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Insurrezione al Congresso Usa: le conseguenze della politicizzazione della vita?

Congresso Usa
Congresso Usa

A seguito degli straordinari eventi verificatesi il 6 gennaio a Washington le garanzie, i pesi e contrappesi che dovrebbero equilibrare i poteri, al fine di non abusarne, degli organi federali funzionano? O le lacerazioni politiche e socio-economiche, aggravate negli ultimi quattro anni, urlano ad una necessaria riforma della democrazia americana?

 

Indice:

1. Breve accenno sulla forma di governo statunitense

2. Separazione dei poteri “montesquieuano”

3. La polarizzazione della competizione politica

4. Conclusione

 

Abstract:

L’articolo analizza le difficoltà e la sofferenza del sistema democratico statunitense dovute all’estremizzazione della competizione politica e sfociate nell’assalto al Congresso da parte di sostenitori dell’ormai ex-Presidente Trump

 

The article analyzes the crisis of the American political system after Trump's administration

 

1. Breve accenno sulla forma di governo statunitense

Gli Stati Uniti d’America sono una repubblica avente una forma di governo presidenziale in un sistema federale[1]. 

Tale repubblica è formata da cinquanta Stati federati e guidati da un Presidente che, quale commander in chief (comandante in capo) avente responsabilità politica nei confronti del popolo, è allo stesso tempo Capo di Stato e di Governo. Eletto indirettamente (prima dal corpo elettorale e poi dai Grandi Elettori) egli non può venir meno se non nel caso di impeachment (istituto simile al nostro della messa in stato di accusa del Presidente della Repubblica) e nel caso in cui si attivi il procedimento previsto dal 25° Emendamento. L’indipendenza statunitense trae la sua forza giuridica dalla Costituzione del 1787 che è Legge fondamentale scritta (nonostante si tratti di un ordinamento di common law). Quest’ultima sancisce la separazione dei poteri mitigata dal principio di checks and balances: tale espressione indica un sostanziale equilibrio tra i tre poteri dello Stato, i quali si controllano vicendevolmente.

Ai sensi dell’articolo I il potere legislativo spetta al Congresso, un organo bicamerale composto dal Senato eletto su base statale e dalla Camera eletta su base nazionale. Quest’organo adotta le leggi “necessarie ed adatte” per l’esercizio dei poteri espressamente previsti nel dettato costituzionale.

Ai sensi dell’articolo II il Presidente degli Stati Uniti esercita il potere esecutivo, ha il comando delle forze armate, ha il potere – previo consenso del Senato – di stipulare trattati internazionali e nominare ambasciatori, consoli ed altri rappresentanti diplomatici. A ciò si aggiunge la fondamentale competenza di nominare i giudici della Corte Suprema e quelli delle 13 Corti d'appello, 94 corti distrettuali, due corti di giurisdizione speciale, previo consenso del Senato ai sensi dell’art. III

La funzione giurisdizionale federale, infine, è espressamente attribuita dall’articolo III alla Corte Suprema.

Il Congresso può, inoltre, istituire corti federali inferiori: ciò è quanto accaduto con l’adozione del Judiciary Act del 1789, la cui attuazione ha realizzato un sistema che, oltre alla Suprema Corte quale giudice di ultima istanza, si articola su due gradi di giudizio (le Corti distrettuali in primo grado e le Corti d’Appello in secondo).

L’ordinamento giudiziario statunitense si realizza sia sul piano nazionale ma anche su quello locale: alle Corti federali suindicate, si affiancano le Corti statali che hanno una varietà di denominazioni states by states.

 

2. Separazione dei poteri “montesquieuano”

 

La forma di governo presidenziale statunitense riproduce in chiave repubblicana la teoria elaborata  da Montesquieu fondata sull’idea che "Chiunque abbia potere è portato ad abusarne; egli arriva sin dove non trova limiti [...]. Perché non si possa abusare del potere occorre che [...] il potere arresti il potere". Individua, inoltre, tre poteri (intesi come funzioni) dello Stato - legislativo, esecutivo e giudiziario - così descritti: "In base al primo di questi poteri, il principe o il magistrato fa delle leggi per sempre o per qualche tempo, e corregge o abroga quelle esistenti. In base al secondo, fa la pace o la guerra, invia o riceve delle ambascerie, stabilisce la sicurezza, previene le invasioni. In base al terzo, punisce i delitti o giudica le liti dei privati", perché “una sovranità indivisibile e illimitata è sempre tirannica”.  

