x

x

Incidente probatorio e partecipazione dell’indagato

Ciò di cui si discute è se in sede di espletamento dell’incidente probatorio possa l’indagato assistere alle operazioni svolte dal perito nominato dal giudice, posto che la norma di cui all’articolo 407 comma terzo Codice Procedura Penale non sembra precludere tale facoltà.

Va detto peraltro che se il diritto della parte indagata di assistere all’incidente probatorio allorché si tratti di esaminare un testimone o altra persona si presenta come incondizionato, negli altri casi di cui parla la norma al comma terzo occorre una previa autorizzazione del giudice.

Le perplessità sorgono ove si rifletta sulla delicatezza del momento in cui detta partecipazione si manifesta (rectius: dovrebbe manifestarsi), ovvero in una fase equiparata dal punto di vista processuale all’istruzione espletata nel dibattimento (a norma dell’articolo 401 comma quinto

Codice Procedura Penale “le prove sono assunte con le forme stabilite per il dibattimento”).

Al riguardo vale la pena di soffermarsi su come la disposizione in esame è stata interpretata nel diritto vivente, con particolare attenzione a taluni interessanti pronunciamenti dei giudici di merito.

Una prima ordinanza emessa in data 12 marzo 2003 dal Giudice Indagini Preliminari del Tribunale di Lucca, inedita, escludeva senza mezzi termini la presenza dell’indagato alle operazioni peritali. In particolare, l’eccezione sollevata dalla difesa dell’indagato veniva respinta a partire da una interpretazione letterale dell’articolo 229 comma secondo

Codice Procedura Penale laddove “il termine parti deve intendersi in senso processuale e non fisico e, in secondo luogo, il richiamo alle parti presenti non implica necessariamente che tra queste debba individuarsi l’indagato”; sul piano sistematico, si motivava l’esclusione sulla base del combinato disposto degli articoli 401 e 360 Codice Procedura Penale.

Più articolata l’ordinanza del

Giudice Indagini Preliminari di Pescara del 22.09.2005, inedita, che pur autorizzando la partecipazione diretta degli indagati alle indagini peritali la condizionava all’emersione di un "interesse concreto e attuale all’esercizio in quella forma del diritto di difesa" che nel caso di specie ricorreva per la riesumazione e l’esame autoptico di cadavere, "mentre non è ravvisabile in relazione alla fase delle acquisizioni documentali e delle relative valutazioni".

La parte motiva di detta ordinanza si richiama adesivamente a quanto espresso da Cassazione - Sezione I, 25 giugno 1999 n. 10795

[Vedi Cassazione  penale 1998, 6, 1853], secondo la quale deve ritenersi infondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 401 comma terzo Codice Procedura Penale poiché negli altri casi in cui deve essere autorizzata la partecipazione dell’indagato all’incidente probatorio "il parametro di riferimento da osservare per concedere, o non, l’autorizzazione, è proprio quello offerto dall’articolo 24 comma 2, Costituzione, così da consentire la partecipazione dell’interessato nei soli casi in cui emerga un suo interesse, concreto e attuale, all’esercizio in quella forma del diritto di difesa".

La pronuncia del giudice di legittimità ha peraltro avuto l’indubbio merito di perimetrare i limiti entro i quali il potere discrezionale del giudice nell’autorizzare la partecipazione dell’indagato può esplicarsi senza incorrere nella nullità ex articolo 178 lett. c), che sono per l’appunto ravvisabili nel ricorso di un interesse attuale e qualificato

dell’indagato a partecipare a singoli atti ovvero a ben individuati momenti del percorso formativo della prova, previa richiesta da parte dell’indagato che specifichi ed alleghi l’utilità/opportunità del suo intervento durante l’incidente probatorio [Sul punto si veda Chiariello, Incidente probatorio e limiti all’intervento ed alla partecipazione dell’indagato e dell’imputato, Cass. pen. 1998, 6, 1853].

Limiti che se compressi oltre misura, avrebbero l’effetto di pregiudicare l’esercizio del diritto di difesa che può e deve trovare adeguata protezione anche in quell’anticipazione di dibattimento rappresentata dall’incidente probatorio, i cui verbali – è il caso di ricordarlo – sono destinati a migrare nel fascicolo per il dibattimento (articolo 431 primo comma lett. e).

