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I patrimoni destinati e le procedure concorsuali

Con il D. Lgs. 6/2003 è stato introdotto nel nostro ordinamento un nuovo istituto: i patrimoni destinati ad uno specifico affare. Si è voluto così creare uno strumento operativamente simile alla costituzione di una nuova società, ma con il vantaggio della eliminazione dei costi di creazione, struttura e mantenimento di una società.

La similarità con la creazione di una nuova società e il patrimonio destinato ad un unico scopo è rappresentato dalla autonomia patrimoniale che caratterizza i patrimoni destinati e che si traduce poi non solo in una destinazione in via esclusiva del patrimonio separato, ma anche di una responsabilità della società per i debiti relativi all’affare.

L’introduzione di tale normativa è una novità assoluta nel diritto italiano, il Legislatore ha posto in essere da una parte una serie di norme che disciplinano, quale modello operativo, la costituzione di un patrimonio destinato ad uno specifico affare, dall’art. 2447 ter all’art. 2447 novies c.c., dall’altro, come modello finanziario, appresta una sorta di finanziamento destinato ad uno specifico affare, nello specifico l’art. 2447 decies c.c..

Questo strumento normativo è sicuramente più economico e veloce rispetto alla soluzione canonica di costituzione di una apposita controllata, ovvero erogazione di un prestito da parte di terzi finanziatori, magari garantito da pegni e/o ipoteche sui beni della società e/o, eventualmente di singoli soci, ovvero da contratti di fideiussione.

Da ciò consegue una razionalizzazione dell’attività economica e una minore esposizione al rischio da parte dei creditori sociali che potrebbero vedere revocate, in caso di dichiarazione di fallimento della società, le garanzie personali o reali loro concesse a tutela del credito.

Ai sensi dell’art. 2447 bis c.c. allora, la società che voglia creare un patrimonio ad hoc, sempre nei limiti dell’attività descritta nell’oggetto sociale, può costituire uno o più patrimoni destinati in via esclusiva ad uno specifico affare; può ipotizzare nel contratto di finanziamento di tale affare il rimborso totale o parziale del finanziamento stesso, ovvero la destinazione dei proventi dell’affare stesso, o parte di essi. Il/i patrimonio/i non devono essere costituiti per un valore complessivo superiore al 10% del patrimonio netto della società.

Altra caratteristica sta nel fatto che per l’esercizio di affari attinenti ad attività riservate in base a legislazione speciale, il patrimonio separato deve essere vincolato alla garanzia patrimoniale esclusiva di coloro i quali hanno fatto credito alla società, in relazione a quello specifico affare. In tale ultimo caso la società sarà dispensata dalla necessità di offrire le tradizionali garanzie reali e/o personali ai propri creditori.

L’autonomia patrimoniale, congeniata in tal modo, può comportare che la società può trovarsi in stato di insolvenza, mentre il patrimonio separato rimane comunque in grado di far fronte alle obbligazioni nascenti dallo specifico affare.

In estrema sintesi può verificarsi che possa essere la società insolvente, non il patrimonio separato, ovvero può essere insolvente il patrimonio separato e non la società.

Nel caso di insolvenza della società si può addirittura ipotizzare che l’insolvenza sussista ab initio dalla costituzione del patrimonio destinato. A tutela dei creditori della società viene comunque prevista la possibilità di proporre opposizione nel termine di due mesi dall’iscrizione della delibera societaria di costituzione nel registro delle imprese. Secondo alcuni comunque tale strumento non è certo tutelante nei confronti dei creditori sociali. E’ infatti destinato ad operare in via preventiva, come ad esempio il sequestro conservativo, e certamente non è sufficiente per i creditori sociali quando sussiste l’insufficienza del patrimonio residuo della società, atto a soddisfare i propri creditori.

In tale caso nulla quaestio se viene preposta la azione di revoca della delibera di costituzione del patrimonio destinato, esattamente come sarebbe revocabile il conferimento in una neo costituita società.

Discorso diverso se invece l’insolvenza della società dovesse verificarsi, e/o emergere, dopo la costituzione del patrimonio destinato. In tale ultima ipotesi si dovrebbe allora ipotizzare che il patrimonio destinato è un cespite della società stessa, e che, in caso di suo fallimento, deve essere trattato come tutti gli altri beni societari, ferma restando tuttavia, per sua destinazione precipua, in via prioritaria, il pagamento dei debiti relativi all’affare specifico per cui è stato creato.

Se vogliamo quindi considerare le due strade: costituzione di una newco, ovvero patrimonio destinato, va rilevato che, in presenza di una società, magari interamente controllata dalla società madre, il curatore ha l’opzione tra la vendita della società e la sua messa in liquidazione. Nel primo caso il fallimento della società controllante non presenta alcuna ripercussione, né problema alcuno, sull’affare cui è destinata la società controllata; ma anche in caso di messa in liquidazione (art. 2487 c.c.) è possibile in funzione del miglior realizzo, la cessione dell’azienda, e quindi la conservazione dell’impresa.

