Fallimento - Cassazione SU Civili: per l’ammissione al passivo dei crediti da lavoro non si applica la sospensione feriale dei termini processuali
Con la sentenza n. 10944 del 5 maggio 2017, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sono intervenute in materia di accertamento del passivo e di applicabilità della sospensione feriale dei termini in relazione a crediti scaturenti da rapporto di lavoro.
Il caso
La pronuncia in esame trae origine dall’opposizione proposta a norma dell’articolo 98 della Legge Fallimentare da due ex lavoratori dipendenti di società poi dichiarata fallita per ottenere l’ammissione allo stato passivo dei propri crediti - vantati a titolo di retribuzioni, indennità e TFR - derivanti dal rapporto di lavoro. Respinta l’opposizione in primo grado, veniva proposta impugnazione dinanzi la Corte di Appello di Palermo la quale, muovendo dal presupposto che la sospensione feriale dei termini non opera in materia di lavoro, ne ha rilevato la proposizione tardiva e, conseguentemente, dichiarato l’inammissibilità.
Avverso tale sentenza, i lavoratori proponevano ricorso per Cassazione deducendo l’errata applicazione di principi giurisprudenziali consolidati in materia di sospensione feriale dei termini. In particolare, sul convincimento che alla fattispecie de qua andasse applicata la sospensione feriale dei termini, i ricorrenti rilevavano che, essendosi svolto il giudizio di primo grado secondo il rito ordinario, anche l’appello andava regolato secondo tale rito; pertanto, l’inapplicabilità della sospensione feriale dei termini dichiarata dalla Corte di Appello si risolveva in una lesione del principio di affidamento.
Investita della decisione sul ricorso, la Prima Sezione della Corte di Cassazione ne chiede l’assegnazione alle Sezioni Unite al fine di chiarire l’estensione applicativa dell’articolo 3 Legge n. 742/1969 nella parte in cui dispone l’inapplicabilità della sospensione feriale alle controversie laburistiche, con particolare riferimento all’accertamento di crediti derivanti da rapporto di lavoro in sede fallimentare.
I motivi della decisione
Nell’ordinanza interlocutoria, la Prima Sezione della Corte di Cassazione ha posto in dubbio il principio di diritto enunciato nella Sentenza n. 24665 del 24 novembre 2009, in base al quale l’articolo 3 Legge n. 742 del 1969, nel disporre l’inapplicabilità della sospensione feriale alle controversie laburistiche di cui all’articolo 409 Codice di procedura civile, si riferisce a rapporti individuali di lavoro ed alla loro specifica natura; pertanto, sebbene l’accertamento dei crediti concorsuali sia regolato con rito fallimentare, la sospensione feriale non opera ove il credito derivi da rapporto di lavoro.
Tale principio non pare condivisibile da parte della Sezione rimettente, ad avviso della quale in giudizi aventi ad oggetto l’ammissione di crediti di lavoro allo stato passivo di un fallimento non rilevano le esigenze di immediatezza e concentrazione proprie del rito laburistico e ciò per due ragioni.
In primis, essendo il rito fallimentare un giudizio di mero accertamento (in quanto finalizzato all’accoglimento della domanda di insinuazione al passivo), ne consegue per il lavoratore il solo diritto a partecipare al concorso e non già quello di ottenere l’immediato pagamento del credito di cui si chiede l’ammissione; pertanto, tale credito sarà soddisfatto solo in caso di capienza nell’attivo e a seguito dell’approvazione di eventuali piani di riparto.
In secundis, dalla mancata applicazione della sospensione feriale dei termini potrebbe derivare un’ingiustificata disparità di trattamento tra creditori concorsuali e titolari di crediti derivanti da lavoro, essendo questi ultimi tenuti ad impugnare il provvedimento con cui si dispone l’esclusione del credito dallo stato passivo in un termine nettamente inferiore rispetto agli altri creditores.
Da qui, il convincimento della Sezione rimettente in base al quale, per effetto del prevalere della disciplina concorsuale, i crediti derivanti da rapporto di lavoro confluiscono in tale materia e, pertanto, soggiacciono alla sospensione feriale dei termini processuali.
