x

x

Il licenziamento per giusta causa del dirigente e l’applicabilità delle procedure previste dallo Statuto dei Lavoratori

Nota a Corte di Cassazione - Sezioni Unite Civili, Sentenza 30 marzo 2007, n.7880
CORTE DI CASSAZIONE, sezioni unite civili; sentenza 30 marzo 2007, n. 7880; Pres. CARBONE, Est. VIDIRI, P.M. IANNELLI (concl. conf.); M. contro Soc. Acquedotto Pugliese. Cassa App. Bari 10 novembre 2003.

Lavoro (rapporto) – Dirigente – Licenziamento disciplinare – Garanzie procedimentali – Operatività – Conseguenze (Cod. civ., art. 2118, 2119; l. 15 luglio 1966 n. 604, art. 10; l. 20 maggio 1970 n. 300, art. 7).

Posto che le garanzie procedimentali, dettate dall’art. 7, commi 1, 2 e 3, l. 20 marzo 1970 n. 300, devono trovare applicazione nell’ipotesi di licenziamento di un dirigente (a prescindere dalla specifica collocazione che lo stesso assume nell’impresa) sia nel caso in cui il datore di lavoro gli addebiti un comportamento negligente (o, in senso lato, colpevole), sia se a base del recesso ponga condotte suscettibili di far venir meno la fiducia, la violazione di dette garanzie, che si traduce in una non valutabilità delle condotte causative del recesso, comporta le conseguenze fissate dalla contrattazione collettiva di categoria per il licenziamento privo di giustificazione.

I. Con una decisione attesa da tempo la Corte di cassazione chiude i contrasti sul licenziamento disciplinare dei dirigenti. Una corposa corrente giurisprudenziale ha per lungo tempo ritenuto che al dirigente, in posizione apicale nell’ambito dell’impresa, non vanno applicate le garanzie procedimentali previste dall’art. 7 dello statuto dei lavoratori e, in particolare, il principio d’immutabilità della causa del licenziamento e della relativa contestazione[1]. Tuttavia le SS.UU. della Suprema corte, con la sentenza in commento, hanno rivisto l’orientamento prevalente, stabilendo che le garanzie procedimentali dettate dall’art. 7, commi 2 e 3, della legge 20 marzo 1970 n. 300 devono trovare applicazione nell’ipotesi di licenziamento di un dirigente - a prescindere dalla specifica collocazione che lo stesso assume nell’impresa - sia se il datore di lavoro addebiti al dirigente stesso un comportamento negligente (o, in senso lato, colpevole) sia se a base del detto recesso ponga, comunque, condotte suscettibili di farne venir meno la fiducia. In passato si è sostenuto che la norma non fosse applicabile ai dirigenti (o almeno non a quelli cd. apicali)[2]. Qualche perplessità suscita, peraltro, il passaggio della sentenza in cui si afferma che la violazione delle garanzie previste dall’art. 7 comporta, come conseguenza, la dichiarazione di ingiustificatezza del licenziamento e l’attribuzione al dirigente del trattamento economico previsto dal contratto collettivo (indennità supplementare). Infatti, la violazione della norma dello Statuto dei lavoratori comporta la nullità (e quindi l’inefficacia) della sanzione, a prescindere da un giudizio di merito sui fatti posti a fondamento della stessa sanzione, e quindi, sull’essere questa giusta ovvero ingiusta.

II. Per la Cassazione il carattere fiduciario che riveste la figura del dirigente, cavallo di battaglia di coloro che negavano l’applicabilità delle garanzie previste dall’art. 7 alle figure dirigenziali, è un falso argomento. Infatti le garanzie previste dalla norma sono procedurali, riguardano il modo di contestazione dell’addebito e di applicazione della sanzione ma non contengono criteri di identificazione e valutazione degli addebiti. La Corte ha anche modo di esprimersi per un’applicazione della procedura ad ogni tipo di dirigente (apicale e non), con l’ovvia esclusione dei casi in cui l’attribuzione della categoria sia effetto di un accordo simulatorio. Tale situazione è frequente nel settore privato, mentre con riguardo ai dirigenti dello Stato, occorre ricordare che, secondo una consolidata impostazione giurisprudenziale, il dirigente statale di ruolo svolge le funzioni inerenti alla sua qualifica in quanto investito di un incarico, il cui conferimento s’innesta sul contratto di lavoro da lui stipulato all’esito di una delle procedure concorsuali per l’accesso alla qualifica.[3]

Per ciò che concerne la responsabilità dirigenziale (che comporta, a norma dell’art. 22 d. leg. 165/01, le sanzioni contemplate dall’art. 21), si ricorderà che una corrente di pensiero la ritiene diversa e distinta dalla responsabilità disciplinare[4]. Altri sostiene, al contrario, che la responsabilità dirigenziale è una sottospecie della responsabilità[5]. Un terzo approccio assume che i due tipi di responsabilità possano in parte coincidere ed in parte divergere. Tale ultima impostazione è sposata dalla Suprema corte nelle più recenti pronunzie[6].