Vorrei aprire un piccolo inciso e fugare il campo da eventuali dubbi e misunderstanding di carattere terminologico tra la figura dei patrimoni destinati e quella delle azioni correlate.

Le azioni correlate sono uno strumento formalmente e sostanzialmente diverso dai patrimoni destinati ad uno specifico affare. Infatti, mentre le azioni correlate sono disciplinate dall’art. 2350, comma II c.c., i patrimoni destinati sono disciplinati in altro punto del codice, come già indicato.

Inoltre il Legislatore stesso, nell’art. 2350 II comma c.c., statuisce delle azioni correlate, “fuori dai casi di cui all’art. 2447 bis”. La differenza tra i due istituti è quindi netta, soprattutto se si pensa che colui che sottoscrive azioni di società correlate diventa socio della società che le ha emesse, ed i suoi titoli sono parte dell’intero capitale sociale, anche se il suo interesse è circoscritto e limitato a quella singola determinata partita. Nelle azioni correlate l’attività svolta nello specifico settore è superiore e preminente rispetto ai beni che, in realtà, sono vincolati alla realizzazione di quello specifico affare.

Nel caso dell’utilizzo del patrimonio destinato è possibile la prosecuzione dell’affare anche attraverso la cessione del patrimonio destinato, ovvero attraverso la sua liquidazione, secondo le regole previste dall’art. 2487 c.c.?

Una delle strade percorribili per la liquidazione dell’attivo fallimentare può essere, in quando procedura applicativa, anche quella relativa alla cessione d’azienda. Se la cessione d’azienda, nel caso di fallimento, ha ad oggetto solo i cespiti attivi, mentre i debiti rimangono in capo a regolamentazione concorsuale, nel caso di patrimonio destinato, stante la sua particolare destinazione al soddisfacimento prioritario dei debiti relativi allo specifico affare, non si vede perché non si debba favorire la cessione delle attività e passività relative al patrimonio destinato.

In tal modo poi la separazione dovrebbe persistere nel patrimonio dell’acquirente, perché sembra applicabile l’art. 2447 novies III comma c.c., in forza del quale sono comunque salvi, con riferimento ai beni e rapporti compresi nel patrimonio destinato, i diritti dei creditori previsti dall’art. 2447 quinquies c.c..

La liquidazione del patrimonio destinato può avvenire secondo le regole dettate per la liquidazione della società, in quanto compatibili, si veda l’art. 2447 novies II comma c.c.. Può essere quindi disposto l’esercizio provvisorio dell’impresa svolto con lo strumento del patrimonio destinato e la successiva alienazione in modo coattivo del ramo d’azienda, costruito da attività e passività del patrimonio destinato.

In caso di insolvenza del patrimonio destinato, sempre che non sussista anche l’insolvenza della società, nel caso in cui non siano state integralmente soddisfatte le obbligazioni contratte per lo specifico affare cui era destinato il patrimonio, i relativi creditori possono chiedere la liquidazione del patrimonio.

L’art. 2447 novies II comma c.c., regola l’ipotesi in cui, realizzata in parte, o diventata impossibile la mission preposta, ovvero verificatasi altra causa di cessazione della destinazione del patrimonio, deve essere redatto un apposito rendiconto finale anche senza che siano state integralmente soddisfatte le obbligazioni relative all’affare cui il patrimonio era destinato. Tale regola tuttavia, liquidazione separata e preventiva, attribuendo ai creditori il diritto di richiedere la liquidazione del patrimonio anziché il suo ripristino nel patrimonio generale della società, non risolve il problema più grosso: la possibile insufficienza dei beni del patrimonio rispetto alle obbligazioni assunte verso i creditori del patrimonio stesso.

Allora potrebbe profilarsi tale situazione: non si può escludere, in caso di insolvenza del patrimonio destinato, l’apertura della liquidazione concorsuale, se non si percorresse tale strada, se cioè fosse possibile solo una liquidazione ordinaria e non anche la liquidazione concorsuale, allora le imprese strutturate in tal senso sarebbero al riparo dalla revocatoria fallimentare e ciò, come è del tutto evidente, creerebbe un enorme squilibrio nel tessuto economico generale.

Il fallimento investe un patrimonio coinvolto nell’esercizio dell’impresa. In caso di costituzione di un patrimonio separato, destinato ad un unico affare, e quindi all’esercizio di un’attività di impresa distinta rispetto a quella direttamente esercitata dalla società costituente, il fallimento ha per oggetto il patrimonio separato, appartenente alla società, ma dei cui debiti la società non risponde.

L’assoggettamento al fallimento del patrimonio separato è l’unico strumento che consente di ottenere la dichiarazione di inefficacia degli atti pregiudizievoli ai creditori con l’azione revocatoria fallimentare; di sciogliere i rapporti preesistenti, senza che la mancata esecuzione comporti una risoluzione per inadempimento e conseguente responsabilità risarcitoria.

Vedo comunque alcuni problemi, magari marginali, nell’assoggettamento a fallimento del patrimonio destinato.

