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Green Pass: l’uso della logica e gli ultimi baluardi della democrazia

Jacques-Louis David, La morte di Seneca, 1773, Parigi, Petit-Palais
Jacques-Louis David, La morte di Seneca, 1773, Parigi, Petit-Palais

Al tempo dei miei studi universitari si narrava il mito secondo il quale per studiare giurisprudenza era necessaria una grande memoria per tenere a mente “tutta quella mole di pagine”. Eh sì, perché all’epoca le procedure o il tanto temuto diritto privato, che ora mi risulta siano espletate in due o tre esami separati per ogni materia, si portavano tutti in un colpo solo.

Ebbene, con immenso stupore degli astanti, fin da matricola mi trovai ad obiettare (cosa che poi ripetevo da assistente di cattedra prima e dottoranda poi ai miei allievi) che in realtà ciò che non deve mancare a chi studia legge sono due capacità fondamentali: la prima, quella logica che permette di legare tra loro gli argomenti senza necessità di impararli a memoria, e la seconda quella definitoria. Saper definire un concetto o un termine significa in realtà conoscerne i perimetri e l’efficacia. Cosa che per un giurista è di fondamentale importanza.

Se ne ha riprova ogni giorno quando, nella quotidianità anche stravolta, ci si trova ad analizzare gli accadimenti e si cerca di ricomporre il tutto ad una forma di ordine, quantomeno logico.

Facciamo l’esempio di un tema quantomai attuale, quello del greenpass. Non si può non notare come, proprio nel caso di specie, utilizzando la logica e la definizione si possa venire facilmente a capo del gran caos che spacca in due il Paese.

Andiamo con ordine quindi e cerchiamo di fare una analisi logica e scientifica del tema.

Iniziamo dall’inquadramento del provvedimento che per taluni è una misura sanitaria e per altri invece una misura politica. Come venire a capo della collocazione? Anzitutto definendo le due misure e poi analizzando il greenpass per capire se ha le caratteristiche dell’una o dell’altro.

Iniziamo da “misura sanitaria”: norma o provvedimento atto a tutelare e/o salvaguardare il bene o diritto alla salute (si pensi ad esempio alle norme anti sofisticazione degli alimenti).

Per “misura politica” invece si intende quella norma o provvedimento atto al raggiungimento di un fine politico (per fare un esempio, le norme che regolano i flussi migratori).

Ora, posto che il greenpass a detta stessa dei medici non è una misura sanitaria in quanto “non crea luoghi sicuri e per valutarne la portata andrebbe misurato l’impatto” (così il Prof. Crisanti in varie occasioni) ecco che allora se ne evince il pieno fine politico che è quello di spingere la popolazione a vaccinarsi impedendo a chi non abbia la tessera verde l’esercizio di ormai pressoché tutte le attività sociali e, cosa ancora più grave, l’esercizio del diritto al lavoro, diritto che come ci ricorda l’art.1 della nostra costituzione fonda la repubblica in cui viviamo (o ciò che di questa repubblica rimane).

Anzi, si potrebbe asserire che il green pass in realtà mina il bene salute che millanta di voler tutelare, in quanto, avendo una validità di 12 mesi laddove la copertura di un vaccino ci dicono perda di efficacia nel termine di 6 mesi, ciò significa che un soggetto dotato di greenpass vaccinale può liberamente circolare senza ulteriori controlli essendo in realtà potenzialmente pericoloso per la collettività, laddove invece il soggetto che abbia un tampone negativo effettuato nell’arco massimo delle 72ore PRIMA, anche se non vaccinato, è sicuro per se stesso e per gli altri.

Sul fatto poi che anche i vaccinati possano ammalarsi e contagiare c’è già ampia letteratura e cronaca (basti pensare al famoso ospedale romano in cui il personale sanitario pur vaccinato si è ammalato).

Fa molto discutere anche l’iniziativa referendaria volta ad abrogare le norme che introducono il certificato verde che – in totale sfregio del Regolamento UE 953 del 14 giugno 2021 secondo il quale “gli stati devono tassativamente evitare la discriminazione diretta o indiretta di persone che non sono vaccinate” – operano in realtà tale discriminazione per i motivi sopra elencati.

E non ci può essere alcun dubbio circa la natura palesemente discriminatoria e quindi in violazione del Regolamento 953/2021 delle prescrizioni contenute nel recentissimo decreto che istituisce il green pass, permettendo al ceto politico di disporre del nostro corpo senza alcuna giustificazione di tipo sanitario, dato che la probabilità statistica che un non vaccinato possa arrecare danno a un vaccinato è molto inferiore di quella che riguarda molteplici realtà e comportamenti che mai considereremmo da proibire e cancellare (dalla guida di un veicolo allo svolgimento di molte competizioni sportive).

Nonostante ciò, è legittimo ritenere che la strada del referendum non sia la più appropriata. Innanzi tutto, non è ammissibile che un voto, fosse anche popolare, possa confermare un abuso tanto grave.

I liberali classici del XIX secolo erano fermi nel ribadire che ci sono questioni che non possono essere messe ai voti: qualcuno può giudicare ammissibile che ci si rechi alle urne per decidere sull’uso delle armi di distruzione di massa, sul ripristino della schiavitù, sullo sterminio di un popolo o sulla condanna di una corrente filosofica o religiosa? Assolutamente no.

Vi sono principi che nessuna volontà umana e nessun referendum può sovvertire, e tra di essi figurano la piena disponibilità del proprio corpo e la libertà di cura. È importante avere presente che, da sempre, la democrazia è un’arma a doppio taglio: può essere utilizzata per predisporre limiti al potere, ma in varie circostanze essa è stata pure impiegata per offrire una potente legittimazione ai governanti e di conseguenza per allargare il dominio dei pochi sui tanti. Come ogni riflessione sul totalitarismo ha evidenziato, soltanto nell’epoca della democrazia è stato possibile l’emergere di un potere così tentacolare, pervasivo, capace di entrare nella mente e nel cuore degli uomini.

Ha senso pensare di avviare una contesa referendaria entro questo quadro? Temo di no. Tanto più che la potenza di fuoco di quella che si tramuterebbe in una contesa tra “pro vax” e “no vax” vede i primi con poteri senza confronto rispetto ai secondi.

Si pensi piuttosto a costruire una polis parallela o alternativa, dei piccoli “comuni di resistenza” dove i cittadini vivono per scelta come in epoca pre Covid, ovvero senza restrizioni (e chi vuole usare i presidi sanitari o sottoporsi a vaccinazione lo fa per propria libera scelta) e si valutino i risultati in termini di salubrità di vita e di economia dopo un anno rispetto a quelle degli altri centri che seguono tutte le norme (anche quelle prive di logica). I dati a quel punto decreteranno la verità delle cose.

Al tempo stesso è importante tenere vivo il dibattito nella società richiamando l’attenzione su dibattiti scientifici (tenendo bene a mente che la medicina non si annovera tra le scienze esatte e pertanto invocare sempre una scienza inesatta è una contraddizione in termini) senza far passare per secondarie le implicazioni morali, giuridiche e sociali di quella che può a questo punto a tutti gli effetti definirsi una barbarie istituzionalizzata.