Un ulteriore spunto di riflessione concerne il sistema predisposto dal legislatore, che rischia di rimanere mero manifesto d’intenti, dal momento che i meccanismi di valutazione contemplati dal d. lgs. 286/99 (richiamato dall’art. 21 d. lgs. n. 165 del 2001) non sono operanti in tutte le amministrazioni [7].

Rispetto al regime ordinario, la responsabilità disciplinare del dirigente assume aspetti peculiari in quanto, stando alle previsioni dei contratti collettivi, l’esercizio del potere disciplinare nei confronti del dirigente inadempiente conduce soltanto al recesso dal rapporto di lavoro[8]. Inoltre, la contrattazione estende inoltre al recesso l’applicazione del parametro di proporzionalità sancito dall’art. 2106 c.c., decisivo ai fini della valutazione della gravità dell’inadempimento e della sua sussunzione nella nozione di giusta causa o di giustificato motivo del recesso.

In effetti, in alcune aree[9], la contrattazione collettiva ha introdotto un trattamento di maggior favore a beneficio dei dirigenti, richiedendo il parere conforme del Comitato dei garanti in tutti i casi di recesso. Di norma, invece, il licenziamento disciplinare del dirigente pubblico deve essere motivato, preceduto dall’applicazione delle regole procedimentali stabilite dall’art. 55 d.leg. 165/01 e rispondente al canone della proporzionalità. Salvo che l’ipotesi del recesso discriminatorio, il dirigente pubblico non può ricorrere alla tutela reale della reintegrazione nel posto di lavoro[10]. Ciò non toglie che esistano sostenitori dell’applicabilità della tutela reale anche ai dirigenti pubblici, come conseguenza della loro estraneità all’area della libera recedibilità,[11] ma tali posizioni appaiono minoritarie.

E’ stato rilevato che il succitato art. 21 d. leg. n. 165/2001 non richiamava (nella sua formulazione antecedente al riforma del 2002) la possibilità di tutela reintegratoria, ma effettuava un rinvio alle norme del codice civile ed alla contrattazione collettiva.[12]

III. L’orientamento prevalente in dottrina e giurisprudenza , nel silenzio della legge e della contrattazione collettiva, ritiene applicabile il principio (di fonte giurisprudenziale) del “parallelismo” o della “sufficienza delle tutele”, elaborato in materia di licenziamento disciplinare, secondo il quale il licenziamento adottato senza il dovuto rispetto delle garanzie procedimentali non è nullo o inefficace bensì meramente illegittimo ed equiparabile ad un recesso ingiustificato[13].

Altra interpretazione, invece, assume che eventuali vizi delle procedure prescritte inficino la validità degli atti finali e diano luogo all’applicazione degli ordinari rimedi civilistici[14].

Conclusivamente, può affermarsi che la realtà del settore privato, per taluni non raffrontabile - sotto il profilo delle tutele offerte al dirigente - a quella del settore pubblico (che sarebbe ancor’oggi meglio attrezzato per tutelare il dirigente)[15], è comunque più vicina che in passato a quest’ultima, poiché, una volta esclusa la libera recedibilità dell’amministrazione dal rapporto di lavoro dirigenziale per i dirigenti privati, è altresì pacifico che il licenziamento dei dirigenti privati diversi da quelli di vertice (o apicali) è soggetto alle regole ordinarie, compresa la reintegrazione nel posto di lavoro[16].

Nonostante ciò, persiste una differenza nel fatto che la violazione delle garanzie procedimentali previste dall’art. 7, commi 2 e 3, dello statuto dei lavoratori, così come l’accertata inesistenza di una causa di giustificazione, non comporta, a differenza di ciò che avviene nel settore pubblico, la nullità del licenziamento, bensì unicamente gli effetti di tipo risarcitorio previsti dalla contrattazione collettiva.