Il primo di questi potrebbe essere quello della individuazione del soggetto nei confronti del quale debba svolgersi la procedura.

Visto che il patrimonio destinato fa capo alla società costituente, direi alla controllata, è ovvio che la procedura debba svolgersi in capo al rappresentante legale di quest’ultima. Del resto la possibilità che questa si svolga nei confronti di un soggetto non fallito, trova conferma nell’art. 12 della Legge Fallimentare che consente, all’indomani della morte del fallito, la prosecuzione della procedura di fallimento in capo agli eredi di quest’ultimo.

Il secondo problema è quello degli effetti personali previsti dagli artt. 48 e 49 della legge fallimentare.

In altri termini si considera compatibile la procedura fallimentare del patrimonio destinato con l’esclusione della limitazione alla libertà di locomozione, che è invece imposta agli amministratori e i liquidatori della società qualora il fallimento investa quest’ultima realtà socioeconomica; nonché con l’esclusione della consegna della corrispondenza al curatore ad opera dell’amministrazione postale, posto che la corrispondenza, anche quella relativa all’affare cui è destinato il patrimonio separato, è ordinariamente indirizzata alla società in quanto tale, indipendentemente dal suo contenuto. Tale ultimo aspetto potrebbe essere comunque risolto se si consideri che i destinatari dell’obbligo di consegna della corrispondenza sono gli amministratori o i liquidatori della società.

Preliminarmente cito un caso “limite”: art. 2447 decies, la disciplina del finanziamento destinato ad un unico affare.

In tale caso il legislatore ha predisposto uno strumento prevalentemente finanziario, laddove ci si trova di fronte un vero e proprio contratto di finanziamento relativo ad uno specifico affare.

Nel contratto può essere previsto che il rimborso totale o parziale dello stesso avvenga mediante la destinazione, in via esclusiva, di tutti o parte dei proventi generati dall’attività economica intrapresa dalla società. Tale contratto deve avere un determinato contenuto. Deve cioè indicare: una descrizione dettagliata dell’operazione, con una analisi specifica riguardo l’oggetto dell’operazione, i costi, i tempi di realizzazione, i ricavi attesi; il piano finanziario della stessa operazione, con indicazione della parte coperta da finanziamento e quella a carico della società; i beni strumentali per la riuscita dell’operazione; le specifiche garanzie che la società offre in ordine all’esecuzione; i controlli che il finanziatore può/deve effettuare; le eventuali garanzie che la società presta a copertura del proprio eventuale esborso; infine, il tempo massimo di rimborso, decorso il quale nulla è più dovuto al finanziatore.

Copia del contratto di finanziamento deve essere depositata per l’iscrizione nel registro delle imprese e che vengano approntati dalla società strumenti di controllo contabile atti verificare in ogni momento la reale destinazione e corretta imputazione dei proventi e che venga in pratica evitata qualsiasi commistione tra contabilità della società e contabilità del patrimonio destinato.

Una volta partito tale iter operativo, i creditori sociali non potranno aggredire il patrimonio destinato. E’ anche sancito che per le obbligazioni nei confronti del finanziatore risponde esclusivamente il patrimonio separato, eccetto nei casi in cui nel contratto di finanziamento sia stato previsto che la società presti delle garanzie per il rimborso di parte dello stesso. Nel caso in cui si verifichi il fallimento il finanziatore ha diritto di insinuazione nel passivo per il suo credito.

Operativamente, la costituzione del patrimonio destinato ad un unico affare si attua, ai sensi dell’art. 2447 ter c.c., attraverso delibera del consiglio di amministrazione con voto a maggioranza assoluta dei componenti lo stesso, ovvero dal consiglio di gestione, nel caso di amministrazione in forza del sistema dualistico, “salvo diversa disposizione di statuto”.

La delibera, a norma di legge, deve indicare: l’affare al quale il patrimonio è stato destinato; i beni ed i rapporti giuridici inseriti nel patrimonio; il piano economico-finanziario dal quale risulti evidente la congruità del patrimonio rispetto alla realizzazione dell’affare, le modalità di esecuzione e le regole relative al suo impiego e le eventuali garanzie offerte ai terzi, gli eventuali apporti da parte di terzi, la possibilità di emettere strumenti finanziari di partecipazione all’affare con la specifica indicazione dei diritti ad esso correlati, gli adempimenti di governance, finanziaria, legale ed amministrativa; ed infine, le regole di rendicontazione dell’affare specifico.

Proprio per segnalare sempre più incisivamente che i due patrimoni sono separati: quello della società “generante” da quello del patrimonio destinato, si deve considerare che il Legislatore impone di tenere due contabilità rigidamente separate: i libri e le scritture contabili prescritti dagli artt. 2214 c.c. e seguenti.

Per ciascun patrimonio destinato gli amministratori redigono un separato rendiconto, allegato al bilancio d’esercizio, secondo quanto prescritto dagli artt. 2423 e seguenti c.c..

Nella nota integrativa della società gli amministratori devono illustrare il valore e la tipologia dei beni e dei rapporti giuridici compresi in ciascun patrimonio destinato.

