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La causa violenta nell'infortunio: profili di criticità

Quanto andrò, con estrema attenzione e ossequio a narrare non è un imprevisto isolato.

In effetti, alcuni eventi che possono verificarsi in costanza di rapporto di lavoro e in occasione di lavoro non sempre assumono la connotazione di infortunio.

Ed ecco qui il caso, il cui riferimento a fatti e persone è da ritenersi del tutto casuale e l’accadimento in quanto tale, sarà solo motivo di spunti di riflessione sulla tematica.

Un giorno d’estate, tra caldo torrido e siccità, un operaio agricolo, si muoveva tra le viti, a bordo del suo trattore al quale era ancorata una botte contenente sostanze chimiche che venivano nebulizzate sui vitigni.

Un’attività svolta da decenni ormai e che lo vedeva operaio specializzato, capace e puntuale, nonché quotidianamente impegnato alla tutela delle viti che producevano un eccellente vino rosso dop.

Suo malgrado, quel giorno, nel mentre prestava la sua opera, veniva colto da una improvvisa e violenta tosse con una emottisi sempre più intensa.

Accortosi di questo inaspettato evento, l’interessato, con grande abnorme sforzo, riusciva a fare rientro a bordo del suo piccolo trattore nel ricovero dei mezzi e degli attrezzi, lasciando alle sue spalle, copiose tracce ematiche che come nella favola di pollicino, sarebbero poi servite al medico legale per ricostruire, a posteriori, la dinamica dell’evento, che in prime cure aveva addirittura assunto l’aspetto di un potenziale crimine.

Invero, lo sventurato, nonostante fosse riuscito a portarsi con non poche difficoltà nel deposito, non veniva soccorso in tempo e dopo l’ennesimo colpo di tosse, cadeva dall’automezzo, battendo la testa e trovando la morte, a seguito di contraccolpo prodotto dall’emottisi.

I soccorsi, manco a dirlo, giungevano tardivamente e il medico legale, giunto sul posto alle ore 15,00 circa, ne constatava il decesso e stabiliva dall’esame del rigor mortis il decesso a circa otto ore prima.

A conclusione dell’attività tipica e del sopralluogo, questi, ancorati all’esame autoptico, effettuato sul cadavere, non evidenziava elementi tali da ritenere quel fatto come conseguenza di un reato.

L’autopsia, infatti, stabiliva che quell’operaio agricolo era deceduto per shock emorragico da sanguinamento massivo della massa tumorale polmonare.

Ovviamente, prima del responso autoptico il datore di lavoro aveva comunicato all’INAIL la circostanza dichiarandola come infortunio anche se le cause erano ancora in fase di accertamento.

Per tutto ciò, in ragione di tale denuncia, l’INAIL a mezzo proprio ufficio di vigilanza si incaricava di acclarare se quell’evento poteva essere definito un infortunio sul lavoro.

Acquisita la consulenza medico legale, posto che la morte dell’operaio era stata causata da uno shock emorragico da sanguinamento massivo della massa tumorale polmonare, si opponeva all’Organo di Vigilanza, una congiuntura di non facile definizione ai fini assicurativi, sulla base del principio contenuto nell’articolo 2 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 1124/1965 che al primo comma statuisce: “L'assicurazione comprende tutti i casi di infortunio avvenuti per causa violenta in occasione di lavoro, da cui sia derivata la morte o un'inabilità permanente al lavoro, assoluta o parziale, ovvero un'inabilità temporanea assoluta che importi l'astensione dal lavoro per più di tre giorni”.

L’esame autoptico e la relazione così confezionata dal medico legale, di contro, non chiarivano in concreto, né fornivano elementi utili giuslavoristicamente, segnatamente in materia di infortunio sul lavoro e/o malattia professionale

Invero, pur accertata la massa tumorale polmonare, non venivano indicate le cause di questa neoplasia, né tantomeno era stato valutato il curriculum lavorativo dell’operaio agricolo deceduto che, da oltre un decennio e quotidianamente era a contatto con agenti fisici, chimici e biologici. Questi, come da studi epidemiologici in agricoltura e nel florovivaismo sono causa di tumori del sistema emolinfopoietico, ma anche tumori del polmone, della prostata, del colon, ecc..