[1] Tra le più recenti v. Cass. 13 maggio 2005, n. 10058, Foro it., Rep. 2005, voce Lavoro (rapporto), n. 1428, nonché in Dir. e pratica lav. 2005, 2093, con nota di S. CANALI DE ROSSI, Licenziamento del dirigente e requisiti di legittimità; Trib. Vasto 25 febbraio 2005, in Lavoro giur., 2005, con nota di M. COTTONE, L’inapplicabilità dell’art. 7 statuto dei lavoratori ai licenziamenti dei dirigenti c.d. «apicali»; Trib. Milano 21 giugno 2004, Foro it., Rep. 2004, voce Lavoro (rapporto), n. 1592 (e Orient. giur. lav., 2004, I, 431); Cass. 11 febbraio 1998, n. 1434, 27 novembre 1997, n. 12001, Pret. Nola, sez. Pomigliano d’arco 2 dicembre 1997, tutte in Foro it., 1998, I, 729; Cass., sez. un., 29 maggio 1995, n. 6041, Foro it., 1995, I, 1778, con nota di G. AMOROSO, Le sezioni unite mutano giurisprudenza in ordine al licenziamento disciplinare del dirigente d’azienda: incertezze interpretative e dubbi di costituzionalità; in Riv. it. dir. lav., 1995, II, 898, con nota di S. BARTALOTTA, Il licenziamento disciplinare del dirigente; Giust. civ., 1995, I, 1749, con nota di G. PERA, Non esiste il licenziamento c.d. disciplinare del dirigente?. Analogamente, in dottrina, A. LECIS La possibile rilevanza del motivo disciplinare nel licenziamento del dirigente, in Argomenti dir. lav., 1996, fasc. 3, 148 ss., che, con riferimento al dirigente estraneo al top management, indica (163-164) l’opportunità di una nuova pronuncia della Corte costituzionale, anche con riferimento alla possibile violazione del principio di uguaglianza. Contra, per una lettura ampia della sentenza n. 6041 cit., cfr. L. DE ANGELIS, Il licenziamento disciplinare del dirigente. Essere dell’ontologia o non essere del potere disciplinare?, in Riv. giur. lav., 1997, I, 17 ss., spec. 24, ed ivi ricostruzione del dibattito in argomento, anche con riferimento alle varie articolazioni, nelle tesi favorevoli all’applicabilità, circa le conseguenze della violazione dell’art. 7 l. 300/70.

[2] V. Cass. 12 ottobre 1996, n. 8934, Foro it., 1997, I, 839, che non distingue tra dirigenti e pseudodirigenti e considera manifestamente infondata (oltre che non rilevante nell’ipotesi di specie) la questione di legittimità costituzionale degli art. 2106 c.c. e 7 l. 20 maggio 1970 n. 300, in riferimento agli art. 3, 4, 24 e 35 Cost., nella parte in cui non si applicano ai dirigenti; quindi, cfr. Cass. 25 novembre 1996, n. 10445, Foro it., 1997, I, 839, con nota di richiami, e Mass. giur. lav., 1997, 69, con nota di G. GRAMICCIA, Il dirigente d’azienda, responsabilità, licenziamento, secondo cui non è consentita in materia neppure in via contrattuale l’omologazione della tutela del dirigente a quella degli altri lavoratori subordinati. Si ricorderà che già Corte cost. 6 luglio 1972, n. 121, id., 1972, I, 2730, con nota di richiami, era stata interpretata dalla maggioranza degli autori nel senso dell’unità della categoria dirigenziale priva della tutela legale: in particolare, cfr. P. TOSI, Il dirigente d’azienda, Milano, 1973, 133 ss., che con maggiore approfondimento ha teorizzato la duplicità delle figure dirigenziali (apicali e non); F. BASENGHI, Il licenziamento del dirigente, Milano, 1991, 62 ss., nonché nelle note da 7 a 9; Cass. 21 marzo 1980, n. 1922, in Foro it., 1981, I, 832, con nota di A. VALLEBONA, La distinzione tra dirigente e pseudo-dirigente per l’applicabilità della tutela reale contro il licenziamento ingiustificato. Per un quadro di sintesi sul punto, anche con riguardo alle posizioni della dottrina, cfr. E. GRAGNOLI, in M. GRANDI, G. PERA, Commentario breve alle leggi sul lavoro, Padova, 1996, 761. Non sono mancate voci dissenzienti: v. Cass. 3 aprile 2003, n. 5213, Foro it., Rep. 2003, voce cit., n. 1682 (e Lavoro giur., 2003, 735, con nota di P. DUI), secondo cui le garanzie procedimentali dettate dall’art. 7 commi 2 3, dello statuto dei lavoratori sono applicabili anche al licenziamento del dirigente d’azienda, a prescindere dalla sua specifica posizione nell’ambito dell’organizzazione aziendale, se il datore di lavoro addebiti un comportamento negligente o lato sensu colpevole; la violazione delle garanzie comporta non la nullità del licenziamento, ma l’impossibilità di tener conto dei comportamenti irritualmente posti a base del licenziamento ai fini dell’esclusione del diritto al preavviso e all’indennità supplementare. Nello stesso senso Cass. 2 marzo 2006, n. 4614, id., Rep. 2006, Lavoro (rapporto), n. 1539, che si pone, quindi, in contrasto con il precedente indirizzo, non solo per avere ritenuto applicabile le garanzie procedurali ex art. 7 stat. lav. a tutti dirigenti, ma anche per avere rifiutato, nel pervenire a tale conclusione, una frammentazione della categoria dei dirigenti tra dirigenti di vertice (o apicali) da una parte e dirigenti medi o minori dall’altra, la cui differenza anche per momenti qualificanti del rapporto lavorativo configura passaggio motivazionale caratterizzante tutte le decisioni del contrario orientamento.

[3] Cass., sez. lav., 20 marzo 2004, n. 5659, Foro it., 2005, I, 1530, con nota di G. D’AURIA.

