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Il carattere negoziale degli ordini di borsa

Rapporti con il contratto di intermediazione mobiliare e loro autonomia

1 Premessa

2 Il contratto di intermediazione mobiliare. Brevi cenni sulla natura giuridica e sul rapporto con gli ordini di esecuzione

3 Gli ordini di esecuzione. Forma e loro esistenza in assenza e oltre il contratto quadro

4 Conclusioni

1. Premessa

Attraverso la predisposizione di un ordine di negoziazione, l’investitore trasmette all’intermediario la propria volontà di compiere una determinata operazione inerente l’acquisto o la vendita di strumenti finanziari.

Tale momento contrattuale, però, deve essere preceduto dalla predisposizione di un contratto di intermediazione mobiliare, atto con il quale le parti concordano la disciplina della futura attività negoziale.

La presente analisi si prefigge, senza alcuno scopo di completezza, di approfondire il rapporto intercorrente tra questi due contratti al fine di accertare se sia possibile giungere alla definizione di un ordine di borsa quale autonomo momento negoziale rispetto al contratto quadro di intermediazione mobiliare, avente propria causa negoziale.

Sarà necessario premettere il dibattito sulla natura giuridica delle figure contrattuali in oggetto e da lì giungere alla analisi compiuta dalla recente giurisprudenza di merito.

Non si potrà tralasciare, peraltro, una breve ricognizione della normativa inerente gli obblighi di forma che la disciplina primaria e regolamentare detta per tali atti.

Ciò al fine anche di individuare all’interno del dibattito elementi in grado suffragare la tesi di una possibile autonomia negoziale degli ordini di borsa rispetto al contratto quadro.

2. Il contratto di intermediazione mobiliare. Brevi cenni sulla natura giuridica e sul rapporto con gli ordini di esecuzione

Il contratto di intermediazione mobiliare è quell’“accordo normativo o programmatico la cui causa consiste nel regolare in via preventiva una indefinita serie di negozi - a cui tuttavia potrebbe anche non seguire operazioni di investimento - e con cui l’intermediario pone la sua organizzazione di impresa a disposizione del cliente”[1].

Tale accordo costituisce quindi la cornice che “inquadra e regolamenta tutte le successive condotte delle parti”[2] e che configura l’“intesa con la quale intermediario e cliente predispongono un dettagliato regolamento contrattuale che costituisce la cornice all’interno della quale si iscriverà la conclusione di futuri (e soltanto eventuali) atti giuridici.”[3].

Circa la natura giuridica di tale contratto è sorto un dibattito sia nella dottrina che nella giurisprudenza che ad oggi non ha ancora trovato univoche ricostruzione.

L’orientamento maggioritario inquadra la natura giuridica del contratto quadro come vicina alla figura del mandato.

La tesi ha trovato, peraltro, autorevole riscontro nella decisione della Suprema resa a Sezioni Unite n. 26724 del 2007, che, chiamata ad analizzare le conseguenze della violazione di obblighi comportamentali imposti agli intermediari dalla previgente normativa, ha definito il contratto quadro quel contratto che per alcuni aspetti può essere accostato alla figura del mandato.

Prosegue la Suprema Corte affermando che le successive operazioni che l’intermediario compie per conto del cliente, benchè possano a loro volta consistere in atti di natura negoziale, costituiscono pur sempre il momento attuativo del precedente contratto di intermediazione.

La ricostruzione accennata vede quindi il contratto quadro di intermediazione finanziaria come il momento fondamentale delle operazioni che precedono l’investimento; mentre i successivi ordini che ne danno attuazione sarebbero unicamente un mero momento esecutivo del contratto precedente.

Si deve dare atto, però, che i giudici di legittimità riconoscono natura negoziale alla operazione di investimento effettuata con il successivo ordine di negoziazione, aprendo così un vulnus nella argomentazione svolta.

Parte della giurisprudenza di merito ha ribadito la tesi che vede nel contratto di intermediazione elementi di vicinanza con il mandato[4], ritenendo di conseguenza gli ordini privi di autonoma causa negoziale.

Non sono mancate, però, voci in essa che hanno operato differenti ricostruzioni del problema.

In particolare è stato evidenziato che seppure “il mandato tollera un certo grado di indeterminatezza nel suo contenuto, nel senso che il regolamento iniziale può essere integrato a volta a volta che le esigenze lo richiedono a mezzo di istruzioni impartite dal mandante, tuttavia il contratto quadro presenta un livello assoluto di indeterminatezza poiché il suo contenuto sarà determinato integralmente di volta in volta da manifestazioni autonome di volontà del cliente”[5].

La decisione richiamata evidenzia un elemento di fondamentale importanza, che a parere di chi scrive appare capace di superare l’orientamento maggioritario sin qui esposto.

Se il contratto quadro è la cornice entro cui operano investitore e intermediario, solo l’ordine di esecuzione è la concreta manifestazione della volontà dell’investitore, capace di superare l’assenza di qualsiasi programma all’interno del contratto di intermediazione.

Autorevole dottrina ha condiviso la lettura giurisprudenziale suddetta, confermando che la figura del mandato necessiti di una seppur minima predisposizione di un programma negoziale, che però è del tutto assente nel contratto quadro, il quale si incentra unicamente sulla predisposizione di intese che regoleranno i futuri e solo potenziali rapporti tra le parti.

Il contratto quadro ha quindi un contenuto “vuoto” ed è qui la fondamentale differenza con il mandato, il quale invece tollera un alto grado di indeterminatezza ma non l’assoluta indeterminatezza che caratterizza il negozio in questione[6].

Ben può esistere, infatti, il caso di contratti quadro a cui non faccia seguito alcun ordine.

Sotto diverso profilo il dibattito si è arricchito del contributo di altra autorevole dottrina, la quale ha ritenuto che una ricostruzione che accosti il contratto quadro alla figura del mandato fosse da considerarsi, oggi, di fatto superata.

L’entrata in vigore del testo unico della Finanza ( di seguito T.U.F.) ha posto in essere unitamente al Regolamento di attuazione una disciplina dei contratti di investimento con una natura diversa da quella del mandato, poiché mentre l’art. 13 della Legge 1/91 richiedeva la diligenza del mandatario l’articolo 23 T.U.F. impone all’intermediario una specifica diligenza richiesta[7].

Non vi è più, quindi, quale parametro di riferimento la diligenza fondata sulla figura del mandato, bensì una diligenza che si informa su una diligenza che è propria dell’intermediario e specificamente per esso individuata e definita.

Peraltro non può essere taciuto come il sillogismo logico della decisone a Sezione Unite n. 26724/07 della Suprema Corte muova dall’analisi della previgente normativa (L.1/91 c,d Legge SIM), di fatto confermando la tesi che precede.

Premesso, quindi, che non vi è univocità nel considerare il contratto quadro simile al mandato e di conseguenza gli ordini meri negozi di esecuzione, deve essere evidenziato che alcune decisione di merito, sono giunte, infine, a riconoscere autonomo valore al momento negoziale degli ordini di borsa.

