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I profili di criticità del bail in: una misura che presenta indiscutibili caratteri di incostituzionalità

I profili di criticità del bail in: una misura che presenta indiscutibili caratteri di incostituzionalità
I profili di criticità del bail in: una misura che presenta indiscutibili caratteri di incostituzionalità

L’odierno mio intervento riflette il pensiero e la visione di un normale giurista che si trova ad esaminare, vergin di servo encomio e di codardo oltraggio, una espressione normativa, quella del bail in, di non esaltante qualità tecnica, indubbiamente complessa e figlia di tempi contenutisticamente sfilacciati, peraltro frutto non impeccabile della debolezza strutturale ed endemica di un sistema politico interno, senza significativa voce in capitolo in Europa, che, al di là di più o meno roboanti dichiarazioni di facciata, per dirla con Omero, il più delle volte “d’onor vuote e nude”, appare affetto da una sorta di insufficienza culturale che si traduce in un’asfissia organizzativa ed in un rachitismo di prospettiva che inibisce all’apparato medesimo non soltanto traguardi di grande respiro, ma anche approdi di normale cabotaggio spinto com’è da un anarchismo comportamentale del tutto irrazionale che genera unicamente confusione improducente, ed ingiustificata compressione di diritti soggettivi fondamentali.

Invero, con una normativa suppostamente armonizzatrice postulata dalla direttiva comunitaria 2014/59/UE, denominata Bank Recovery and Resolution Directive, è stata introdotta in sede europea ed improvvidamente recepita dall’ordinamento interno, una disciplina finalizzata a prevenire ed a gestire la crisi delle banche.

Siffatta normativa, con una forma di esasperata sussidiarietà che impone a banche e ad altri soggetti finanziari ed economici di approdare a riva con le proprie forze ogni qual volta le medesime si dovessero trovare in dissesto e nella necessità di procedere al proprio risanamento, conferisce alle autorità di risoluzione di ciascun Paese membro poteri assai estesi atti a pianificare la gestione delle crisi bancarie nonché a predisporre gli strumenti idonei a gestire in maniera compiuta la fase di superamento delle difficoltà, attraverso l’approntamento di programmi  di ristrutturazione che individuino le strategie e le azioni per creare le condizioni che consentano di migliorare la resolvability delle singole banche all’eventualità del verificarsi di situazioni di crisi.

Tale non lineare, per quanto in seguito si dirà, ipotesi regolatrice è stata definita bail in.

L’utilizzazione di detto termine in luogo del certamente meglio comprensibile per i più, salvataggio interno, da attuarsi, con il ricorso all’uso forzoso di risorse dei clienti delle singole banche in difficoltà, indica il procedimento attraverso il quale quei medesimi istituti di credito trattengono riserve di capitali addizionali per far fronte a possibili crisi emergenziali.

Nelle intenzioni, l’istituto ha come obiettivo, sulla base di una valutazione preliminare della passività, il ripristino, da parte dell’Autorità per la gestione della risoluzione delle banche in crisi, dell’equilibrio di bilancio, attraverso, come si è detto, la svalutazione e/o la conversione in capitale delle passività.

In ragione di ciò ad azionisti e creditori potrà essere richiesto un contributo sino ad una cifra pari all’8% del totale passivo della banca in sofferenza, dopo di che si procederà all’avvio dell’intervento del fondo di risoluzione attraverso la svalutazione delle azioni e dei crediti ovvero la conversione di questi ultimi in azioni al fine di ristrutturare e ricapitalizzare l’istituto bancario in crisi.

Il tutto per consentire, attraverso un intervento strumentalmente ed improvvidamente  ideato e predisposto in sede europea, alla banca in sofferenza di continuare ad operare e ad offrire i servizi finanziari ritenuti essenziali per la collettività in forza di risorse finanziarie che provengono da azionisti e creditori e senza costi per i contribuenti.

Infatti, a seguito dell’entrata in vigore della norma di recepimento (D.Lgs 16.11.2015 n. 180) della su ricordata direttiva europea,  in caso di dissesto della singola banca non si determina il fallimento della stessa, ovvero la sua liquidazione coatta amministrativa così come previsto dalla disciplina codicistica, bensì quella propria del bail in, i cui soggetti individuati e coinvolti nella invero impropria, per quanto in seguito si dirà, operazione disciplinare sono:

1. in primo luogo gli azionisti;

2. in secondo luogo i detentori di altri titoli di capitale

3. poi i titolari di obbligazioni subordinate;

4. successivamente i creditori chirografari, ossia quelli non assisititi da alcuna causa di prelazione;

5. infine i conti correnti ed i conti di deposito con somme superiori a centomila euro.

Sono esclusi dal salvataggio interno e, quindi,  non possono essere né svalutati né convertiti in capitale: i conti correnti ed i depositi con somme inferiori a quella dianzi indicata, nonché i possessori di titoli acquistati dalla banca in crisi nel caso in cui la stessa abbia svolto soltanto la funzione di intermediario (es. titoli di stato, obbligazioni di altre società etc).

Tale delineata disciplina del salvataggio interno, entrato in vigore il 16.1.2016, appare agli occhi ed al sentire del giurista profondamente ingiusta e contraria a qualsiasi principio di diritto in considerazione dell’obiettiva evidenza che del tutto illecite, in quanto palesemente violative dell’obbligo di non ledere l’altrui sfera giuridica, appaiono le disposizioni che la prevedono, a partire dalla  già menzionata direttiva comunitaria BRDD (Bank Recovery and resolution Directive) 2014/59/UE del 15 maggio 2014 per finire alla già ricordata normazione interna di recepimento (D.Lgs 16.11.2015 n. 180) emanata dal Governo in attuazione della delega legislativa ex lege 9.7.2015 n. 114.

Infatti non può sfuggire a chiunque abbia mai avuto a che fare con l’esperienza giuridica e con le sue esegesi ermeneutiche che il meccanismo delineato, voluto ed imposto dall’establishment tedesco, con la colpevole connivenza anche di quello italiano, da sempre specializzato nel fare “ammuina”, appare, in termini di tutta evidenza, assolutamente iniquo, atteso che attraverso l’abolizione dell’aiuto di risorse dell’UE alle banche, di cui hanno, fra l’altro ed a piene mani, con fiumi di danaro pubblico, in precedenza goduto i risparmiatori di altri Paesi europei, primo fra tutti proprio la Germania dei non proprio simpaticissimi Shauble, Weidmann e Merkel.

