Il Parmigiano Reggiano: un’eccellenza emiliana
Storia
Nella pianura padana, precisamente nella sua parte emiliana, si trova una delle eccellenze più rinomate e famose della cultura del cibo italiano: Il Parmigiano Reggiano. Fra Parma, Reggio Emilia, Modena, Bologna (a sinistra del fiume Reno) e Mantova (a sud del Po), si produce, fin dall’epoca medioevale, uno dei formaggi più venduti e consumati al mondo.
Ma chi furono in origine i primi produttori di Parmigiano Reggiano?
Come spesso avviene per i formaggi europei, i monaci cistercensi e benedettini, nei loro monasteri medievali emiliani, sono coloro ai quali dobbiamo far risalire la produzione iniziale del Parmigiano. Spinti dalla ricerca di un formaggio in grado di durare nel tempo, i monaci ottennero un formaggio dalla pasta asciutta e dalle grandi forme, adatto alle lunghe conservazioni, grazie al sale proveniente dalle saline di Salsomaggiore e al latte delle vacche allevate nelle “grangie”, le aziende agricole dei monasteri.
Le prime testimonianze della sua commercializzazione risalgono al 1200, quando il cosiddetto caseus parmensis (il formaggio di Parma) iniziò ad essere venduto in Romagna, Piemonte e Toscana, raggiungendo anche i centri marittimi del mare Mediterraneo.
All’inizio del XIX, Napoleone cancellò i grandi possedimenti ecclesiastici e le terre vennero acquistate dalla borghesia. I caseifici acquisiscono la tipica forma ottagonale e restano attivi per 120-180 giorni all’anno, quando le vacche hanno la possibilità di sfruttare l’erba.
All’inizio del 1900 avvennero alcune importanti introduzioni al processo produttivo, come l’uso del siero innesto e del riscaldamento a vapore, che hanno migliorato la qualità del formaggio e che sono ancora attuali.
Le attività subirono un rallentamento solo negli anni ‘40, durante la Seconda Guerra Mondiale. La ripresa partì tuttavia negli anni ‘50, anche grazie ad importanti traguardi legislativi nel settore alimentare: la legge italiana sulle denominazioni d’origine, lo Standard di produzione, il Regolamento di alimentazione delle bovine.
In seguito, con l’affermarsi della Comunità Europea e della Politica Agricola Comune, si afferma anche il principio del riconoscimento e della tutela dei prodotti d’origine non più su scala nazionale, ma comunitaria. Nel 1996 il Parmigiano Reggiano viene riconosciuto come una DOP europea.
Le attività di promozione e di tutela sono svolte dal Consorzio del Parmigiano Reggiano, nato ufficialmente nel 1934. Il Consorzio del Parmigiano Reggiano riunisce tutti i caseifici produttori e persegue i fondamentali incarichi di apposizione dei contrassegni in conformità con il Disciplinare della Denominazione d’Origine Protetta (DOP), vigilanza sull’uso corretto dei marchi e tutela dalle contraffazioni.
Parmigiano Reggiano: le tipologie
Le forme di Parmigiano derivano da quattro specifiche razze di bovino: Frisona Italiana, Bianca Modenese, Bruna e Rossa Reggiana.
La Frisona Italiana è la razza più diffusa tra gli allevatori di Parmigiano Reggiano: importata dall’Olanda, è conosciuta come frisona in quanto il ceppo originario si trova nella regione olandese della Frisia. I primi capi giunsero in Italia alla fine dell’Ottocento.
La Bianca Modenese deriva da bovini dal mantello fromentino, simili alla rossa reggiana, incrociati con bovini grigi di tipo podolico. Il suo latte è particolarmente adatto alla trasformazione in Parmigiano Reggiano e alla caseificazione grazie al rapporto ottimale fra grasso e proteine, e all’elevata presenza della frazione k delle caseine, che favorisce una coagulazione del latte rapida e resistente. È presidio Slow Food.