Una novità introdotta dal Legislatore riguarda l’art. 2447 novies c.c., che prevede, una volta realizzato o diventato impossibile l’affare cui è stato destinato il patrimonio, gli amministratori, nel caso di governance tradizionale, ovvero il consiglio di gestione, redigono un rendiconto finale che, allegato ad una relazione del collegio sindacale, ovvero del soggetto incaricato della revisione contabile, deve essere depositato presso il registro delle imprese per la conosciuta ratio di pubblicità nei confronti dei terzi.

Nel caso in cui non siano integralmente soddisfatte le obbligazioni contratte per lo svolgimento dello specifico affare cui il patrimonio era destinato, i relativi creditori possono chiedere la liquidazione del patrimonio mediante lettera raccomandata alla società entro 90 gg. dal deposito della rendicontazione finale.

Cosa intende il legislatore quando parla di “affare”, così come delineato dall’art. 2447 ter c.c.?

Potrebbe in definitiva indicare una qualsiasi operazione di carattere economico, ma anche industriale e/o finanziario, o commerciale rivolta ai terzi, una attività che dovrebbe essere posta in essere attraverso l’utilizzo del patrimonio sociale cui essa era destinata.

L’affare poi può essere di nuova creazione, ovvero uno già in corso d’opera, ma ciò che rileva in questa situazione è la determinazione esatta del contenuto e dei confini dell’affare.

Come si diceva poc’anzi, nella delibera devono essere iscritti con estrema precisione i beni da immettere nel patrimonio destinato allo scopo. A tal fine possono essere ricompresi anche i beni immobili o i mobili registrati, come prescrive l’art. 2447 quinquies c.c., oltre naturalmente ai titoli di credito, i beni mobili registrati, l’azienda ed ogni altra cosa che, ai sensi dell’art. 810 c.c. può formare oggetto di diritti. Naturalmente deve essere menzionato, nell’atto di destinazione, ogni bene del rapporto di giuridico strumentale atto al raggiungimento di tale scopo, ma anche i beni e i rapporti che, sebbene non strumentali all’affare, siano comunque, o possono essere in teoria, garanzia e tutela per i creditori particolari.

Se poi vengono inseriti beni immobili o mobili registrati, la destinazione di questi deve essere trascritta nei rispettivi registri. Fino a quando questo passo non viene posto in essere i creditori sociali possono fra valere i loro diritti anche su questi beni, poiché formalmente non sono stati trasferiti in capo al patrimonio separato, proprio in quanto il vincolo di destinazione non è loro opponibile.

Secondo quanto stabilito dall’art. 2436 c.c., anche la delibera statuita in forza dell’art. 2447 quater c.c., deve essere iscritta e depositata presso il registro delle imprese, secondo le normali regole della pubblicità legale. Tale iscrizione è la tutela dei creditori sociali che potrebbero essere pregiudicati nei loro diritti ed interessi dalla costituzione del patrimonio destinato da parte della società.

In più, l’art. 2447 quater precisa che, come accade per le operazioni societarie straordinarie, fusione e scissione, nel termine di 60 gg. dalla iscrizione della delibera nel registro delle imprese, i creditori sociali anteriori all’iscrizione possono opporsi alla delibera di costituzione del patrimonio destinato.

Il Tribunale può comunque disporre, nonostante l’opposizione dei creditori anteriori, che la delibera venga eseguita, previa prestazione da parte della società di idonea garanzia.

Una volta decorso tale termine, ovvero dopo l’iscrizione nel registro delle imprese del provvedimento del tribunale, i creditori della società non possono fra valere alcun diritto sul patrimonio destinato, né sui proventi di questo. Il patrimonio in tal modo rimane vincolato a garanzia dei creditori particolari.

In merito alle responsabilità per le obbligazioni assunte, il legislatore prevede che, qualora la delibera non disponga diversamente, per le obbligazioni contratte in relazione a quel determinato affare, la società risponde nei limiti del patrimonio ad essa destinato.

Resta comunque salva la responsabilità illimitata della società, ex art. 2447 quinquies III comma c.c., per le obbligazioni derivanti da fatto illecito, posto in essere per il proseguimento dell’affare specifico. Gli atti compiuti in relazione al determinato affare devono recare l’espressa indicazione del vincolo di destinazione, in mancanza di tale apposizione per le obbligazioni derivanti da tali atti risponde la società con il suo patrimonio.

In conclusione credo si possa ritenere innovativo l’utilizzo del patrimonio destinato ad un unico affare, non solo e non tanto per una seria ed oculata gestione delle finanze di qualsiasi azienda: si parla di un forte risparmio relativamente ai costi della costituzione, del mantenimento, ed eventuale chiusura, di una nuova compagine sociale ma, e forse questo è l’aspetto più importante, la costituzione di tale patrimonio permetterebbe la diversificazione del rischio d’impresa, poiché consente l’attribuzione del rischio ad un’affare specifico e determinato. Per cui, in caso di fallimento di tale progetto, potrà sussistere, nella peggiore delle ipotesi, solo la perdita totale del patrimonio destinato.