Stato tedesco che  tante regole europee ha sin qui infranto e continua ad infrangere quando si tratta di tutelare i propri interessi, che tanti danni seguita ad arrecare agli altri Stati membri, e che oggi dell’introduzione di tale normativa del bail in e dello ad esso correlato atteggiamento rigoristico fa un mantra da sventolare strumentalmente ad ogni pié sospinto, sostanzia uno spettacolare, paradigmatico caso di profonda ingiustizia, emblematicamente violativo della concorrenza tra le banche e foriero, di indiscussa e grave disparità nelle regole europee.

Invero, obbligare e scaricare, attraverso una misura strutturalmente del tutto sconnessa rispetto al sistema costituzionale delineato dalla Carta, l’onere del salvataggio della banca in dissesto sull’insieme degli sfortunati ed incolpevoli azionisti, obbligazionisti e depositanti produce effetti devastanti in un sistema bancario in sofferenza come quello italiano che sconta, fra l’altro, la propria scarsa internazionalizzazione.

Di fronte a tale non contestabile realtà peculiare del nostro Paese non è difficile comprendere come la misura del bail in, se non opportunamente rivisitata e corretta costituirà ulteriore causa di disgregazione, l’ennesima spinta cieca verso la frammentazione della ancora oggi, del tutto fragile, perché non paritaria, irregolare ed incompleta, e per ciò stesso, ectoplasmatica condizione fra gli Stati dell’unione europea, viepiù che in una situazione come l’attuale in cui il nostro sistema bancario appare fortemente provato da una pesante crisi, l’introduzione della normativa in esame appare rimedio terapico assolutamente disequilibrato che, in termini di tutta evidenza, non genera stabilità per il sistema stesso, al pari di una iniezione di glucosio nelle vene di un diabetico.

Fra l’altro l’esperienza internazionale, al contrario di quanto non riesca ad immaginare l’ottuso e non duttile intendere teutonico - che per di più, a causa della sua congenita protervia, di recente, ha portato la Germania ad uscire dalla top ten dei paesi più competitivi del mondo, giusta la classifica stilata dalla business school svizzera Imd - ha, a più riprese, dimostrato che, nelle ipotesi di crisi o di fallimento dei mercati, un intervento pubblico tempestivo e coerente costituisce l’unico rimedio alla inutile ed illogica distruzione di ricchezza, atteso che l’operare della mano pubblica  non necessariamente determina perdite per lo Stato, ma, al contrario, in forza delle opportune ed intelligenti azioni correttive che essa è geneticamente in condizioni di imprimere, riesce, il più delle volte, a produrre, e non pochi, risultati positivi in termini di guadagni.

Invero, anche ad un’analisi di prima mano non appare revocabile in dubbio prendere atto dell’assoluta assurdità della misura del bail in, considerato, tra l’altro, che un’alternativa, a costo zero, potrebbe essere quella di indurre la BCE, organo di vigilanza sul sistema creditizio dell’UE, a stampare ulteriore moneta al fine di evitare la preconizzata e destruente riduzione di valore di conti correnti e depositi. Tale invocata misura di emissione di moneta, da sola, proprio per essere teologicamente preordinata a compensare l’erosione di moneta  bancaria, avrebbe l’effetto di efficacemente stabilizzare il sistema bancario attraverso il delineato meccanismo di prevenzione dei comportamenti imprudenti delle istituzioni finanziarie che non è mai giusto addebitare ai depositanti ed ai correntisti, ma restare affidato unicamente alle azioni valutative della BCE, atteso che, in generale, le ultime due sopra indicate categorie di depositanti non possono mai, nel modo più assoluto, essere nella condizione tecnica di valutare l’affidabilità di una banca, viepiù che le stesse, il più delle volte, utilizzano l’istituto di credito per usufruire di un servizio di custodia senza, peraltro, avere nelle loro intenzioni il desiderio o la volontà di operare investimenti di natura rischiosa o peggio speculativa.

Inoltre, la normativa così come concepita e posta in essere da un potere politico sempre più disattento non soltanto nei confronti della realtà funzionale sopra descritta, ma addirittura anche nei riguardi del proprio  fondamentale assetto istituzionale, rappresenta un evidente e per certi versi lacerante vulnus per l’ordinamento italiano e per il suo assetto costituzionale, considerato che tale normativa del salvataggio interno, comporta una illegittima compressione di diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione e dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo con l’ulteriore esiziale, abnorme pretesa di imporre una altrettanto costituzionalmente illegittima e tranchant applicazione retroattiva a rapporti già in essere alla data della sua entrata in vigore senza, peraltro, accordare al risparmiatore possibilità alcuna di opporre il conclamato dato paradigmatico rappresentato dall’oggettiva evidenza che il medesimo, all’atto di sottoscrizione del proprio contratto, non è stato messo in condizione di conoscere lo stato di solvibilità della banca. 

A ben vedere, infatti, la normazione in parola e, segnatamente nell’articolo 20 del Decreto Legislativo n. 180/15, appare indiscutibilmente irragionevole, sproporzionata ed illegittima in considerazione dell’obiettiva e non razionalmente contestabile evidenza che infelicemente la salvezza della banca viene - peraltro senza alcun motivato e dimostrato interesse generale, ma addirittura all’unico dichiarato e non commendevole fine di soccorrere tout court essa banca in sofferenza - posta a carico di alcune figure particolari di creditori, ai quali, sciaguratamente, non viene assicurato e garantito indennizzo di sorta, neppure in prospettiva futura, con conseguente più che palese violazione dell’articolo 42 della Costituzione.

Violazione resa ancor più grave ove si consideri il dato irrefutabile che il ricorso al bail in è stato previsto debba, in ordine temporale e di preferenza, precedere, senza alcuna ragione logica né giuridica, la liquidazione coatta amministrativa;  istituto che viene oggi paradossalmente attivato soltanto quando le misure espropriative del salvataggio interno non si dovessero appalesare sufficienti.     

A siffatta non contestabile paradigmatica illegittimità se ne aggiunge una seconda, altrettanto macroscopica, rappresentata dall’obiettiva evidenza che l’articolo 17 del decreto n. 180/15 dispone, altrettanto illegittimamente, la possibilità di ridurre o convertire i diritti soggettivi, in particolare degli obbligazionisti e dei depositanti, non soltanto in caso di dissesto, bensì - e ciò è pretesa di gravità inaudita - anche a fronte di mero rischio di dissesto della banca.

