianti fotovoltaici valgono solo in caso di mancato conseguimento di ricavi per un importo pari o superiore a quello presunto dalla legge, tali considerazioni non possono essere estese all’ipotesi di società di comodo da perdita sistemica.

Con la Circolare n. 36 del 19 dicembre 2013, come detto sopra, l’Agenzia delle Entrate fa il punto sulla intricata vicenda della qualificazione mobiliare o immobiliare degli impianti fotovoltaici, analizzando le conseguenti implicazioni fiscali nel comparto delle imposte dirette ed indirette.

I proprietari delle case che hanno installato sui propri tetti un impianto fotovoltaico tra 3 e 20 kWp, pertanto, saranno costretti ad aggiornare la rendita catastale come avessero costruito dei nuovi vani, in proporzione al valore del proprio impianto. Il fisco, quindi, dopo aver spinto i cittadini a godere dei generosi incentivi disponibili in passato grazie al Conto Energia (finanziamenti che sono stati poi spalmati sulla bolletta di tutti gli utenti), presenta il conto ai circa 312mila proprietari di case sulle quali sono stati collocati gli impianti e, di fatto, aumenta le tasse sulla casa a chi ha investito sul proprio immobile, seppure dimostrandosi più sensibile alle questioni delle energie rinnovabili. Lo spostamento di rendita o di classe catastale comporta infatti un aumento dell’Irpef, dell’Imu e della Tares, e della imposta di registro in caso di vendita, corrispettivo all’aumento della rendita conseguente all’accatastamento dell’impianto stesso.

Cosa fare qualora si riceva, e si vuol contestare, un avviso di accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate, che varia in aumento la rendita catastale proposta:

  • proporre ricorso alla Commissione Tributaria tramite un avvocato esperto del settore. Il momento decisivo ai fini della possibilità di difendersi è la notifica al contribuente dell’avviso di accertamento di rideterminazione della rendita catastale relativa all’impianto fotovoltaico di sua proprietà.

Entro 60 giorni dalla data di ricezione della notifica, è infatti possibile impugnare singolarmente il nuovo classamento davanti alle Commissioni Tributarie territorialmente competenti, contestando la regolarità del procedimento per:

- Nullità del provvedimento per difetto di motivazione

Il provvedimento impugnato è del tutto privo di motivazione, poiché l’Agenzia del Territorio ha provveduto alla nuova determinazione di classamento e rendita catastale, senza alcuna indicazione e  motivazione degli elementi obiettivi assunti a riferimento per la determinazione dello stesso.

Del resto, l’articolo 7 della legge n. 212/2000  rubricato: “chiarezza e motivazione degli atti” stabilisce espressamente, al primo comma, che: “gli atti dell’amministrazione finanziaria sono motivati secondo quanto prescritto dall’articolo 3 della Legge 7 agosto 1990, n. 241, concernente la motivazione dei provvedimenti amministrativi, indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione …”.

Al riguardo, la Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 17576 del 10/12/2002 e con la successiva Sentenza del 14 aprile 2004, n. 7080, ha affermato che i principi espressi nelle disposizioni della Legge n. 212/2000 o dalla stessa desumibilihanno una rilevanza del tutto particolare nell’ambito della legislazione tributaria ed una sostanziale superiorità, quali norme primarie, rispetto alle altre disposizioni vigenti in materia.

Da ultimo, poi, la Suprema Corte, con la recente Sentenza n. 10982/2009 depositata il 13 maggio 2009 ha rilanciato in termini forti lo Statuto del contribuente, riprendendo il contenuto di alcune precedenti pronunce (Sentenze nn. 21513/2006 e 17516/2002). In quanto norme a valenza costituzionale perché attuative di principi costituzionali, le norme dello Statuto dei diritti del contribuente devono trovare, quindi, diretta ed immediata applicazione in materia tributaria.