Con il D. Lgs. 6/2003 è stato introdotto nel nostro ordinamento un nuovo istituto: i patrimoni destinati ad uno specifico affare. Si è voluto così creare uno strumento operativamente simile alla costituzione di una nuova società, ma con il vantaggio della eliminazione dei costi di creazione, struttura e mantenimento di una società.

La similarità con la creazione di una nuova società e il patrimonio destinato ad un unico scopo è rappresentato dalla autonomia patrimoniale che caratterizza i patrimoni destinati e che si traduce poi non solo in una destinazione in via esclusiva del patrimonio separato, ma anche di una responsabilità della società per i debiti relativi all’affare.

L’introduzione di tale normativa è una novità assoluta nel diritto italiano, il Legislatore ha posto in essere da una parte una serie di norme che disciplinano, quale modello operativo, la costituzione di un patrimonio destinato ad uno specifico affare, dall’art. 2447 ter all’art. 2447 novies c.c., dall’altro, come modello finanziario, appresta una sorta di finanziamento destinato ad uno specifico affare, nello specifico l’art. 2447 decies c.c..

Questo strumento normativo è sicuramente più economico e veloce rispetto alla soluzione canonica di costituzione di una apposita controllata, ovvero erogazione di un prestito da parte di terzi finanziatori, magari garantito da pegni e/o ipoteche sui beni della società e/o, eventualmente di singoli soci, ovvero da contratti di fideiussione.

Da ciò consegue una razionalizzazione dell’attività economica e una minore esposizione al rischio da parte dei creditori sociali che potrebbero vedere revocate, in caso di dichiarazione di fallimento della società, le garanzie personali o reali loro concesse a tutela del credito.

Ai sensi dell’art. 2447 bis c.c. allora, la società che voglia creare un patrimonio ad hoc, sempre nei limiti dell’attività descritta nell’oggetto sociale, può costituire uno o più patrimoni destinati in via esclusiva ad uno specifico affare; può ipotizzare nel contratto di finanziamento di tale affare il rimborso totale o parziale del finanziamento stesso, ovvero la destinazione dei proventi dell’affare stesso, o parte di essi. Il/i patrimonio/i non devono essere costituiti per un valore complessivo superiore al 10% del patrimonio netto della società.

Altra caratteristica sta nel fatto che per l’esercizio di affari attinenti ad attività riservate in base a legislazione speciale, il patrimonio separato deve essere vincolato alla garanzia patrimoniale esclusiva di coloro i quali hanno fatto credito alla società, in relazione a quello specifico affare. In tale ultimo caso la società sarà dispensata dalla necessità di offrire le tradizionali garanzie reali e/o personali ai propri creditori.

L’autonomia patrimoniale, congeniata in tal modo, può comportare che la società può trovarsi in stato di insolvenza, mentre il patrimonio separato rimane comunque in grado di far fronte alle obbligazioni nascenti dallo specifico affare.

In estrema sintesi può verificarsi che possa essere la società insolvente, non il patrimonio separato, ovvero può essere insolvente il patrimonio separato e non la società.

Nel caso di insolvenza della società si può addirittura ipotizzare che l’insolvenza sussista ab initio dalla costituzione del patrimonio destinato. A tutela dei creditori della società viene comunque prevista la possibilità di proporre opposizione nel termine di due mesi dall’iscrizione della delibera societaria di costituzione nel registro delle imprese. Secondo alcuni comunque tale strumento non è certo tutelante nei confronti dei creditori sociali. E’ infatti destinato ad operare in via preventiva, come ad esempio il sequestro conservativo, e certamente non è sufficiente per i creditori sociali quando sussiste l’insufficienza del patrimonio residuo della società, atto a soddisfare i propri creditori.

In tale caso nulla quaestio se viene preposta la azione di revoca della delibera di costituzione del patrimonio destinato, esattamente come sarebbe revocabile il conferimento in una neo costituita società.

Discorso diverso se invece l’insolvenza della società dovesse verificarsi, e/o emergere, dopo la costituzione del patrimonio destinato. In tale ultima ipotesi si dovrebbe allora ipotizzare che il patrimonio destinato è un cespite della società stessa, e che, in caso di suo fallimento, deve essere trattato come tutti gli altri beni societari, ferma restando tuttavia, per sua destinazione precipua, in via prioritaria, il pagamento dei debiti relativi all’affare specifico per cui è stato creato.

Se vogliamo quindi considerare le due strade: costituzione di una newco, ovvero patrimonio destinato, va rilevato che, in presenza di una società, magari interamente controllata dalla società madre, il curatore ha l’opzione tra la vendita della società e la sua messa in liquidazione. Nel primo caso il fallimento della società controllante non presenta alcuna ripercussione, né problema alcuno, sull’affare cui è destinata la società controllata; ma anche in caso di messa in liquidazione (art. 2487 c.c.) è possibile in funzione del miglior realizzo, la cessione dell’azienda, e quindi la conservazione dell’impresa.