In buona sostanza l’applicazione della misura del bail in si pone nei confronti della normativa interna (amministrativa, civilistica e commerciale) e rispetto all’assetto degli interessi giuridicamente protetti in atto vigenti in subiecta materia, in nome di un non meglio identificato e soltanto suppostamente indicato interesse generale, come un vero e proprio rescriptum principis, a cui viene riconnesso un ingiustificato, arbitrario e certamente eccessivo margine di discrezionalità in ordine alla sussistenza degli effettivi elementi di rischio di dissesto, lasciando del tutto immune il sistema bancario e facendo gravare l’insieme e le conseguenze del pregiudizio, esclusivamente sui depositanti ai quali non è riconducibile colpa alcuna del procurato dissesto della banca.

Va ancora rilevato che non si riesce a comprendere, perché mai non sia stato normativamente fatto obbligo all’Autorità di risoluzione di accertare - ancor prima  dell’applicazione del regime di bail in - la reale sussistenza della possibilità di procedere al recupero delle sofferenze, attraverso il normale ricorso alle ingiunzioni di pagamento dirette ai debitori inadempienti ed al pignoramento dei loro beni.

Un simile prudenziale accorgimento, peraltro di semplice buon senso, contribuirebbe e non poco ad escludere il concretizzarsi di ignobili connivenze ed illecite coperture nei confronti di debitori amici.

È ancora  di difficile spiegazione, perché mai la normativa in parola non abbia previsto la fisiologica utlizzazione del c.d. sistema delle riserve (frazionaria, obbligatoria, a garanzia dei conti correnti, legale e statutaria), al commendevole scopo di utilizzare, ai fini di salvataggio, quella porzione di depositi che le banche raccolgono ma non impiegano per concedere prestiti.

Ancora, la conseguenza della descritta, infelice operazione legislativa in forza della quale, in caso di dissesto, correntisti, obbligazionisti e depositanti sono esposti alla perdita dei propri diritti, non è situazione giuridica di contenuto inapprezzabile, giacché, fra l’altro, appare del tutto evidente che non soltanto è il dissesto tecnicamente inteso a determinare l’attivazione della misura del bail in – che, peraltro, come si è visto, già di per se viola la garanzia posta a tutela del diritto di proprietà ex articolo 42 della Carta – ma, addirittura, il semplice rischio di dissesto che quale fattore indiscutibilmente determinante, altera il consolidato indirizzo di corretta garanzia costituzionale che involve nel suo seno l’insieme dei diritti patrimoniali imputabili a ciascuna sfera soggettiva privata.

Orbene, poiché nella cornice concettuale delineata dalla Carta, rientrano senza dubbio alcuno tanto i diritti di partecipazione societaria (le azioni) che i diritti di credito (obbligazioni subordinate, prestiti e depositi), non appare revocabile in dubbio che l’assurda procedura di bail in viola, altresì, in modo altrettanto palese e marchiano anche l’articolo 47 della Carta il cui contenuto programmatico incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme, viepiù in considerazione del fatto oggettivo che la conversione forzosa della azioni e delle obbligazioni in titoli di minor valore ed il prelievo forzoso dei conti correnti sopra i centomila euro - come si è visto senza contropartita alcuna - di certo, non contribuisce ad incoraggiare né a tutelare il risparmio.

Va, inoltre, sottolineato, e ciò non è cosa di poco momento, che attraverso il bail in si giunge a destrutturare in maniera sensibile persino l’istituto della conversione sopra richiamato visto e considerato che tale regolazione omette di considerare che nel nostro ordinamento detto istituto viene, per espressa disciplina normativa, attivato  sempre in forza di un accordo tra debitori e creditori, o quantomeno con la maggioranza dei creditori, mediante accordi di ristrutturazione del debito, sia ex ante (concordato preventivo), che ex post (amministrazione straordinaria).

In costanza di regime di bail in, invece, l’Autorità impone la conversione anche contro la volontà dell’intero gruppo creditorio con l’ulteriore aggravante che la determinazione della stessa resta affidata - e ciò è particolarmente grave - interamente ed esclusivamente al giudizio di un esperto (l’autorità di risoluzione) che, comunque, non decide mai nell’interesse dei creditori, ma nell’interesse impropriamente e suppostamente generale a che la banca rimanga operativa al fine di poter meglio essere posizionata sul mercato.

Così dogmaticamente delineato non appare revocabile in dubbio che l’istituto della conversione tratteggiato dalla normazione del bail in non può, in alcun modo, essere inquadrato nel contesto delle procedure concorsuali previste dal nostro ordinamento, viepiù che nel provvedimento di risoluzione previsto dalle norme del salvataggio interno non è ravvisabile la figura del concorso, per l’assoluta, indiscutibiile assenza della c.d. par condicio creditorum, atteso, fra l’altro, che il provvedimento di risoluzione delineato cancella, si ribadisce, in maniera del tutto inelegante e tranchant, i diritti dei soggetti incisi la cui entità quantitativa, in termini numerici, non è mai in ogni caso, possibile determinare a priori, soprattutto con riferimento alle passività da considerare escluse dal bail in, ovviamente eccezion fatta per quelle descritte come obbligatorie e permanenti (depositi protetti, passività garantite, passività detenute dalla banca quale depositario, passività a breve verso altre banche), ovvero derivanti dalla  partecipazione a sistemi di pagamento (debiti verso il fisco o verso dipendenti, se privilegiati), ma con espresso riguardo anche alle c.d. esclusioni facoltative afferenti a circostanze eccezionali, in ogni caso soltanto genericamente previste ed espresse dall’articolo 44, pgf. 3, della direttiva Bank Recovery and Resolution Directive, c.d. BRRD del 2014.    

La normativa del salvataggio interno è, poi, ulteriormente illegittima atteso il suo evidente, aperto contrasto con i principi di proporzionalità, di ragionevolezza e di eguaglianza postulati come indefettibili dall’articolo 3 della Carta, in ragione del fatto che essa genera, immotivatamente, una disparità di trattamento tra depositanti, azionisti ed obbligazionisti, atteso che per risanare la banca e, quindi, per pagare qualsiasi altro creditore si utilizzano  due particolari categorie di creditori obbligazionisti subordinati e depositanti determinati (oltre i centomila euro).

Ne discende, in termini  di tutta evidenza, il sopra denunciato contrasto con i ricordati principi costituzionali di proporzionalità, di ragionevolezza e di eguaglianza, viepiù in considerazione del fatto che se anziché sostenere siffatta linea normativa il legislatore interno privilegiasse, la via della procedura concorsuale, le particolari categorie di creditori in oggetto, invece che perdere a priori il loro capitale potrebbero, invece, quantomeno procedere al recupero in parte dello stesso e, quindi, vedere ridurre la disparità di trattamento rispetto a quei creditori che non vengono incisi dal bail in.

