Lavoro - Cassazione lavoro: in caso di aggressione all’infermiere, l’onere di provare di aver fatto tutto il possibile per evitare l’evento dannoso grava sull’azienda ospedaliera
La Cassazione si è pronunciata in tema di ripartizione dell’onere della prova nel caso di aggressione all’infermiere al Pronto Soccorso, argomentando ai sensi dell’articolo 2087 del codice civile in relazione agli obblighi di prevenzione.
Il caso
La pronuncia in esame trae origine da un caso di aggressione ad un infermiere, avvenuta nel 2002, mentre prestava servizio presso il Pronto Soccorso dell’Azienda Ospedaliera (“A.O.”) di cui era dipendente. A seguito dell’evento dannoso, il lavoratore citava in giudizio l’A.O. chiedendone la condanna al risarcimento del danno biologico, morale, professionale e patrimoniale.
In grado di appello, il difensore dell’A.O. chiedeva che venisse dichiarata l’estinzione del giudizio per intervenuta entrata in vigore della Legge della Regione Sicilia n. 5 del 2009 (Norme per il riordino del servizio sanitario regionale), con cui è stata attuata la istituzione delle Aziende sanitarie provinciali e delle Aziende ospedaliere di riferimento regionale, unitamente ai rispettivi ambiti territoriali di riferimento ed alla loro corrispondenza con le Aziende contestualmente soppresse.
In particolare, ai sensi dell’articolo 8, comma 2 della citata legge regionale, è previsto che “le costituite Aziende sanitarie provinciali e Aziende ospedaliere subentrano nelle funzioni, nelle attività e nelle competenze delle Aziende soppresse e succedono in tutti i rapporti giuridici attivi e passivi di qualunque genere nonché nel patrimonio già di titolarità delle soppresse Aziende”. A tal proposito, il lavoratore chiedeva di essere autorizzato a notificare l’appello al soggetto subentrato all’A.O. cessata, provvedendovi nel termine concessogli.
Si costituiva in giudizio la subentrata Azienda Ospedaliera, eccependo l’inammissibilità dell’appello per intervenuta estinzione del giudizio per effetto della entrata in vigore della legge regionale: il giudizio, argomentava il difensore di parte, andava interrotto ex articolo 300 c.p.c. e successivamente riassunto dall’interessato, con la conseguenza che, in mancanza di interruzione e riassunzione, vi era la nullità di tutti gli atti successivi, tra questi il ricorso introduttivo.
La Corte d’Appello di Palermo rigettava nel merito la domanda del lavoratore in ragione della impossibilità di predisporre “mezzi di tutela di portata oggettivamente idonea ad elidere o anche solo a ridurre il rischio di aggressione fisica al personale infermieristico in servizio presso il pronto soccorso”, motivando tale assunto, da un lato, sulla base della specificità del lavoro che, essendo finalizzato a prestare cure urgenti, “non consente di frapporre, tra il lavoratore e l’utenza, barriere protettive” e, dall’altro, tenendo conto del comportamento di aggressione, difficilmente prevedibile e prevenibile essendosi manifestato improvvisamente e consumatosi in breve tempo.
Alla luce di quanto innanzi esposto, il lavoratore proponeva ricorso per Cassazione.
La decisione, nel merito
Per la cassazione della sentenza di appello, il lavoratore ha prospettato i seguenti motivi di ricorso.
Preliminarmente, il dipendente ha dedotto la violazione e/o falsa applicazione degli articoli 2087, 2043 e 2059 del codice civile, ritenendo che spettasse al datore di lavoro l’onere di provare la predisposizione di tutte le misure necessarie per la tutela dell’integrità del personale infermieristico. In particolare, ai sensi dell’articolo 2087 codice civile grava sul datore di lavoro non solo l’onere di dimostrare di aver adempiuto alle ccdd. obbligazioni di protezione del lavoratore, ma altresì l’onere di provare di aver vigilato sulla loro osservanza, prove non fornite dall’A.O., essendosi questa limitata a sostenere l’eccezionalità dell’evento.
In secondo luogo, viene prospettata la falsa applicazione degli articoli 1218, 1175 e 1176 codice civile, avendo la Corte di Appello erroneamente escluso la responsabilità del datore di lavoro, non potendosi infatti sostenere che quest’ultimo non fosse a conoscenza delle gravose condizioni in cui il personale medico ed infermieristico prestavano la loro attività professionale presso il pronto soccorso.
Da ultimo, viene dedotto il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, ex articolo 360, n. 5 c.p.c., in relazione alla asserita impossibilità di predisporre misure atte a elidere e/o ridurre il rischio di aggressione al personale, essendo tenuto il datore di lavoro, in ragione della propria esperienza nel settore sanitario, a predisporre misure di sicurezza ricollegabili allo svolgimento dell’attività lavorativa.
Avverso tale ricorso, propone ricorso incidentale condizionato l’A.O. deducendo, come innanzi chiarito, la nullità e l’inammissibilità del ricorso introduttivo per intervenuta estinzione del giudizio.
Sul punto, la Suprema Corte afferma che, sebbene il ricorso incidentale condizionato proposto dall’A.O. sia pregiudiziale e potenzialmente assorbente, il suo esame va posposto a quello del ricorso principale, richiamando a tal fine il principio di diritto affermato dalle SS.UU. nella sentenza n. 7381 del 2013, secondo il quale nel giudizio di cassazione, il ricorso incidentale proposto dalla parte totalmente vittoriosa nel giudizio di merito, quale è l’A.O. nel caso di specie, ha natura di ricorso condizionato all’accoglimento del ricorso principale, con la conseguenza che «tale ricorso incidentale va esaminato dalla Corte solo in presenza dell’attualità dell’interesse, ovvero unicamente nell’ipotesi della fondatezza del ricorso principale».