Inoltre, non veniva presa in considerazione la circostanza dello sforzo abnorme che il lavoratore prima di trovare la morte aveva fatto per raggiungere, a bordo dell’automezzo, la rimessa.

Nondimeno, la circostanza del mancato tempestivo soccorso.

Di conseguenza, sulla base di tali fatti, andava trovata la soluzione all’impasse, ritenendo comunque lo shock emorragico e quindi l’emottisi, così come si era presentata nel caso che ci occupa, quale causa violenta in occasione di lavoro, ovverossia, infortunio. Ma la questione non è di facile definizione.

In effetti, occorre dire che l’assicurazione contro gli infortuni, nasceva per tutelare eventi di natura fisicamente traumatica in parte già indicate dall’INAIL.

Le tabelle INAIL, tuttora, non possono ritenersi esaurienti, ovvero, non contemplano altrettanti eventi da catalogare come infortunio.

A tal uopo, solo l’interpretazione giurisprudenziale, ha opportunamente riconosciuto, adeguandosi al principio costituzionale contenuto nell’articolo 38, casi e circostanze non altrimenti inquadrati come eventi infortunistici.

Basti pensare che, la morte del lavoratore per cardiopatia causata anche dalle condizioni di lavoro, ad esempio, può configurare infortunio (Cassazione, Sezione Lavoro, 16 ottobre 2000, n. 13741).

Orbene, sulla base di quanto sopra narrato, senza alcuna pretesa di esaustività, l’infortunio sopra descritto si presta, senza tema di smentita a due interpretazioni:

1) la consulenza medico legale non fornisce elementi utili tali da ravvisare un nesso causale tra le lavorazioni agricole cui era sottoposto quotidianamente il lavoratore interessato e la patologia tumorale polmonare;

2) la stessa, appunto per questo, non esclude neppure che le sostanze nocive cui esternamente veniva a contatto l’operaio agricolo non abbiano potuto avere un’incidenza sulla patologia riscontrata in sede autoptica e a seguito di esame istologico.

Dunque, si pone un dilemma scientifico per stabilire causalità e malattia con un processo eziologico, pare ignoto, per stabilire la sussistenza oppure no, nel caso in esame, di un infortunio sul lavoro.

E’ fondamentale, a tal guisa, dimostrare che l’evento infortunistico non abbia avuto un privilegio in un diverso motivo e astrattamente idoneo a causare la neoplasia al polmone e che pertanto l’esposizione a sostanze chimiche, fisiche e biologiche di matrice lavorativa sia stata una condizione essenziale per l’insorgere del morbo o che ne abbia, di fatto, accelerato la patologia.

Ed ecco che interviene in qualche misura la giurisprudenza, definendo in maniera esauriente il concetto di causa violenta, così da poter annoverare anche l’accaduto sopra descritto come infortunio, ritenendo così un’azione violenta anche un fenomeno, provocato da fattori esterni ma che si sia manifestato alla fine con un’emottisi, "ictu oculi" non definibile come causa violenta.

In verità, la definizione di causa violenta, già novellata nell’articolo 7 della Legge 17 marzo 1898, n. 80, istitutiva dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, richiamava il carattere traumatico originato da cause meccaniche, fattori prevalenti di infortuni. Tale specificazione, ha subito nel corso del tempo una notevole rivisitazione. Attualmente, la causa violenta può definirsi finanche “un’azione rapida e concentrata nel tempo, che agisce dall’esterno, in modo da recare danno all’organismo del lavoratore” (Cassazione 12 dicembre 1989, n. 5514; Cassazione 9 giugno 1994, n. 5602)

In tal modo, la giurisprudenza ha fissato gli elementi che individuano la nozione di causa violenta in relazione all’infortunio sul lavoro: efficienza causale, esteriorità, rapidità e concentrazione, ma non sempre queste locuzioni si rinvengono in tutti i casi in maniera cristallina.