[4] S. MAINARDI, La responsabilità dirigenziale e il ruolo del comitato dei garanti, cit., 1083; C. D’ORTA, Verifica dei risultati. Responsabilita’ dirigenziali, in Il Lavoro alle dipendenze della p.a.

[5] G. PASTORI e M. SGROI, Dirigenti pubblici, in Encicl. dir., aggiornamento, V, Giuffrè, Milano, 2001, 356.

[6] Cfr. , ex multis, Cass. 20 febbraio 2007 n. 3929, Foro it., 2007, 1716, con nota di G. D’AURIA, Rapporto di lavoro dirigenziale nel settore pubblico e tutela reale contro i licenziamenti illegittimi.

[7] A.M. PERRINO, cit., 1536; nonché G. D’AURIA, La «privatizzazione» della dirigenza pubblica, fra decisioni delle corti e ripensamenti del legislatore, in Foro it., 2002, I, 2981.

[8] Le previsioni contrattuali contemplano la possibilità d’irrogare il licenziamento con preavviso o quello senza preavviso, secondo la gravità delle infrazioni e richiamano, sotto il profilo procedurale, l’applicazione del procedimento scandito in generale dall’art. 55 d.leg. 165/01 nelle fasi della contestazione degli addebiti, della convocazione dell’incolpato, dell’audizione a difesa e della motivazione dell’atto di recesso. Il richiamo del procedimento delineato dall’art. 55 consente di ravvisare, anche in mancanza di previsione contrattuale, nell’ufficio per i procedimenti disciplinari l’organo competente a svolgere il procedimento disciplinare: per la dichiarazione di nullità, per violazione di norma imperativa, del licenziamento disciplinare comminato al dirigente in mancanza della previa costituzione dell’ufficio competente per il procedimento, v. Trib. Genova, ord. 16 giugno 2000, Lavoro nelle p.a., 2001, 443, e, in generale, Cass. 5 febbraio 2004, n. 2168, Foro it., 2004, I, 2644.

[9] Tra le altre v. per l’area medico-veterinaria l’art. 23 del CCNL 8 giugno 2000.

[10] Trib. Trapani 26 novembre 2003, id., Rep. 2004, voce Impiegato dello Stato, n. 1045 (e Giur. merito, 2004, 774), e, in motivazione, Trib. Rieti, ord. 14 luglio 1999, Foro it., Rep. 2000, voce cit., n. 1496 (e Lavoro nelle p.a., 2000, 119, con nota di G. NICOSIA, La dirigenza sanitaria tra regime generale e regime speciale).

[11] P. SORDI, Il licenziamento del dipendente pubblico: il quadro legale, in Il lavoro nelle p.a., 2001, 299-300. Cfr. anche M. G. GAROFALO, I dirigenti pubblici tra controllo politico e autonomia professionale, in Questione Giustizia, 2003, 937 ss., il quale pone la reintegrazione come rimedio generale in tutte le ipotesi di invalidità del licenziamento a far tempo dalla legge n. 108/1990.

[12] C. SPINELLI, Licenziamento per giusta causa del dirigente medico e parere del Comitato dei garanti, in Il lavoro alle dipendenze della P.A., 2004, 211, che però poi analizza un caso del comparto Sanità che presenta sue peculiarità rispetto alle altre aree di comparto dirigenziale.

[13] Cass. S.U. 26 aprile 1994, n. 3965, Foro it., 1994, 1708; 24 aprile 1994 n. 3966, ibid.; Cass. 3 aprile 2003 n.5213, Foro it., Rep. 2003, voce Lavoro (rapporto), n. 1682, per esteso in Lavoro giur., 2003, 735, con nota di DUI; Notiziario giurisprudenza lav., 2003, 372; Lavoro e prev. oggi, 2003, 1074; Mass. giur. lav., 2003, 537, con nota di MANNACIO; Impresa, 2003, 1103; Orient. giur. lav., 2003, I, 30; Riv. it. dir. lav., 2003, II, 846, con nota di SIGNORINI; Dir. lav., 2003, II, 163, con nota di DI LEMMA.

[14] Per F. CARINCI, LA dirigenza nelle amministrazioni dello Stato ex capo II, titolo II, d. lgs. 29/93 (il modello universale), in Argomenti dir. lav., 2001, 46-47, si tratterebbe di nullità o annullabilità; per L. ANGIELLO, La valutazione dei dirigenti pubblici - Profili giuridici, Milano, 2001, 175, di nullità.

[15] A.M. PERRINO, cit., 1536; cfr. G. D’AURIA, Rapporto di lavoro dirigenziale nel settore pubblico e tutela reale contro i licenziamenti illegittimi, in Foro it., 2007, I, 1722 e passim.

[16] Da ultimo, v. Cass. 22 dicembre 2006, n. 27464, Foro it., Rep. 2007, voce Lavoro (rapporto), n. 469, nonché le riflessioni svolte da G. D’AURIA, Rapporto di lavoro dirigenziale nel settore pubblico e tutela reale contro i licenziamenti illegittimi, cit., 1725.

