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Ineffabile delatore e simulazione di reato

Non me ne voglia nessuno, se mi permetto, forse osando oltre modo, di descrivere delle dinamiche che, in alcuni settori della Pubblica Amministrazione sussistono e per quanto mi concerne, sono da ritenersi, usando un eufemismo, poco agevoli, incongruenti quanto incomprensibili.

Dico questo, in quanto, incolpevolmente mi ritengo un “suitas”, perché ricettore di disposizioni che, per fortuna o mio malgrado, non ho coadiuvato né a creare né a definire. Ma tant'è.

Sia chiaro, lungi da me alimentare meccanismi tortuosi o pensieri astrusi per quanto andrò a raccontare, ma ritengo che non è un principio democratico, avvantaggiarsi dell’anonimato per denunciare circostanze che pur astrattamente configurabili come reato, si scoprono poi, arbitrarie, illegittime e infondate.

In verità, il nostro ordinamento, non tollera le denunce segrete e/o anonime, da ritenersi peraltro estranee al nostro sistema giuridico.

Basti pensare, a titolo esemplificativo l’articolo 111 della Costituzione che nel ribadire l’essenzialità di un giusto processo garantisce il diritto dell’accusato di interrogare o far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico.

Dunque, tale assunto presuppone che, colui il quale venga accusato abbia il diritto di conoscere l’autore opportunamente identificato di tali accusatorie dichiarazioni, mosse nei suoi confronti.

L’anonimato è visto con sfavore anche dal Codice di Procedura Penale, vedasi l’articolo 240 del cpp, laddove si rimarca la circostanza che le dichiarazioni anonime non possono essere acquisite, né utilizzate, salvo che costituiscano il corpo del reato o provengano comunque dall'imputato;

l’articolo 195 comma 7 del Codice di Proceduta Penale che stabilisce l’inutilizzabilità della testimonianza di chi si rifiuta o non è in grado di indicare la persona o la fonte da cui abbia appreso la notizia;

così il medesimo articolo 203 del Codice di Procedura Penale che avverte che sono inutilizzabili le informazioni rese dagli informatori alla polizia giudiziaria quando il nome degli stessi non venga rivelato.

Orbene, perché, ancora oggi, pare sufficiente attivare un’attività di indagine e/o un procedimento penale con una semplice telefonata anonima?

Da quanto sopra, appare incontrovertibile che non si può riconoscere alcuna ricchezza di contributo, anche eminentemente sociale di chi attraverso una telefonata anonima, attivi anche un procedimento ispettivo, ipotizzando fatti astrattamente configurabili come reato, che successivamente, vengono acclarati, essere destituiti di fondamento.

Eppure, l’ineffabile delatore, pare goda di un certo privilegio e sovente sfugge alle sue responsabilità, circostanza che non lo rende, tuttavia immune da quelle, se le sue asserzioni, opportunamente analizzate, ne consentano, poi, anche la sua identificazione.

E su questo punto, si pone un interrogativo di questo tenore:- può essere lasciato impunito un delatore che, avvantaggiandosi dell’anonimato, evidenziando un pusillanime comportamento, per fini esclusivamente personali attivi un procedimento penale, che si svela poi infondato?

No, direi assolutamente no!

Ed ecco il nostro caso, che giova sottolineare, il cui riferimento a fatti e circostanze, è da ritenersi meramente casuale, nonché quale spunto e invito ad un mera riflessione su quanto si andrà a prospettare.

Un anonimo interlocutore, a mezzo telefono, contatta un organo ispettivo e racconta che un lavoratore, indicandone il nome e il cognome, grazie all'ausilio del proprio datore di lavoro aveva commesso una Truffa, denunciando un finto infortunio

Ebbene, il funzionario ispettivo che riceve la telefonata anonima, attiva le prime indagini e scopre che effettivamente un dato giorno vi era stato un infortunio in itinere che aveva coinvolto il lavoratore, oggetto di segnalazione.

Sulla base di tale astratta configurazione del reato di truffa, quel Pubblico ufficiale, ex articolo 331 del Codice di Procedura Penale, informa la polizia giudiziaria.

Questa, pertanto, in ossequio a quanto dispongono gli articoli 55 e 348 comma 2 lettera b del Codice di Procedura Penale, inizia a raccogliere elementi oggettivi e soggettivi per acclarare se quanto esposto, veramente, potesse configurarsi come truffa e quindi identificarne gli autori del reato.

Ma, da una complessa e articolata indagine, si perveniva, alla conclusione, di contro che, quell’anonimo denunciante, aveva attivato un procedimento penale, sulla base di una falsa denuncia.