L’assurdità dell’impianto normativo del bail in e la sua palese confliggenza con il sistema costituzionale italiano avrebbe dovuta essere ben nota al legislatore interno, considerata l’eclatanza del precedente giustiziale fornito dallo ordinamento austriaco, il cui organo di giustizia costituzionale, con la sentenza G.239/14 UA, pubblicata il 3 luglio del 2015 (afferente alla complicata e discussa crisi della Hypo Alpe Adria), - appena sei mesi prima della sciagurata assunzione del Decreto Legislativo n. 180/15 da parte dello Stato italiano – ha provveduto a dichiarare come incostituzionale la strutturalmente omologa a quella oggi introdotta in Italia, normativa austriaca di recepimento del bail in, ed evidenziato: la sproporzionata, ingiustificata e non commendevole disparità di trattamento tra le diverse categorie di creditori della banca; la violazione del diritto fondamentale di protezione della proprietà dei beni, che si sarebbe determinata cancellando unilateralmente le garanzie del credito in precenza pattuite; il, fra l’altro, palese, accertato contrasto di essa normativa sul bail in con l’articolo 17 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE.

Ovviamente appare del tutto pleonastico riferire che di tale emblematica realtà giustiziale il legislatore italiano, al pari dell’asin bigio di carducciana memoria, il cui disinteresse verso ciò che succede nel mondo esterno è icasticamente sintetizzato nel verso tutto quel chiasso ei non degnò di un guardo e a brucar serio e lento seguitò, non ha tenuto conto o meglio probabilmente neppure considerato il profilo documentale rappresentato dal decisum della Corte costituzionale austriaca appena sopra ricordato.

Alla luce delle superiori considerazioni consegue come logico corollario, che tanto sotto il profilo concettuale che sotto lo spaccato strutturale la normativa del bail in contrasta con i regimi costituzionali di plurimi Stati dell’UE.

Per ciò che attiene poi al modello istituzionale interno, è da dire come non appaia corretto né commendevole pretendere di introdurre discipline e regole che si pongono come disvalore rispetto all’architettura costituzionale di fronte alla quale è obbligata a cedere, per la parte configgente con i ricordati principi essenziali, qualsivoglia normazione di provenienza europea, persino i Trattati che come è noto sono fonti di rango inferiore.

Va, infatti, per l’effetto, ricordato come qualunque prescrizione internazionale che si ponga in posizione conflittuale rispetto ai richiamati principi fondamentali, non entra a far parte dell’ordinamento italiano ed in esso non può spiegare efficacia cogente alcuna.

Il Giudice delle leggi infatti, ha sancito, senza possibilità di ermeneusi di segno contrario che le normative europee ed internazionali in genere devono essere sempre e comunque compatibili con i principi fondamentali (artt. 1 – 12) postulati dalla Carta, nonché con tutte le altre norme che di detti principi  costituiscono diretta promanazione; principi fondamentali, tra l’altro, che, in quanto tali, non sono soggetti neppure ad essere oggetto di revisione costituzionale.

Infatti la Corte costituzionale (cfr. n. 238/2014) ha sempre ed a più riprese sancito che i principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale ed i diritti inalienabili della persona costituiscono un limite esplicito ed implicito all’ingresso delle norme internazionali generalmente riconosciute alle quali l’ordinamento giuridico italiano si conforma ex art. 10, primo comma della Carta(cfr. ex multis Corte Cost. n. 48/1979 e n. 73/2001) ed operano addirittura quali controlimiti all’ingresso delle norme dell’UE (cfr. ex plurimis Corte Cost. n. 183/1973, n. 170/1984, n. 232/89, n. 168/1991 e n. 284/2007.

Detti principi, infatti rappresentano, indiscutibilmente gli elementi identificativi ed irrinunciabili dell’ordinamento costituzionale che, per ciò stesso, come poco sopra ricordato, sono sottratti anche al processo di revisione costituzionale (cfr. Corte Cost. n. 1146/1988). 

Va ancora ad abundantiam sottolineato che la  normativa del salvataggio interno di cui qui si discute, oltre che costituzionalmente illegittima, per quanto sin qui evidenziato, appare altresì in più che lapalissiano contrasto con l’articolo 17 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE; con l’articolo 1 del protocollo addizionale alla CEDU atteso che a mente dell’articolo 117, comma 1 della nostra Carta, così come modificato a seguito della riforma costituzionale del 2001, la CEDU ha vincolato il legislatore italiano ad ampliare in maniera esponenziale e significativa il livello di tutela del diritto di proprietà (cfr. in tale senso i decisa della Corte costituzionale n. 181/2011 e n. 338/2011) assicurando, nella materia ablativa al soggetto inciso, che l’indennizzo riconosciuto dall’ordinamento interno, non vada a sostanziarsi come meramente figurativo, bensì quale ineludibile paradigma di riferimento per il sacrificio imposto e, pertanto ragguagliato al valore venale di mercato.

Infine, ed anche quest’ultima rilevazione non è cosa di poco momento, ulteriore elemento ostativo ad una applicazione nel nostro ordinamento del bail in, va ravvisato nella conclamata necessità di un fondo di garanzia per i depositanti, e nella non risolta presenza di oggettivamente plurime e diversificate - sotto il profilo della permissività e/o della eventuale loro gradualità - legislazioni all’interno dei vari Paesi dell’UE, nonché nell’assenza di un codice identificativo di una disciplina unica anche per ciò che attiene ai profili di regolazione giuspenalistica, delle fattispecie da considerare.

Quanto sopra espresso in tutte le considerazioni sin qui svolte, dimostra, senza se e senza ma, che la normativa del salvataggio interno in esame determina, comunque ed in ogni caso, una ingiustificata ed illegittima compressione di diritti soggettivi fondamentali in odio sia alle garanzie assicurate dalla Costituzione italiana che a quelle postulate dalla Convenzione europea dei diritti dell’Uomo a cui ho già avuto modo di far riferimento nel corpo di questo mio ormai lungo e mi auguro non noioso intervento.