CORTE DI CASSAZIONE, sezioni unite civili; sentenza 30 marzo 2007, n. 7880; Pres. CARBONE, Est. VIDIRI, P.M. IANNELLI (concl. conf.); M. contro Soc. Acquedotto Pugliese. Cassa App. Bari 10 novembre 2003.

Lavoro (rapporto) – Dirigente – Licenziamento disciplinare – Garanzie procedimentali – Operatività – Conseguenze (Cod. civ., art. 2118, 2119; l. 15 luglio 1966 n. 604, art. 10; l. 20 maggio 1970 n. 300, art. 7).

Posto che le garanzie procedimentali, dettate dall’art. 7, commi 1, 2 e 3, l. 20 marzo 1970 n. 300, devono trovare applicazione nell’ipotesi di licenziamento di un dirigente (a prescindere dalla specifica collocazione che lo stesso assume nell’impresa) sia nel caso in cui il datore di lavoro gli addebiti un comportamento negligente (o, in senso lato, colpevole), sia se a base del recesso ponga condotte suscettibili di far venir meno la fiducia, la violazione di dette garanzie, che si traduce in una non valutabilità delle condotte causative del recesso, comporta le conseguenze fissate dalla contrattazione collettiva di categoria per il licenziamento privo di giustificazione.

I. Con una decisione attesa da tempo la Corte di cassazione chiude i contrasti sul licenziamento disciplinare dei dirigenti. Una corposa corrente giurisprudenziale ha per lungo tempo ritenuto che al dirigente, in posizione apicale nell’ambito dell’impresa, non vanno applicate le garanzie procedimentali previste dall’art. 7 dello statuto dei lavoratori e, in particolare, il principio d’immutabilità della causa del licenziamento e della relativa contestazione[1]. Tuttavia le SS.UU. della Suprema corte, con la sentenza in commento, hanno rivisto l’orientamento prevalente, stabilendo che le garanzie procedimentali dettate dall’art. 7, commi 2 e 3, della legge 20 marzo 1970 n. 300 devono trovare applicazione nell’ipotesi di licenziamento di un dirigente - a prescindere dalla specifica collocazione che lo stesso assume nell’impresa - sia se il datore di lavoro addebiti al dirigente stesso un comportamento negligente (o, in senso lato, colpevole) sia se a base del detto recesso ponga, comunque, condotte suscettibili di farne venir meno la fiducia. In passato si è sostenuto che la norma non fosse applicabile ai dirigenti (o almeno non a quelli cd. apicali)[2]. Qualche perplessità suscita, peraltro, il passaggio della sentenza in cui si afferma che la violazione delle garanzie previste dall’art. 7 comporta, come conseguenza, la dichiarazione di ingiustificatezza del licenziamento e l’attribuzione al dirigente del trattamento economico previsto dal contratto collettivo (indennità supplementare). Infatti, la violazione della norma dello Statuto dei lavoratori comporta la nullità (e quindi l’inefficacia) della sanzione, a prescindere da un giudizio di merito sui fatti posti a fondamento della stessa sanzione, e quindi, sull’essere questa giusta ovvero ingiusta.

II. Per la Cassazione il carattere fiduciario che riveste la figura del dirigente, cavallo di battaglia di coloro che negavano l’applicabilità delle garanzie previste dall’art. 7 alle figure dirigenziali, è un falso argomento. Infatti le garanzie previste dalla norma sono procedurali, riguardano il modo di contestazione dell’addebito e di applicazione della sanzione ma non contengono criteri di identificazione e valutazione degli addebiti. La Corte ha anche modo di esprimersi per un’applicazione della procedura ad ogni tipo di dirigente (apicale e non), con l’ovvia esclusione dei casi in cui l’attribuzione della categoria sia effetto di un accordo simulatorio. Tale situazione è frequente nel settore privato, mentre con riguardo ai dirigenti dello Stato, occorre ricordare che, secondo una consolidata impostazione giurisprudenziale, il dirigente statale di ruolo svolge le funzioni inerenti alla sua qualifica in quanto investito di un incarico, il cui conferimento s’innesta sul contratto di lavoro da lui stipulato all’esito di una delle procedure concorsuali per l’accesso alla qualifica.[3]

Per ciò che concerne la responsabilità dirigenziale (che comporta, a norma dell’art. 22 d. leg. 165/01, le sanzioni contemplate dall’art. 21), si ricorderà che una corrente di pensiero la ritiene diversa e distinta dalla responsabilità disciplinare[4]. Altri sostiene, al contrario, che la responsabilità dirigenziale è una sottospecie della responsabilità[5]. Un terzo approccio assume che i due tipi di responsabilità possano in parte coincidere ed in parte divergere. Tale ultima impostazione è sposata dalla Suprema corte nelle più recenti pronunzie[6].