Si tratta della monarchia costituzionale, basata sulla separazione dei poteri tra Monarca (detentore del potere esecutivo poiché “[…] una azione istantanea, è amministrata meglio da uno che da parecchi”) e Parlamento (detentore del potere legislativo. Una forma di governo la cui pietra angolare risiede, dunque, nella netta separazione tra esecutivo e legislativo, tra Presidente e Congresso, ciascuno dei quali non in grado di revocare anticipatamente l’altro (tranne il caso eccezionale dell’impeachment). Un sistema in cui i poteri, contrapponendosi, si controllano a vicenda, assicurando così quei checks and balances che devono esserci in democrazia.

Se la maggioranza di entrambe le Camere condivide la stessa linea politica del Presidente il sistema funziona determinando, però, una posizione di forza di quest’ultimo in quanto il Congresso svolgerebbe nella sostanza un potere di ratifica degli atti presidenziali. Il che è esattamente quanto accaduto con Trump, con un partito repubblicano alla mercé del Presidente.

Tuttavia, dal momento che il Congresso viene rieletto (la Camera dei rappresentanti per metà e il Senato per un terzo) ogni due anni (elezioni di midterm) il Presidente potrebbe avere una maggioranza in una sola Camera e il sistema rischierebbe di entrare in crisi.

Tale rischio è stato finora superato in quanto i singoli candidati sono molto più autonomi e forti rispetto al partito di appartenenza, non essendo soggetti ad una rigida disciplina di partito. Sono attenti invece ad interessi localistici ed alla pressione dei portatori d’interesse (lobbies) pur di essere rieletti. Ma soprattutto il rischio di rottura del sistema è stato evitato per il modo di attuazione d’interpretazione della Costituzione: la condivisone, cioè, di quei principi, diritti, valori e regole non scritte con cui si coordinando le istituzioni e che si compenetrano con la carta costituzionale. In altre parole è la teoria della Costituzione materiale di Costantino Mortati.

Tutto ciò ha permesso la tenuta di un sistema in cui istituzioni separate non condividono il potere ma competono tra loro per condividere il potere (Elia). Era quindi in certo senso inevitabile che la Presidenza Trump, esaltando e con ciò acuendo le profonde fratture di varia natura (sociali, economiche, culturali, razziali, religiose) che ancora caratterizzano la società statunitense, finisse per radicalizzare il conflitto politico, erodendo i fondamenti civici ed etici del sistema di governo statunitense.

 

3. La polarizzazione della competizione politica

Durante il mandato di Donald Trump si è verificata una estrema politicizzazione del sistema democratico: lo smodato uso del potere di veto sulle leggi incluso quello sulla legge sul bilancio statale provocandone il blocco (shutdown); molteplicità di ordinanze presidenziali; la politicizzazione della procedura di messa in stato di accusa (c.d. impeachment), da ultimo promossa contro Trump dalla Camera democratica e respinta dal Senato repubblicano, con forzature in entrambe le decisioni; la nomina di un giudice della Corte Suprema (Amy Coney Barrett) poche settimane prima dell’elezioni presidenziali, violando una prassi consolidata negli anni.

E l’assalto a Capitol Hill è l’ultima, estrema conseguenza di questo processo.

Esso costituisce la drammatica riprova di come l’elezione dell’avversario politico alla Presidenza non venga più percepita come frutto della fisiologica alternanza al potere ma come una radicale minaccia all’esistenza stessa degli Stati Uniti e da evitare ad ogni costo e con ogni mezzo.

Siamo quindi dinanzi alla crisi di un sistema di governo che ha dimostrato di non aver gli anticorpi istituzionali per difendersi da un Presidente che abusa dei suoi poteri. Anche la proposta di attivazione istantanea del 25° Emendamento (nel caso specifico la maggioranza del governo, in una riunione convocata e presieduta dal vicepresidente, stabilirebbe l’incapacità del presidente) sarebbe conseguenziale a tale polarizzazione potendo provocare ulteriori divisioni. Soltanto quella “costituzione materiale” ha garantito un estremo salvataggio del sistema.

Per questo motivo è illusorio credere che i problemi politico-istituzionali acuiti da Trump siano destinati ad essere superati dopo la sua uscita di scena. Anzi essi rischiano alla lunga di minare la democrazia statunitense se non si deciderà a riformarla profondamente, introducendovi maggiori garanzie meno condizionate dal potere politico.

 

4. Conclusione

I fatti del 6 gennaio sono un chiaro monito che dovrebbe interessare anche le democrazie parlamentari occidentali, ugualmente esposte alle minacce antisistema delle forze politiche sovraniste e nazionaliste. Tali forze si nutrono dei timori e delle preoccupazioni della gente e ne fomentano sempre di più. La risposta a ciò?

Rafforzare le istituzioni e le garanzie sul loro agire ma soprattutto incentivare un’informazione obiettiva e chiara per creare una conoscenza approfondita tra l’opinione pubblica.

Perché conoscere è potere, un potere buono.

 

[1] Elia, Governo (forme di) in Enciclopedia del diritto, Milano, Giuffrè Editore, 1970.