Peraltro, la Suprema Corte con la Sentenza n. 9629 del 13 giugno 2012 afferma: <<quando attribuisce un nuovo classamento ad un’unità immobiliare, l’Agenzia del Territorio deve rendere possibile la conoscenza da parte del contribuente dei presupposti del riclassamento e pertanto specificare: a) se il mutato classamento sia dovuto a trasformazioni specifiche subite dall’unità immobiliare, indicandole; b) se il nuovo classamento consegua ad una revisione dei parametri relativi alla microzona, a seguito di significativi e concreti miglioramenti del contesto urbano, indicando l’atto con il quale tale revisione è stata effettuata>>.

E, sempre nello stesso senso, con la recente Sentenza n. 11370 del 6 luglio 2012 la Cassazione ha stabilito che: <<è illegittimo l’atto di attribuzione di nuova  rendita catastale se l’Agenzia del Territorio nel motivarlo utilizza formule “generiche e stereotipate” adattabili a qualsivoglia immobile>>. ( CTP Treviso 24.09.2001 n. 89 ). Come ad esempio: riportare nelle motivazioni semplicemente: “Elementi estimali per determinare la rendita catastale con riferimento all’epoca censuaria 1988/89” ma senz’altro null’altro aggiungere in merito al criterio di determinazione del valore catastale. Ne deriva che, la lesione del diritto alla difesa è vistosa perché il contenuto dell’avviso di accertamento  in esame non consente al contribuente di operare alcun controllo.

- Infondatezza nel Merito

L’avviso di accertamento impugnato con cui l’Agenzia del Territorio provvede a variare la situazione catastale proposta in sede di presentazione di DOCFA, con rilevante aumento di rendita è illegittimo ed infondato, altresì, nel merito.

Ed infatti, l’Ufficio in modo del tutto incomprensibile ed infondato notifica al contribuente, l’avviso, sulla base dell’inconsistente motivazione , come ad esempio, che “la determinazione del nuovo classamento e della relativa rendita catastale è stata eseguita  con stima diretta sulla base degli elementi economici e quantitativi con riferimento al biennio economico 1988-89” .

Perizia

Ecco che è necessario contrapporre alle risultanze ottenute dalle verifiche effettuate dall’Agenzia del Territorio quelle derivanti,  da una perizia giurata in originale redatta da un ingegnere che dimostri che, operando con due distinti procedimenti di stima (stima con metodo sintetico-comparativo e stima indiretta con determinazione del valore di mercato del bene immobile attraverso il valore di ricostruzione),  si conferma il medesimo valore di mercato per il bene oggetto del ricorso, valore, peraltro, riportato in sede di presentazione Docfa. È necessario precisare che per “stima diretta” si intende la stima effettuata in maniera puntuale sugli immobili a destinazione speciale o particolare, per i quali non è possibile fare riferimento al sistema delle tariffe. La stessa Corte di Cassazione con la Sentenza n. 19215 del 2012 ha stabilito che, in conformità al Decreto del Presidente della Repubblica n. 1142/1949, se la valutazione per il riclassamento per gli immobili di categoria D è stata fatta attraverso la comparazione con immobili simili, ma senza stima diretta, l’atto impositivo è annullabile poiché è sempre necessario il sopralluogo, tranne che per il caso in cui sia prodotto una perizia di parte. La Suprema Corte ha affermato testualmente “Invero il canone determinativo del classamento e della conseguente attribuzione della rendita catastale per gli immobili di categoria D deve basarsi, a norma del Decreto del Presidente della Repubblica 1 dicembre 1949, n. 1142, e del Decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 articolo 34, sulla stima diretta, che tenga conto delle caratteristiche del bene, potendo all’uopo essere utilizzate le risultanze emergenti dalla perizia prodotta dalla parte interessata senza necessità di sopralluogo”.

- CTU

Si consiglia di chiedere, inoltre, alla Commissione Tributaria la nomina di un C.T.U. affinché lo stesso chiarisca definitivamente l’infondatezza della pretesa impositiva avanzata dall’Ufficio nei confronti del ricorrente.

Giurisprudenza su casi particolari

La cessione di un impianto fotovoltaico in corso di costruzione o la realizzazione dello stesso sopra un terreno agricolo non comporta alcun mutamentoai fini Iva né ai fini della destinazione del terreno ospitante. Questi sono in estrema sintesi i due concetti espressi rispettivamente dalla CTR di Milano con la Sentenza n. 3602/36/2014 e dalla CTP di Brindisi con la Sentenza n. 1032/2/2014.