Il Tribunale di Torino[8] afferma nel merito che “ l’art. 23 T.U.F., che prescrive, ad substantiam, il rispetto della forma scritta in relazione ai «contratti relativi alla prestazione dei servizi di investimento e accessori», comminando expressis verbis la sanzione della nullità per il mancato rispetto di tale requisito formale, non solo al contratto quadro, bensì anche ai singoli ordini, che sostanziano il contenuto del predetto rapporto”.

Anche il Tribunale di Ravenna, [9] affrontando la questione più recentemente ha affermato che “ i singoli ordini di negoziazione danno luogo alla formazione di contratti e che questi contratti hanno per oggetto la prestazione di servizi di investimento.”

Le due decisioni menzionate muovono dalla considerazione dell’ordine di negoziazione quale espressione di autonoma volizione contrattuale a cui piò essere esteso l’obbligo di forma scritta ad substantiam, previsto dall’art. 23 T.U.F..

Il presupposto logico convince laddove coordinato con una diversa ricostruzione della natura del contratto di intermediazione mobiliare che lo colloca in seno ai contratti normativi, cioè quei contratti che hanno quale contenuto la predisposizione di regole e precetti idonee a porre in essere e normare una futura attività ancora da compiere.

Proprio tale presupposto libera l’ordine dalla visione di mera esecuzione totalmente dipendente dal contratto quadro, per renderlo autonomo negozio giuridico, creato in seno al regolamento normativo dettato nel contratto-cornice che lo precede.

Muovendo da tale impostazione emerge con chiarezza la natura normativa del contratto quadro, che può quindi essere interpretato come un “contratto normativo a effetti obbligatori.

Induce a tale conclusione proprio il fine a cui vogliono giungere le parti e cioè disciplinare i loro rapporti[10].

L’obiettivo che le parti si prefiggono, quindi, con la conclusione del contratto di intermediazione si articola in un duplice momento negoziale: “ un primo con la stipulazione di un contratto quadro che regolamenta e indica tutti i servizi di investimento che potranno essere prestati, ed un secondo con la stipulazione dei singoli contratti relativi agli ordini di acquisto impartiti”[11].

La tesi trova conferma applicativa poiché “ in seno al nostro ordinamento sono diffusi numerosi schemi contrattuali concretanti una dualità tra un contratto dispositivo e un successivo contratto attuativo. Basti pensare alla dialettica tra contratto preliminare e contratto definitivo”[12].

Tale ricostruzione, permette quindi di vedere i due momenti contrattuali, cioè contratto quadro e ordine, come collegati funzionalmente ma dotati ciascuno di propria causa negoziale.

Ciò implica la possibilità per l’ordine di borsa di essere dichiarato nullo o comunque essere risolto, con ogni pregiudicato giuridico da ciò discendente[13].

La argomentata teoria, condivisa anche da chi scrive, trova conferma in due più recenti decisioni di merito che chiaramente forniscono gli elementi necessari a completarla.

Il Tribunale di Cuneo[14] nell’analizzare la questione giuridica sottoposta al suo giudizio premette come “ i singoli ordini di acquisto costituiscono atti di esecuzione di un unico mandato non contratti autonomi, il che esclude che le violazioni degli obblighi previsti dalla disciplina di settore costituiscano causa di invalidità degli ordini”.

A ciò aggiunge però come “ di diverso avviso è questo giudice, in quanto la finalità esecutiva dei singoli atti posti in essere nell’ambito del rapporto di intermediazione finanziaria non escludono la natura negoziale con conseguenza di agire per la dichiarazione di risoluzione per inadempimento dell’ordine”.

La visione del singolo ordine quale autonomo contratto e non quale mera esecuzione del contratto quadro, permette l’applicazione allo stesso i rimedi negoziali che sono conseguenza della violazione di obblighi imposti dalla normativa specifica di settore.

Non sono mancate infatti pronunce che pur premettendo la ricostruzione del contratto quadro quale similare al mandato, hanno poi chiaramente affermato la natura negoziale dell’ordine riconoscendo per esso il rimedio della risoluzione[15].

A conclusione di questo breve percorso giurisprudenziale che, seppur minoritario, conferma la ricostruzione della autonomia negoziale degli ordini di borsa, appare opportuno richiamare la decisione del Tribunale di Milano [16] che, analizzando l’argomento in oggetto, aggiunge una ulteriore argomentazione, precisando che ” l’ordine di acquisto ove eseguito dà luogo ad una fattispecie a contenuto negoziale bilaterale, atteso che con l’esecuzione la banca dà prova di aver accettato la proposta di acquisto contenuta nell’ordine stesso.”

Di non poco rilievo, all’interno della presente disamina, è l’elemento che la Corte milanese evidenzia.

Infatti affermando che attraverso l’esecuzione dell’ordine stesso si pone in essere una fattispecie negoziale, implicitamente conferma la autonoma natura negoziale e non esecutiva dell’ordine, negozio giuridico dotato di propria causa negoziale.

Di fatto è in tale momento negoziale che l’acquirente-investitore attua la propria volontà di porre in essere operazioni di investimento, operando la scelta del titolo oggetto di negoziazione, la quantità nonché il prezzo.

E’ questo l’atto con cui concretamente si manifesta la volontà di procedere alla predisposizione e conclusione di investimenti.

Tale decisivo elemento appare idoneo a suffragare la natura negoziale dell’ordine di borsa, il quale appare possedere tutti gli elementi negoziali che gli sono propri e comunque necessari, quali la manifestazione di volontà, la causa negoziale, l’identificazione del bene oggetto del contratto nella sua qualità, quantità e prezzo.

E’ attraverso ricostruzione della natura giuridica del contratto quadro quale contratto normativo, diretto a regolamentare i futuri servizi di investimento che si rende possibile quindi un inquadramento delle operazioni di investimento quali atti negoziali autonomi e non quali mere esecuzioni del contratto di intermediazione[17].

3. Gli ordini. Forma e loro esistenza in assenza e oltre il contratto quadro

Le premesse che precedono sono state utili ad individuare il rapporto che lega contratto quadro ed ordine.

Appare proficuo ora delineare la figura dell’ ordine di borsa nonché le caratteristiche che gli sono proprie.

Un primo argomento, discusso sia in dottrina che in giurisprudenza è quello della forma che deve rivestire l’ordine.

L’articolo 23 del T.U.F. precisa gli obblighi di forma del contratto quadro nei termini che seguono

“1. I contratti relativi alla prestazione dei servizi di investimento, escluso il servizio di cui all’articolo 1, comma 5, lettera f), e, se previsto, i contratti relativi alla prestazione dei servizi accessori sono redatti per iscritto e un esemplare è consegnato ai clienti. La Consob, sentita la Banca d’Italia, può prevedere con regolamento che, per motivate ragioni o in relazione alla natura professionale dei contraenti, particolari tipi di contratto possano o debbano essere stipulati in altra forma. Nei casi di inosservanza della forma prescritta, il contratto è nullo.

2. E’ nulla ogni pattuizione di rinvio agli usi per la determinazione del corrispettivo dovuto dal cliente e di ogni altro onere a suo carico. In tali casi nulla è dovuto.

