Ho un attacco di Hoganbiiki
Sarà per via del mio ego smisurato, sarà perché negli anni ho divorato tutto lo scibile sulla psicologia delle masse, sarà perché la mia bibbia è “Psicologia delle folle” di Gustav Le Bon, ma proprio non ce la faccio a omologarmi.
Non ce la posso fare ad accodarmi alla folla che esalta il nostro nuovo Cesare che ci salverà con i 209 miliardi del Next Generation Eu (ex Recovery Fund) e trasformerà il bel paese in una nuova Corea del Sud tutta verde e tutta bit & byte.
Grandi festeggiamenti affinché il rumore dei fuochi d’artificio nasconda il silenzio assordante sul fatto che ci vorranno 15 anni per pareggiare debito pubblico e prodotto interno lordo e che tutto ciò avverrà a patto che i quattrini ce li diano veramente tutti, che non si faccia altro debito pubblico e che la crescita del PIL sia almeno del 3,5% all’anno.
Raccontano perfino che, con quei soldi, si riuscirà a rendere efficiente una pubblica amministrazione che, secondo la scuola di amministrazione pubblica dell’Università di Oxford, è al 21mo posto per efficacia (su 31 Paesi di cui 22 europei) superata perfino dalla Turchia di Erdogan[1].
Valla a riformare una categoria che, proprio nel periodo in cui c’erano persone in cassa integrazione a zero ore, commercianti con le saracinesche abbassate e con sussidi delle dimensioni di un coriandolo, ha fatto del suo meglio per incrementare l’impopolarità con uno sciopero per il rinnovo dei contratti di lavoro[1].
Anche io, come insegnante, sono stato un dipendente pubblico e ricordo bene che nell’ultimo liceo milanese in cui ho prestato servizio c’erano quattro sigle sindacali. Sì perché, secondo le professoresse radical chic e i loro colleghi dall’igiene incerta di quel liceo, insegnare è un mestiere usurante.
I consumi sono crollati del 10,9% perché senza lavoro non si incassano soldi e senza soldi non si fa shopping. Eppure, di fronte alle multinazionali in fuga verso paesi dove il lavoro costa meno (nell’anno in corso si stima una perdita fra 1.000 e 1.200 posti di lavoro solo in Lombardia), Valentina Cappelletti, segretaria regionale della Cgil, è riuscita a dire: “secondo la mia esperienza, quando un’azienda decide di andarsene è quasi impossibile farla tornare sui suoi passi.”
Davvero vogliono farmi credere che riusciranno a cambiare questa roba? “Ma mi faccia il piacere” come disse Totò all’Onorevole Trombetta[2].
E io, di fronte all’ennesima narrazione di favole della buona notte, me la dovrei ancora prendere con Giuseppe Conte perché ha raccontato frottole?
Allora, visto che, ancora una volta “il macchinista è cambiato, ma il treno non ha cambiato direzione”[3], anche se Conte e i suoi crickets stanno a me come la galassia GN-z11 alla Terra[4], ho deciso di aderire alla dottrina della Hoganbiiki, il sentimento profondamente radicato nella cultura giapponese della “simpatia per il perdente”.
Pertanto, se non condanno Draghi e soci, devo perdonare Conte e le sue frottole.
La migliore pinocchiata di Conte, secondo me, fu quella del 6 aprile 2020 in cui promise “una potenza di fuoco da 400 miliardi”. “Con il decreto approvato diamo liquidità immediata” disse. Ne sono arrivati a malapena dieci. Il resto erano garanzie che lo Stato avrebbe messo in campo per tutelare le banche le quali, a loro volta, avrebbero erogato prestiti immediati alle imprese (su “l’immediato” ci sarebbe molto da dire viste le difficoltà che le banche misero alle imprese perché loro stesse non si fidavano della garanzia di Stato).
In un mio precedente intervento, avevo ipotizzato che le bugie dei nostri politici durante il delirio della prima fase della pandemia rientrassero nella strategia di manipolazione delle masse consistente nel “differire”[5] a motivo del fatto che, per far accettare una soluzione “dolorosa” alla società, si preparano le persone dicendo loro che per star bene in futuro, occorre che tutti facciano sacrifici oggi. In questo modo si procrastina un fatto negativo sapendo che, comunque, si avvererà.
La penso ancora così, ma ci faccio un’aggiunta perché mi sono chiesto: “cosa sarebbe successo se avesse detto la verità?”
Come avrebbero reagito gli italiani, se invece di “siamo prontissimi, l’Italia è il Paese che ha adottato misure cautelative all’avanguardia”[6], il premier avesse detto “cari compatrioti, siamo messi male perché la spesa sanitaria, negli ultimi dieci anni è stata tagliata dello 0,4% del PIL” (ovvero 72,6 miliardi di euro).
