x

x

Il diritto penale oltre la frontiera*

Criminal law beyond the border
max_gibelli_philippines_esistenza-rurale
max_gibelli_philippines_esistenza-rurale

ABSTRACT

A partire dalla considerazione del ruolo che il principio di territorialità riveste nel diritto penale, il contributo sviluppa una rapida riflessione sui rapporti tra cosmopolitismo giuridico e diritto penale e si interroga sui possibili influssi che le teorie sul fondamento universalistico dei diritti umani possono esercitare sul sistema penale stato-centrico.

 

Starting from the consideration of the role that the Territorial principle plays in criminal law, the paper focuses on the relationship between legal cosmopolitanism and criminal law also with regard to the possible influence that theories on the universalistic foundation of human rights may have on the state-centric criminal system.

 

Sommario

1. Premessa: la crisi dello Stato moderno e della sovranità territoriale

2. Chiarimenti su categorie e metodo: la frontiera come elemento costitutivo dell’applicabilità in concreto della norma penale e come oggetto di tutela penale

3. Il diritto penale “oltre la frontiera”

4. (Abbozzo di) conclusioni

 

Summary

1. Premise: the crisis of the modern state and territorial sovereignty

2. Clarifications on categories and method: the border as a constitutive element of the practical applicability of the criminal law and as an object of criminal protection

3. Criminal law “beyond the border”

4. (Sketch of) conclusions

 

* Testo della relazione tenuta all’incontro di studio “Le porte Scee e il senso del limite”, Agrigento, 6-9 novembre 2019.

 

1. Premessa: la crisi dello Stato moderno e della sovranità territoriale

In un oramai notissimo lavoro del 1996 intitolato “La fine dei territori” lo studioso francese Bertrand Badie indica come storicamente inevitabile la crisi della sovranità nazionale, così come essa si è per secoli cristallizzata, a partire dai trattati di Westfalia, sino ai nostri giorni.

Badie attribuisce l’origine di tale crisi ad una pluralità di fattori sociali, politici, culturali e storici che sospingono le società moderne verso una progressiva dissoluzione del concetto di territorio quale elemento essenziale della e luogo di esercizio della sovranità grazie al quale lo Stato è in grado di svolgere il proprio controllo sulle persone, sugli sviluppi umani e sulle relazioni sociali.

La sovranità dello Stato intesa in questo modo è oggi esposta agli effetti erosivi di molteplici forze. Da un lato, essa pare compressa dalla globalizzazione degli scambi economici e commerciali, delle relazioni umane e delle comunicazioni; dall’altro lato, il suo essere, per l’appunto, inerente allo Stato è messo in discussione dall’opposto fenomeno denominato da Baumann “glocalizzazione”, ossia dalla tendenza ad un esasperato radicamento territoriale propria di molte comunità contemporanee che non ritenendo più le proprie aspirazioni pienamente ed efficacemente soddisfatte nel contesto dello Stato nazionale, rivendicano con forza sempre maggiori spazi di autonomia decisionale. Alla sovranità monolitica degli Stati-nazione si contrappone così una sovranità localistica e parcellizzata.

Tali spinte centripete e centrifughe consumano dall’interno e dall’esterno la compattezza e l’ampiezza della sovranità territoriale, che è stata per secoli (ed è ancora oggi) un pilastro costitutivo dello Stato. Benché la sovranità resista, la crisi in atto è tuttavia innegabile.

Si tratta di una “crisi della sovranità dello Stato territorialmente connotato” che ha innescato anche un mutamento della fisionomia degli ordinamenti giuridici interni allo Stato.

Ad essa sono infatti connessi ulteriori fenomeni degenerativi: l’indebolimento delle democrazie rappresentative e delle procedure formalizzate in cui si organizza la sovranità popolare; la messa in crisi del modo con cui lo Stato amministra il proprio contesto territoriale; la tendenziale deviazione populistica dei meccanismi di produzione delle norme giuridicamente vincolanti.

Il tema della crisi dello Stato moderno non è certamente nuovo. Esso ha percorso tutto il pensiero storico e giuridico del Novecento. Si ricordi la nota prolusione di Santi Romano “Lo Stato moderno e la sua crisi”, pronunciata all’Università di Pisa in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico del 1909 e poi ripresa da altri giuristi. Non a caso si è a tal proposito parlato dell’esistenza di una vera e propria “cultura della crisi dello Stato”.

Tuttavia, nel corso del tempo, è divenuto chiaro come fossero progressivamente mutate le cause, le istanze e le urgenze alla radice di tale crisi che ha investito anche profili dello Stato e del diritto statale diversi dalla sovranità.

Nel saggio “La sovranità nel mondo. Nascita e crisi dello Stato nazione”, Ferrajoli segnala come la messa in discussione dello Stato-nazione rappresenti una crisi della democrazia propria dello Stato Costituzionale. Ad essere in crisi è infatti sia la democrazia “formale”, sia la democrazia c.d., “sostanziale”.

