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Frontex e la tutela dei diritti umani: quis custodiet ipsos custodes?

Push-backs nel Mar Egeo, un inquadramento giuridico
Siamo (noi) la più grande tempesta
Ph. Paolo Panzacchi / Siamo (noi) la più grande tempesta

Abstract

Recenti casi di cronaca che hanno visto protagonista l’Agenzia europea della Guardia di Costiera e Frontiera hanno offerto il giusto spunto per una riflessione giuridica in merito alle tutele offerte a coloro i cui diritti siano lesi nell’ambito delle operazioni di controllo delle frontiere. Le condotte analizzate, i cd. push-backs, già di per sé di difficile inquadramento, si inseriscono in un più complesso contesto che rende particolarmente onerosa la tutela dei diritti umani. Le frontiere diventano quindi espressione di fragilità dello stato di diritto e luogo dove vengono poste in essere operazioni potenzialmente idonee a ledere i diritti di individui già fortemente vulnerabili, ma da cui viene offerta insufficiente tutela. Dopo aver inquadrato le condotte, l’articolo analizza la debolezza strutturale dei meccanismi di tutela dei diritti umani.

Recent news reported events concerning the involvement of the European Border and Coast Guard Agency. Such episodes provided the opportunity for a legal reflection on the effectiveness of the legal tools to protect human rights in the context of the Agency’s operation. The conducts under analysis, the so-called push-backs, take place in such a complex legal context that the whole mechanism of human rights protection is particularly burdensome. These operations, besides having the capacity to seriously hinder the human rights of vulnerable individuals, take place at EU borders which are already fragile when it comes to rule of law. After framing the conduct, the article analyses the structural weakness of existing human rights protection mechanisms.

 

Sommario

1. Introduzione

2. I push-backs

2.1. Il quadro giuridico

2.2. Competenze e responsabilità

3. Meccanismo di denuncia a tutela dei diritti umani

3.1. Quale tutela per la violazione dei diritti umani?

3.2. E la tutela giurisdizionale?

4. Conclusioni

 

Summary

1. Introduction

2. Push-backs

2.1 The Legal Framework

2.2 Competences and accountability

3. Complaint mechanism to guarantee human rights

3.1 What protection for human rights?

3.2. What about judicial protection?

4. Conclusions

 

1. Introduzione

Negli ultimi mesi, l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera (di seguito Agenzia o Frontex) è tornata al centro di un vivo dibattito politico a causa del suo preteso coinvolgimento in respingimenti illegali, operati nell’ambito di attività poste in essere al confine greco-turco e ampiamente documentati dalla stampa internazionale[2]. In realtà, non è la prima volta che l’agenzia viene ritenuta protagonista di condotte illecite: in passato, infatti, i media ne avevano denunciato il coinvolgimento nella violazione dei diritti umani dei migranti durante delle operazioni di rimpatrio[3]. Il ripetersi di questi eventi ha portato la Commissione europea ad organizzare una riunione urgente[4] con l’obiettivo di discutere i pretesi respingimenti operati nel Mar Egeo, nell’ambito delle cd. operazioni RABITs[5] e l’Agenzia ad aprire un’investigazione interna atta ad accertare i fatti denunciati dai media[6].

L’Agenzia fu creata nel 2004 con l’obiettivo di coordinare la cooperazione tra gli Stati membri, assisterli nella formazione del corpo di guardia di frontiera, offrire assistenza tecnica e aiuti necessari ed effettuare analisi dei rischi[7].

Il Regolamento istitutivo dell’Agenzia è stato soggetto a numerose modifiche, ognuna delle quali ha comportato una progressiva espansione delle competenze[8]. In particolare, la revisione operata dal Reg. 1168/2011 ne ha rafforzato le capacità operative, come enunciato nel considerando 9), mentre l’ulteriore modifica, avvenuta nel 2016, immediatamente dopo l’aumento dei flussi migratori del 2015, ha apportato competenze ex novo, attribuendole ora anche il ruolo di registrare e fare lo screening nell’ambito del sistema hotspot e aiutare gli Stati Membri nell’organizzazione dei rimpatri. L’ultima modifica avvenuta nel 2019 con il regolamento n. 1986 segna una svolta significativa, creando la prima agenzia europea dotata di un proprio corpo permanente.