 

Relazione tenuta il 28 maggio 2016 presso la Sala Convegni di Confindustria Reggio Calabria, Sede Territoriale di Unindustria Calabria, nell’ambito del Salotto Finanziario sul tema “Il valore del risparmio tra educazione finanziaria e tutela degli investitori” organizzato da SANPAOLO INVEST, Private Banker Francesco Nucera e dallo Studio Legale Avv. Domenica Pirilli con il patrocinio morale di Confindustria Reggio Calabria

L’odierno mio intervento riflette il pensiero e la visione di un normale giurista che si trova ad esaminare, vergin di servo encomio e di codardo oltraggio, una espressione normativa, quella del bail in, di non esaltante qualità tecnica, indubbiamente complessa e figlia di tempi contenutisticamente sfilacciati, peraltro frutto non impeccabile della debolezza strutturale ed endemica di un sistema politico interno, senza significativa voce in capitolo in Europa, che, al di là di più o meno roboanti dichiarazioni di facciata, per dirla con Omero, il più delle volte “d’onor vuote e nude”, appare affetto da una sorta di insufficienza culturale che si traduce in un’asfissia organizzativa ed in un rachitismo di prospettiva che inibisce all’apparato medesimo non soltanto traguardi di grande respiro, ma anche approdi di normale cabotaggio spinto com’è da un anarchismo comportamentale del tutto irrazionale che genera unicamente confusione improducente, ed ingiustificata compressione di diritti soggettivi fondamentali.

Invero, con una normativa suppostamente armonizzatrice postulata dalla direttiva comunitaria 2014/59/UE, denominata Bank Recovery and Resolution Directive, è stata introdotta in sede europea ed improvvidamente recepita dall’ordinamento interno, una disciplina finalizzata a prevenire ed a gestire la crisi delle banche.

Siffatta normativa, con una forma di esasperata sussidiarietà che impone a banche e ad altri soggetti finanziari ed economici di approdare a riva con le proprie forze ogni qual volta le medesime si dovessero trovare in dissesto e nella necessità di procedere al proprio risanamento, conferisce alle autorità di risoluzione di ciascun Paese membro poteri assai estesi atti a pianificare la gestione delle crisi bancarie nonché a predisporre gli strumenti idonei a gestire in maniera compiuta la fase di superamento delle difficoltà, attraverso l’approntamento di programmi  di ristrutturazione che individuino le strategie e le azioni per creare le condizioni che consentano di migliorare la resolvability delle singole banche all’eventualità del verificarsi di situazioni di crisi.

Tale non lineare, per quanto in seguito si dirà, ipotesi regolatrice è stata definita bail in.

L’utilizzazione di detto termine in luogo del certamente meglio comprensibile per i più, salvataggio interno, da attuarsi, con il ricorso all’uso forzoso di risorse dei clienti delle singole banche in difficoltà, indica il procedimento attraverso il quale quei medesimi istituti di credito trattengono riserve di capitali addizionali per far fronte a possibili crisi emergenziali.

Nelle intenzioni, l’istituto ha come obiettivo, sulla base di una valutazione preliminare della passività, il ripristino, da parte dell’Autorità per la gestione della risoluzione delle banche in crisi, dell’equilibrio di bilancio, attraverso, come si è detto, la svalutazione e/o la conversione in capitale delle passività.

In ragione di ciò ad azionisti e creditori potrà essere richiesto un contributo sino ad una cifra pari all’8% del totale passivo della banca in sofferenza, dopo di che si procederà all’avvio dell’intervento del fondo di risoluzione attraverso la svalutazione delle azioni e dei crediti ovvero la conversione di questi ultimi in azioni al fine di ristrutturare e ricapitalizzare l’istituto bancario in crisi.

Il tutto per consentire, attraverso un intervento strumentalmente ed improvvidamente  ideato e predisposto in sede europea, alla banca in sofferenza di continuare ad operare e ad offrire i servizi finanziari ritenuti essenziali per la collettività in forza di risorse finanziarie che provengono da azionisti e creditori e senza costi per i contribuenti.

Infatti, a seguito dell’entrata in vigore della norma di recepimento (D.Lgs 16.11.2015 n. 180) della su ricordata direttiva europea,  in caso di dissesto della singola banca non si determina il fallimento della stessa, ovvero la sua liquidazione coatta amministrativa così come previsto dalla disciplina codicistica, bensì quella propria del bail in, i cui soggetti individuati e coinvolti nella invero impropria, per quanto in seguito si dirà, operazione disciplinare sono:

1. in primo luogo gli azionisti;

2. in secondo luogo i detentori di altri titoli di capitale

3. poi i titolari di obbligazioni subordinate;

4. successivamente i creditori chirografari, ossia quelli non assisititi da alcuna causa di prelazione;

5. infine i conti correnti ed i conti di deposito con somme superiori a centomila euro.

Sono esclusi dal salvataggio interno e, quindi,  non possono essere né svalutati né convertiti in capitale: i conti correnti ed i depositi con somme inferiori a quella dianzi indicata, nonché i possessori di titoli acquistati dalla banca in crisi nel caso in cui la stessa abbia svolto soltanto la funzione di intermediario (es. titoli di stato, obbligazioni di altre società etc).

Tale delineata disciplina del salvataggio interno, entrato in vigore il 16.1.2016, appare agli occhi ed al sentire del giurista profondamente ingiusta e contraria a qualsiasi principio di diritto in considerazione dell’obiettiva evidenza che del tutto illecite, in quanto palesemente violative dell’obbligo di non ledere l’altrui sfera giuridica, appaiono le disposizioni che la prevedono, a partire dalla  già menzionata direttiva comunitaria BRDD (Bank Recovery and resolution Directive) 2014/59/UE del 15 maggio 2014 per finire alla già ricordata normazione interna di recepimento (D.Lgs 16.11.2015 n. 180) emanata dal Governo in attuazione della delega legislativa ex lege 9.7.2015 n. 114.

Infatti non può sfuggire a chiunque abbia mai avuto a che fare con l’esperienza giuridica e con le sue esegesi ermeneutiche che il meccanismo delineato, voluto ed imposto dall’establishment tedesco, con la colpevole connivenza anche di quello italiano, da sempre specializzato nel fare “ammuina”, appare, in termini di tutta evidenza, assolutamente iniquo, atteso che attraverso l’abolizione dell’aiuto di risorse dell’UE alle banche, di cui hanno, fra l’altro ed a piene mani, con fiumi di danaro pubblico, in precedenza goduto i risparmiatori di altri Paesi europei, primo fra tutti proprio la Germania dei non proprio simpaticissimi Shauble, Weidmann e Merkel.