L’una – la democrazia formale – intesa come complesso di regole che garantisce la rappresentanza popolare tramite il suffragio universale, assicurando così il carattere democratico delle decisioni politiche – fatica a resistere alle spinte della globalizzazione che rendono la politica e le conseguenti decisioni sempre più subalterne rispetto alle scelte economiche sovranazionali. L’altra, la democrazia c.d., “sostanziale”, identificabile nel complesso di principi e regole che pongono limiti e vincoli alle maggioranze politiche, al fine di assicurare la tutela di diritti fondamentali, subisce una crisi che è il riflesso di quella che investe la democrazia formale.

La progressiva erosione degli spazi della democrazia rappresentativa ha infatti al contempo innescato una manifestazione di rinnovata onnipotenza della politica la quale tende a sfuggire ai vincoli delle democrazia costituzionale, mascherando le proprie pericolose deviazioni dalle garanzie fondamentali e dai principi – e cioè, la propria resistenza o addirittura la propria fuga dal volto “sostanziale” della democrazia – dietro il feticcio del “populismo costituzionale” e degli istituti della democrazia diretta.

A fronte di tale fragilità, Ferrajoli prospetta – com’è noto – che si possa rimediare alle profonde disuguaglianze generate dal declino del vecchio paradigma della sovranità statale attraverso un costituzionalismo mondiale ispirato alla tutela dei diritti umani che dovrebbe trovare attuazione attraverso una “sovranità sovranazionale”, ossia con la costituzione di un complesso di istituzioni e di organi sovranazionali che siano messi in grado di produrre decisioni politicamente e giuridicamente vincolanti.

La prospettiva suggerita da Ferrajoli della tutela e dell’affermazione dei diritti umani a livello sovranazionale come unico orizzonte possibile per il futuro delle democrazie e sola via d’uscita dalla crisi della sovranità dello Stato-nazione costituisce, invero, una costante del pensiero filosofico e giuridico contemporaneo.

Anche Habermas prospetta l’idea di un cosmopolitismo giuridico di tipo post-metafisico che, al contrario di quello Kantiano di cui si dichiara tuttavia debitore, non trova la propria plausibilità in un’ideale astratto di “natura umana”, cioè nell’assioma indimostrato (e razionalmente indimostrabile per Habermas) che un superamento dell’egoismo dei singoli attraverso l’affermazione di una comunità politica e giuridica di tipo trans-nazionale possa essere l’esito di un percorso evolutivo inevitabile e razionale, in quanto conforme all’autentica natura dell’uomo ma si pone come il risultato di un procedimento di natura discorsiva e comunicativa di stampo o di tipo inclusivo attorno alla tutela dei diritti umani, quali unici fondamenti della legittimità politica della comunità internazionale. I diritti umani sarebbero, ad opinione di Habermas, “massime morali universali” valide in quanto riferite all’essere umano come tale, a prescindere dagli ordinamenti nazionali di appartenenza cge possono ricevere un sigillo di normatività attraverso l’azione delle istituzioni internazionali (come l’ONU).

Per quanto dichiaratamente ispirata a quella Kantiana, la concezione cosmopolitica di Habermas ne considera tuttavia irrealistica la prospettiva finale di una “confederazione mondiale di Stati”. L’unica forma di cosmopolitismo concretamente possibile è per Habermas quella che può discendere dall’intensificazione del dialogo interculturale tra i popoli come giusta e necessaria premessa per un conseguente rafforzamento del potere decisionale e dei meccanismi deliberativi degli organismi internazionali. A questi ultimi, le competenze decisionali in campo politico dovrebbero essere assegnate secondo un modello distributivo multivello.

I diritti umani e con essi le istituzioni sovranazionali incaricati di tutelarli e promuoverli sarebbero pertanto chiamati ad operare come un “Leviatano mondiale”, un vero demiurgo che attraverso un procedimento comunicativo di tipo inclusivo e a più livelli appare in grado di ristabilire ordine, pace e sicurezza tra gli individui, a livello globale. Il contrattualismo di Rousseau – che stava a fondamento dell’idea di Stato illuminista – viene dunque traslato da Habermas a livello sovranazionale e posto a fondamento di un nuovo ordine giuridico mondiale di tipo cosmopolita.

Tali concezioni teoriche hanno avuto un’influenza sul diritto penale cioè, su quel settore dell’ordinamento giuridico che più di altri costituisce emanazione diretta della sovranità dello Stato? Ed in che misura? Esse hanno giocato un ruolo nel processo evolutivo del diritto penale moderno? Dalla risposta a tali domande dipende la possibilità o meno di immaginare un diritto penale del tutto svincolato dall’idea di Stato-nazione e, dunque, di prospettare un modello di autentico “cosmopolitismo penale” in senso formale e sostanziale, ossia un sistema penale universale che prescinda radicalmente dagli elementi della “territorialità” e aspiri a garantire ai diritti umani una protezione uniforme, a livello mondiale.

Nel corso di questa breve conversazione, si tenterà di fornire una risposta a tali domande non prima però di aver chiarito quali siano le ragioni e le disposizioni che rendono strettissimo e forse inscindibile il legame tra diritto penale e territorio.

 

Per visualizzate la rivista CLICCA QUI!