Procedendo, dunque, all’esame del ricorso principale, la Suprema Corte ha ritenuto fondato il primo motivo di ricorso, con conseguente assorbimento dei restanti formulati motivi. In particolare i giudici di legittimità, contrariamente a quanto statuito dalla Corte di appello, hanno già avuto modo di affermare che in capo all’imprenditore grava non solo l’obbligo di adottare il tipo di misure normativamente previste in relazione al tipo di attività esercitata, ma anche quello di adottare tutte le misure richieste dalla specificità dei rischi connessi all’ambiente di lavoro e all’impiego di macchinari (sul punto, si veda Cassazione civile, sentenza n. 14468 del 2013).
Ulteriormente, la Suprema Corte è intervenuta sulla natura della responsabilità del datore di lavoro per infortunio sul luogo di lavoro.
Per nulla discostandosi da quanto disposto dall’articolo 2087 del codice civile, in base al quale la responsabilità dell’imprenditore ha natura contrattuale, in tema di riparto dell’onere probatorio la Suprema Corte ha chiarito (e ribadito, si vedano ex multis Cassazione Civile, sentenze nn. 3788 del 2009 e 2209 del 2016) che:
- sul lavoratore grava l’onere di provare i fatti costitutivi della propria pretesa, ovvero l’esistenza di un danno alla salute derivante dall’attività svolta, la nocività dell’ambiente di lavoro e il nesso di causalità tra tali elementi;
- una volta che il lavoratore abbia adempiuto al proprio onere, il datore di lavoro sarà tenuto a provare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, ovvero di aver adottato tutte le cautele necessarie per impedire il verificarsi del danno medesimo.
Invero, che l’articolo 2087 del codice civile operi come norma di chiusura del sistema infortunistico è aspetto noto già da tempo ai giudici di legittimità i quali, nella sentenza 2054 del 1993, hanno affermato che, ove la specifica normativa in materia di lavoro nulla prevede circa la predisposizione di specifiche misure preventive, ciò non vale comunque ad escludere la responsabilità del datore se «la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica sono in grado di suggerirgli e, quindi, di imporgli idonee misure di sicurezza».
La decisione sui profili processuali
Procedendo all’esame del ricorso incidentale condizionato, i giudici di legittimità ne hanno dichiarata l’infondatezza. Sul punto, la Suprema Corte ha richiamato la sentenza n. 1768 del 2014, in cui è stato affermato che: «la legge regionale Sicilia n. 5 del 2009, articolo 8, di riordino del servizio sanitario regionale vada interpretato nel senso che […] sussista a fini liquidatori la permanente soggettività, in affiancamento di quella delle neo-costituite Aziende Sanitarie Provinciali, delle preesistenti Aziende Ospedaliere e AUSL; con la conseguenza, sul piano processuale, che la proposizione del ricorso per cassazione nei confronti di queste ultime deve ritenersi regolarmente effettuata, in quanto soggetti (ancora) legittimati con riguardo ai rapporti giuridici anteriori», ritenendo a tal fine ammissibile una successione a titolo particolare e non universale.
Nella fattispecie de qua, la Corte di Cassazione ha dunque desunto l’assenza di un evento interruttivo e l’ammissibilità della costituzione in giudizio della nuova Azienda, e ciò anche in ragione di quanto statuito dalla medesima Corte nella sentenza n. 12126 del 2003, in cui i giudici di legittimità hanno sancito che si realizza «una sorta di successione ex lege delle Regioni nei rapporti obbligatori già di pertinenza delle soppresse USL, le quali proseguono le loro attività attraverso le apposite gestioni stralcio; sicché, ove tale successione avvenga nel corso di una causa avente ad oggetto uno di tali rapporti, si applicano i principi dettati dall'articolo 111 c.p.c. per l'ipotesi di successione a titolo particolare nel diritto controverso».
In ragione di quanto argomentato, la Suprema Corte ha dunque accolto il ricorso principale proposto dal lavoratore, formulando il principio di diritto così articolato: «l'obbligo di prevenzione di cui all'articolo 2087 cod. civ. impone all'imprenditore di adottare non soltanto le misure tassativamente prescritte dalla legge in relazione al tipo di attività esercitata, che rappresentano lo standard minimale fissato dal legislatore per la tutela della sicurezza del lavoratore, ma anche le altre misure richieste in concreto dalla specificità dei rischi connessi tanto all'impiego di attrezzi e macchinari, quanto all'ambiente di lavoro»; inoltre, «ai fini dell'accertamento della responsabilità del datore di lavoro per un infortunio sul luogo di lavoro, la responsabilità del datore di lavoro di cui all'articolo 2087 cod. civ. è di natura contrattuale.
Ne consegue che, ai fini del relativo accertamento, incombe sul lavoratore che lamenti di aver subito, a causa dell'attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l'onere di provare l'esistenza di tale danno, come pure la nocività dell'ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l'uno e l'altro elemento, mentre grava sul datore di lavoro - una volta che il lavoratore abbia provato le predette circostanze - l'onere di provare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, ovvero di aver adottato tutte le cautele necessarie per impedire il verificarsi del danno medesimo».
(Corte di Cassazione - Sezione Lavoro, Sentenza 12 giugno 2017, n. 14566)