3. Nei casi previsti dai commi 1 e 2 la nullità può essere fatta valere solo dal cliente.

4. Le disposizioni del titolo VI, capo I, del T.U. bancario non si applicano ai servizi e attività di investimento, al collocamento di prodotti finanziari nonché alle operazioni e ai servizi che siano componenti di prodotti finanziari assoggettati alla disciplina dell’articolo 25-bis ovvero della parte IV, titolo II, capo I. In ogni caso, alle operazioni di credito al consumo si applicano le pertinenti disposizioni del titolo VI del T.U. bancario.

5. Nell’ambito della prestazione dei servizi e attività di investimento, agli strumenti finanziari derivati nonché a quelli analoghi individuati ai sensi dell’articolo 18, comma 5, lettera a), non si applica l’articolo 1933 del codice civile.

6. Nei giudizi di risarcimento dei danni cagionati al cliente nello svolgimento dei servizi di investimento e di quelli accessori, spetta ai soggetti abilitati l’onere della prova di aver agito con la specifica diligenza richiesta.

La norma non precisa, però, se tali obblighi di forma siano applicabili al solo contratto quadro o sia invece ritenuta possibile una lettura estensiva della norma con riguardo anche agli ordini di borsa che danno esecuzione a quest’ultimo.

Ad integrazione del dettato normativo si pone la normativa regolamentare Consob e più precisamente dall’art. 37 del regolamento intermediari n. 16190/2007 (che ha sostituito l’art. 30 del regolamento n. 11522/1998), la cui formulazione non contribuisce a risolvere il dubbio.

La norma regolamentare, però, chiarisce come il contratto quadro debba contenere l’ indicazione delle modalità con cui l’investitore comunicherà i propri ordini e comunicazioni all’intermediario (art. 37).

La forma dell’ordine, quindi, sembra rimessa alla autonomia negoziale delle parti, le quali daranno atto della modalità concordata proprio nel contratto di intermediazione finanziaria.

Deve altresì essere precisato che la giurisprudenza di merito è oggi pressoché univoca nel ritenere l’onere di forma scritta obbligatorio per il solo contratto di intermediazione mobiliare.

A tale conclusione si giunge analizzando la ratio dellart. 23 T.U.F., la quale risiede nella volontà di proteggere il contraente debole.

La forma scritta, infatti, è ritenuta elemento idoneo a superare la asimmetria informativa che caratterizza il rapporto intermediario - cliente , in quanto non solo impone maggiore attenzione al cliente sul negozio che si va formando ma permette maggiore protezione dello stesso anche in un’ottica di chiarezza delle clausole in base alle quali si svolgeranno le future attività di investimento.

Tale protezione del contraente debole, quindi, si realizza proprio nel contratto che disegna la cornice dei rapporti intermediario – investitore ed è solo per tale atto che l’ordinamento prescrive la forma scritta ad substantiam.

Al fine di superare i dubbi circa l’obbligo di forma anche per gli ordini di esecuzione è forse opportuno analizzare la normativa previgente.

La norma che per prima ha dettato la disciplina del contratto quadro è l’art. 6 della legge 1/91 (legge SIM), imponeva oneri di correttezza e diligenza e professionalità nella prestazione di servizi finanziari, i quali sono precisati all’art. 1 della norma, prescrivendo inoltre la stipulazione di un contratto scritto in cui siano indicati tra l’altro natura dei servizi forniti e modalità.

La normativa è stata successivamente modificata dal D.Lgs. n. 415 del 1996 che all’art.18 precisava che “ i contratti relativi ai servizi previsti dal presente decreto sono redatti in forma scritta e un esemplare e consegnato ai clienti”.

Da tali premesse è possibile concludere che neanche nella previgente normativa è possibile rinvenire elementi atti ad escludere che tale obbligo di forma scritta non riguardi anche gli ordini che danno esecuzione al contratto quadro.

Ciò premesso ai fini che interessano la presente disamina possiamo tentare di ricostruire in altri termini del problema.

Gli orientamenti che si affrontano in Giurisprudenza,come detto, sul punto vedono quale maggioritaria la tesi che ritiene gli obblighi di forma scritta obbligatori per il solo contratto quadro.

Tale orientamento è rafforzato peraltro da un intervento della Consob che con la comunicazione DI/30369 del 2000 ha chiarito che il requisito formale è unicamente previsto per il contratto di intermediazione e non per il singolo ordine.

L’orientamento minoritario afferma invece che non possa essere autorizzata una lettura restrittiva della norma poiché “mentre la legge n. 1/91 richiedeva la forma scritta ma faceva più espresso riferimento al contratto quadro, il D.lgs. n. 415/1996 prima e ora l’art. 23 T.U.F. facendo riferimento ai contratti relativi ai servizi di investimento utilizzano l’espressione che seppur non univoca, testimonia l’intenzione del legislatore di fornire maggiore tutela anche per quanto riguarda i singoli ordini di borsa”[18].

Di interesse sull’argomento appare una recente decisione del Tribunale di Ravenna, il quale ritiene che l’art. 23 comma 1 T.U.F. “ non autorizza una lettura restrittiva della norma, […] dato che anche i singoli ordini di negoziazione danno luogo alla formazione di contratti e che questi contratti (al pari del contratto quadro) hanno per oggetto la prestazione di servizi di investimento”[19].

La decisione di merito citata argomenta la tesi giuridica dell’obbligo di forma scritta per l’ordine di borsa muovendo dal principio che i singoli ordini sono operazioni che danno vita ad autonomi contratti e che anch’essi hanno per oggetto la prestazione di servizi di investimento.

La prefata argomentazione appare rafforzare non solo la tesi secondo cui l’ordine di esecuzione è al pari del contratto quadro un negozio giuridico che ha per oggetto la prestazione di servizi di investimento, ma anche l’opinione secondo cui è possibile porre in essere ordini prescindendo dalla predisposizione del contratto quadro.

Muovendo dalla consapevolezza che la tesi esposta non trova conforto nella prevalente dottrina e giurisprudenza, è interesse del presente scritto ricercare argomentazioni giuridiche capaci di dare concretezza alla ipotesi che ritiene possibile l’esistenza di ordini anche in assenza di contratto quadro.

Una recente decisione di merito ha posto in essere un importante contributo alla questione.

Chiamato a rispondere sulla possibilità di ritenere assolto l’obbligo di forma scritta previsto dall’art. 23 T.U.F. qualora le parti non abbiano sottoscritto un precedente contratto quadro, il Tribunale di Novara [20] ha ritenuto assolto tale obbligo nella predisposizione di vari contratti di analogo contenuto in occasione di ogni operazione.

Il sillogismo della decisione non solo conferma che il contratto - ordine è un negozio giuridico autonomo rispetto al contratto quadro pur essendo collegato funzionalmente ad esso quale momento attuativo di quest’ultimo, ma altresì dimostra come possa essere parificato ad esso laddove contenga in se quel contenuto minimo che l’art. 23 T.U.F. e l’art 37 del regolamento Consob 16190/2007 prevede quale contenuto minimo del contratto quadro atto a porre in essere la tutela del contraente debole.

Tale orientamento si è rafforzato di una ulteriore decisione di merito, la quale ha precisato che “ sono validi in assenza di contratto quadro gli ordini di acquisto ove siano impartiti per iscritto e siano muniti di tutte le indicazioni relative al titolo da acquistare al prezzo e lla quantità nonché alle modalità di pagamento”[21].