Allora, lo stesso Ufficio di Polizia Giudiziaria che aveva ricevuto la “notitia criminis”, informava l’autorità Giudiziaria degli accadimenti, ipotizzando il reato previsto e punito dall’articolo 367 del codice penale che statuisce:-

“Chiunque, con denuncia, querela, richiesta o istanza, anche se anonima o sotto falso nome, diretta all’Autorità Giudiziaria o ad altra Autorità che a quella abbia obbligo di riferirne, afferma falsamente essere avvenuto un reato, ovvero simula le tracce di un reato, in modo che si possa iniziare un procedimento penale per accertarlo, è punito con la reclusione da uno a tre anni”.

E contestualmente chiedeva l’acquisizione del tabulato telefonico in entrata per il giorno e l’ora in cui l’Ufficio interessato, aveva ricevuto la denuncia.

Il Pubblico Ministero, sposando l’ipotesi di reato ipotizzata dalla Polizia Giudiziaria, autorizzava quest’ultima ad acquisire il tabulato telefonico delle chiamate in entrata, ex articolo 256 codice di procedura penale, nonché articolo 132 comma 3 Decreto Legislativo 30 giugno 2013 e l’articolo 6 della Legge 31 luglio 2005 n. 155.

Ragionevolmente, occorre sottolineare che, posto che la telefonata in oggetto, era stata fatta entro il termine di 24 mesi, non occorre, nel caso che ci occupa che il provvedimento del Pubblico Ministero, sia oggetto di valutazione e autorizzazione del Giudice per le indagini preliminari.

Dunque, come sopra narrato, anche una semplice telefonata, può integrare l’elemento oggettivo di cui all'articolo 367 del Codice Penale.

Così la Corte di Cassazione, Sezione VI nella sentenza  del 11 dicembre 2012, n. 48440 (conformi la sentenza n. 1452 del 1965 e la n. 35543 del 2012) che ha così stabilito:-

“la falsa denuncia che integra l’elemento oggettivo del reato di cui all'articolo 367 del Codice Penale, può essere formulata con qualunque atto idoneo a provocare investigazioni, ed è quindi sufficiente anche una comunicazione telefonica”.

Per concludere, una volta che il gestore telefonico comunicava il numero di telefono chiamante e si identificava il possessore e per ciò l’autore del reato, si constatava che quell'accusatore, altri non era che un collega di lavoro dell’infortunato che chissà per quali sibillini motivi, con quell'indicibile e illegittimo gesto, aveva attivato un procedimento penale, denunciando all'Autorità un fatto, astrattamente reato, ma mai avvenuto.

Non me ne voglia nessuno, se mi permetto, forse osando oltre modo, di descrivere delle dinamiche che, in alcuni settori della Pubblica Amministrazione sussistono e per quanto mi concerne, sono da ritenersi, usando un eufemismo, poco agevoli, incongruenti quanto incomprensibili.

Dico questo, in quanto, incolpevolmente mi ritengo un “suitas”, perché ricettore di disposizioni che, per fortuna o mio malgrado, non ho coadiuvato né a creare né a definire. Ma tant'è.

Sia chiaro, lungi da me alimentare meccanismi tortuosi o pensieri astrusi per quanto andrò a raccontare, ma ritengo che non è un principio democratico, avvantaggiarsi dell’anonimato per denunciare circostanze che pur astrattamente configurabili come reato, si scoprono poi, arbitrarie, illegittime e infondate.

In verità, il nostro ordinamento, non tollera le denunce segrete e/o anonime, da ritenersi peraltro estranee al nostro sistema giuridico.

Basti pensare, a titolo esemplificativo l’articolo 111 della Costituzione che nel ribadire l’essenzialità di un giusto processo garantisce il diritto dell’accusato di interrogare o far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico.

Dunque, tale assunto presuppone che, colui il quale venga accusato abbia il diritto di conoscere l’autore opportunamente identificato di tali accusatorie dichiarazioni, mosse nei suoi confronti.

L’anonimato è visto con sfavore anche dal Codice di Procedura Penale, vedasi l’articolo 240 del cpp, laddove si rimarca la circostanza che le dichiarazioni anonime non possono essere acquisite, né utilizzate, salvo che costituiscano il corpo del reato o provengano comunque dall'imputato;

l’articolo 195 comma 7 del Codice di Proceduta Penale che stabilisce l’inutilizzabilità della testimonianza di chi si rifiuta o non è in grado di indicare la persona o la fonte da cui abbia appreso la notizia;

così il medesimo articolo 203 del Codice di Procedura Penale che avverte che sono inutilizzabili le informazioni rese dagli informatori alla polizia giudiziaria quando il nome degli stessi non venga rivelato.

Orbene, perché, ancora oggi, pare sufficiente attivare un’attività di indagine e/o un procedimento penale con una semplice telefonata anonima?