Un ulteriore spunto di riflessione concerne il sistema predisposto dal legislatore, che rischia di rimanere mero manifesto d’intenti, dal momento che i meccanismi di valutazione contemplati dal d. lgs. 286/99 (richiamato dall’art. 21 d. lgs. n. 165 del 2001) non sono operanti in tutte le amministrazioni [7].

Rispetto al regime ordinario, la responsabilità disciplinare del dirigente assume aspetti peculiari in quanto, stando alle previsioni dei contratti collettivi, l’esercizio del potere disciplinare nei confronti del dirigente inadempiente conduce soltanto al recesso dal rapporto di lavoro[8]. Inoltre, la contrattazione estende inoltre al recesso l’applicazione del parametro di proporzionalità sancito dall’art. 2106 c.c., decisivo ai fini della valutazione della gravità dell’inadempimento e della sua sussunzione nella nozione di giusta causa o di giustificato motivo del recesso.

In effetti, in alcune aree[9], la contrattazione collettiva ha introdotto un trattamento di maggior favore a beneficio dei dirigenti, richiedendo il parere conforme del Comitato dei garanti in tutti i casi di recesso. Di norma, invece, il licenziamento disciplinare del dirigente pubblico deve essere motivato, preceduto dall’applicazione delle regole procedimentali stabilite dall’art. 55 d.leg. 165/01 e rispondente al canone della proporzionalità. Salvo che l’ipotesi del recesso discriminatorio, il dirigente pubblico non può ricorrere alla tutela reale della reintegrazione nel posto di lavoro[10]. Ciò non toglie che esistano sostenitori dell’applicabilità della tutela reale anche ai dirigenti pubblici, come conseguenza della loro estraneità all’area della libera recedibilità,[11] ma tali posizioni appaiono minoritarie.

E’ stato rilevato che il succitato art. 21 d. leg. n. 165/2001 non richiamava (nella sua formulazione antecedente al riforma del 2002) la possibilità di tutela reintegratoria, ma effettuava un rinvio alle norme del codice civile ed alla contrattazione collettiva.[12]

III. L’orientamento prevalente in dottrina e giurisprudenza , nel silenzio della legge e della contrattazione collettiva, ritiene applicabile il principio (di fonte giurisprudenziale) del “parallelismo” o della “sufficienza delle tutele”, elaborato in materia di licenziamento disciplinare, secondo il quale il licenziamento adottato senza il dovuto rispetto delle garanzie procedimentali non è nullo o inefficace bensì meramente illegittimo ed equiparabile ad un recesso ingiustificato[13].

Altra interpretazione, invece, assume che eventuali vizi delle procedure prescritte inficino la validità degli atti finali e diano luogo all’applicazione degli ordinari rimedi civilistici[14].

Conclusivamente, può affermarsi che la realtà del settore privato, per taluni non raffrontabile - sotto il profilo delle tutele offerte al dirigente - a quella del settore pubblico (che sarebbe ancor’oggi meglio attrezzato per tutelare il dirigente)[15], è comunque più vicina che in passato a quest’ultima, poiché, una volta esclusa la libera recedibilità dell’amministrazione dal rapporto di lavoro dirigenziale per i dirigenti privati, è altresì pacifico che il licenziamento dei dirigenti privati diversi da quelli di vertice (o apicali) è soggetto alle regole ordinarie, compresa la reintegrazione nel posto di lavoro[16].

Nonostante ciò, persiste una differenza nel fatto che la violazione delle garanzie procedimentali previste dall’art. 7, commi 2 e 3, dello statuto dei lavoratori, così come l’accertata inesistenza di una causa di giustificazione, non comporta, a differenza di ciò che avviene nel settore pubblico, la nullità del licenziamento, bensì unicamente gli effetti di tipo risarcitorio previsti dalla contrattazione collettiva.