Con la sentenza della CTR di Milano i giudici milanesi hanno affrontato la questione di un’operazione di compravendita avente ad oggetto il diritto di superficie e un impianto di produzione di energia elettrica da fonte fotovoltaica in corso di costruzione, alla quale era stata applicata l’Iva, in quanto qualificata dal cedente come una mera cessione di beni. Di diverso avviso è stata invece l’Agenzia delle Entrate, la quale, con l’avviso di accertamento poi impugnato, sosteneva l’applicazione dell’imposta di registro nella misura del 15%, oltre alla imposta catastale del 1% e ipotecaria del 2%, giustificando tale scelta impositiva mediante l’inquadramento della compravendita in questione come un’operazione avente ad oggetto un terreno agricolo, sul quale era ospitato l’impianto in corso di costruzione.

L’assoggettamento ad Iva dell’operazione, sulla quale è stata chiamata ad esprimersi la CTR di Milano, assume ancora più rilevanza considerando la circostanza che l’oggetto della compravendita è un impianto fotovoltaico in corso di costruzione, già censito al catasto fabbricati nella categoria “fabbricato in corso di costruzione” e poi regolarmente censito nella categoria catastale D/10, in quanto rispondente ai criteri indicati dalla stessa Agenzia delle Entrate con la C.M. n.36/E/2013. Come dire: se con la citata circolare affermi, al ricorrere di specifici parametri, la qualifica di immobile di un impianto fotovoltaico, lo stesso bene non può essere qualificato anche come terreno agricolo.

La Sentenza della CTP di Brindisi n. 1032/2/2014, invece, ha risolto una questione in materia di ICI, ma con effetti anche ai fini IMU e TASI, originata dalla costruzione di diversi impianti fotovoltaici a pannelli su un terreno agricolo di proprietà di terzi. La questione trae origine dal fatto che una società agricola aveva concesso in affitto un proprio terreno avente destinazione urbanistica agricola produttiva (ricadente in zona E1). Su una porzione dell’immobile la stessa società affittuaria beneficiava anche dei diritti di superficie e di servitù per cavidotto, elettrodotto, accesso e passaggio. Inoltre, sulla porzione immobiliare in questione, sono stati realizzati alcuni impianti fotovoltaici. A distanza di alcuni anni, il Comune competente tuttavia ha accertato alla società in questione l’omesso versamento dell’ICI e la mancata presentazione della relativa dichiarazione.

La Commissione tributaria provinciale di Siena, Prima Sezione,Sentenza n. 94/01/12 del 24/5/2012 dà ragione al contribuente su un ricorso avverso l’avviso di accertamento catastale con cui veniva attribuita la cat. D/1 ad una pensilina per parcheggi situata nell’area di servizio, dotata di copertura di pannelli fotovoltaici.

La Società aveva presentato una docfa chiedendo il classamento in cat. E/1, ma l’Agenzia del territorio aveva negato tale classamento ritenendo trattarsi di un opificio destinato alla produzione di energia elettrica.

Infine, la CTP di Bari con Sentenza n. 184/2011 ha accolto il ricorso di una società proprietaria di un immobile del quale l’Agenzia del territorio aveva variato il classamento, senza dar prova dell’applicazione del metodo della stima diretta prevista per gli immobili rientranti tra le categorie speciali. Ebbene, la CTP di Bari ha affermato che “la stima diretta conseguente all’effettivo sopralluogo dell’immobile, avrebbe consentito di appurarne le caratteristiche e qualità, oltre che ad osservare le disposizioni di legge e di prassi amministrativa, per una determinazione della valutazione finale quale risultato dell’esame dell’intero compendio produttivo nella sua interezza. La mancata adozione, pertanto, del metodo della stima diretta nonché la mancanza del predetto sopralluogo invalidano ab origine ed in modo insanabile l’attività stessa di classificazione posta in essere dall’Agenzia del Territorio.”