L’inquadramento giuridico degli episodi resi noti dalla stampa internazionale offre, come si vedrà, il giusto spunto per evidenziare la debolezza strutturale dell’Agenzia in relazione ai diritti umani. L’articolo analizza in primis gli episodi inquadrandoli all’interno della cornice giuridica di riferimento, procede delineando le competenze a prendere tali decisioni e le conseguenti responsabilità e, infine, delinea gli spazi di tutela offerti a coloro i cui diritti ne siano lesi, evidenziandone la fragilità.

 

2. I push-backs

Le operazioni in esame si inseriscono all’interno del sistema di “gestione integrata delle frontiere[9]” di cui all’art. 3 del Regolamento Frontex. L’obiettivo è quello di garantire un elevato livello di sicurezza all’interno dell’Unione[10], attraverso la creazione di un complesso sistema di controllo dell’accesso al territorio dell’Ue.

Ai sensi dell’art. 13 del Codice frontiere Schengen[11], il controllo delle frontiere si propone, principalmente, di “impedire l'attraversamento non autorizzato della frontiera, di lottare contro la criminalità transfrontaliera e di adottare misure contro le persone entrate illegalmente”. Tale norma va poi letta in combinato disposto con gli artt. 3 e 4 dello stesso Regolamento che impongono il rispetto degli obblighi relativi all’accesso alla protezione internazionale e di non-refoulement, appunto, di non respingimento (dal francese refoulé, respingere).

È proprio nella pretesa violazione di quest’ultimo principio, sancito a livello europeo dall’articolo 19 della Carta dei Diritti Fondamentali[12], che si concretizzerebbe la condotta sotto inchiesta dei cd. push-backs, o respingimenti illegali. I push-backs non trovano una definizione nel diritto dell’Unione europea, ma generalmente vengono identificati con quell’insieme di azioni, poste in essere da attori pubblici, atte a respingere migranti e richiedenti asilo con l’obiettivo di precludere loro il raggiungimento della frontiera, senza che si proceda preliminarmente ad un’analisi della situazione giuridica dei respinti[13].

La giurisprudenza internazionale ha, in passato, individuato dei margini di legittimità della condotta in sussistenza di specifici criteri (di cui si dirà più avanti), ma che generalmente rimane illegittima e comporta criticità in relazione soprattutto al diritto di accesso alla protezione internazionale, al divieto di trattamenti disumani e degradanti e al diritto alla vita.

Successivamente alla pubblicazione dell’investigazione[14] che ha reso note la possibile violazione dei diritti summenzionati, la Commissione europea ha convocato una riunione straordinaria[15] al fine di confrontarsi con l’Agenzia sulle condotte in questione. Oltre il Direttore Esecutivo e l’intero Consiglio Direttivo, hanno partecipato il responsabile ad interim per i diritti fondamentali ed un esperto del Segretariato “Libertà Civili, Giustizia e Affari Interni” (LIBE) del Parlamento Europeo.

Lo scorso 2 dicembre 2020, la Commissione Parlamentare LIBE[16] ha quindi incontrato il Direttore Esecutivo dell’Agenzia, in virtù del potere di controllo proprio del Parlamento Europeo[17] e in base all’art. 6 del Regolamento 2019/1896 che ne conferma il vincolo di responsabilità. L’Agenzia è stata chiamata a rispondere su due punti: a: 1) il coinvolgimento diretto di rappresentanti dell’Agenzia in respingimenti illegali e 2) l’aver assistito, senza intervenire in alcun modo, a respingimenti operati dalla guardia costiera greca[18].

 

2.1 Il quadro giuridico

La ricostruzione giuridica degli eventi permette di evidenziare come la debolezza resa evidente dalle investigazioni sia strutturale e non episodica.

Parte dell’analisi è relativa alla ricostruzione dei fatti, presentati dall’Agenzia come prevention of departure (letteralmente: prevenzione delle partenze). È stato infatti riferito al Parlamento che quegli eventi dipinti dai media come respingimenti illegali erano stati, invece, registrati all’interno del programma JORA (Joint Operation Reporting Application, un sistema di condivisione dei dati utilizzato da Frontex e dagli Stati membri per la condivisione dei report relativi alle operazioni congiunte[19]) come intercettazioni in mare, in base al Regolamento 656/2014[20] in materia di sorveglianza delle frontiere marittime esterne. Alla luce di quanto previsto dal Regolamento, nel caso in cui le autorità coinvolte nelle operazioni in acque territoriali abbiano un fondato motivo, accompagnato da sufficienti prove, per ritenere che un natante venga utilizzato per il traffico di migranti, queste potranno ordinare al natante di uscire dalle acque territoriali o dalla zona contigua, anche scortandolo, se necessario, finché non sia chiaro che stia seguendo la rotta indicata[21].