Così che, l’inoppugnabile attività accertata e effettivamente svolta in agricoltura da oltre un decennio da parte del defunto operaio agricolo, fornisce comunque una prova con un grado di ragionevole certezza, nel senso che esclusa anche la possibilità dell’eziopatogenesi professionale, questa può ben essere ravvisata in presenza di un rilevante grado di probabilità.

In effetti, gli elementi conoscitivi raccolti nel caso di specie, fanno propendere che quell’evento, così analizzato nella sua dinamica e nel suo percorso storico nell’ambito lavorativo, attesa l’esclusione di altri fattori extra professionali, non emersi e non acclarati, possa qualificarsi ragionevolmente come infortunio sul lavoro.

A supporto, giova osservare che anche gli studi epidemiologici possono a tale scopo essere utilizzati congiuntamente ad altri dati per suffragare una qualificata probabilità che l’evento narrato sia un infortunio sul lavoro o che comunque merita una particolare attenzione anche sotto il profilo della malattia professionale.

Così la giurisprudenza: “La nozione attuale di causa violenta comprende qualsiasi fattore presente nell’ambiente di lavoro; in maniera esclusiva o in misura significativamente diversa che nell’ambiente esterno, il quale agendo in maniera concentrata o lenta, provochi (nel primo caso) un infortunio sul lavoro, o (nel secondo) una malattia professionale”. “La prova del nesso causale deve avere un grado di ragionevole certezza, nel senso che esclusa la rilevanza della mera possibilità dell’eziopatogenesi professionale, questa può essere invece ravvista in presenza di un rilevante grado di probabilità, per accertare il quale il giudice deve valutare le conclusioni probabilistiche del consulente, desunte anche da dati epidemiologici” (ex multis Cassazione n. 12559 del 2006).

Il racconto del lavoratore agricolo, deceduto durante lo svolgimento della propria opera a causa di una emottisi, resta un caso ancora aperto.

In attesa, questo relatore ritiene pur con estrema cautela, ma ragionevolmente, che quell’evento nel suo dinamismo e che ha avuto teatro l'ambiente lavorativo e l'occasione di lavoro, possa essere classificato infortunio sul lavoro.

Quanto andrò, con estrema attenzione e ossequio a narrare non è un imprevisto isolato.

In effetti, alcuni eventi che possono verificarsi in costanza di rapporto di lavoro e in occasione di lavoro non sempre assumono la connotazione di infortunio.

Ed ecco qui il caso, il cui riferimento a fatti e persone è da ritenersi del tutto casuale e l’accadimento in quanto tale, sarà solo motivo di spunti di riflessione sulla tematica.

Un giorno d’estate, tra caldo torrido e siccità, un operaio agricolo, si muoveva tra le viti, a bordo del suo trattore al quale era ancorata una botte contenente sostanze chimiche che venivano nebulizzate sui vitigni.

Un’attività svolta da decenni ormai e che lo vedeva operaio specializzato, capace e puntuale, nonché quotidianamente impegnato alla tutela delle viti che producevano un eccellente vino rosso dop.

Suo malgrado, quel giorno, nel mentre prestava la sua opera, veniva colto da una improvvisa e violenta tosse con una emottisi sempre più intensa.

Accortosi di questo inaspettato evento, l’interessato, con grande abnorme sforzo, riusciva a fare rientro a bordo del suo piccolo trattore nel ricovero dei mezzi e degli attrezzi, lasciando alle sue spalle, copiose tracce ematiche che come nella favola di pollicino, sarebbero poi servite al medico legale per ricostruire, a posteriori, la dinamica dell’evento, che in prime cure aveva addirittura assunto l’aspetto di un potenziale crimine.

Invero, lo sventurato, nonostante fosse riuscito a portarsi con non poche difficoltà nel deposito, non veniva soccorso in tempo e dopo l’ennesimo colpo di tosse, cadeva dall’automezzo, battendo la testa e trovando la morte, a seguito di contraccolpo prodotto dall’emottisi.

I soccorsi, manco a dirlo, giungevano tardivamente e il medico legale, giunto sul posto alle ore 15,00 circa, ne constatava il decesso e stabiliva dall’esame del rigor mortis il decesso a circa otto ore prima.