Quali sarebbero state le conseguenze se invece di promettere la potenza di fuoco da 400 miliardi, avesse ammesso che i soldi non c’erano perché non possiamo stamparli e dipendiamo dall’Europa la quale, al massimo ce li presta e non è nemmeno detto che lo faccia visto che i paesi del nord ci vedono come fumo negli occhi?
Cosa sarebbe successo se avesse fatto presente che noi, purtroppo, i soldi non possiamo stamparli mentre la Germania sì e che quest’ultima nel 2020 ha emesso moneta per 550 miliardi ovvero tre volte e mezzo di quanti ne sarebbero bastati per salvare l’economia italiana durante la pandemia?[7]. E come l’avrebbero presa i cassaintegrati, i commercianti, i ristoratori se, in aggiunta, avesse ammesso che i 441,4 miliardi ricevuti dall’Europa fra il 2014 e il 2019 se li erano tenuti le banche invece di distribuirli a imprese e cittadini?[8]
Certamente Conte si è trovato travolto da problemi che, siamo onesti, non aveva certo creato lui (i tagli alla sanità, per esempio, sono opera dei governi Berlusconi IV, Monti, Letta, Renzi e Gentiloni). Comunque sia, la gestione di quei problemi lo ha messo di fronte a una scelta: dire la verità con il rischio, come minimo, dell’esplosione di un sentimento antieuropeo che certo non ci avrebbe messo in buona luce proprio con quelli che avrebbero dovuto prestarci i soldi oppure raccontar frottole, come ha poi fatto, per differire il problema.
In entrambi i casi, il risultato certo era che il suo movimento avrebbe perso consensi.
Nella prima ipotesi gli italiani si sarebbero potuti rivolgere a un capo populista, sovranista e antieuropeo (senza far nomi). Nel secondo caso il conto poteva essere rinviato, ma, prima o poi, sarebbe arrivato. Infatti è arrivato perché i 5stelle sono passati dal 32% del 2008 al 13,2% di oggi.
Altro, comunque, non sarebbe successo perché gli italiani “vogliono la rivoluzione ma preferiscono fare le barricate con i mobili degli altri” (Flaiano).
Chissà se l’attuale Premier e i suoi ministri si stanno ponendo gli stessi dubbi e si sentono di fronte alla stessa scelta sul dire le cose come stanno o tentare la sorte del Next Generation EU e “chi vivrà, vedrà”.
Io, probabilmente, non capisco nulla di politica, però continuo a pensare che sarebbe più produttivo mettere in campo soluzioni concrete per ristorare in parte le perdite da pandemia e far ripartire i consumi invece di continuare a raccontare un mondo diverso da quello reale: moneta interna (cosa aspetta la Cassa Depositi e Prestiti a lanciare seriamente il Sardex?[9]), alleggerimento dei vincoli di Basilea sul credito, serie trattative per la monetizzazione del debito pubblico[10], eccetera. Sto diventando noioso.
Nell’attesa, io mi dedico alla Hoganbiiki, tanto “in Italia non si potrà mai fare una rivoluzione, perché ci conosciamo tutti”[11].
[1] Sciopero del 9 dicembre 2020 indetto dalle categorie Fp Cgil, Cisl Fp, Uil Fpl e Uil Pa.
[2] Totò a colori, 1952, regia di Steno.
[3] Frase fuori campo ne “Il compagno Don Camillo” di Comencini e Garrone dopo la caduta di Kruscev.
[4] 13,4 miliardi di anni luce.
[5] https://www.filodiritto.com/smoke-and-mirrors-la-grande-menzogna-sul-recovery-fund-e-sul-mes
[6] Risposta alla domanda di Lilli Gruber “Siamo pronti in Italia” nella trasmissione “Otto e Mezzo” del 27 gennaio 2020.
[7] http://www.andreacesaretti.net/empowerment/2020/05/02/tre-bufale-tre/
[8] http://www.andreacesaretti.net/empowerment/2021/01/03/il-caso-del-parroco-di-campagna-che-risolse-il-problema-del-quantitative-easing/
[9] https://www.filodiritto.com/tre-soluzioni-la-liquidita-nelleconomia-reale.
[10] https://www.filodiritto.com/rimetti-noi-i-nostri-debiti-con-la-monetizzazione-del-debito-pubblico.
[11] Aforisma di dubbia paternità: per alcuni Crescenzo Mazza (1910-1990), deputato nella I legislatura, per altri Longanesi, Missiroli e Flaiano.
[1] Fonte: International Civil Service Effectiveness (InCiSE) Index della scuola di amministrazione pubblica dell’Università di Oxford.