La pronuncia della Cassazione
In senso contrario si sono pronunciate le Sezioni Unite con sentenza n. 10944 del 5 maggio 2017, ad avviso delle quali tali argomentazioni non consentono un revirement.
In primo luogo i Giudici di legittimità hanno rilevato che, nell’individuare le cause e i procedimenti a cui non si applica la sospensione feriale dei termini, l’articolo 3 Legge n.742 del 1969 rinvia all’articolo 92, comma 1 dell’Ordinamento giudiziario, in base al quale «durante il periodo feriale i magistrati trattano le cause civili relative … alla materia del lavoro»: da tale assunto, le Sezioni Unite hanno dedotto che la non applicazione della sospensione feriale non deriva dall’assoggettamento al rito laburistico, ma dall’oggetto sostanziale delle cause, in ragione della natura specifica dei crediti da lavoro.
In particolare, argomentano gli Ermellini, la specificità dei crediti da lavoro non viene meno ove di tali crediti si chieda l’ammissione allo stato passivo del fallimento: pertanto, non può condividersi quanto sostenuto dalla Sezione rimettente, ovvero di far confluire sic et simpliciter tali crediti nella più vasta disciplina concorsuale.
Né può condividersi l’assunto in base al quale, nei giudizi relativi all’ammissione al passivo di crediti da lavoro, non rilevino le esigenze di speditezza e concentrazione laburistiche.
Invero, i giudici di legittimità evidenziano che le esigenze di celerità risultano confermate dalla previsione che il Fondo di garanzia per il Trattamento di Fine Rapporto, istituito presso l’INPS con l'articolo 2, legge 29 maggio 1982, n. 297 e ss.mm., possa agire in surrogazione del datore di lavoro insolvente per il pagamento del Trattamento di Fine Rapporto e delle ultime 3 mensilità retributive solo ove i crediti del dipendente siano stati ammessi al passivo; pertanto, come argomentato, «l’inoperatività della sospensione è dunque sottesa alla finalità di assicurare al lavoratore, attraverso una più sollecita definizione del giudizio di impugnazione, di percepire le proprie spettanze entro tempi ragionevoli, che non ne frustino la destinazione alle esigenze del suo mantenimento». Considerazioni che, ad avviso della Corte, valgono ad escludere la possibilità che possa profilarsi la paventata ingiustificata disparità di trattamento tra titolari di crediti da lavoro ed altri creditori.
Ulteriormente, la Suprema Corte a Sezioni Unite ha ritenuto che tali conclusioni non mutano ove si argomenti ai sensi dell’articolo 36 bis Legge Fallimentare introdotto con D.Lgs. n. 5 del 2006, in base al quale i termini processuali previsti negli artt. 26 e 36 Legge Fallimentare non sono soggetti a sospensione feriale. Come rilevato, sebbene in precedenti pronunce (quali Corte di Cassazione, sentenze nn. 2706/2009 e 12960/2012) sia stato affermato che, ai sensi dell’articolo 36 bis, la sospensione feriale si applica a tutti i procedimenti endofallimentari, nella pronuncia de qua la Suprema Corte ha rilevato che tale regola ricavata in via interpretativa «non può avere generale valenza derogatoria di una norma di legge, qual è l’articolo 3 della Legge n. 742/69, che individua specificamente, ratione materiae, le cause non soggette alla sospensione».
In conclusione, disattendendo quanto argomentato nell’ordinanza di rimessione della Prima Sezione e conseguentemente rigettando il ricorso proposto, le Sezioni Unite hanno enunciato il seguente principio di diritto: «benché, ai sensi dell’articolo 1 della legge 7 ottobre 1969, n. 742, i giudizi per l’accertamento dei crediti concorsuali non si sottraggono, in via generale, alla regola della sospensione dei termini durante il periodo feriale, la sospensione non opera in quelli in cui si controverta dell’ammissione allo stato passivo di crediti nascenti dal rapporto di lavoro, che, pur dovendo essere trattati con il rito fallimentare, sono assoggettati al diverso regime previsto dal combinato disposto dell’articolo 92 del r.d. 30 gennaio1941, n. 12 e articolo 3 della Legge n. 742/69 cit. in ragione della materia che ne forma oggetto».
(Corte di Cassazione, Sezioni Unite, Sentenza 5 maggio 2017, n. 10944)