Stato tedesco che  tante regole europee ha sin qui infranto e continua ad infrangere quando si tratta di tutelare i propri interessi, che tanti danni seguita ad arrecare agli altri Stati membri, e che oggi dell’introduzione di tale normativa del bail in e dello ad esso correlato atteggiamento rigoristico fa un mantra da sventolare strumentalmente ad ogni pié sospinto, sostanzia uno spettacolare, paradigmatico caso di profonda ingiustizia, emblematicamente violativo della concorrenza tra le banche e foriero, di indiscussa e grave disparità nelle regole europee.

Invero, obbligare e scaricare, attraverso una misura strutturalmente del tutto sconnessa rispetto al sistema costituzionale delineato dalla Carta, l’onere del salvataggio della banca in dissesto sull’insieme degli sfortunati ed incolpevoli azionisti, obbligazionisti e depositanti produce effetti devastanti in un sistema bancario in sofferenza come quello italiano che sconta, fra l’altro, la propria scarsa internazionalizzazione.

Di fronte a tale non contestabile realtà peculiare del nostro Paese non è difficile comprendere come la misura del bail in, se non opportunamente rivisitata e corretta costituirà ulteriore causa di disgregazione, l’ennesima spinta cieca verso la frammentazione della ancora oggi, del tutto fragile, perché non paritaria, irregolare ed incompleta, e per ciò stesso, ectoplasmatica condizione fra gli Stati dell’unione europea, viepiù che in una situazione come l’attuale in cui il nostro sistema bancario appare fortemente provato da una pesante crisi, l’introduzione della normativa in esame appare rimedio terapico assolutamente disequilibrato che, in termini di tutta evidenza, non genera stabilità per il sistema stesso, al pari di una iniezione di glucosio nelle vene di un diabetico.

Fra l’altro l’esperienza internazionale, al contrario di quanto non riesca ad immaginare l’ottuso e non duttile intendere teutonico - che per di più, a causa della sua congenita protervia, di recente, ha portato la Germania ad uscire dalla top ten dei paesi più competitivi del mondo, giusta la classifica stilata dalla business school svizzera Imd - ha, a più riprese, dimostrato che, nelle ipotesi di crisi o di fallimento dei mercati, un intervento pubblico tempestivo e coerente costituisce l’unico rimedio alla inutile ed illogica distruzione di ricchezza, atteso che l’operare della mano pubblica  non necessariamente determina perdite per lo Stato, ma, al contrario, in forza delle opportune ed intelligenti azioni correttive che essa è geneticamente in condizioni di imprimere, riesce, il più delle volte, a produrre, e non pochi, risultati positivi in termini di guadagni.

Invero, anche ad un’analisi di prima mano non appare revocabile in dubbio prendere atto dell’assoluta assurdità della misura del bail in, considerato, tra l’altro, che un’alternativa, a costo zero, potrebbe essere quella di indurre la BCE, organo di vigilanza sul sistema creditizio dell’UE, a stampare ulteriore moneta al fine di evitare la preconizzata e destruente riduzione di valore di conti correnti e depositi. Tale invocata misura di emissione di moneta, da sola, proprio per essere teologicamente preordinata a compensare l’erosione di moneta  bancaria, avrebbe l’effetto di efficacemente stabilizzare il sistema bancario attraverso il delineato meccanismo di prevenzione dei comportamenti imprudenti delle istituzioni finanziarie che non è mai giusto addebitare ai depositanti ed ai correntisti, ma restare affidato unicamente alle azioni valutative della BCE, atteso che, in generale, le ultime due sopra indicate categorie di depositanti non possono mai, nel modo più assoluto, essere nella condizione tecnica di valutare l’affidabilità di una banca, viepiù che le stesse, il più delle volte, utilizzano l’istituto di credito per usufruire di un servizio di custodia senza, peraltro, avere nelle loro intenzioni il desiderio o la volontà di operare investimenti di natura rischiosa o peggio speculativa.

Inoltre, la normativa così come concepita e posta in essere da un potere politico sempre più disattento non soltanto nei confronti della realtà funzionale sopra descritta, ma addirittura anche nei riguardi del proprio  fondamentale assetto istituzionale, rappresenta un evidente e per certi versi lacerante vulnus per l’ordinamento italiano e per il suo assetto costituzionale, considerato che tale normativa del salvataggio interno, comporta una illegittima compressione di diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione e dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo con l’ulteriore esiziale, abnorme pretesa di imporre una altrettanto costituzionalmente illegittima e tranchant applicazione retroattiva a rapporti già in essere alla data della sua entrata in vigore senza, peraltro, accordare al risparmiatore possibilità alcuna di opporre il conclamato dato paradigmatico rappresentato dall’oggettiva evidenza che il medesimo, all’atto di sottoscrizione del proprio contratto, non è stato messo in condizione di conoscere lo stato di solvibilità della banca. 

A ben vedere, infatti, la normazione in parola e, segnatamente nell’articolo 20 del Decreto Legislativo n. 180/15, appare indiscutibilmente irragionevole, sproporzionata ed illegittima in considerazione dell’obiettiva e non razionalmente contestabile evidenza che infelicemente la salvezza della banca viene - peraltro senza alcun motivato e dimostrato interesse generale, ma addirittura all’unico dichiarato e non commendevole fine di soccorrere tout court essa banca in sofferenza - posta a carico di alcune figure particolari di creditori, ai quali, sciaguratamente, non viene assicurato e garantito indennizzo di sorta, neppure in prospettiva futura, con conseguente più che palese violazione dell’articolo 42 della Costituzione.

Violazione resa ancor più grave ove si consideri il dato irrefutabile che il ricorso al bail in è stato previsto debba, in ordine temporale e di preferenza, precedere, senza alcuna ragione logica né giuridica, la liquidazione coatta amministrativa;  istituto che viene oggi paradossalmente attivato soltanto quando le misure espropriative del salvataggio interno non si dovessero appalesare sufficienti.     

A siffatta non contestabile paradigmatica illegittimità se ne aggiunge una seconda, altrettanto macroscopica, rappresentata dall’obiettiva evidenza che l’articolo 17 del decreto n. 180/15 dispone, altrettanto illegittimamente, la possibilità di ridurre o convertire i diritti soggettivi, in particolare degli obbligazionisti e dei depositanti, non soltanto in caso di dissesto, bensì - e ciò è pretesa di gravità inaudita - anche a fronte di mero rischio di dissesto della banca.