La Bruna parmense venne introdotta nel XVIII secolo. Nel corso degli anni la bruna si è imposta per la produzione di latte le cui caratteristiche reologiche determinano un latte molto adatto alla caseificazione grazie all’alto profilo caseinico e all’elevato contenuto di grasso.
La Rossa Reggiana è presente nel territorio contadino emiliano fin dal secondo dopoguerra. Le origini, che risalgono all’anno Mille, sono probabilmente in Pannonia, l’attuale Ungheria. Il suo latte è ricco di proteine – caseina in particolare –, calcio e fosforo, e possiede attitudini casearie ottimali: la panna affiora in modo adeguato, il latte coagula rapidamente, la cagliata è consistente ed elastica e la resa è elevata.
La stagionatura
La stagionatura minima delle forme di Parmigiano è di 12 mesi (il più lungo periodo di stagionatura minima di tutti i formaggi DOP), ma è intorno ai 24 mesi che il Parmigiano Reggiano raggiunge la maturazione adatta ad esprimere le caratteristiche tipiche.
Può stagionare anche oltre, fino a 36 o 48 mesi o anche di più. Nella stagionatura, grazie all’azione degli enzimi liberati dai batteri lattici, le proteine vengono scomposte in pezzi più piccoli, in peptidi e in amino-acidi liberi, mattoni base della catena proteica. Questa azione di scomposizione proteica (proteolisi) determina le proprietà della struttura e sensoriali del Parmigiano Reggiano e la sua alta digeribilità.
Export e Covid-19
Da sempre uno dei prodotti di punta dell’export italiano, il Parmigiano Reggiano ha fatto registrare numeri altissimi anche durante il periodo di chiusura causato dal Coronavirus. Nonostante, infatti, l’incertezza dei mercati internazionali, il Parmigiano-Reggiano ha chiuso il primo semestre 2020 con il segno positivo sia in Italia che all’estero.
Da un’analisi del Consorzio e del Centro Ricerche Produzioni Animali (Crpa) è emerso che, se in Italia l’aumento complessivo delle vendite è stato pari al 6,1% (34.200 tonnellate contro le 32mila del semestre precedente), all’estero, l’export è cresciuto dell’11,9%. Nel primo semestre del 2020, il primo mercato è stato la Germania (quota 19,6% su totale export), seguito da Francia (19,5%) - fino ad ora primo mercato dopo l’Italia, USA (18,2%), Regno Unito (13,5%) e Canada (5%).
All’estero preferiscono i porzionati e i grattugiati che crescono rispettivamente del 14,7% e del 14,2%, mentre calano le forme intere che registrano una flessione pari al 5,9%. Nicola Bertinelli, presidente del Consorzio Parmigiano Reggiano, ha commentato il recente successo sui mercati affermando: “In questo momento di crisi e incertezza il mercato ci ha premiato. I dati dimostrano come la marca forte e ben posizionata verso il consumatore sia stata il vaccino migliore per arginare gli impatti commerciali del Covid”.
Ricordiamo – aggiunge Bertinelli – che il Parmigiano Reggiano ha ottenuto ottime performance in termini di vendite, ma che sta anche soffrendo di un eccesso di offerta che ha causato un calo dei prezzi ed una conseguente riduzione della rimuneratività per le nostre aziende produttrici. Ci stiamo dando da fare per rispondere prontamente alla crisi. Le misure che abbiamo adottato sono sostanzialmente tre. In primo luogo, il Consorzio acquisterà dai suoi 335 caseifici fino a 320mila forme (160mila dell’ultimo quadrimestre 2019 e 160mila del primo quadrimestre 2020) così da riequilibrare il mercato. Le forme saranno conservate nei magazzini, fatte stagionare più a lungo e reimmesse progressivamente sul mercato quando sarà possibile ottenere una remunerazione adeguata al prodotto. Non è la prima volta che il Consorzio interviene per ritirare le forme al fine di alzare le quotazioni: era già successo nel 2014-2015. La novità è che ora il Consorzio non si limiterà a ritirare le forme dal mercato, ma ridurrà ulteriormente le quote di produzione che sono state stabilite per il triennio a venire”.