Fine ultimo delle indagini preliminari è la raccolta di elementi sufficienti a fondare un’accusa che possa reggere all’urto di un’attività istruttoria le cui norme regolatrici sono improntate alla tutela del diritto di difesa e alla presunzione di non colpevolezza, pertanto il ruolo assunto in tale fase dall’indagato quale portatore di un patrimonio conoscitivo in ordine ai fatti per i quali si procede che potrebbe rivelarsi determinante non dovrebbe conoscere degradazioni sol perché il mezzo di prova da assumere sia diverso dall’esame.

Nel caso specifico della perizia, si consideri il grado di attinenza che talvolta ricorre tra il tipo di accertamenti da eseguire e la professionalità e/o le competenze tecniche dell’indagato (es.: esame autoptico per fatti che vedono indagato un medico), e come in questi casi l’intervento del consulente di parte, figura prevista dal codice come soltanto eventuale, possa non essere sufficiente a garantire il pieno contraddittorio anche sotto il profilo tecnico-materiale.

Peraltro il contatto perito-indagato è espressamente confermato dallo stesso articolo 228 comma 3

Codice Procedura Penale, ove si contempla la possibilità da parte del primo di richiedere notizie o chiarimenti all’imputato, alla persona offesa o ad altre persone. La norma è risolutiva per un duplice ordine di ragioni:

a)      poiché se ne deduce che l’interazione tra i soggetti deve essere contestuale;

b)      per il fatto di prevedere una partecipazione non meramente inerte ma al contrario attiva, consistente nella facoltà di poter apportare alla ricostruzione dei fatti il proprio contributo di cognizioni ed esperienze [Precisa Chiariello, Incidente probatorio, cit., che per negare all’indagato il diritto di partecipare attivamente all’assunzione della prova a nulla varrebbe obbiettare che l’art. 230 comma 2, in caso di perizia, riconosce, espressamente, al solo consulente di parte la possibilità di proporre specifiche indagini e formulare osservazioni e riserve. Difatti, la norma de qua è destinata a «definire» i poteri di un soggetto «eventuale» (ovverosia al consulente cfr. art. 225 c.p.p.); e non può condurre al risultato (altrimenti aberrante) di «comprimere» ovvero di «espropriare» in toto, l’indagato della facoltà di intervenire nelle forme già chiarite durante l’iter di assunzione della prova] sotto forma di informazioni, chiarimenti o dichiarazioni spontanee di cui si dovrebbe tenere comunque conto nel verbale di perizia, salvo il caso che esse si rivelino superflue o mirino a dilatare indebitamente i tempi di assunzione della prova.

Il diritto de quo deve ritenersi ulteriormente rafforzato dalla costituzionalizzazione dei principi del giusto processo avvenuta con la legge costituzionale n. 2/1999: se oggi il rispetto del principio del contraddittorio nella formazione della prova può considerarsi la regola mentre le eccezioni ad esso richiedono non solo che siano previste per legge ma addirittura “per consenso dell’imputato o per accertata impossibilità di natura oggettiva o per effetto di provata condotta illecita” (articolo 111 comma quinto Costituzione) si capisce come il diritto spettante all’indagato possa essere condizionato dal Giudice Indagini Preliminari mediante autorizzazione ex articolo 401 comma terzo Codice Procedura Penale solo ove, a seguito delle valutazioni circa la presenza di un interesse attuale e concreto effettuate alla luce delle nuove disposizioni costituzionali che incrementano le garanzie di difesa in ambito penale, risulti ancora un margine di operatività per l’esercizio di siffatto potere giurisdizionale.

Del resto, in punto di legittimità costituzionale della disposizione in oggetto, se la Suprema Corte nella sentenza n.10795/1999 nel ritenere infondata la relativa questione si agganciava all’articolo 24 comma secondo della Costituzione, specificando che “negli altri casi il parametro di riferimento da osservare per concedere, o non, l’autorizzazione, è proprio quello offerto dall’articolo 24 comma 2 Costituzione”, oggi la fondatezza di una eventuale eccezione di costituzionalità della norma ex art. 401 comma terzo Codice Procedura Penale andrebbe necessariamente riletta e ponderata alla stregua del comma quinto dell’articolo 111 Costituzione che rimodula in termini maggiormente garantistici il diritto di difesa già affermato nella prima parte della Carta Fondamentale all’articolo 24 Costituzione.