Vorrei aprire un piccolo inciso e fugare il campo da eventuali dubbi e misunderstanding di carattere terminologico tra la figura dei patrimoni destinati e quella delle azioni correlate.

Le azioni correlate sono uno strumento formalmente e sostanzialmente diverso dai patrimoni destinati ad uno specifico affare. Infatti, mentre le azioni correlate sono disciplinate dall’art. 2350, comma II c.c., i patrimoni destinati sono disciplinati in altro punto del codice, come già indicato.

Inoltre il Legislatore stesso, nell’art. 2350 II comma c.c., statuisce delle azioni correlate, “fuori dai casi di cui all’art. 2447 bis”. La differenza tra i due istituti è quindi netta, soprattutto se si pensa che colui che sottoscrive azioni di società correlate diventa socio della società che le ha emesse, ed i suoi titoli sono parte dell’intero capitale sociale, anche se il suo interesse è circoscritto e limitato a quella singola determinata partita. Nelle azioni correlate l’attività svolta nello specifico settore è superiore e preminente rispetto ai beni che, in realtà, sono vincolati alla realizzazione di quello specifico affare.

Nel caso dell’utilizzo del patrimonio destinato è possibile la prosecuzione dell’affare anche attraverso la cessione del patrimonio destinato, ovvero attraverso la sua liquidazione, secondo le regole previste dall’art. 2487 c.c.?

Una delle strade percorribili per la liquidazione dell’attivo fallimentare può essere, in quando procedura applicativa, anche quella relativa alla cessione d’azienda. Se la cessione d’azienda, nel caso di fallimento, ha ad oggetto solo i cespiti attivi, mentre i debiti rimangono in capo a regolamentazione concorsuale, nel caso di patrimonio destinato, stante la sua particolare destinazione al soddisfacimento prioritario dei debiti relativi allo specifico affare, non si vede perché non si debba favorire la cessione delle attività e passività relative al patrimonio destinato.

In tal modo poi la separazione dovrebbe persistere nel patrimonio dell’acquirente, perché sembra applicabile l’art. 2447 novies III comma c.c., in forza del quale sono comunque salvi, con riferimento ai beni e rapporti compresi nel patrimonio destinato, i diritti dei creditori previsti dall’art. 2447 quinquies c.c..

La liquidazione del patrimonio destinato può avvenire secondo le regole dettate per la liquidazione della società, in quanto compatibili, si veda l’art. 2447 novies II comma c.c.. Può essere quindi disposto l’esercizio provvisorio dell’impresa svolto con lo strumento del patrimonio destinato e la successiva alienazione in modo coattivo del ramo d’azienda, costruito da attività e passività del patrimonio destinato.

In caso di insolvenza del patrimonio destinato, sempre che non sussista anche l’insolvenza della società, nel caso in cui non siano state integralmente soddisfatte le obbligazioni contratte per lo specifico affare cui era destinato il patrimonio, i relativi creditori possono chiedere la liquidazione del patrimonio.

L’art. 2447 novies II comma c.c., regola l’ipotesi in cui, realizzata in parte, o diventata impossibile la mission preposta, ovvero verificatasi altra causa di cessazione della destinazione del patrimonio, deve essere redatto un apposito rendiconto finale anche senza che siano state integralmente soddisfatte le obbligazioni relative all’affare cui il patrimonio era destinato. Tale regola tuttavia, liquidazione separata e preventiva, attribuendo ai creditori il diritto di richiedere la liquidazione del patrimonio anziché il suo ripristino nel patrimonio generale della società, non risolve il problema più grosso: la possibile insufficienza dei beni del patrimonio rispetto alle obbligazioni assunte verso i creditori del patrimonio stesso.

Allora potrebbe profilarsi tale situazione: non si può escludere, in caso di insolvenza del patrimonio destinato, l’apertura della liquidazione concorsuale, se non si percorresse tale strada, se cioè fosse possibile solo una liquidazione ordinaria e non anche la liquidazione concorsuale, allora le imprese strutturate in tal senso sarebbero al riparo dalla revocatoria fallimentare e ciò, come è del tutto evidente, creerebbe un enorme squilibrio nel tessuto economico generale.

Il fallimento investe un patrimonio coinvolto nell’esercizio dell’impresa. In caso di costituzione di un patrimonio separato, destinato ad un unico affare, e quindi all’esercizio di un’attività di impresa distinta rispetto a quella direttamente esercitata dalla società costituente, il fallimento ha per oggetto il patrimonio separato, appartenente alla società, ma dei cui debiti la società non risponde.

L’assoggettamento al fallimento del patrimonio separato è l’unico strumento che consente di ottenere la dichiarazione di inefficacia degli atti pregiudizievoli ai creditori con l’azione revocatoria fallimentare; di sciogliere i rapporti preesistenti, senza che la mancata esecuzione comporti una risoluzione per inadempimento e conseguente responsabilità risarcitoria.

Vedo comunque alcuni problemi, magari marginali, nell’assoggettamento a fallimento del patrimonio destinato.

Il primo di questi potrebbe essere quello della individuazione del soggetto nei confronti del quale debba svolgersi la procedura.

