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Gli armeni di Russia

Vladimir Putin with SergeyLavrov
Vladimir Putin with SergeyLavrov

Sergej Lavrov è da quasi un ventennio il fidatissimo ministro degli Esteri di Vladimir Putin. Alumnus dell’Università statale di Mosca per le relazioni internazionali (MGIMO) – quella che Henry Kissinger ebbe a definire come “Harvard russa” in quanto ginnasio della diplomazia sovietica – Lavrov è uno dei personaggi più stimati dell’intero panorama politico moscovita. Pochi sanno, però, che il diplomatico è inoltre uno dei non pochi russi ad avere una progenie armena (per parte di padre).

Quella degli armeni russi è infatti tra le più consistenti – numericamente e culturalmente – tra le minoranze etniche nei confini della Federazione. Una comunità che conta più di un milione di anime tra immigrati di prima e successive generazioni. Prevedibilmente, questa è perlopiù concentrata nel territorio di Krasnodar, a nord della medesima regione caucasica dove – a meridione – si posiziona la madrepatria armena. Non è però difficile imbattersi in individui dai tratti tipicamente sud-caucasici anche a Mosca, San Pietroburgo, o nella orientalissima Vladivostok. Accanto a Lavrov si contano decine di altre celebrità di origine armena, alcuni divenute vere e proprie icone della storia recente russa – come il grande maestro di scacchi Garri Kasparov (nato a Baku da madre armena).

Quella degli armeni in Russia è invero una presenza risalente al tardo Medioevo, che iniziò ad assumere i caratteri attuali sotto l’Impero zarista: nell’estate del 1778, l’imperatrice Caterina II decise di ospitare più di 10.000 armeni provenienti dal Canato di Crimea – che era stato appena annesso da San Pietroburgo. La sede del dislocamento fu la neo-nata città di Nachičevan’-sul-Don – in quella Novorossija (“Nuova Russia”) ritornata oggi ad assumere valenza strategica dopo i fatti crimeani. La storia degli armeni russi assunse presto i connotati della favola dei self-made men: nonostante prevalentemente contadini, i membri della comunità emigrata furono protagonisti di una notevole scalata sociale nel settore mercantile, e in molti scelsero la strada imprenditoriale.

Più tardi, nel 1826-28, la vittoria russa nel conflitto con i persiani sancì la definitiva egemonia zarista nel Caucaso, che non poca influenza avrebbe avuto, quasi un secolo dopo, sul massiccio afflusso di superstiti armeni dall’ostile Impero ottomano. Ancora: alla caduta dell’URSS, circa 600.000 armeni risiedevano nei confini russi – numero destinato ad aumentare in misura esponenziale nei decenni successivi, specialmente dopo il terremoto di Spitak del 1988 (causa di decine di migliaia di vittime in Armenia settentrionale) e il conflitto del Nagorno-Karabakh con l’Azerbaijan (iniziato nel 1992).

Quest’ultima ondata diasporica va però tenuta distinta da quella precedente la perestrojka[1]: gli armeni in Russia faticano ancora oggi a comporre una comunità “nazionale” in senso stretto. Le uniche generazioni ad aver conservato un legame concreto con la madrepatria, difatti, paiono essere quelle arrivate in Russia prima del collasso dell’URSS, laddove le successive sono perlopiù pienamente integrate fino a considerarsi “russe” a tutti gli effetti.

Ça va sans dire, un tale amalgama non poteva non avere ripercussioni sul piano politico: la cifra dell’intesa russo-armena è misurabile considerando la scelta di Erevan, che messa di fronte a due opzioni – accelerare l’integrazione con l’Unione europea oppure partecipare all’Unione economica eurasiatica (“sponsorizzata” da Mosca) – nel 2013 ha optato per la seconda[2].

Erevan serve a Mosca perché le assicura una presenza geopolitica-militare nel sud del Caucaso – stante inoltre l’acrimonia russa con la Georgia (sfociata nel conflitto-lampo del 2008) e l’influenza del rivale turco sull’Azerbaigian[3]. Mosca serve ad Erevan per motivi di fornitura energetica e necessità di avere alle spalle un “amico potente” nello scontro con Baku. Nonostante le non poche preoccupazioni iniziali, nemmeno la “Rivoluzione di velluto” del 2018[4] ha modificato troppo l’inerzia bilaterale: il Cremlino è consapevole che, d’altronde, a sud del Caucaso non si possa fare a meno del prezioso “ombrello” russo[5].

Il legame è ancora più evidente se ci si sofferma sull’aspetto economico, dal momento che la Russia è principale controparte per l’import e l’export dell’Armenia – un giro d’affari che supera i 2 miliardi di dollari[6] (circa il 16% del PIL armeno complessivo).

Un’amicizia da cui, almeno sinora, nessuna delle due può e vuole prescindere.

 

[1] Marina Oussatcheva, “Institutions in Diaspora: the Case of Armenian Community in Russia” (University of Oxford, 2001).

[2] Fabrizio Vielmini, “Armenia's Shift towards the Eurasian Economic Union: a Rejoinder of Realpolitik,” ISPI, 25 ottobre 2013, https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/armenias-shift-towards-eurasian-economic-union-rejoinder-realpolitik-9283.

[3] Sul ruolo dell’alleanza russo-armena nei piani caucasici della Turchia: Hugo Blewett-Mundy, “Russia-Armenia Ties Complicate Turkish Regional Plans,” Global Risk Insights, 9 aprile 2021, https://globalriskinsights.com/2021/04/russia-armenia-ties-complicate-turkish-regional-plans/.

[4] Simone Zoppellaro, “Armenia: dalla Piazza alla Svolta, la Vittoria della Protesta,” Affari Internazionali, 4 maggio 2018, https://www.affarinternazionali.it/2018/05/armenia-piazza-svolta-protesta/.

[5] Narek Sukiasyan, “Appeasement and Autonomy: Armenian-Russian Relations from Revolution to War,” EU Institute for Security Studies, 1° febbraio 2021, https://www.iss.europa.eu/content/appeasement-and-autonomy.

[6]  “Armenia,” Observatory of Economic Complexity, consultato il 14 maggio 2021, https://oec.world/en/profile/country/arm.