A conclusione dell’attività tipica e del sopralluogo, questi, ancorati all’esame autoptico, effettuato sul cadavere, non evidenziava elementi tali da ritenere quel fatto come conseguenza di un reato.

L’autopsia, infatti, stabiliva che quell’operaio agricolo era deceduto per shock emorragico da sanguinamento massivo della massa tumorale polmonare.

Ovviamente, prima del responso autoptico il datore di lavoro aveva comunicato all’INAIL la circostanza dichiarandola come infortunio anche se le cause erano ancora in fase di accertamento.

Per tutto ciò, in ragione di tale denuncia, l’INAIL a mezzo proprio ufficio di vigilanza si incaricava di acclarare se quell’evento poteva essere definito un infortunio sul lavoro.

Acquisita la consulenza medico legale, posto che la morte dell’operaio era stata causata da uno shock emorragico da sanguinamento massivo della massa tumorale polmonare, si opponeva all’Organo di Vigilanza, una congiuntura di non facile definizione ai fini assicurativi, sulla base del principio contenuto nell’articolo 2 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 1124/1965 che al primo comma statuisce: “L'assicurazione comprende tutti i casi di infortunio avvenuti per causa violenta in occasione di lavoro, da cui sia derivata la morte o un'inabilità permanente al lavoro, assoluta o parziale, ovvero un'inabilità temporanea assoluta che importi l'astensione dal lavoro per più di tre giorni”.

L’esame autoptico e la relazione così confezionata dal medico legale, di contro, non chiarivano in concreto, né fornivano elementi utili giuslavoristicamente, segnatamente in materia di infortunio sul lavoro e/o malattia professionale

Invero, pur accertata la massa tumorale polmonare, non venivano indicate le cause di questa neoplasia, né tantomeno era stato valutato il curriculum lavorativo dell’operaio agricolo deceduto che, da oltre un decennio e quotidianamente era a contatto con agenti fisici, chimici e biologici. Questi, come da studi epidemiologici in agricoltura e nel florovivaismo sono causa di tumori del sistema emolinfopoietico, ma anche tumori del polmone, della prostata, del colon, ecc..

Inoltre, non veniva presa in considerazione la circostanza dello sforzo abnorme che il lavoratore prima di trovare la morte aveva fatto per raggiungere, a bordo dell’automezzo, la rimessa.

Nondimeno, la circostanza del mancato tempestivo soccorso.

Di conseguenza, sulla base di tali fatti, andava trovata la soluzione all’impasse, ritenendo comunque lo shock emorragico e quindi l’emottisi, così come si era presentata nel caso che ci occupa, quale causa violenta in occasione di lavoro, ovverossia, infortunio. Ma la questione non è di facile definizione.

In effetti, occorre dire che l’assicurazione contro gli infortuni, nasceva per tutelare eventi di natura fisicamente traumatica in parte già indicate dall’INAIL.

Le tabelle INAIL, tuttora, non possono ritenersi esaurienti, ovvero, non contemplano altrettanti eventi da catalogare come infortunio.

A tal uopo, solo l’interpretazione giurisprudenziale, ha opportunamente riconosciuto, adeguandosi al principio costituzionale contenuto nell’articolo 38, casi e circostanze non altrimenti inquadrati come eventi infortunistici.

Basti pensare che, la morte del lavoratore per cardiopatia causata anche dalle condizioni di lavoro, ad esempio, può configurare infortunio (Cassazione, Sezione Lavoro, 16 ottobre 2000, n. 13741).

Orbene, sulla base di quanto sopra narrato, senza alcuna pretesa di esaustività, l’infortunio sopra descritto si presta, senza tema di smentita a due interpretazioni:

1) la consulenza medico legale non fornisce elementi utili tali da ravvisare un nesso causale tra le lavorazioni agricole cui era sottoposto quotidianamente il lavoratore interessato e la patologia tumorale polmonare;

2) la stessa, appunto per questo, non esclude neppure che le sostanze nocive cui esternamente veniva a contatto l’operaio agricolo non abbiano potuto avere un’incidenza sulla patologia riscontrata in sede autoptica e a seguito di esame istologico.