Visto che il patrimonio destinato fa capo alla società costituente, direi alla controllata, è ovvio che la procedura debba svolgersi in capo al rappresentante legale di quest’ultima. Del resto la possibilità che questa si svolga nei confronti di un soggetto non fallito, trova conferma nell’art. 12 della Legge Fallimentare che consente, all’indomani della morte del fallito, la prosecuzione della procedura di fallimento in capo agli eredi di quest’ultimo.

Il secondo problema è quello degli effetti personali previsti dagli artt. 48 e 49 della legge fallimentare.

In altri termini si considera compatibile la procedura fallimentare del patrimonio destinato con l’esclusione della limitazione alla libertà di locomozione, che è invece imposta agli amministratori e i liquidatori della società qualora il fallimento investa quest’ultima realtà socioeconomica; nonché con l’esclusione della consegna della corrispondenza al curatore ad opera dell’amministrazione postale, posto che la corrispondenza, anche quella relativa all’affare cui è destinato il patrimonio separato, è ordinariamente indirizzata alla società in quanto tale, indipendentemente dal suo contenuto. Tale ultimo aspetto potrebbe essere comunque risolto se si consideri che i destinatari dell’obbligo di consegna della corrispondenza sono gli amministratori o i liquidatori della società.

Preliminarmente cito un caso “limite”: art. 2447 decies, la disciplina del finanziamento destinato ad un unico affare.

In tale caso il legislatore ha predisposto uno strumento prevalentemente finanziario, laddove ci si trova di fronte un vero e proprio contratto di finanziamento relativo ad uno specifico affare.

Nel contratto può essere previsto che il rimborso totale o parziale dello stesso avvenga mediante la destinazione, in via esclusiva, di tutti o parte dei proventi generati dall’attività economica intrapresa dalla società. Tale contratto deve avere un determinato contenuto. Deve cioè indicare: una descrizione dettagliata dell’operazione, con una analisi specifica riguardo l’oggetto dell’operazione, i costi, i tempi di realizzazione, i ricavi attesi; il piano finanziario della stessa operazione, con indicazione della parte coperta da finanziamento e quella a carico della società; i beni strumentali per la riuscita dell’operazione; le specifiche garanzie che la società offre in ordine all’esecuzione; i controlli che il finanziatore può/deve effettuare; le eventuali garanzie che la società presta a copertura del proprio eventuale esborso; infine, il tempo massimo di rimborso, decorso il quale nulla è più dovuto al finanziatore.

Copia del contratto di finanziamento deve essere depositata per l’iscrizione nel registro delle imprese e che vengano approntati dalla società strumenti di controllo contabile atti verificare in ogni momento la reale destinazione e corretta imputazione dei proventi e che venga in pratica evitata qualsiasi commistione tra contabilità della società e contabilità del patrimonio destinato.

Una volta partito tale iter operativo, i creditori sociali non potranno aggredire il patrimonio destinato. E’ anche sancito che per le obbligazioni nei confronti del finanziatore risponde esclusivamente il patrimonio separato, eccetto nei casi in cui nel contratto di finanziamento sia stato previsto che la società presti delle garanzie per il rimborso di parte dello stesso. Nel caso in cui si verifichi il fallimento il finanziatore ha diritto di insinuazione nel passivo per il suo credito.

Operativamente, la costituzione del patrimonio destinato ad un unico affare si attua, ai sensi dell’art. 2447 ter c.c., attraverso delibera del consiglio di amministrazione con voto a maggioranza assoluta dei componenti lo stesso, ovvero dal consiglio di gestione, nel caso di amministrazione in forza del sistema dualistico, “salvo diversa disposizione di statuto”.

La delibera, a norma di legge, deve indicare: l’affare al quale il patrimonio è stato destinato; i beni ed i rapporti giuridici inseriti nel patrimonio; il piano economico-finanziario dal quale risulti evidente la congruità del patrimonio rispetto alla realizzazione dell’affare, le modalità di esecuzione e le regole relative al suo impiego e le eventuali garanzie offerte ai terzi, gli eventuali apporti da parte di terzi, la possibilità di emettere strumenti finanziari di partecipazione all’affare con la specifica indicazione dei diritti ad esso correlati, gli adempimenti di governance, finanziaria, legale ed amministrativa; ed infine, le regole di rendicontazione dell’affare specifico.

Proprio per segnalare sempre più incisivamente che i due patrimoni sono separati: quello della società “generante” da quello del patrimonio destinato, si deve considerare che il Legislatore impone di tenere due contabilità rigidamente separate: i libri e le scritture contabili prescritti dagli artt. 2214 c.c. e seguenti.

Per ciascun patrimonio destinato gli amministratori redigono un separato rendiconto, allegato al bilancio d’esercizio, secondo quanto prescritto dagli artt. 2423 e seguenti c.c..

Nella nota integrativa della società gli amministratori devono illustrare il valore e la tipologia dei beni e dei rapporti giuridici compresi in ciascun patrimonio destinato.