La forma scritta sembra quindi rafforzare il contenuto dell’ordine stesso.

Tale sottolineatura permette di superare anche eventuali obiezioni circa la assenza di tutela dell’investitore ove non si ponga in essere un contratto quadro scritto.

Infatti laddove l’ordine abbia forma scritta e contenga ogni elemento del contratto quadro, non potrà ritenersi violato implicitamente il disposto normativo posto a garanzia del contraente debole.

Ove poi sorgessero dubbi circa l’esistenza all’interno di un simile ordine di quel contenuto minimo che il contratto quadro deve avere, la risposta è stata data sempre dalla giurisprudenza di merito la quale ha chiarito come “ per il contratto è previsto non solo un requisito di forma scritta a pena di nullità ma anche un contenuto minimo costituito dalla indicazione della natura dei servizi forniti, dalle modalità di svolgimento del servizio, dall’entità e dai criteri di calcolo della remunerazione dell’intermediario”[22].

Sembra quindi possibile individuare quegli elementi capaci di sostenere non solo l’autonomia negoziale dell’ordine, ma anche la sua possibile validità in assenza di contratto quadro.

Provando quindi a ricostruire il percorso logico sin qui delineato, vediamo che il punto da cui muovere è la chiara affermazione della autonomia negoziale dell’ordine di negoziazione.

Una volta configurato lo stesso come autonomo negozio giuridico avente propria causa negoziale, è possibile procedere a ricercare quali siano quegli ulteriori elementi in grado di renderlo autonomo anche dal contratto quadro.

Il contributo giurisprudenziale analizzato ha permesso di individuarne almeno due.

In primo luogo la forma scritta dell’ordine, capace di concretizzare quella ottica di protezione del contraente debole che sottostà alla previsione dell’art. 23 T.U.F.; ed in secondo luogo l’inserimento in esso di quel contenuto minimo che la norma regolamentare vede come obbligatorio per il contratto quadro.

La ipotesi così articolata, pur se non esente da critiche, pone elementi di riflessioni circa la possibilità effettiva di ritenere l’ordine di borsa un autonomo negozio giuridico, capace persino di svolgere al suo interno la funzione prevista dal contratto di intermediazione mobiliare.

4. Conclusioni

E’ indubbio che dottrina e giurisprudenza siano unanimi nel ritenere obbligatoria la predisposizione del contratto di intermediazione prima di procedere alla negoziazione di ordini e che unicamente a questo e non anche agli ordini siano posti gli obblighi di forma di cui all’art. 23 del TUF.

Ma se ciò è vero, altrettanto vero è che proprio l’ordine acquisto è il documento che concretamente contiene la esatta volontà dell’investitore in termini di individuazione del titolo da acquistare / vendere, il prezzo e la quantità.

E’ parere di chi scrive che possa quindi avere pregio giuridico anche una ricostruzione che muovendo da una lettura ampia degli obblighi di forma scritta dettati dall’art. 23 del TUF, renda plausibile considerare l’ordine non più un mero momento esecutivo del contratto quadro di intermediazione, bensì un autonomo contratto ad esso funzionalmente collegato, contenente autonoma manifestazione volitiva e quindi propria causa negoziale nei termini sin qui evidenziati.

Ciò permetterebbe di poter porre in essere validi ordini anche in assenza di contratto quadro validamente stipulato, senza che difetti la tutela del contraente debole affidata proprio agli oneri di forma.

Sarebbe ulteriormente possibile, attraverso l’affermazione della autonomia negoziale del contratto-ordine, applicare anche ad esso i rimedi previsti dalla violazione di norme a presidio dell’investitore, quali ad esempio gli obblighi informativi.

Ciò permetterebbe l’apertura di una nuova fase all’interno del contenzioso riguardante il c.d. risparmio tradito, espressione con la quale si individuano proprio casi in cui non vi è stata adeguata informazione della clientela, anche per ciò che attiene possibili conflitti di interesse tra intermediario e cliente.

Sarebbe così possibile valutare i singoli ordini di acquisto e le vicende che sottostanno proprio a quella singola formazione di volontà di acquistare il titolo, potendo così applicare rimedi propri anche a questi singoli contratti.

Il dibattito comunque non appare definitivamente composto neanche in dottrina, nella quale sono presenti oggi ancora voci discordanti.

[1] Tribunale di Milano sentenza del 21.02.12, in www.ilcaso.it, Sez. I, Doc. 7076/2012;

[2] Tribunale di Ferrara sentenza del 28.01.2010, in www.ilcaso.it, Sez. I, Doc. 2051/2010;

[3] F. Durante, Intermediari finanziari e tutela dei risparmiatori, Giuffrè, Milano, 2009, pag. 42;

[4] Tra le altre Tribunale di Rovereto, sentenza del 18,01,2006, in www.ilcaso.it , Sez.I, Doc. 273/2006;

[5] Tribunale di Venezia, sentenza del 30.05.2007 in www.ilcaso.it, Sez.I, Doc. 606/07;

[6] G.Bersani, La responsabilità egli intermediari finanziari, UTET Giuridica, pag. 153 e ss.;

[7] R. Razzante, Il contenzioso finanziario nell’era Mifid, 2010, Giappichelli ed., pag.168;

[8] Tribunale di Torino sentenza del 25.05.2005 in www.ilcaso.it, Sez. I, Doc. 252/2005;

[9] Tribunale di Ravennasentenza del 12.10.2009, in www.ilcaso.it, Sez. I, Doc.1885/2009;

[10] Tribunale di Piacenza sentenza del 28.07.2009, in www.ilcaso.it, Sez. I, Doc. 1906/2009;

[11] Tribunale di Novara sentenza del 23.06.2011 n. 519, in www.ilcaso.it, Sez. I, Doc. 6171/2011;

[12] Tribunale di novara Cit. ;

[13] Sul punto F. Busoni, Profili sui rimedi all’inadempimento di un contratto di intermediazione mobiliare, in Obbligazioni e contratti, F.10,2007,820;

[14] Tribunale di Cuneo sentenza n. 358 del 31.05.2012, in www.ilcaso.it, Sez. I, Doc. 7460/2012;

[15] Tribunale di Ferrara sentenza del 26.05.2009, in www.ilcaso.it, Sez. I, Doc. 1789/2009;

[16] Tribunale di Milano sentenza n. 4944 del 09.04.2009, in www.ilcaso.it, Sez. I, Doc.1700/2009;

[17] Sul punto si veda Tribunale di Trento sentenza n. 218 del 01.02.2007 in www.ilcaso.it, Sez. I, Doc. 538/2007;

[18] E. Guerinoni, Contratti di investimento e responsabilità degli intermediari finanziari, Ipsoa ed., pag. 32 e ss.;

[19] Tribunale di Ravenna sentenza del 18,10.2009, in www.ilcaso.it, Sez. I, Doc. 1885/2009;

[20] Tribunale di Novara sentenza del 18.01.2007, in www.ilcaso.it, Sez. I, Doc. 483/2007;

[21] Tribunale di Monza sentenza del 19.02.2008, in www.ilcaso.it, Sez.I, Doc.1206/2008;

[22] Tribunale di Torino, sentenza del 24.07.2008, in www.ilcaso.it, Sez.I, Doc. 1457/2009.

