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Intercettazione telefonica e comparazione fonetica: la deriva pressappochista della Cassazione

L’esame della sentenza n. 33115 del 2 luglio 2021 e la teorizzazione dell’identificazione random
Bianco e nero
Ph. Paolo Panzacchi / Bianco e nero

Le intercettazioni telefoniche e ambientali sono di cruciale importanza nelle fasi investigative e processuali. Tuttavia, la giurisprudenza della Suprema Corte continua a misconoscere la necessità di competenze interdisciplinari al ruolo del trascrittore e del perito fonico.

Il processo penale dovrebbe essere in primo luogo uno strumento di conoscenza della realtà. Il tribunale è il luogo in cui la giustizia si realizza tramite procedure “controllabili e ripetibili che portano a inferenze e predizioni (sotto forma di ‘decisioni’) sulla base dell’evidenza. L’evidenza, attraverso l’accertamento pertinente e completo dei fatti, deve portare alla formazione della prova grazie alla pratica comunicativa del contraddittorio”.

L’assunto enunciato, da Mirko Grimaldi dell’Università del Salento, rimane lettera morta nei tribunali italiani dinanzi alla trascrizione di intercettazioni telefoniche e ambientali e alla comparazione della voce. La pratica ci insegna che qualsiasi metodo è ben accetto ed anzi più sono privi di fondamento scientifico è più vengono valorizzati nelle sentenze.

Per quel che concerne la trascrizione del parlato, banalmente si pensa che chiunque sia in grado di usare un programma di videoscrittura possa, con un po’ di pazienza, trascrivere il parlato intercettato. Tra le tante: La trascrizione della intercettazione costituisce una mera trasposizione grafica del loro contenuto” cassazione penale, sez. VI, 28 marzo 2018 n. 24744 e cassazione penale sez. VI, 15 marzo 2016 rv. 266775.

La preoccupante semplificazione continua: “La trascrizione delle registrazioni telefoniche si esaurisce in una serie di operazioni di carattere materiale, per le quali non sarebbe necessaria l’acquisizione di alcun contributo tecnico-scientifico” cassazione penale sez. VI, 20 ottobre 2015, n. 3027, Rv 266497.

Mentre per la comparazione della voce, campo che richiederebbe l’azione congiunta di conoscenze multidisciplinari applicate all’analisi della voce, la cassazione, con la sentenza del 2 luglio 2021, ritiene che l’interprete nominato possa procedere all’ascolto del parlato intercettato, alla traduzione e redazione della trascrizione e “alla attività di ricognizione vocale”.

In pratica, si certifica l’assenza di qualsivoglia base scientifica al delicato campo dell’analisi e identificazione della voce.

La vicenda processuale vede una persona indagata per ricettazione e sottoposta alla misura cautelare degli arresti domiciliari, confermati dal Tribunale del Riesame.

Avverso tale ordinanza si propone ricorso per cassazione sotto diversi profili e tra questi si deduce che “il riconoscimento della voce dell’indagato risulta del tutto congetturale e avvenuto asseritamente ad opera dell’interprete e della Guardia di Finanza”.

La cassazione, nel rigettare il ricorso, argomenta: “la voce di C. M. è stata riconosciuta con certezza sia dall’interprete di lingua senegalese che dai militari operanti … sulla validità ed utilizzabilità degli esiti della ricognizione vocale da parte dell’interprete, in tema di intercettazioni telefoniche, non ricorre alcuna incompatibilità, ex art. 144 c.p.p., nel caso in cui l’interprete, nominato ex art. 143-bis c.p.p. per la traduzione e trascrizione delle conversazioni registrate, effettui – in esecuzione del medesimo incarico - attività di ricognizione vocale, atteso che rientra tra i compiti del trascrittore anche quello di verificare, nei colloqui a più voci, quali espressioni siano attribuibili ad un soggetto e quali ad un altro, compiendo un’attività di carattere comparativo e ricognitivo rimessa alla decifrazione dei suoni, indispensabili per l’intellegibilità delle intercettazioni” cassazione penale, sezione II, presidente Gallo, estensore Pellegrino, n. 33115 del 2 luglio 2021.

Tale pronuncia non è isolata, sempre la cassazione sezione II, n. 32255 del 27 ottobre 2020, Cera, rv 280064 ha ritenuto che l’interprete nominato per la traduzione e trascrizione delle conversazioni registrate può identificare gli interlocutori e compiere un’attività di carattere comparativo e ricognitivo. L’interprete come una sorta di Dea Trina con capacità e conoscenze taumaturgiche.

Mentre la comunità internazionale denuncia la mancanza di professionalità degli operatori e l’uso di tecniche non riconosciute come scientifiche e raccomanda, nel campo della comparazione vocale, il metodo chiamato “rapporto di verosimiglianza”; la cassazione supera tutte le perplessità della scienza e con atto fideistico procede all’identificazione vocale ad opera del “quisque de populo”.

La Cassazione continua a dispensare la sua sicumera sulla base del personalissimo brocardo: “Le cose evidenti non hanno bisogno di alcuna prova”.

Peccato che dall’enunciato sono trascorsi mille anni e la scienza non li ha percorsi invano.