Ciò di cui si discute è se in sede di espletamento dell’incidente probatorio possa l’indagato assistere alle operazioni svolte dal perito nominato dal giudice, posto che la norma di cui all’articolo 407 comma terzo Codice Procedura Penale non sembra precludere tale facoltà.

Va detto peraltro che se il diritto della parte indagata di assistere all’incidente probatorio allorché si tratti di esaminare un testimone o altra persona si presenta come incondizionato, negli altri casi di cui parla la norma al comma terzo occorre una previa autorizzazione del giudice.

Le perplessità sorgono ove si rifletta sulla delicatezza del momento in cui detta partecipazione si manifesta (rectius: dovrebbe manifestarsi), ovvero in una fase equiparata dal punto di vista processuale all’istruzione espletata nel dibattimento (a norma dell’articolo 401 comma quinto

Codice Procedura Penale “le prove sono assunte con le forme stabilite per il dibattimento”).

Al riguardo vale la pena di soffermarsi su come la disposizione in esame è stata interpretata nel diritto vivente, con particolare attenzione a taluni interessanti pronunciamenti dei giudici di merito.

Una prima ordinanza emessa in data 12 marzo 2003 dal Giudice Indagini Preliminari del Tribunale di Lucca, inedita, escludeva senza mezzi termini la presenza dell’indagato alle operazioni peritali. In particolare, l’eccezione sollevata dalla difesa dell’indagato veniva respinta a partire da una interpretazione letterale dell’articolo 229 comma secondo

Codice Procedura Penale laddove “il termine parti deve intendersi in senso processuale e non fisico e, in secondo luogo, il richiamo alle parti presenti non implica necessariamente che tra queste debba individuarsi l’indagato”; sul piano sistematico, si motivava l’esclusione sulla base del combinato disposto degli articoli 401 e 360 Codice Procedura Penale.

Più articolata l’ordinanza del

Giudice Indagini Preliminari di Pescara del 22.09.2005, inedita, che pur autorizzando la partecipazione diretta degli indagati alle indagini peritali la condizionava all’emersione di un "interesse concreto e attuale all’esercizio in quella forma del diritto di difesa" che nel caso di specie ricorreva per la riesumazione e l’esame autoptico di cadavere, "mentre non è ravvisabile in relazione alla fase delle acquisizioni documentali e delle relative valutazioni".

La parte motiva di detta ordinanza si richiama adesivamente a quanto espresso da Cassazione - Sezione I, 25 giugno 1999 n. 10795

[Vedi Cassazione  penale 1998, 6, 1853], secondo la quale deve ritenersi infondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 401 comma terzo Codice Procedura Penale poiché negli altri casi in cui deve essere autorizzata la partecipazione dell’indagato all’incidente probatorio "il parametro di riferimento da osservare per concedere, o non, l’autorizzazione, è proprio quello offerto dall’articolo 24 comma 2, Costituzione, così da consentire la partecipazione dell’interessato nei soli casi in cui emerga un suo interesse, concreto e attuale, all’esercizio in quella forma del diritto di difesa".

La pronuncia del giudice di legittimità ha peraltro avuto l’indubbio merito di perimetrare i limiti entro i quali il potere discrezionale del giudice nell’autorizzare la partecipazione dell’indagato può esplicarsi senza incorrere nella nullità ex articolo 178 lett. c), che sono per l’appunto ravvisabili nel ricorso di un interesse attuale e qualificato

dell’indagato a partecipare a singoli atti ovvero a ben individuati momenti del percorso formativo della prova, previa richiesta da parte dell’indagato che specifichi ed alleghi l’utilità/opportunità del suo intervento durante l’incidente probatorio [Sul punto si veda Chiariello, Incidente probatorio e limiti all’intervento ed alla partecipazione dell’indagato e dell’imputato, Cass. pen. 1998, 6, 1853].

Limiti che se compressi oltre misura, avrebbero l’effetto di pregiudicare l’esercizio del diritto di difesa che può e deve trovare adeguata protezione anche in quell’anticipazione di dibattimento rappresentata dall’incidente probatorio, i cui verbali – è il caso di ricordarlo – sono destinati a migrare nel fascicolo per il dibattimento (articolo 431 primo comma lett. e).