Una premessa necessaria è che agli Stati è attribuito un legittimo interesse al controllo delle proprie frontiere e alla sicurezza del trasporto marittimo[22], che va controbilanciato da strumenti di protezione giuridica riconosciuti ai migranti che si trovino sui natanti intercettati. È quindi questo l’equilibrio da rinvenire in ogni operazione in mare: quello tra il riconoscimento delle garanzie e la lotta ai reati transnazionali[23]. A questo proposito, il cd. Manuale Schengen[24], la guida pratica indirizzata alle guardie di frontiera e contenente informazioni relative all’esercizio uniforme delle relative funzioni[25], impone loro di:

  1. dare la possibilità a tutti i cittadini di paesi terzi di richiedere asilo o protezione internazionale. A questo scopo, le guardie di frontiera dovranno informarli, in una lingua a loro comprensibile, dei loro diritti e doveri nell’ambito della procedura applicabile al caso di specie;
  2. considerare richiedente asilo o protezione internazionale chiunque esprima in qualsiasi modo il timore di subire un grave danno facendo ritorno al proprio paese di origine. A tal proposito, non è necessario che l’individuo pronunci la parola “asilo”, essendo già determinante la manifestazione di timore;
  3. consultare le autorità nazionali competenti per l’esame della situazione giuridica, al fine di esaminare la domanda di protezione internale. Le autorità non potranno respingere in assenza di tale consultazione[26].

Il Working Group on Fundamental Rights and Legal Operational Aspects of Operations in the Aegean Sea (tr., Gruppo di lavoro sui diritti fondamentali e gli aspetti operativi e giuridici delle operazioni nel Mar Egeo)[27] ha chiesto[28] alla Commissione europea, successivamente all’incontro parlamentare, di chiarire due dubbi interpretativi: 1) relativamente alla compatibilità tra i criteri contenuti nella sentenza ND NT[29] emanata dalla Corte di Strasburgo e il Regolamento 656/2014, considerata anche la dichiarazione “UE-Turchia in materia di riammissione delle persone in posizione irregolare”[30]; 2) sull’applicabilità dei requisiti formali relativi ai respingimenti alla luce art. 14 e dell’Allegato V del Codice Schengen nell’ambito delle operazioni di intercettazione in mare.

In merito al primo quesito, la sentenza ND NT, avente ad oggetto i respingimenti operati al confine territoriale tra Spagna e Marocco a Melilla, ricorda il dovere degli Stati i cui confini coincidano anche parzialmente con quelli esterni dell’area di Schengen, di offrire a tutti coloro che arrivino alla frontiera la possibilità effettiva di accedere legalmente al territorio e di poter fare domanda di protezione internazionale, conformemente al Codice Schengen e all’art. 3 CEDU[31]. In quel caso, la Corte valutò che la Spagna aveva garantito l’accesso in a genuine and effective manner e ne ha conseguentemente escluso la responsabilità per violazione del divieto di espulsione collettiva di stranieri (stabilito dall’art. 4 protocollo IV della CEDU). Il Gruppo di lavoro dell’Agenzia ha quindi chiesto di chiarire come il criterio espresso in ND NT, relativo alla possibilità di operare respingimenti in assenza di una valutazione individuale della posizione giuridica dei migranti, si concili con l’art. 6 del Reg. 656/2014 in materia di intercettazioni in acque territoriali[32]. Prevedibilmente, la Commissione europea[33], dopo aver ricordato la necessità di analizzare singolarmente ogni caso alla luce delle proprie specificità, ha chiarito anche che il criterio enunciato in ND NT non può essere automaticamente applicato a tutte le circostanze simili e ciò per varie considerazioni, come ad esempio quella riferita alla territorialità del confine tra Melilla e Beni Ansar.

Anche relativamente al secondo quesito, la Commissione ha specificato l’impossibilità di enunciare criteri orizzontali, applicabili indipendentemente da una valutazione da effettuarsi caso per caso. Ha poi aggiunto che l’art. 14 del Codice Schengen implica una previa analisi della sussistenza delle condizioni di ingresso e che, solo qualora queste non siano soddisfatte, gli individui potranno essere respinti. Inoltre, l’art. 13 del Codice Schengen prevede che, chi abbia fatto ingresso illegalmente e non abbia diritto di rimanere nel territorio europeo, sarà fermato e sottoposto a rimpatrio, in linea a quanto previsto dalla cd. Direttiva Rimpatri[34]. In base a quest’ultima, gli Stati potranno scegliere di non applicare la Direttiva ai cittadini di paesi terzi che siano stati respinti alla frontiera in base all’art. 13 del Codice Schengen o fermati in occasione dell'attraversamento irregolare[35], imponendo parallelamente agli Stati che operino tale scelta di rispettare certi standard di diritti, con una particolare attenzione al non-refoulement.