Dunque, si pone un dilemma scientifico per stabilire causalità e malattia con un processo eziologico, pare ignoto, per stabilire la sussistenza oppure no, nel caso in esame, di un infortunio sul lavoro.

E’ fondamentale, a tal guisa, dimostrare che l’evento infortunistico non abbia avuto un privilegio in un diverso motivo e astrattamente idoneo a causare la neoplasia al polmone e che pertanto l’esposizione a sostanze chimiche, fisiche e biologiche di matrice lavorativa sia stata una condizione essenziale per l’insorgere del morbo o che ne abbia, di fatto, accelerato la patologia.

Ed ecco che interviene in qualche misura la giurisprudenza, definendo in maniera esauriente il concetto di causa violenta, così da poter annoverare anche l’accaduto sopra descritto come infortunio, ritenendo così un’azione violenta anche un fenomeno, provocato da fattori esterni ma che si sia manifestato alla fine con un’emottisi, "ictu oculi" non definibile come causa violenta.

In verità, la definizione di causa violenta, già novellata nell’articolo 7 della Legge 17 marzo 1898, n. 80, istitutiva dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, richiamava il carattere traumatico originato da cause meccaniche, fattori prevalenti di infortuni. Tale specificazione, ha subito nel corso del tempo una notevole rivisitazione. Attualmente, la causa violenta può definirsi finanche “un’azione rapida e concentrata nel tempo, che agisce dall’esterno, in modo da recare danno all’organismo del lavoratore” (Cassazione 12 dicembre 1989, n. 5514; Cassazione 9 giugno 1994, n. 5602)

In tal modo, la giurisprudenza ha fissato gli elementi che individuano la nozione di causa violenta in relazione all’infortunio sul lavoro: efficienza causale, esteriorità, rapidità e concentrazione, ma non sempre queste locuzioni si rinvengono in tutti i casi in maniera cristallina.

Così che, l’inoppugnabile attività accertata e effettivamente svolta in agricoltura da oltre un decennio da parte del defunto operaio agricolo, fornisce comunque una prova con un grado di ragionevole certezza, nel senso che esclusa anche la possibilità dell’eziopatogenesi professionale, questa può ben essere ravvisata in presenza di un rilevante grado di probabilità.

In effetti, gli elementi conoscitivi raccolti nel caso di specie, fanno propendere che quell’evento, così analizzato nella sua dinamica e nel suo percorso storico nell’ambito lavorativo, attesa l’esclusione di altri fattori extra professionali, non emersi e non acclarati, possa qualificarsi ragionevolmente come infortunio sul lavoro.

A supporto, giova osservare che anche gli studi epidemiologici possono a tale scopo essere utilizzati congiuntamente ad altri dati per suffragare una qualificata probabilità che l’evento narrato sia un infortunio sul lavoro o che comunque merita una particolare attenzione anche sotto il profilo della malattia professionale.

Così la giurisprudenza: “La nozione attuale di causa violenta comprende qualsiasi fattore presente nell’ambiente di lavoro; in maniera esclusiva o in misura significativamente diversa che nell’ambiente esterno, il quale agendo in maniera concentrata o lenta, provochi (nel primo caso) un infortunio sul lavoro, o (nel secondo) una malattia professionale”. “La prova del nesso causale deve avere un grado di ragionevole certezza, nel senso che esclusa la rilevanza della mera possibilità dell’eziopatogenesi professionale, questa può essere invece ravvista in presenza di un rilevante grado di probabilità, per accertare il quale il giudice deve valutare le conclusioni probabilistiche del consulente, desunte anche da dati epidemiologici” (ex multis Cassazione n. 12559 del 2006).

Il racconto del lavoratore agricolo, deceduto durante lo svolgimento della propria opera a causa di una emottisi, resta un caso ancora aperto.

In attesa, questo relatore ritiene pur con estrema cautela, ma ragionevolmente, che quell’evento nel suo dinamismo e che ha avuto teatro l'ambiente lavorativo e l'occasione di lavoro, possa essere classificato infortunio sul lavoro.