Una novità introdotta dal Legislatore riguarda l’art. 2447 novies c.c., che prevede, una volta realizzato o diventato impossibile l’affare cui è stato destinato il patrimonio, gli amministratori, nel caso di governance tradizionale, ovvero il consiglio di gestione, redigono un rendiconto finale che, allegato ad una relazione del collegio sindacale, ovvero del soggetto incaricato della revisione contabile, deve essere depositato presso il registro delle imprese per la conosciuta ratio di pubblicità nei confronti dei terzi.

Nel caso in cui non siano integralmente soddisfatte le obbligazioni contratte per lo svolgimento dello specifico affare cui il patrimonio era destinato, i relativi creditori possono chiedere la liquidazione del patrimonio mediante lettera raccomandata alla società entro 90 gg. dal deposito della rendicontazione finale.

Cosa intende il legislatore quando parla di “affare”, così come delineato dall’art. 2447 ter c.c.?

Potrebbe in definitiva indicare una qualsiasi operazione di carattere economico, ma anche industriale e/o finanziario, o commerciale rivolta ai terzi, una attività che dovrebbe essere posta in essere attraverso l’utilizzo del patrimonio sociale cui essa era destinata.

L’affare poi può essere di nuova creazione, ovvero uno già in corso d’opera, ma ciò che rileva in questa situazione è la determinazione esatta del contenuto e dei confini dell’affare.

Come si diceva poc’anzi, nella delibera devono essere iscritti con estrema precisione i beni da immettere nel patrimonio destinato allo scopo. A tal fine possono essere ricompresi anche i beni immobili o i mobili registrati, come prescrive l’art. 2447 quinquies c.c., oltre naturalmente ai titoli di credito, i beni mobili registrati, l’azienda ed ogni altra cosa che, ai sensi dell’art. 810 c.c. può formare oggetto di diritti. Naturalmente deve essere menzionato, nell’atto di destinazione, ogni bene del rapporto di giuridico strumentale atto al raggiungimento di tale scopo, ma anche i beni e i rapporti che, sebbene non strumentali all’affare, siano comunque, o possono essere in teoria, garanzia e tutela per i creditori particolari.

Se poi vengono inseriti beni immobili o mobili registrati, la destinazione di questi deve essere trascritta nei rispettivi registri. Fino a quando questo passo non viene posto in essere i creditori sociali possono fra valere i loro diritti anche su questi beni, poiché formalmente non sono stati trasferiti in capo al patrimonio separato, proprio in quanto il vincolo di destinazione non è loro opponibile.

Secondo quanto stabilito dall’art. 2436 c.c., anche la delibera statuita in forza dell’art. 2447 quater c.c., deve essere iscritta e depositata presso il registro delle imprese, secondo le normali regole della pubblicità legale. Tale iscrizione è la tutela dei creditori sociali che potrebbero essere pregiudicati nei loro diritti ed interessi dalla costituzione del patrimonio destinato da parte della società.

In più, l’art. 2447 quater precisa che, come accade per le operazioni societarie straordinarie, fusione e scissione, nel termine di 60 gg. dalla iscrizione della delibera nel registro delle imprese, i creditori sociali anteriori all’iscrizione possono opporsi alla delibera di costituzione del patrimonio destinato.

Il Tribunale può comunque disporre, nonostante l’opposizione dei creditori anteriori, che la delibera venga eseguita, previa prestazione da parte della società di idonea garanzia.

Una volta decorso tale termine, ovvero dopo l’iscrizione nel registro delle imprese del provvedimento del tribunale, i creditori della società non possono fra valere alcun diritto sul patrimonio destinato, né sui proventi di questo. Il patrimonio in tal modo rimane vincolato a garanzia dei creditori particolari.

In merito alle responsabilità per le obbligazioni assunte, il legislatore prevede che, qualora la delibera non disponga diversamente, per le obbligazioni contratte in relazione a quel determinato affare, la società risponde nei limiti del patrimonio ad essa destinato.

Resta comunque salva la responsabilità illimitata della società, ex art. 2447 quinquies III comma c.c., per le obbligazioni derivanti da fatto illecito, posto in essere per il proseguimento dell’affare specifico. Gli atti compiuti in relazione al determinato affare devono recare l’espressa indicazione del vincolo di destinazione, in mancanza di tale apposizione per le obbligazioni derivanti da tali atti risponde la società con il suo patrimonio.

In conclusione credo si possa ritenere innovativo l’utilizzo del patrimonio destinato ad un unico affare, non solo e non tanto per una seria ed oculata gestione delle finanze di qualsiasi azienda: si parla di un forte risparmio relativamente ai costi della costituzione, del mantenimento, ed eventuale chiusura, di una nuova compagine sociale ma, e forse questo è l’aspetto più importante, la costituzione di tale patrimonio permetterebbe la diversificazione del rischio d’impresa, poiché consente l’attribuzione del rischio ad un’affare specifico e determinato. Per cui, in caso di fallimento di tale progetto, potrà sussistere, nella peggiore delle ipotesi, solo la perdita totale del patrimonio destinato.