1 Premessa

2 Il contratto di intermediazione mobiliare. Brevi cenni sulla natura giuridica e sul rapporto con gli ordini di esecuzione

3 Gli ordini di esecuzione. Forma e loro esistenza in assenza e oltre il contratto quadro

4 Conclusioni

1. Premessa

Attraverso la predisposizione di un ordine di negoziazione, l’investitore trasmette all’intermediario la propria volontà di compiere una determinata operazione inerente l’acquisto o la vendita di strumenti finanziari.

Tale momento contrattuale, però, deve essere preceduto dalla predisposizione di un contratto di intermediazione mobiliare, atto con il quale le parti concordano la disciplina della futura attività negoziale.

La presente analisi si prefigge, senza alcuno scopo di completezza, di approfondire il rapporto intercorrente tra questi due contratti al fine di accertare se sia possibile giungere alla definizione di un ordine di borsa quale autonomo momento negoziale rispetto al contratto quadro di intermediazione mobiliare, avente propria causa negoziale.

Sarà necessario premettere il dibattito sulla natura giuridica delle figure contrattuali in oggetto e da lì giungere alla analisi compiuta dalla recente giurisprudenza di merito.

Non si potrà tralasciare, peraltro, una breve ricognizione della normativa inerente gli obblighi di forma che la disciplina primaria e regolamentare detta per tali atti.

Ciò al fine anche di individuare all’interno del dibattito elementi in grado suffragare la tesi di una possibile autonomia negoziale degli ordini di borsa rispetto al contratto quadro.

2. Il contratto di intermediazione mobiliare. Brevi cenni sulla natura giuridica e sul rapporto con gli ordini di esecuzione

Il contratto di intermediazione mobiliare è quell’“accordo normativo o programmatico la cui causa consiste nel regolare in via preventiva una indefinita serie di negozi - a cui tuttavia potrebbe anche non seguire operazioni di investimento - e con cui l’intermediario pone la sua organizzazione di impresa a disposizione del cliente”[1].

Tale accordo costituisce quindi la cornice che “inquadra e regolamenta tutte le successive condotte delle parti”[2] e che configura l’“intesa con la quale intermediario e cliente predispongono un dettagliato regolamento contrattuale che costituisce la cornice all’interno della quale si iscriverà la conclusione di futuri (e soltanto eventuali) atti giuridici.”[3].

Circa la natura giuridica di tale contratto è sorto un dibattito sia nella dottrina che nella giurisprudenza che ad oggi non ha ancora trovato univoche ricostruzione.

L’orientamento maggioritario inquadra la natura giuridica del contratto quadro come vicina alla figura del mandato.

La tesi ha trovato, peraltro, autorevole riscontro nella decisione della Suprema resa a Sezioni Unite n. 26724 del 2007, che, chiamata ad analizzare le conseguenze della violazione di obblighi comportamentali imposti agli intermediari dalla previgente normativa, ha definito il contratto quadro quel contratto che per alcuni aspetti può essere accostato alla figura del mandato.

Prosegue la Suprema Corte affermando che le successive operazioni che l’intermediario compie per conto del cliente, benchè possano a loro volta consistere in atti di natura negoziale, costituiscono pur sempre il momento attuativo del precedente contratto di intermediazione.

La ricostruzione accennata vede quindi il contratto quadro di intermediazione finanziaria come il momento fondamentale delle operazioni che precedono l’investimento; mentre i successivi ordini che ne danno attuazione sarebbero unicamente un mero momento esecutivo del contratto precedente.

Si deve dare atto, però, che i giudici di legittimità riconoscono natura negoziale alla operazione di investimento effettuata con il successivo ordine di negoziazione, aprendo così un vulnus nella argomentazione svolta.

Parte della giurisprudenza di merito ha ribadito la tesi che vede nel contratto di intermediazione elementi di vicinanza con il mandato[4], ritenendo di conseguenza gli ordini privi di autonoma causa negoziale.

Non sono mancate, però, voci in essa che hanno operato differenti ricostruzioni del problema.

In particolare è stato evidenziato che seppure “il mandato tollera un certo grado di indeterminatezza nel suo contenuto, nel senso che il regolamento iniziale può essere integrato a volta a volta che le esigenze lo richiedono a mezzo di istruzioni impartite dal mandante, tuttavia il contratto quadro presenta un livello assoluto di indeterminatezza poiché il suo contenuto sarà determinato integralmente di volta in volta da manifestazioni autonome di volontà del cliente”[5].

La decisione richiamata evidenzia un elemento di fondamentale importanza, che a parere di chi scrive appare capace di superare l’orientamento maggioritario sin qui esposto.

Se il contratto quadro è la cornice entro cui operano investitore e intermediario, solo l’ordine di esecuzione è la concreta manifestazione della volontà dell’investitore, capace di superare l’assenza di qualsiasi programma all’interno del contratto di intermediazione.

Autorevole dottrina ha condiviso la lettura giurisprudenziale suddetta, confermando che la figura del mandato necessiti di una seppur minima predisposizione di un programma negoziale, che però è del tutto assente nel contratto quadro, il quale si incentra unicamente sulla predisposizione di intese che regoleranno i futuri e solo potenziali rapporti tra le parti.

Il contratto quadro ha quindi un contenuto “vuoto” ed è qui la fondamentale differenza con il mandato, il quale invece tollera un alto grado di indeterminatezza ma non l’assoluta indeterminatezza che caratterizza il negozio in questione[6].

Ben può esistere, infatti, il caso di contratti quadro a cui non faccia seguito alcun ordine.

Sotto diverso profilo il dibattito si è arricchito del contributo di altra autorevole dottrina, la quale ha ritenuto che una ricostruzione che accosti il contratto quadro alla figura del mandato fosse da considerarsi, oggi, di fatto superata.

L’entrata in vigore del testo unico della Finanza ( di seguito T.U.F.) ha posto in essere unitamente al Regolamento di attuazione una disciplina dei contratti di investimento con una natura diversa da quella del mandato, poiché mentre l’art. 13 della Legge 1/91 richiedeva la diligenza del mandatario l’articolo 23 T.U.F. impone all’intermediario una specifica diligenza richiesta[7].

Non vi è più, quindi, quale parametro di riferimento la diligenza fondata sulla figura del mandato, bensì una diligenza che si informa su una diligenza che è propria dell’intermediario e specificamente per esso individuata e definita.

Peraltro non può essere taciuto come il sillogismo logico della decisone a Sezione Unite n. 26724/07 della Suprema Corte muova dall’analisi della previgente normativa (L.1/91 c,d Legge SIM), di fatto confermando la tesi che precede.

Premesso, quindi, che non vi è univocità nel considerare il contratto quadro simile al mandato e di conseguenza gli ordini meri negozi di esecuzione, deve essere evidenziato che alcune decisione di merito, sono giunte, infine, a riconoscere autonomo valore al momento negoziale degli ordini di borsa.

Il Tribunale di Torino[8] afferma nel merito che “ l’art. 23 T.U.F., che prescrive, ad substantiam, il rispetto della forma scritta in relazione ai «contratti relativi alla prestazione dei servizi di investimento e accessori», comminando expressis verbis la sanzione della nullità per il mancato rispetto di tale requisito formale, non solo al contratto quadro, bensì anche ai singoli ordini, che sostanziano il contenuto del predetto rapporto”.