In buona sostanza l’applicazione della misura del bail in si pone nei confronti della normativa interna (amministrativa, civilistica e commerciale) e rispetto all’assetto degli interessi giuridicamente protetti in atto vigenti in subiecta materia, in nome di un non meglio identificato e soltanto suppostamente indicato interesse generale, come un vero e proprio rescriptum principis, a cui viene riconnesso un ingiustificato, arbitrario e certamente eccessivo margine di discrezionalità in ordine alla sussistenza degli effettivi elementi di rischio di dissesto, lasciando del tutto immune il sistema bancario e facendo gravare l’insieme e le conseguenze del pregiudizio, esclusivamente sui depositanti ai quali non è riconducibile colpa alcuna del procurato dissesto della banca.

Va ancora rilevato che non si riesce a comprendere, perché mai non sia stato normativamente fatto obbligo all’Autorità di risoluzione di accertare - ancor prima  dell’applicazione del regime di bail in - la reale sussistenza della possibilità di procedere al recupero delle sofferenze, attraverso il normale ricorso alle ingiunzioni di pagamento dirette ai debitori inadempienti ed al pignoramento dei loro beni.

Un simile prudenziale accorgimento, peraltro di semplice buon senso, contribuirebbe e non poco ad escludere il concretizzarsi di ignobili connivenze ed illecite coperture nei confronti di debitori amici.

È ancora  di difficile spiegazione, perché mai la normativa in parola non abbia previsto la fisiologica utlizzazione del c.d. sistema delle riserve (frazionaria, obbligatoria, a garanzia dei conti correnti, legale e statutaria), al commendevole scopo di utilizzare, ai fini di salvataggio, quella porzione di depositi che le banche raccolgono ma non impiegano per concedere prestiti.

Ancora, la conseguenza della descritta, infelice operazione legislativa in forza della quale, in caso di dissesto, correntisti, obbligazionisti e depositanti sono esposti alla perdita dei propri diritti, non è situazione giuridica di contenuto inapprezzabile, giacché, fra l’altro, appare del tutto evidente che non soltanto è il dissesto tecnicamente inteso a determinare l’attivazione della misura del bail in – che, peraltro, come si è visto, già di per se viola la garanzia posta a tutela del diritto di proprietà ex articolo 42 della Carta – ma, addirittura, il semplice rischio di dissesto che quale fattore indiscutibilmente determinante, altera il consolidato indirizzo di corretta garanzia costituzionale che involve nel suo seno l’insieme dei diritti patrimoniali imputabili a ciascuna sfera soggettiva privata.

Orbene, poiché nella cornice concettuale delineata dalla Carta, rientrano senza dubbio alcuno tanto i diritti di partecipazione societaria (le azioni) che i diritti di credito (obbligazioni subordinate, prestiti e depositi), non appare revocabile in dubbio che l’assurda procedura di bail in viola, altresì, in modo altrettanto palese e marchiano anche l’articolo 47 della Carta il cui contenuto programmatico incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme, viepiù in considerazione del fatto oggettivo che la conversione forzosa della azioni e delle obbligazioni in titoli di minor valore ed il prelievo forzoso dei conti correnti sopra i centomila euro - come si è visto senza contropartita alcuna - di certo, non contribuisce ad incoraggiare né a tutelare il risparmio.

Va, inoltre, sottolineato, e ciò non è cosa di poco momento, che attraverso il bail in si giunge a destrutturare in maniera sensibile persino l’istituto della conversione sopra richiamato visto e considerato che tale regolazione omette di considerare che nel nostro ordinamento detto istituto viene, per espressa disciplina normativa, attivato  sempre in forza di un accordo tra debitori e creditori, o quantomeno con la maggioranza dei creditori, mediante accordi di ristrutturazione del debito, sia ex ante (concordato preventivo), che ex post (amministrazione straordinaria).

In costanza di regime di bail in, invece, l’Autorità impone la conversione anche contro la volontà dell’intero gruppo creditorio con l’ulteriore aggravante che la determinazione della stessa resta affidata - e ciò è particolarmente grave - interamente ed esclusivamente al giudizio di un esperto (l’autorità di risoluzione) che, comunque, non decide mai nell’interesse dei creditori, ma nell’interesse impropriamente e suppostamente generale a che la banca rimanga operativa al fine di poter meglio essere posizionata sul mercato.

Così dogmaticamente delineato non appare revocabile in dubbio che l’istituto della conversione tratteggiato dalla normazione del bail in non può, in alcun modo, essere inquadrato nel contesto delle procedure concorsuali previste dal nostro ordinamento, viepiù che nel provvedimento di risoluzione previsto dalle norme del salvataggio interno non è ravvisabile la figura del concorso, per l’assoluta, indiscutibiile assenza della c.d. par condicio creditorum, atteso, fra l’altro, che il provvedimento di risoluzione delineato cancella, si ribadisce, in maniera del tutto inelegante e tranchant, i diritti dei soggetti incisi la cui entità quantitativa, in termini numerici, non è mai in ogni caso, possibile determinare a priori, soprattutto con riferimento alle passività da considerare escluse dal bail in, ovviamente eccezion fatta per quelle descritte come obbligatorie e permanenti (depositi protetti, passività garantite, passività detenute dalla banca quale depositario, passività a breve verso altre banche), ovvero derivanti dalla  partecipazione a sistemi di pagamento (debiti verso il fisco o verso dipendenti, se privilegiati), ma con espresso riguardo anche alle c.d. esclusioni facoltative afferenti a circostanze eccezionali, in ogni caso soltanto genericamente previste ed espresse dall’articolo 44, pgf. 3, della direttiva Bank Recovery and Resolution Directive, c.d. BRRD del 2014.    

La normativa del salvataggio interno è, poi, ulteriormente illegittima atteso il suo evidente, aperto contrasto con i principi di proporzionalità, di ragionevolezza e di eguaglianza postulati come indefettibili dall’articolo 3 della Carta, in ragione del fatto che essa genera, immotivatamente, una disparità di trattamento tra depositanti, azionisti ed obbligazionisti, atteso che per risanare la banca e, quindi, per pagare qualsiasi altro creditore si utilizzano  due particolari categorie di creditori obbligazionisti subordinati e depositanti determinati (oltre i centomila euro).

Ne discende, in termini  di tutta evidenza, il sopra denunciato contrasto con i ricordati principi costituzionali di proporzionalità, di ragionevolezza e di eguaglianza, viepiù in considerazione del fatto che se anziché sostenere siffatta linea normativa il legislatore interno privilegiasse, la via della procedura concorsuale, le particolari categorie di creditori in oggetto, invece che perdere a priori il loro capitale potrebbero, invece, quantomeno procedere al recupero in parte dello stesso e, quindi, vedere ridurre la disparità di trattamento rispetto a quei creditori che non vengono incisi dal bail in.