[1] Tra le più recenti v. Cass. 13 maggio 2005, n. 10058, Foro it., Rep. 2005, voce Lavoro (rapporto), n. 1428, nonché in Dir. e pratica lav. 2005, 2093, con nota di S. CANALI DE ROSSI, Licenziamento del dirigente e requisiti di legittimità; Trib. Vasto 25 febbraio 2005, in Lavoro giur., 2005, con nota di M. COTTONE, L’inapplicabilità dell’art. 7 statuto dei lavoratori ai licenziamenti dei dirigenti c.d. «apicali»; Trib. Milano 21 giugno 2004, Foro it., Rep. 2004, voce Lavoro (rapporto), n. 1592 (e Orient. giur. lav., 2004, I, 431); Cass. 11 febbraio 1998, n. 1434, 27 novembre 1997, n. 12001, Pret. Nola, sez. Pomigliano d’arco 2 dicembre 1997, tutte in Foro it., 1998, I, 729; Cass., sez. un., 29 maggio 1995, n. 6041, Foro it., 1995, I, 1778, con nota di G. AMOROSO, Le sezioni unite mutano giurisprudenza in ordine al licenziamento disciplinare del dirigente d’azienda: incertezze interpretative e dubbi di costituzionalità; in Riv. it. dir. lav., 1995, II, 898, con nota di S. BARTALOTTA, Il licenziamento disciplinare del dirigente; Giust. civ., 1995, I, 1749, con nota di G. PERA, Non esiste il licenziamento c.d. disciplinare del dirigente?. Analogamente, in dottrina, A. LECIS La possibile rilevanza del motivo disciplinare nel licenziamento del dirigente, in Argomenti dir. lav., 1996, fasc. 3, 148 ss., che, con riferimento al dirigente estraneo al top management, indica (163-164) l’opportunità di una nuova pronuncia della Corte costituzionale, anche con riferimento alla possibile violazione del principio di uguaglianza. Contra, per una lettura ampia della sentenza n. 6041 cit., cfr. L. DE ANGELIS, Il licenziamento disciplinare del dirigente. Essere dell’ontologia o non essere del potere disciplinare?, in Riv. giur. lav., 1997, I, 17 ss., spec. 24, ed ivi ricostruzione del dibattito in argomento, anche con riferimento alle varie articolazioni, nelle tesi favorevoli all’applicabilità, circa le conseguenze della violazione dell’art. 7 l. 300/70.

[2] V. Cass. 12 ottobre 1996, n. 8934, Foro it., 1997, I, 839, che non distingue tra dirigenti e pseudodirigenti e considera manifestamente infondata (oltre che non rilevante nell’ipotesi di specie) la questione di legittimità costituzionale degli art. 2106 c.c. e 7 l. 20 maggio 1970 n. 300, in riferimento agli art. 3, 4, 24 e 35 Cost., nella parte in cui non si applicano ai dirigenti; quindi, cfr. Cass. 25 novembre 1996, n. 10445, Foro it., 1997, I, 839, con nota di richiami, e Mass. giur. lav., 1997, 69, con nota di G. GRAMICCIA, Il dirigente d’azienda, responsabilità, licenziamento, secondo cui non è consentita in materia neppure in via contrattuale l’omologazione della tutela del dirigente a quella degli altri lavoratori subordinati. Si ricorderà che già Corte cost. 6 luglio 1972, n. 121, id., 1972, I, 2730, con nota di richiami, era stata interpretata dalla maggioranza degli autori nel senso dell’unità della categoria dirigenziale priva della tutela legale: in particolare, cfr. P. TOSI, Il dirigente d’azienda, Milano, 1973, 133 ss., che con maggiore approfondimento ha teorizzato la duplicità delle figure dirigenziali (apicali e non); F. BASENGHI, Il licenziamento del dirigente, Milano, 1991, 62 ss., nonché nelle note da 7 a 9; Cass. 21 marzo 1980, n. 1922, in Foro it., 1981, I, 832, con nota di A. VALLEBONA, La distinzione tra dirigente e pseudo-dirigente per l’applicabilità della tutela reale contro il licenziamento ingiustificato. Per un quadro di sintesi sul punto, anche con riguardo alle posizioni della dottrina, cfr. E. GRAGNOLI, in M. GRANDI, G. PERA, Commentario breve alle leggi sul lavoro, Padova, 1996, 761. Non sono mancate voci dissenzienti: v. Cass. 3 aprile 2003, n. 5213, Foro it., Rep. 2003, voce cit., n. 1682 (e Lavoro giur., 2003, 735, con nota di P. DUI), secondo cui le garanzie procedimentali dettate dall’art. 7 commi 2 3, dello statuto dei lavoratori sono applicabili anche al licenziamento del dirigente d’azienda, a prescindere dalla sua specifica posizione nell’ambito dell’organizzazione aziendale, se il datore di lavoro addebiti un comportamento negligente o lato sensu colpevole; la violazione delle garanzie comporta non la nullità del licenziamento, ma l’impossibilità di tener conto dei comportamenti irritualmente posti a base del licenziamento ai fini dell’esclusione del diritto al preavviso e all’indennità supplementare. Nello stesso senso Cass. 2 marzo 2006, n. 4614, id., Rep. 2006, Lavoro (rapporto), n. 1539, che si pone, quindi, in contrasto con il precedente indirizzo, non solo per avere ritenuto applicabile le garanzie procedurali ex art. 7 stat. lav. a tutti dirigenti, ma anche per avere rifiutato, nel pervenire a tale conclusione, una frammentazione della categoria dei dirigenti tra dirigenti di vertice (o apicali) da una parte e dirigenti medi o minori dall’altra, la cui differenza anche per momenti qualificanti del rapporto lavorativo configura passaggio motivazionale caratterizzante tutte le decisioni del contrario orientamento.

[3] Cass., sez. lav., 20 marzo 2004, n. 5659, Foro it., 2005, I, 1530, con nota di G. D’AURIA.