Da quanto sopra, appare incontrovertibile che non si può riconoscere alcuna ricchezza di contributo, anche eminentemente sociale di chi attraverso una telefonata anonima, attivi anche un procedimento ispettivo, ipotizzando fatti astrattamente configurabili come reato, che successivamente, vengono acclarati, essere destituiti di fondamento.

Eppure, l’ineffabile delatore, pare goda di un certo privilegio e sovente sfugge alle sue responsabilità, circostanza che non lo rende, tuttavia immune da quelle, se le sue asserzioni, opportunamente analizzate, ne consentano, poi, anche la sua identificazione.

E su questo punto, si pone un interrogativo di questo tenore:- può essere lasciato impunito un delatore che, avvantaggiandosi dell’anonimato, evidenziando un pusillanime comportamento, per fini esclusivamente personali attivi un procedimento penale, che si svela poi infondato?

No, direi assolutamente no!

Ed ecco il nostro caso, che giova sottolineare, il cui riferimento a fatti e circostanze, è da ritenersi meramente casuale, nonché quale spunto e invito ad un mera riflessione su quanto si andrà a prospettare.

Un anonimo interlocutore, a mezzo telefono, contatta un organo ispettivo e racconta che un lavoratore, indicandone il nome e il cognome, grazie all'ausilio del proprio datore di lavoro aveva commesso una Truffa, denunciando un finto infortunio

Ebbene, il funzionario ispettivo che riceve la telefonata anonima, attiva le prime indagini e scopre che effettivamente un dato giorno vi era stato un infortunio in itinere che aveva coinvolto il lavoratore, oggetto di segnalazione.

Sulla base di tale astratta configurazione del reato di truffa, quel Pubblico ufficiale, ex articolo 331 del Codice di Procedura Penale, informa la polizia giudiziaria.

Questa, pertanto, in ossequio a quanto dispongono gli articoli 55 e 348 comma 2 lettera b del Codice di Procedura Penale, inizia a raccogliere elementi oggettivi e soggettivi per acclarare se quanto esposto, veramente, potesse configurarsi come truffa e quindi identificarne gli autori del reato.

Ma, da una complessa e articolata indagine, si perveniva, alla conclusione, di contro che, quell’anonimo denunciante, aveva attivato un procedimento penale, sulla base di una falsa denuncia.

Allora, lo stesso Ufficio di Polizia Giudiziaria che aveva ricevuto la “notitia criminis”, informava l’autorità Giudiziaria degli accadimenti, ipotizzando il reato previsto e punito dall’articolo 367 del codice penale che statuisce:-

“Chiunque, con denuncia, querela, richiesta o istanza, anche se anonima o sotto falso nome, diretta all’Autorità Giudiziaria o ad altra Autorità che a quella abbia obbligo di riferirne, afferma falsamente essere avvenuto un reato, ovvero simula le tracce di un reato, in modo che si possa iniziare un procedimento penale per accertarlo, è punito con la reclusione da uno a tre anni”.

E contestualmente chiedeva l’acquisizione del tabulato telefonico in entrata per il giorno e l’ora in cui l’Ufficio interessato, aveva ricevuto la denuncia.

Il Pubblico Ministero, sposando l’ipotesi di reato ipotizzata dalla Polizia Giudiziaria, autorizzava quest’ultima ad acquisire il tabulato telefonico delle chiamate in entrata, ex articolo 256 codice di procedura penale, nonché articolo 132 comma 3 Decreto Legislativo 30 giugno 2013 e l’articolo 6 della Legge 31 luglio 2005 n. 155.

Ragionevolmente, occorre sottolineare che, posto che la telefonata in oggetto, era stata fatta entro il termine di 24 mesi, non occorre, nel caso che ci occupa che il provvedimento del Pubblico Ministero, sia oggetto di valutazione e autorizzazione del Giudice per le indagini preliminari.

Dunque, come sopra narrato, anche una semplice telefonata, può integrare l’elemento oggettivo di cui all'articolo 367 del Codice Penale.

Così la Corte di Cassazione, Sezione VI nella sentenza  del 11 dicembre 2012, n. 48440 (conformi la sentenza n. 1452 del 1965 e la n. 35543 del 2012) che ha così stabilito:-

“la falsa denuncia che integra l’elemento oggettivo del reato di cui all'articolo 367 del Codice Penale, può essere formulata con qualunque atto idoneo a provocare investigazioni, ed è quindi sufficiente anche una comunicazione telefonica”.

Per concludere, una volta che il gestore telefonico comunicava il numero di telefono chiamante e si identificava il possessore e per ciò l’autore del reato, si constatava che quell'accusatore, altri non era che un collega di lavoro dell’infortunato che chissà per quali sibillini motivi, con quell'indicibile e illegittimo gesto, aveva attivato un procedimento penale, denunciando all'Autorità un fatto, astrattamente reato, ma mai avvenuto.