Anche il Tribunale di Ravenna, [9] affrontando la questione più recentemente ha affermato che “ i singoli ordini di negoziazione danno luogo alla formazione di contratti e che questi contratti hanno per oggetto la prestazione di servizi di investimento.”

Le due decisioni menzionate muovono dalla considerazione dell’ordine di negoziazione quale espressione di autonoma volizione contrattuale a cui piò essere esteso l’obbligo di forma scritta ad substantiam, previsto dall’art. 23 T.U.F..

Il presupposto logico convince laddove coordinato con una diversa ricostruzione della natura del contratto di intermediazione mobiliare che lo colloca in seno ai contratti normativi, cioè quei contratti che hanno quale contenuto la predisposizione di regole e precetti idonee a porre in essere e normare una futura attività ancora da compiere.

Proprio tale presupposto libera l’ordine dalla visione di mera esecuzione totalmente dipendente dal contratto quadro, per renderlo autonomo negozio giuridico, creato in seno al regolamento normativo dettato nel contratto-cornice che lo precede.

Muovendo da tale impostazione emerge con chiarezza la natura normativa del contratto quadro, che può quindi essere interpretato come un “contratto normativo a effetti obbligatori.

Induce a tale conclusione proprio il fine a cui vogliono giungere le parti e cioè disciplinare i loro rapporti[10].

L’obiettivo che le parti si prefiggono, quindi, con la conclusione del contratto di intermediazione si articola in un duplice momento negoziale: “ un primo con la stipulazione di un contratto quadro che regolamenta e indica tutti i servizi di investimento che potranno essere prestati, ed un secondo con la stipulazione dei singoli contratti relativi agli ordini di acquisto impartiti”[11].

La tesi trova conferma applicativa poiché “ in seno al nostro ordinamento sono diffusi numerosi schemi contrattuali concretanti una dualità tra un contratto dispositivo e un successivo contratto attuativo. Basti pensare alla dialettica tra contratto preliminare e contratto definitivo”[12].

Tale ricostruzione, permette quindi di vedere i due momenti contrattuali, cioè contratto quadro e ordine, come collegati funzionalmente ma dotati ciascuno di propria causa negoziale.

Ciò implica la possibilità per l’ordine di borsa di essere dichiarato nullo o comunque essere risolto, con ogni pregiudicato giuridico da ciò discendente[13].

La argomentata teoria, condivisa anche da chi scrive, trova conferma in due più recenti decisioni di merito che chiaramente forniscono gli elementi necessari a completarla.

Il Tribunale di Cuneo[14] nell’analizzare la questione giuridica sottoposta al suo giudizio premette come “ i singoli ordini di acquisto costituiscono atti di esecuzione di un unico mandato non contratti autonomi, il che esclude che le violazioni degli obblighi previsti dalla disciplina di settore costituiscano causa di invalidità degli ordini”.

A ciò aggiunge però come “ di diverso avviso è questo giudice, in quanto la finalità esecutiva dei singoli atti posti in essere nell’ambito del rapporto di intermediazione finanziaria non escludono la natura negoziale con conseguenza di agire per la dichiarazione di risoluzione per inadempimento dell’ordine”.

La visione del singolo ordine quale autonomo contratto e non quale mera esecuzione del contratto quadro, permette l’applicazione allo stesso i rimedi negoziali che sono conseguenza della violazione di obblighi imposti dalla normativa specifica di settore.

Non sono mancate infatti pronunce che pur premettendo la ricostruzione del contratto quadro quale similare al mandato, hanno poi chiaramente affermato la natura negoziale dell’ordine riconoscendo per esso il rimedio della risoluzione[15].

A conclusione di questo breve percorso giurisprudenziale che, seppur minoritario, conferma la ricostruzione della autonomia negoziale degli ordini di borsa, appare opportuno richiamare la decisione del Tribunale di Milano [16] che, analizzando l’argomento in oggetto, aggiunge una ulteriore argomentazione, precisando che ” l’ordine di acquisto ove eseguito dà luogo ad una fattispecie a contenuto negoziale bilaterale, atteso che con l’esecuzione la banca dà prova di aver accettato la proposta di acquisto contenuta nell’ordine stesso.”

Di non poco rilievo, all’interno della presente disamina, è l’elemento che la Corte milanese evidenzia.

Infatti affermando che attraverso l’esecuzione dell’ordine stesso si pone in essere una fattispecie negoziale, implicitamente conferma la autonoma natura negoziale e non esecutiva dell’ordine, negozio giuridico dotato di propria causa negoziale.

Di fatto è in tale momento negoziale che l’acquirente-investitore attua la propria volontà di porre in essere operazioni di investimento, operando la scelta del titolo oggetto di negoziazione, la quantità nonché il prezzo.

E’ questo l’atto con cui concretamente si manifesta la volontà di procedere alla predisposizione e conclusione di investimenti.

Tale decisivo elemento appare idoneo a suffragare la natura negoziale dell’ordine di borsa, il quale appare possedere tutti gli elementi negoziali che gli sono propri e comunque necessari, quali la manifestazione di volontà, la causa negoziale, l’identificazione del bene oggetto del contratto nella sua qualità, quantità e prezzo.

E’ attraverso ricostruzione della natura giuridica del contratto quadro quale contratto normativo, diretto a regolamentare i futuri servizi di investimento che si rende possibile quindi un inquadramento delle operazioni di investimento quali atti negoziali autonomi e non quali mere esecuzioni del contratto di intermediazione[17].

3. Gli ordini. Forma e loro esistenza in assenza e oltre il contratto quadro

Le premesse che precedono sono state utili ad individuare il rapporto che lega contratto quadro ed ordine.

Appare proficuo ora delineare la figura dell’ ordine di borsa nonché le caratteristiche che gli sono proprie.

Un primo argomento, discusso sia in dottrina che in giurisprudenza è quello della forma che deve rivestire l’ordine.

L’articolo 23 del T.U.F. precisa gli obblighi di forma del contratto quadro nei termini che seguono

“1. I contratti relativi alla prestazione dei servizi di investimento, escluso il servizio di cui all’articolo 1, comma 5, lettera f), e, se previsto, i contratti relativi alla prestazione dei servizi accessori sono redatti per iscritto e un esemplare è consegnato ai clienti. La Consob, sentita la Banca d’Italia, può prevedere con regolamento che, per motivate ragioni o in relazione alla natura professionale dei contraenti, particolari tipi di contratto possano o debbano essere stipulati in altra forma. Nei casi di inosservanza della forma prescritta, il contratto è nullo.

2. E’ nulla ogni pattuizione di rinvio agli usi per la determinazione del corrispettivo dovuto dal cliente e di ogni altro onere a suo carico. In tali casi nulla è dovuto.

3. Nei casi previsti dai commi 1 e 2 la nullità può essere fatta valere solo dal cliente.

4. Le disposizioni del titolo VI, capo I, del T.U. bancario non si applicano ai servizi e attività di investimento, al collocamento di prodotti finanziari nonché alle operazioni e ai servizi che siano componenti di prodotti finanziari assoggettati alla disciplina dell’articolo 25-bis ovvero della parte IV, titolo II, capo I. In ogni caso, alle operazioni di credito al consumo si applicano le pertinenti disposizioni del titolo VI del T.U. bancario.