[4] S. MAINARDI, La responsabilità dirigenziale e il ruolo del comitato dei garanti, cit., 1083; C. D’ORTA, Verifica dei risultati. Responsabilita’ dirigenziali, in Il Lavoro alle dipendenze della p.a.

[5] G. PASTORI e M. SGROI, Dirigenti pubblici, in Encicl. dir., aggiornamento, V, Giuffrè, Milano, 2001, 356.

[6] Cfr. , ex multis, Cass. 20 febbraio 2007 n. 3929, Foro it., 2007, 1716, con nota di G. D’AURIA, Rapporto di lavoro dirigenziale nel settore pubblico e tutela reale contro i licenziamenti illegittimi.

[7] A.M. PERRINO, cit., 1536; nonché G. D’AURIA, La «privatizzazione» della dirigenza pubblica, fra decisioni delle corti e ripensamenti del legislatore, in Foro it., 2002, I, 2981.

[8] Le previsioni contrattuali contemplano la possibilità d’irrogare il licenziamento con preavviso o quello senza preavviso, secondo la gravità delle infrazioni e richiamano, sotto il profilo procedurale, l’applicazione del procedimento scandito in generale dall’art. 55 d.leg. 165/01 nelle fasi della contestazione degli addebiti, della convocazione dell’incolpato, dell’audizione a difesa e della motivazione dell’atto di recesso. Il richiamo del procedimento delineato dall’art. 55 consente di ravvisare, anche in mancanza di previsione contrattuale, nell’ufficio per i procedimenti disciplinari l’organo competente a svolgere il procedimento disciplinare: per la dichiarazione di nullità, per violazione di norma imperativa, del licenziamento disciplinare comminato al dirigente in mancanza della previa costituzione dell’ufficio competente per il procedimento, v. Trib. Genova, ord. 16 giugno 2000, Lavoro nelle p.a., 2001, 443, e, in generale, Cass. 5 febbraio 2004, n. 2168, Foro it., 2004, I, 2644.

[9] Tra le altre v. per l’area medico-veterinaria l’art. 23 del CCNL 8 giugno 2000.

[10] Trib. Trapani 26 novembre 2003, id., Rep. 2004, voce Impiegato dello Stato, n. 1045 (e Giur. merito, 2004, 774), e, in motivazione, Trib. Rieti, ord. 14 luglio 1999, Foro it., Rep. 2000, voce cit., n. 1496 (e Lavoro nelle p.a., 2000, 119, con nota di G. NICOSIA, La dirigenza sanitaria tra regime generale e regime speciale).

[11] P. SORDI, Il licenziamento del dipendente pubblico: il quadro legale, in Il lavoro nelle p.a., 2001, 299-300. Cfr. anche M. G. GAROFALO, I dirigenti pubblici tra controllo politico e autonomia professionale, in Questione Giustizia, 2003, 937 ss., il quale pone la reintegrazione come rimedio generale in tutte le ipotesi di invalidità del licenziamento a far tempo dalla legge n. 108/1990.

[12] C. SPINELLI, Licenziamento per giusta causa del dirigente medico e parere del Comitato dei garanti, in Il lavoro alle dipendenze della P.A., 2004, 211, che però poi analizza un caso del comparto Sanità che presenta sue peculiarità rispetto alle altre aree di comparto dirigenziale.

[13] Cass. S.U. 26 aprile 1994, n. 3965, Foro it., 1994, 1708; 24 aprile 1994 n. 3966, ibid.; Cass. 3 aprile 2003 n.5213, Foro it., Rep. 2003, voce Lavoro (rapporto), n. 1682, per esteso in Lavoro giur., 2003, 735, con nota di DUI; Notiziario giurisprudenza lav., 2003, 372; Lavoro e prev. oggi, 2003, 1074; Mass. giur. lav., 2003, 537, con nota di MANNACIO; Impresa, 2003, 1103; Orient. giur. lav., 2003, I, 30; Riv. it. dir. lav., 2003, II, 846, con nota di SIGNORINI; Dir. lav., 2003, II, 163, con nota di DI LEMMA.

[14] Per F. CARINCI, LA dirigenza nelle amministrazioni dello Stato ex capo II, titolo II, d. lgs. 29/93 (il modello universale), in Argomenti dir. lav., 2001, 46-47, si tratterebbe di nullità o annullabilità; per L. ANGIELLO, La valutazione dei dirigenti pubblici - Profili giuridici, Milano, 2001, 175, di nullità.

[15] A.M. PERRINO, cit., 1536; cfr. G. D’AURIA, Rapporto di lavoro dirigenziale nel settore pubblico e tutela reale contro i licenziamenti illegittimi, in Foro it., 2007, I, 1722 e passim.

[16] Da ultimo, v. Cass. 22 dicembre 2006, n. 27464, Foro it., Rep. 2007, voce Lavoro (rapporto), n. 469, nonché le riflessioni svolte da G. D’AURIA, Rapporto di lavoro dirigenziale nel settore pubblico e tutela reale contro i licenziamenti illegittimi, cit., 1725.