L’assurdità dell’impianto normativo del bail in e la sua palese confliggenza con il sistema costituzionale italiano avrebbe dovuta essere ben nota al legislatore interno, considerata l’eclatanza del precedente giustiziale fornito dallo ordinamento austriaco, il cui organo di giustizia costituzionale, con la sentenza G.239/14 UA, pubblicata il 3 luglio del 2015 (afferente alla complicata e discussa crisi della Hypo Alpe Adria), - appena sei mesi prima della sciagurata assunzione del Decreto Legislativo n. 180/15 da parte dello Stato italiano – ha provveduto a dichiarare come incostituzionale la strutturalmente omologa a quella oggi introdotta in Italia, normativa austriaca di recepimento del bail in, ed evidenziato: la sproporzionata, ingiustificata e non commendevole disparità di trattamento tra le diverse categorie di creditori della banca; la violazione del diritto fondamentale di protezione della proprietà dei beni, che si sarebbe determinata cancellando unilateralmente le garanzie del credito in precenza pattuite; il, fra l’altro, palese, accertato contrasto di essa normativa sul bail in con l’articolo 17 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE.

Ovviamente appare del tutto pleonastico riferire che di tale emblematica realtà giustiziale il legislatore italiano, al pari dell’asin bigio di carducciana memoria, il cui disinteresse verso ciò che succede nel mondo esterno è icasticamente sintetizzato nel verso tutto quel chiasso ei non degnò di un guardo e a brucar serio e lento seguitò, non ha tenuto conto o meglio probabilmente neppure considerato il profilo documentale rappresentato dal decisum della Corte costituzionale austriaca appena sopra ricordato.

Alla luce delle superiori considerazioni consegue come logico corollario, che tanto sotto il profilo concettuale che sotto lo spaccato strutturale la normativa del bail in contrasta con i regimi costituzionali di plurimi Stati dell’UE.

Per ciò che attiene poi al modello istituzionale interno, è da dire come non appaia corretto né commendevole pretendere di introdurre discipline e regole che si pongono come disvalore rispetto all’architettura costituzionale di fronte alla quale è obbligata a cedere, per la parte configgente con i ricordati principi essenziali, qualsivoglia normazione di provenienza europea, persino i Trattati che come è noto sono fonti di rango inferiore.

Va, infatti, per l’effetto, ricordato come qualunque prescrizione internazionale che si ponga in posizione conflittuale rispetto ai richiamati principi fondamentali, non entra a far parte dell’ordinamento italiano ed in esso non può spiegare efficacia cogente alcuna.

Il Giudice delle leggi infatti, ha sancito, senza possibilità di ermeneusi di segno contrario che le normative europee ed internazionali in genere devono essere sempre e comunque compatibili con i principi fondamentali (artt. 1 – 12) postulati dalla Carta, nonché con tutte le altre norme che di detti principi  costituiscono diretta promanazione; principi fondamentali, tra l’altro, che, in quanto tali, non sono soggetti neppure ad essere oggetto di revisione costituzionale.

Infatti la Corte costituzionale (cfr. n. 238/2014) ha sempre ed a più riprese sancito che i principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale ed i diritti inalienabili della persona costituiscono un limite esplicito ed implicito all’ingresso delle norme internazionali generalmente riconosciute alle quali l’ordinamento giuridico italiano si conforma ex art. 10, primo comma della Carta(cfr. ex multis Corte Cost. n. 48/1979 e n. 73/2001) ed operano addirittura quali controlimiti all’ingresso delle norme dell’UE (cfr. ex plurimis Corte Cost. n. 183/1973, n. 170/1984, n. 232/89, n. 168/1991 e n. 284/2007.

Detti principi, infatti rappresentano, indiscutibilmente gli elementi identificativi ed irrinunciabili dell’ordinamento costituzionale che, per ciò stesso, come poco sopra ricordato, sono sottratti anche al processo di revisione costituzionale (cfr. Corte Cost. n. 1146/1988). 

Va ancora ad abundantiam sottolineato che la  normativa del salvataggio interno di cui qui si discute, oltre che costituzionalmente illegittima, per quanto sin qui evidenziato, appare altresì in più che lapalissiano contrasto con l’articolo 17 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE; con l’articolo 1 del protocollo addizionale alla CEDU atteso che a mente dell’articolo 117, comma 1 della nostra Carta, così come modificato a seguito della riforma costituzionale del 2001, la CEDU ha vincolato il legislatore italiano ad ampliare in maniera esponenziale e significativa il livello di tutela del diritto di proprietà (cfr. in tale senso i decisa della Corte costituzionale n. 181/2011 e n. 338/2011) assicurando, nella materia ablativa al soggetto inciso, che l’indennizzo riconosciuto dall’ordinamento interno, non vada a sostanziarsi come meramente figurativo, bensì quale ineludibile paradigma di riferimento per il sacrificio imposto e, pertanto ragguagliato al valore venale di mercato.

Infine, ed anche quest’ultima rilevazione non è cosa di poco momento, ulteriore elemento ostativo ad una applicazione nel nostro ordinamento del bail in, va ravvisato nella conclamata necessità di un fondo di garanzia per i depositanti, e nella non risolta presenza di oggettivamente plurime e diversificate - sotto il profilo della permissività e/o della eventuale loro gradualità - legislazioni all’interno dei vari Paesi dell’UE, nonché nell’assenza di un codice identificativo di una disciplina unica anche per ciò che attiene ai profili di regolazione giuspenalistica, delle fattispecie da considerare.

Quanto sopra espresso in tutte le considerazioni sin qui svolte, dimostra, senza se e senza ma, che la normativa del salvataggio interno in esame determina, comunque ed in ogni caso, una ingiustificata ed illegittima compressione di diritti soggettivi fondamentali in odio sia alle garanzie assicurate dalla Costituzione italiana che a quelle postulate dalla Convenzione europea dei diritti dell’Uomo a cui ho già avuto modo di far riferimento nel corpo di questo mio ormai lungo e mi auguro non noioso intervento.

 

Relazione tenuta il 28 maggio 2016 presso la Sala Convegni di Confindustria Reggio Calabria, Sede Territoriale di Unindustria Calabria, nell’ambito del Salotto Finanziario sul tema “Il valore del risparmio tra educazione finanziaria e tutela degli investitori” organizzato da SANPAOLO INVEST, Private Banker Francesco Nucera e dallo Studio Legale Avv. Domenica Pirilli con il patrocinio morale di Confindustria Reggio Calabria