5. Nell’ambito della prestazione dei servizi e attività di investimento, agli strumenti finanziari derivati nonché a quelli analoghi individuati ai sensi dell’articolo 18, comma 5, lettera a), non si applica l’articolo 1933 del codice civile.

6. Nei giudizi di risarcimento dei danni cagionati al cliente nello svolgimento dei servizi di investimento e di quelli accessori, spetta ai soggetti abilitati l’onere della prova di aver agito con la specifica diligenza richiesta.

La norma non precisa, però, se tali obblighi di forma siano applicabili al solo contratto quadro o sia invece ritenuta possibile una lettura estensiva della norma con riguardo anche agli ordini di borsa che danno esecuzione a quest’ultimo.

Ad integrazione del dettato normativo si pone la normativa regolamentare Consob e più precisamente dall’art. 37 del regolamento intermediari n. 16190/2007 (che ha sostituito l’art. 30 del regolamento n. 11522/1998), la cui formulazione non contribuisce a risolvere il dubbio.

La norma regolamentare, però, chiarisce come il contratto quadro debba contenere l’ indicazione delle modalità con cui l’investitore comunicherà i propri ordini e comunicazioni all’intermediario (art. 37).

La forma dell’ordine, quindi, sembra rimessa alla autonomia negoziale delle parti, le quali daranno atto della modalità concordata proprio nel contratto di intermediazione finanziaria.

Deve altresì essere precisato che la giurisprudenza di merito è oggi pressoché univoca nel ritenere l’onere di forma scritta obbligatorio per il solo contratto di intermediazione mobiliare.

A tale conclusione si giunge analizzando la ratio dellart. 23 T.U.F., la quale risiede nella volontà di proteggere il contraente debole.

La forma scritta, infatti, è ritenuta elemento idoneo a superare la asimmetria informativa che caratterizza il rapporto intermediario - cliente , in quanto non solo impone maggiore attenzione al cliente sul negozio che si va formando ma permette maggiore protezione dello stesso anche in un’ottica di chiarezza delle clausole in base alle quali si svolgeranno le future attività di investimento.

Tale protezione del contraente debole, quindi, si realizza proprio nel contratto che disegna la cornice dei rapporti intermediario – investitore ed è solo per tale atto che l’ordinamento prescrive la forma scritta ad substantiam.

Al fine di superare i dubbi circa l’obbligo di forma anche per gli ordini di esecuzione è forse opportuno analizzare la normativa previgente.

La norma che per prima ha dettato la disciplina del contratto quadro è l’art. 6 della legge 1/91 (legge SIM), imponeva oneri di correttezza e diligenza e professionalità nella prestazione di servizi finanziari, i quali sono precisati all’art. 1 della norma, prescrivendo inoltre la stipulazione di un contratto scritto in cui siano indicati tra l’altro natura dei servizi forniti e modalità.

La normativa è stata successivamente modificata dal D.Lgs. n. 415 del 1996 che all’art.18 precisava che “ i contratti relativi ai servizi previsti dal presente decreto sono redatti in forma scritta e un esemplare e consegnato ai clienti”.

Da tali premesse è possibile concludere che neanche nella previgente normativa è possibile rinvenire elementi atti ad escludere che tale obbligo di forma scritta non riguardi anche gli ordini che danno esecuzione al contratto quadro.

Ciò premesso ai fini che interessano la presente disamina possiamo tentare di ricostruire in altri termini del problema.

Gli orientamenti che si affrontano in Giurisprudenza,come detto, sul punto vedono quale maggioritaria la tesi che ritiene gli obblighi di forma scritta obbligatori per il solo contratto quadro.

Tale orientamento è rafforzato peraltro da un intervento della Consob che con la comunicazione DI/30369 del 2000 ha chiarito che il requisito formale è unicamente previsto per il contratto di intermediazione e non per il singolo ordine.

L’orientamento minoritario afferma invece che non possa essere autorizzata una lettura restrittiva della norma poiché “mentre la legge n. 1/91 richiedeva la forma scritta ma faceva più espresso riferimento al contratto quadro, il D.lgs. n. 415/1996 prima e ora l’art. 23 T.U.F. facendo riferimento ai contratti relativi ai servizi di investimento utilizzano l’espressione che seppur non univoca, testimonia l’intenzione del legislatore di fornire maggiore tutela anche per quanto riguarda i singoli ordini di borsa”[18].

Di interesse sull’argomento appare una recente decisione del Tribunale di Ravenna, il quale ritiene che l’art. 23 comma 1 T.U.F. “ non autorizza una lettura restrittiva della norma, […] dato che anche i singoli ordini di negoziazione danno luogo alla formazione di contratti e che questi contratti (al pari del contratto quadro) hanno per oggetto la prestazione di servizi di investimento”[19].

La decisione di merito citata argomenta la tesi giuridica dell’obbligo di forma scritta per l’ordine di borsa muovendo dal principio che i singoli ordini sono operazioni che danno vita ad autonomi contratti e che anch’essi hanno per oggetto la prestazione di servizi di investimento.

La prefata argomentazione appare rafforzare non solo la tesi secondo cui l’ordine di esecuzione è al pari del contratto quadro un negozio giuridico che ha per oggetto la prestazione di servizi di investimento, ma anche l’opinione secondo cui è possibile porre in essere ordini prescindendo dalla predisposizione del contratto quadro.

Muovendo dalla consapevolezza che la tesi esposta non trova conforto nella prevalente dottrina e giurisprudenza, è interesse del presente scritto ricercare argomentazioni giuridiche capaci di dare concretezza alla ipotesi che ritiene possibile l’esistenza di ordini anche in assenza di contratto quadro.

Una recente decisione di merito ha posto in essere un importante contributo alla questione.

Chiamato a rispondere sulla possibilità di ritenere assolto l’obbligo di forma scritta previsto dall’art. 23 T.U.F. qualora le parti non abbiano sottoscritto un precedente contratto quadro, il Tribunale di Novara [20] ha ritenuto assolto tale obbligo nella predisposizione di vari contratti di analogo contenuto in occasione di ogni operazione.

Il sillogismo della decisione non solo conferma che il contratto - ordine è un negozio giuridico autonomo rispetto al contratto quadro pur essendo collegato funzionalmente ad esso quale momento attuativo di quest’ultimo, ma altresì dimostra come possa essere parificato ad esso laddove contenga in se quel contenuto minimo che l’art. 23 T.U.F. e l’art 37 del regolamento Consob 16190/2007 prevede quale contenuto minimo del contratto quadro atto a porre in essere la tutela del contraente debole.

Tale orientamento si è rafforzato di una ulteriore decisione di merito, la quale ha precisato che “ sono validi in assenza di contratto quadro gli ordini di acquisto ove siano impartiti per iscritto e siano muniti di tutte le indicazioni relative al titolo da acquistare al prezzo e lla quantità nonché alle modalità di pagamento”[21].

La forma scritta sembra quindi rafforzare il contenuto dell’ordine stesso.