 

2.2. Competenze e responsabilità

Da quanto descritto nel paragrafo precedente emerge come la linea di demarcazione tra la liceità e illiceità della condotta non sia facilmente delineabile. A ciò si aggiunga un’altra espressione di opacità relativa, questa volta, non alla condotta in sé quanto alla responsabilità per le azioni poste in essere nell’ambito delle operazioni.

In occasione dell’udienza in LIBE è stato riportato ai deputati, in risposta alle domande relative al ruolo dell’Agenzia nelle attività riprese dai media, che il comando tecnico spetta allo stato ospitante[36] e che tutte le risorse dispiegate erano, conseguentemente, soggette al solo controllo delle autorità greche.

Ciononostante, l’Agenzia è investita di un ruolo sia operativo che di vigilanza e di controllo[37]. In particolare, attua la gestione integrata delle frontiere condividendone la responsabilità con le autorità nazionali, rimanendo invece in capo agli Stati membri la responsabilità primaria per la gestione della propria sezione di frontiera esterna[38]. La gestione integrata delle frontiere viene realizzata tramite la cd. politica strategica pluriennale, che viene decisa dal Consiglio di amministrazione, su proposta del Direttore esecutivo, elaborata in stretta collaborazione con gli Stati membri e la Commissione europea[39]. Altra espressione del potere dell’Agenzia è rivestita dal suo corpo permanente, novità istituita dal Regolamento del 2019 che gli riconosce, previa autorizzazione dello Stato interessato, poteri esecutivi in varie materie, inclusi la verifica dell’identità e cittadinanza delle persone, l’autorizzazione o diniego di ingresso, rilascio o rifiuto di visti alla frontiera e rimpatri (Articoli 54 e 55). La gestione integrata comprende anche, tra gli altri elementi, le situazioni di vulnerabilità, ulteriore espressione del controllo esercitato dall’Agenzia. Infine, come ricordato dal Parlamento durante l’incontro, ai sensi dell’art. 46, il Direttore esecutivo è tenuto a cessare le attività nel caso in cui non sussistano più le condizioni per il loro svolgimento.

Ulteriore profilo rilevante concerne il contesto geopolitico all’interno del quale queste azioni hanno luogo[40]. Nel caso di specie si tratta del Mar Egeo, area geografica fortemente soggetta a tensioni politiche date dalla vicinanza con la Turchia, la cui aggressività in materia di politica estera rende il quadro ancor più complesso. L’Agenzia ha infatti reso noto di aver subito hybrid threats (tr., minacce ibride)[41] da parte dell’aeronautica militare turca. Ciò dimostra che l’attività operativa di Frontex, proprio in conseguenza del suo localizzarsi alle frontiere esterne dell’Unione, si inquadra in un contesto di politica estera. Ciononostante, ai sensi dell’art. 6 del Regolamento, l’Agenzia risponde del proprio operato al Parlamento al Consiglio e non alla Commissione europea, che non ne detiene il controllo né sulle decisioni assunte, né sulle operazioni. Inoltre, neanche il Servizio Europeo per l’Azione Esterna (EEAS), competente in materia di politica estera, ha simili poteri. Ma anche qualora ne avesse, rimarrebbe comunque dubbia l’effettiva capacità di gestione che potrebbe esercitare e ciò a causa della sua composizione che vede riuniti membri del Consiglio, della Commissione e rappresentanti dei servizi diplomatici nazionali e, quindi, si presta ad un alto rischio di dispersione del controllo.

Il quadro emergente è quindi estremamente complesso e caratterizzato da azioni composite[42], alla cui creazione e implementazioni prendono parte una moltitudine di attori pubblici. Questo, insieme alla nota poca trasparenza, da intendersi come precondizione di un meccanismo di accountability sociale, politica, amministrativa, professionale e giuridica[43], rende particolarmente onerosa la tutela di diritti potenzialmente violati. Soprattutto, data la particolare vulnerabilità delle persone coinvolte, il Mediatore europeo ha sottolineato che “non ci si può dunque aspettare che cerchino di analizzare quella che è indubbiamente una complessa ripartizione delle responsabilità[44]”.

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