Fine ultimo delle indagini preliminari è la raccolta di elementi sufficienti a fondare un’accusa che possa reggere all’urto di un’attività istruttoria le cui norme regolatrici sono improntate alla tutela del diritto di difesa e alla presunzione di non colpevolezza, pertanto il ruolo assunto in tale fase dall’indagato quale portatore di un patrimonio conoscitivo in ordine ai fatti per i quali si procede che potrebbe rivelarsi determinante non dovrebbe conoscere degradazioni sol perché il mezzo di prova da assumere sia diverso dall’esame.

Nel caso specifico della perizia, si consideri il grado di attinenza che talvolta ricorre tra il tipo di accertamenti da eseguire e la professionalità e/o le competenze tecniche dell’indagato (es.: esame autoptico per fatti che vedono indagato un medico), e come in questi casi l’intervento del consulente di parte, figura prevista dal codice come soltanto eventuale, possa non essere sufficiente a garantire il pieno contraddittorio anche sotto il profilo tecnico-materiale.

Peraltro il contatto perito-indagato è espressamente confermato dallo stesso articolo 228 comma 3

Codice Procedura Penale, ove si contempla la possibilità da parte del primo di richiedere notizie o chiarimenti all’imputato, alla persona offesa o ad altre persone. La norma è risolutiva per un duplice ordine di ragioni:

a)      poiché se ne deduce che l’interazione tra i soggetti deve essere contestuale;

b)      per il fatto di prevedere una partecipazione non meramente inerte ma al contrario attiva, consistente nella facoltà di poter apportare alla ricostruzione dei fatti il proprio contributo di cognizioni ed esperienze [Precisa Chiariello, Incidente probatorio, cit., che per negare all’indagato il diritto di partecipare attivamente all’assunzione della prova a nulla varrebbe obbiettare che l’art. 230 comma 2, in caso di perizia, riconosce, espressamente, al solo consulente di parte la possibilità di proporre specifiche indagini e formulare osservazioni e riserve. Difatti, la norma de qua è destinata a «definire» i poteri di un soggetto «eventuale» (ovverosia al consulente cfr. art. 225 c.p.p.); e non può condurre al risultato (altrimenti aberrante) di «comprimere» ovvero di «espropriare» in toto, l’indagato della facoltà di intervenire nelle forme già chiarite durante l’iter di assunzione della prova] sotto forma di informazioni, chiarimenti o dichiarazioni spontanee di cui si dovrebbe tenere comunque conto nel verbale di perizia, salvo il caso che esse si rivelino superflue o mirino a dilatare indebitamente i tempi di assunzione della prova.

Il diritto de quo deve ritenersi ulteriormente rafforzato dalla costituzionalizzazione dei principi del giusto processo avvenuta con la legge costituzionale n. 2/1999: se oggi il rispetto del principio del contraddittorio nella formazione della prova può considerarsi la regola mentre le eccezioni ad esso richiedono non solo che siano previste per legge ma addirittura “per consenso dell’imputato o per accertata impossibilità di natura oggettiva o per effetto di provata condotta illecita” (articolo 111 comma quinto Costituzione) si capisce come il diritto spettante all’indagato possa essere condizionato dal Giudice Indagini Preliminari mediante autorizzazione ex articolo 401 comma terzo Codice Procedura Penale solo ove, a seguito delle valutazioni circa la presenza di un interesse attuale e concreto effettuate alla luce delle nuove disposizioni costituzionali che incrementano le garanzie di difesa in ambito penale, risulti ancora un margine di operatività per l’esercizio di siffatto potere giurisdizionale.

Del resto, in punto di legittimità costituzionale della disposizione in oggetto, se la Suprema Corte nella sentenza n.10795/1999 nel ritenere infondata la relativa questione si agganciava all’articolo 24 comma secondo della Costituzione, specificando che “negli altri casi il parametro di riferimento da osservare per concedere, o non, l’autorizzazione, è proprio quello offerto dall’articolo 24 comma 2 Costituzione”, oggi la fondatezza di una eventuale eccezione di costituzionalità della norma ex art. 401 comma terzo Codice Procedura Penale andrebbe necessariamente riletta e ponderata alla stregua del comma quinto dell’articolo 111 Costituzione che rimodula in termini maggiormente garantistici il diritto di difesa già affermato nella prima parte della Carta Fondamentale all’articolo 24 Costituzione.