Tale sottolineatura permette di superare anche eventuali obiezioni circa la assenza di tutela dell’investitore ove non si ponga in essere un contratto quadro scritto.

Infatti laddove l’ordine abbia forma scritta e contenga ogni elemento del contratto quadro, non potrà ritenersi violato implicitamente il disposto normativo posto a garanzia del contraente debole.

Ove poi sorgessero dubbi circa l’esistenza all’interno di un simile ordine di quel contenuto minimo che il contratto quadro deve avere, la risposta è stata data sempre dalla giurisprudenza di merito la quale ha chiarito come “ per il contratto è previsto non solo un requisito di forma scritta a pena di nullità ma anche un contenuto minimo costituito dalla indicazione della natura dei servizi forniti, dalle modalità di svolgimento del servizio, dall’entità e dai criteri di calcolo della remunerazione dell’intermediario”[22].

Sembra quindi possibile individuare quegli elementi capaci di sostenere non solo l’autonomia negoziale dell’ordine, ma anche la sua possibile validità in assenza di contratto quadro.

Provando quindi a ricostruire il percorso logico sin qui delineato, vediamo che il punto da cui muovere è la chiara affermazione della autonomia negoziale dell’ordine di negoziazione.

Una volta configurato lo stesso come autonomo negozio giuridico avente propria causa negoziale, è possibile procedere a ricercare quali siano quegli ulteriori elementi in grado di renderlo autonomo anche dal contratto quadro.

Il contributo giurisprudenziale analizzato ha permesso di individuarne almeno due.

In primo luogo la forma scritta dell’ordine, capace di concretizzare quella ottica di protezione del contraente debole che sottostà alla previsione dell’art. 23 T.U.F.; ed in secondo luogo l’inserimento in esso di quel contenuto minimo che la norma regolamentare vede come obbligatorio per il contratto quadro.

La ipotesi così articolata, pur se non esente da critiche, pone elementi di riflessioni circa la possibilità effettiva di ritenere l’ordine di borsa un autonomo negozio giuridico, capace persino di svolgere al suo interno la funzione prevista dal contratto di intermediazione mobiliare.

4. Conclusioni

E’ indubbio che dottrina e giurisprudenza siano unanimi nel ritenere obbligatoria la predisposizione del contratto di intermediazione prima di procedere alla negoziazione di ordini e che unicamente a questo e non anche agli ordini siano posti gli obblighi di forma di cui all’art. 23 del TUF.

Ma se ciò è vero, altrettanto vero è che proprio l’ordine acquisto è il documento che concretamente contiene la esatta volontà dell’investitore in termini di individuazione del titolo da acquistare / vendere, il prezzo e la quantità.

E’ parere di chi scrive che possa quindi avere pregio giuridico anche una ricostruzione che muovendo da una lettura ampia degli obblighi di forma scritta dettati dall’art. 23 del TUF, renda plausibile considerare l’ordine non più un mero momento esecutivo del contratto quadro di intermediazione, bensì un autonomo contratto ad esso funzionalmente collegato, contenente autonoma manifestazione volitiva e quindi propria causa negoziale nei termini sin qui evidenziati.

Ciò permetterebbe di poter porre in essere validi ordini anche in assenza di contratto quadro validamente stipulato, senza che difetti la tutela del contraente debole affidata proprio agli oneri di forma.

Sarebbe ulteriormente possibile, attraverso l’affermazione della autonomia negoziale del contratto-ordine, applicare anche ad esso i rimedi previsti dalla violazione di norme a presidio dell’investitore, quali ad esempio gli obblighi informativi.

Ciò permetterebbe l’apertura di una nuova fase all’interno del contenzioso riguardante il c.d. risparmio tradito, espressione con la quale si individuano proprio casi in cui non vi è stata adeguata informazione della clientela, anche per ciò che attiene possibili conflitti di interesse tra intermediario e cliente.

Sarebbe così possibile valutare i singoli ordini di acquisto e le vicende che sottostanno proprio a quella singola formazione di volontà di acquistare il titolo, potendo così applicare rimedi propri anche a questi singoli contratti.

Il dibattito comunque non appare definitivamente composto neanche in dottrina, nella quale sono presenti oggi ancora voci discordanti.

[1] Tribunale di Milano sentenza del 21.02.12, in www.ilcaso.it, Sez. I, Doc. 7076/2012;

[2] Tribunale di Ferrara sentenza del 28.01.2010, in www.ilcaso.it, Sez. I, Doc. 2051/2010;

[3] F. Durante, Intermediari finanziari e tutela dei risparmiatori, Giuffrè, Milano, 2009, pag. 42;

[4] Tra le altre Tribunale di Rovereto, sentenza del 18,01,2006, in www.ilcaso.it , Sez.I, Doc. 273/2006;

[5] Tribunale di Venezia, sentenza del 30.05.2007 in www.ilcaso.it, Sez.I, Doc. 606/07;

[6] G.Bersani, La responsabilità egli intermediari finanziari, UTET Giuridica, pag. 153 e ss.;

[7] R. Razzante, Il contenzioso finanziario nell’era Mifid, 2010, Giappichelli ed., pag.168;

[8] Tribunale di Torino sentenza del 25.05.2005 in www.ilcaso.it, Sez. I, Doc. 252/2005;

[9] Tribunale di Ravennasentenza del 12.10.2009, in www.ilcaso.it, Sez. I, Doc.1885/2009;

[10] Tribunale di Piacenza sentenza del 28.07.2009, in www.ilcaso.it, Sez. I, Doc. 1906/2009;

[11] Tribunale di Novara sentenza del 23.06.2011 n. 519, in www.ilcaso.it, Sez. I, Doc. 6171/2011;

[12] Tribunale di novara Cit. ;

[13] Sul punto F. Busoni, Profili sui rimedi all’inadempimento di un contratto di intermediazione mobiliare, in Obbligazioni e contratti, F.10,2007,820;

[14] Tribunale di Cuneo sentenza n. 358 del 31.05.2012, in www.ilcaso.it, Sez. I, Doc. 7460/2012;

[15] Tribunale di Ferrara sentenza del 26.05.2009, in www.ilcaso.it, Sez. I, Doc. 1789/2009;

[16] Tribunale di Milano sentenza n. 4944 del 09.04.2009, in www.ilcaso.it, Sez. I, Doc.1700/2009;

[17] Sul punto si veda Tribunale di Trento sentenza n. 218 del 01.02.2007 in www.ilcaso.it, Sez. I, Doc. 538/2007;

[18] E. Guerinoni, Contratti di investimento e responsabilità degli intermediari finanziari, Ipsoa ed., pag. 32 e ss.;

[19] Tribunale di Ravenna sentenza del 18,10.2009, in www.ilcaso.it, Sez. I, Doc. 1885/2009;

[20] Tribunale di Novara sentenza del 18.01.2007, in www.ilcaso.it, Sez. I, Doc. 483/2007;

[21] Tribunale di Monza sentenza del 19.02.2008, in www.ilcaso.it, Sez.I, Doc.1206/2008;

[22] Tribunale di Torino, sentenza del 24.07.2008, in www.ilcaso.it, Sez.I, Doc. 1457/2009.